INCENERIMENTO
Processo di distruzione dei rifiuti di diverso tipo e natura (solidi, liquidi, pastosi, gassosi, urbani, industriali, tossici, nocivi) mediante combustione controllata in modo da ottenere prodotti (scorie, ceneri, gas, vapori) né tossici né nocivi, né capaci di produrre fastidi alle persone o alle cose.
Al processo di combustione vero e proprio se ne deve, spesso, abbinare uno precedente di preparazione dei rifiuti da trattare e, sempre, uno seguente di trattamento più o meno complesso delle emissioni gassose per adeguarle alle varie normative.
Il problema dello smaltimento dei rifiuti (v. rifiuti, in questa Appendice) si fa sempre più pressante poiché la loro quantità, di ogni tipo, aumenta continuamente e ovunque; nei paesi della CEE tale aumento è del 5÷25% all'anno, in Italia dal 1985 al 1991 si è passati da 300 a 350 kg/persona/anno.
Prima di pensare ai sistemi di smaltimento di queste crescenti masse di rifiuti, è necessario considerare se ci sono mezzi per la loro riduzione all'origine, cioè se è possibile diminuirne la quantità prodotta o quella da smaltire. Ciò non è da escludere, sia per i rifiuti urbani che per quelli industriali. Per questi ultimi, che sono in quantità maggiore, si possono adottare diversi provvedimenti: modificare i sistemi attraverso i quali prendono origine, in modo da avere meno sottoprodotti da smaltire, oppure averne o di più facile smaltimento o di riutilizzazione. Basta ricordare la sostituzione del bisolfito di magnesio a quello di calcio nell'estrazione della cellulosa dal legno, la sostituzione del sistema dell'acido cloridrico al solforico nella preparazione del biossido di titanio (che ha eliminato la formazione dei cosiddetti fanghi rossi), la produzione di vernici ad acqua e di quelle ad alto solido (che hanno ridotto di molto non solo l'impiego ma anche lo scarico di solventi organici), la produzione di adesivi in emulsione acquosa anziché in solventi organici, ecc.
Alcuni sottoprodotti di lavorazioni industriali possono anche essere riutilizzati come materie prime di altre lavorazioni (dagli sfridi dei circuiti stampati, difficili da inviare in discariche, si può ricuperare il rame sotto forma di solfato; dai solventi scartati dall'industria delle vernici, ecc., si possono riottenere, per distillazione, solventi misti adatti allo sgrassaggio di metalli, ecc.).
Recentemente la società chimica tedesca BASF ha reso noto di aver ridotto di 600.000 t la produzione annua dei residui di lavorazione attraverso modifiche e miglioramenti dei processi di lavorazione; di aver reso riciclabili, come materie prime per altre lavorazioni, 800.000 t di sottoprodotti, e di aver bruciato 295.000 t di rifiuti ricuperandone vapore in quantità pari a un terzo circa del proprio fabbisogno. Per i rifiuti solidi urbani un sistema di riduzione è fornito dal riciclaggio di alcune classi di componenti (vetri, metalli, materie plastiche, ecc.), mediante cernita o raccolta differenziata; la riduzione si può anche ottenere contenendo l'impiego di alcuni prodotti, per es. gli imballaggi, spesso eccessivi rispetto alla loro vera funzione e necessità.
Altri provvedimenti destinati alla riduzione o rilavorazione di rifiuti urbani si vanno facendo strada, per es. l'obbligo per alcune industrie di ritirare parte dei materiali impiegati (è il caso di alcuni manufatti in plastica usati dai fabbricanti di auto, ecc.). Questi sistemi di modifica di processi industriali, di riciclaggio di componenti di prodotti di rifiuto, oltre a consentire una riduzione sensibile dei rifiuti solidi urbani e industriali da smaltire (in discarica, in forni di combustione, ecc.), permettono di ricavare un utile o un risparmio di materie prime necessarie alla produzione (vetro, alluminio, carta, ecc.).
