In rete è l’anno della bufala
Dal divieto di battesimo nella UE alle congetture sulla scomparsa del volo Malaysia Airlines 370, il 2014 ha visto un’impennata delle notizie fasulle propagate sul web. Con l’aggravante che molte sono state riprese da tv e stampa.
Le ‘bufale’ non sono semplici notizie fasulle propagate credendo erroneamente che siano autentiche: sono una via moderna di sfogo ed espressione di paure e speranze diffuse. Jan Harold Brunvand, uno dei massimi studiosi del folclore e della sua versione moderna, costituita da bufale e leggende metropolitane, sostiene che l’analisi di queste storie «rivela le motivazioni, le attese, i sogni, i timori delle persone» e consente un’indagine sociale molto penetrante, che rivela la chiave della loro sorprendente popolarità e longevità, immune a ogni smentita: le bufale offrono infatti «una narrazione accattivante di base, un fondamento di credenza reale e un messaggio o una morale». Lungi dall’essere semplici sbagli, nascono e attecchiscono perché fanno leva su emozioni profonde: le diffondiamo credendole vere perché vogliamo o temiamo che lo siano, e questo sentimento abbassa le nostre difese razionali e il nostro senso critico.
Quest’interpretazione spiega il successo di dicerie popolarissime come quella riguardante le app per telefonini Talking Angela o Talking Tom, accusate senza fondamento di essere giochi dietro i quali si cela una rete di pedofili che spiano i bambini che le usano, o come quella di WhatsApp che diventerà presto a pagamento se non inoltriamo l’allerta a un certo numero di nostri amici: si basano non sui fatti, ma sulla diffidenza istintiva verso gli sconosciuti che ci fanno regali. Ci aspettiamo che prima o poi ci sia un prezzo da pagare e quest’attesa è così radicata che le smentite vengono ampiamente ignorate.
Il 2014 ha visto, accanto a queste bufale dalle conseguenze relativamente modeste, anche dei grandi allarmi-bufala amplificati dalla rete – come le voci sulla propagazione del virus Ebola in Italia, nascosta dalle autorità, e la notizia (falsa) che gli 11 aerei di linea che sarebbero scomparsi dall’aeroporto di Tripoli sarebbero stati approntati per un nuovo 11 settembre – e le bufale che sconfinano nella truffa, come il caso Stamina, che si nutre della disperazione dei malati senza avere alcuna prova di reale efficacia. I danni e le angosce derivanti da queste fandonie non sono di poco conto e hanno l’aggravante di aver ricevuto forte amplificazione da parte dei media, teoricamente deputati a fornirci fatti verificati invece di bufale.
Il ruolo importante del giornalismo nella propagazione di molte di queste bufale è probabilmente una delle tendenze più spiccate in questo campo negli ultimi anni: mentre tradizionalmente le dicerie nascevano dal basso ed eventualmente venivano stroncate dalle indagini giornalistiche, nel 2014 stampa, radio e televisione hanno contribuito non poco a rinforzarle (un esempio fra tutti, il tormentone di congetture cospirazioniste intorno alla scomparsa del volo Malaysia Airlines 370). Il fenomeno è legato al corto circuito mediatico fra Internet e media tradizionali: un giornalista legge una notizia su Internet, si fida acriticamente della fonte perché gli racconta una storia accattivante e di forte impatto che corrisponde ai suoi preconcetti e invece di verificarla la pubblica tale e quale. A quel punto la notizia è autenticata dalla sua pubblicazione sui mezzi di comunicazione tradizionali e torna in rete più forte di prima, senza serbare traccia delle sue origini traballanti.
Forse la dimostrazione più forte di questo corto circuito e del bisogno di un ripensamento dei processi di produzione delle notizie sta nel successo, particolarmente vivace quest’anno, dei siti satirici (Giornale del Corriere, Corriere del Mattino, Lercio, Roma News 24, Gazzettino Web, The Onion e altri ancora) che pubblicano notizie palesemente false ma puntualmente prese per vere dai visitatori disattenti e, purtroppo, anche da molti giornalisti, come nel caso della notizia relativa al battesimo vietato dall’Unione Europea a partire dal 2015, approdata anche sulla stampa.
L’avvento di Internet può sembrare a molti una sciagura per il suo potere sconcertante di amplificare e accelerare la diffusione delle bufale, ma è anche un’occasione senza pari per diffondere le smentite e per affinare il senso critico degli internauti, rivelando le regole generali per riconoscere le bufale di qualunque provenienza e per non farsi incantare dalla loro seduzione istintiva. Come in un gioco di prestigio, quando si scopre il trucco l’inganno non ha più effetto.