INAUGURAZIONE
Nella religione romana si diceva inaugurazione la consultazione degli dei da parte degli auguri, e in senso esteso ogni cerimonia di cui la consultazione stessa formava la parte iniziale e costituiva il carattere più saliente. L'inaugurazione conferiva a certi atti pubblici un'assoluta garanzia di utilità e di opportunità. Si faceva l'inaugurazione dei templi, dei luoghi pubblici e delle persone rivestite di pubbliche funzioni.
In genere gli uomini non potevano entrare in comunicazione con gli dei che in luoghi liberi da ogni servitù e da ogni diritto di possesso, staccati e tagliati fuori dal resto del suolo da limiti stabiliti dagli auguri (τεμενος [da τέμνω "taglio fuori"] = templum). Queste porzioni di suolo dovevano essere prima inaugurate e poi consacrate dai pontefici, mediante successive operazioni. Precedeva la consultazione degli auguria che erano segni divinatorî osservati e interpretati dagli auguri nel loro auguraculum del Campidoglio. Quindi il suolo del futuro tempio doveva essere nettato, appianato o liberato da ogni servitù. Se altri ne aveva in precedenza il possesso era necessario deciderlo a lasciare il posto a mezzo dell'exauguratio. Si procedeva poi alla limitazione e chiusura del templum. All'atto simbolico da parte degli auguri del tracciare linee aeree a mezzo del lituus, succedeva l'effettiva delimitazione del rettangolo, lasciando una sola apertura dal lato della fronte. Si recitavano quindi ad alta voce le formule inaugurali (effari era il termine tecnico dell'atto). Un'inaugurazione e conseguente consacrazione di una persona fu quella di Numa Pompilio narrata in Livio (I, 18). L'inaugurazione dei sacerdoti era condotta con lo stesso sistema; l'iniziativa dell'atto apparteneva al pontefice massimo. Anche per i nuovi magistrati si doveva procedere all'inauguratio. Sotto la repubblica i magistrati si sottrassero a tale formalità, insediandosi da loro stessi a mezzo della semplice auspicatio. L'auspicium era un segno della stessa natura dell'augurium, domandato e accettato da un magistrato (v. auguri e auspicio).
Bibl.: L. Mercklin, De inauguratione sacerdotum romanorum, in Comm. Phil. in hon. Th. Mommseni, Berlino 1877, p. 159 segg.; J. M. Valeton, De inaugurationibus romanis caeremoniarum et sacerdotum, in Mnemosyne, n. s., XIX (1891), p. 405 segg.; A. Bouché-Leclerq, in Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, III, i, p. 435 segg.; V. Spinazzola, Gli Augures, Roma 1895; id., in Dizionario epigrafico di E. De Ruggiero, I, p. 778 segg.; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., Monaco 1912, p. 524 segg.