Lo smaltimento dei rifiuti mediante combustione è vecchissimo: in casi di epidemia si ricorreva a bruciare quanto era venuto a contatto con gli individui colpiti dal male: ancora oggi per l'inertizzazione dei residui tossici (pericolosi) ospedalieri si ricorre alla combustione; sono centinaia i forni d'i. in funzione in centri ospedalieri; è pratica usualmente seguita nelle campagne per distruggere residui vegetali e anche parassiti infestanti. Per i rifiuti urbani la pratica dell'i. è stata adottata per es. negli Stati Uniti, dove ai primi del 20° secolo erano in esercizio circa 200 inceneritori; sempre ai primi del Novecento veniva praticata anche in Europa (per es. ad Amburgo). La sua diffusione è tuttavia fenomeno degli ultimi decenni, in presenza di una crescente quantità di rifiuti da smaltire. In un primo momento gli utilizzatori degli inceneritori non tennero conto dei gas conseguenti alla combustione, che venivano dispersi nell'atmosfera dopo depurazioni sommarie, il che ha contribuito, in tempi più recenti, a creare diffidenza verso questo sistema di trattamento dei rifiuti. Per meglio rispondere alle esigenze delle norme in materia, questo sistema ha dovuto perciò costantemente migliorare il proprio funzionamento introducendosi innovazioni e miglioramenti non solo nel sistema di combustione vero e proprio ma più ancora in quello di trattamento degli effluenti. Si è arrivati così a disporre di un sistema che consente di ridurre notevolmente peso e volume dei rifiuti, che produce scorie e ceneri inerti e gas privi di odore e di pericolosità, conformandosi in tal modo alle legislazioni dei vari paesi, anche le più rigorose. Per corrispondere a queste varie esigenze gli impianti d'i. sono diventati sempre più complessi e quindi sempre più costosi. Per tale ragione, e al fine di ridurre i costi di esercizio, oggi si tende ad accoppiare tali sistemi al recupero del calore prodotto dalla combustione, per ottenere sia acqua calda che vapore da cui generare elettricità. Ai primi inceneritori, del tipo a tamburo rotante, se ne sono aggiunti altri capaci di prestazioni anche migliori e di costi più contenuti.
Trattamenti preliminari. - I rifiuti solidi urbani (RSU), prima dell'i., subiscono alcuni trattamenti preliminari che incidono poco sul costo totale dello smaltimento, ma hanno notevole importanza per il funzionamento degli impianti d'i. e di trattamento delle emissioni.
Questi trattamenti preliminari possono consistere: in una cernita che escluda le parti più grossolane, incombustibili; in un'essiccazione parziale che accresca il potere calorifico del rifiuto; in una frantumazione o macinazione con vagliatura che allontani un'apprezzabile parte di incombustibili, di polveri per lo più inerti; in una compressione o pressatura (sotto forma di cubetti, di cilindri, ecc.), che renda il prodotto più facile da manipolare e da trasportare, da alimentare in forni, da miscelare a combustibili tradizionali. Con questi trattamenti si ottiene un prodotto che si avvicina maggiormente a un combustibile e che viene indicato come RDF (Refuse Derived Fuel). Le operazioni di pretrattamento acquistano particolare interesse quando i rifiuti debbono essere trasportati da una località all'altra, in quanto il posto d'i. non corrisponde a quello di raccolta o stoccaggio dei rifiuti stessi.
Un impianto di pretrattamento di 2000 t/giorno di rifiuti solidi urbani e industriali entrato in esercizio nel 1988 a Hertford (Connecticut) comprende: separazione manuale di oggetti grossolani, non combustibili; macinazione; passaggio su dispositivi magnetici per allontanare parti ferrose; vagliatura che suddivide il materiale in tre frazioni, delle quali l'intermedia contiene la maggior parte dei componenti combustibili (quest'ultima può essere ulteriormente arricchita mediante nuova macinazione e nuova vagliatura).
Forni d'incenerimento. - Si tratta di forni a tamburo ruotante che, anche se più piccoli e più semplici, sono simili a quelli usati in altre industrie, specie per la preparazione del cemento (v. IX, p. 707); sono costituiti da un cilindro metallico, rivestito internamente di refrattario, disposto con leggera inclinazione (2÷3%) e che ruota lentamente intorno al proprio asse (1÷2 giri/minuto).
Il materiale da bruciare viene immesso dall'alto e si sposta lentamente verso l'uscita, nella parte più bassa; la rotazione, oltre allo spostamento verso l'uscita, provoca anche un successivo trascinamento del materiale verso l'alto seguito da ricaduta, che ne assicura un continuo rimescolamento. Un bruciatore ausiliario, che fornisca calore sia nella fase d'avviamento sia nei casi d'insufficiente potere calorifico del materiale da incenerire, può essere posto o verso l'entrata o verso l'uscita, in modo tale che i gas caldi della combustione si muovano o in equicorrente o in controcorrente col materiale da incenerire. I solidi da bruciare normalmente non occupano più del 10÷15% del volume della camera del forno; il rimanente volume è a disposizione dei gas. Anche se il funzionamento di questi forni è semplice, occorrono tuttavia particolari attenzioni quali la regolazione del numero dei giri in base alle condizioni di combustione; l'evitare interruzioni nella rotazione durante la combustione per non avere surriscaldamenti locali del mantello metallico, ecc.
Questi forni consentono d'incenerire rifiuti di ogni tipo (urbani, industriali, tossici, nocivi; solidi, liquidi, pastosi, gassosi). I solidi vengono introdotti gradualmente nella parte più alta, in pezzatura anche grossolana; quelli fangosi possono essere alimentati attraverso immissioni poste nella zona superiore del forno; i liquidi e i gas vengono spruzzati nelle zone più calde del forno, in più punti per non avere eccessi di temperatura localizzati.
In conseguenza del forte rimescolamento che la carica subisce all'interno del forno, e dell'elevata turbolenza, i gas all'uscita trasportano una notevole quantità di polveri (ceneri, incombusti, ecc.), il che si verifica in misura maggiore nei forni con flussi a controcorrente (quelli più usati per rifiuti urbani, ecc., sono preferibilmente a equicorrente). Di qui la necessità che i gas vengano depolverizzati e attraversino una camera di post-combustione nella quale si possono raggiungere temperature elevate. In questi forni si può effettuare l'abbattimento dei componenti acidi dei gas (HCl, SOx), a secco, iniettando all'interno sostanze neutralizzanti in polvere (ossido di calcio, di magnesio, ecc.), riducendo così il costo di trattamento dei fumi.
Il forno a griglia è quello che ha avuto la maggiore diffusione, specie per rifiuti solidi di qualsiasi natura: la camera di combustione è percorsa da una griglia mobile sulla quale si distende il materiale da bruciare e al disotto della quale viene insufflata l'aria per la combustione. Il materiale così caricato incontra zone a temperatura diversa, in modo da subire prima un'essiccazione, poi una distillazione e combustione, nella quale si liberano da esso sostanze volatili e s'inizia la sua decomposizione (pirolisi, v. oltre) con sviluppo delle sostanze volatili e formazione di un residuo carbonioso. Entrambi questi costituenti entrano subito in combustione: le sostanze volatili ricevono l'aria comburente al disopra della griglia, il residuo carbonioso la riceve attraverso la griglia; in corrispondenza della zona finale si ha il completamento della combustione del materiale e lo scarico delle scorie e delle ceneri.
La parte fondamentale di questi forni è rappresentata dalla griglia, che costituisce spesso il componente distintivo dei forni prodotti dalle varie ditte. Alla griglia si richiedono diverse caratteristiche, in particolare quella di consentire una facile, rapida e pressoché totale combustione del materiale col minore impiego d'aria possibile; una combustione regolare, rapida, senza surriscaldamenti, è condizione importante per evitare eccessive sollecitazioni a carico del materiale della griglia, degli organi di supporto e di movimento; altra caratteristica della griglia è quella di consentire il passaggio dell'aria evitando però il contemporaneo passaggio di troppe parti minute, ceneri, ecc.
Nei sistemi più semplici la griglia è formata da una serie di rulli, di barrotti o di gradini che, oltre a essere filtranti per consentire il passaggio dell'aria, possono essere dotati di movimenti diversi non solo per l'avanzamento del materiale da incenerire ma anche per un suo rimescolamento. Nei sistemi più complessi si hanno griglie a movimento alternato costituite dalla successione di un gradino fisso con uno mobile dotato di moto alternato; oppure da un gradino fisso posto fra due gradini dotati di moto opposto, o, ancora, da tamburi multipli rotanti formati da una serie di cilindri ad assi paralleli, ma disposti a livello decrescente; in quest'ultimo caso la rotazione dei cilindri determina l'avanzamento dei rifiuti immessi al disopra del cilindro più elevato; l'aria che filtra fra cilindro e cilindro ha inoltre il compito di raffreddare la zona dei cilindri che a ogni istante è rivolta verso il basso.
Si hanno forni con griglie della larghezza anche di 6 m, con superfici di 50÷80 m2, che possono incenerire anche 800 t di rifiuti al giorno. Importante è pure l'altezza della camera di combustione, la cui volta deve riverberare il calore sui rifiuti disposti sulla griglia e consentire la combustione dei prodotti volatili; lo spessore dello strato dei rifiuti dev'essere tale da permettere un rimescolamento che eviti la formazione di cammini preferenziali.
Larga attenzione stanno ricevendo gli inceneritori a letto fluido (v. fig.), tecnica già usata in diverse industrie per l'essiccazione di materiali diversi, di fanghi, ecc. Un inceneritore di questo tipo è formato essenzialmente da una camera cilindrica verticale rivestita internamente di refrattario, e la cui base è costituita da una piastra perforata per la distribuzione dell'aria occorrente alla fluidizzazione del materiale e alla combustione dei rifiuti.
Sulla griglia si pone uno strato di granuli di sabbia e di neutralizzanti (carbonato di calcio, di dolomite, ecc.) che viene sollevato e fluidizzato dalla corrente d'aria e nel quale vengono a trovarsi i rifiuti solidi, tal quali o pretrattati (triturati). I rifiuti, avvolti dall'aria comburente e dal calore trasmesso dai granuli di sabbia (una volta che si trovino a regime), entrano immediatamente in combustione, che risulta non solo rapida ma totale poiché a ogni particella non viene a mancare né la temperatura né l'ossigeno necessario. I granuli di calcare o dolomite, inoltre, reagiscono con i componenti acidi appena questi si sviluppano (HCl, SOx, ecc.), riducendo la possibilità di corrosioni. I gas sviluppati dalla combustione nel letto fluido possono incontrare nella zona sovrastante dell'aria supplementare che ne assicura una completa combustione (tanto che per questi tipi di forni non ci sarebbe, secondo alcuni, neppure bisogno di camere di post-combustione). La temperatura di solito si mantiene intorno a 800÷850 °C nella zona del letto, e sale a 950÷1000 °C in quella sovrastante; in questa zona si può anche iniettare ammoniaca gassosa, che riduce la presenza nei gas degli ossidi d'azoto e, se necessario, completa la neutralizzazione dei componenti acidi. Il sistema a letto fluido ha l'ulteriore vantaggio di non presentare parti metalliche a contatto coi gas caldi, evitando le corrosioni.
A seconda delle condizioni di funzionamento, si distinguono inceneritori a letto fluido bollente e a letto fluido trascinato.
Nei primi la velocità del gas è di poco superiore a quella necessaria per la fluidizzazione (per granuli di sabbia di 1÷2 mm velocità inferiori ai 3 m/sec.); in queste condizioni il trascinamento dei solidi al disopra della zona del letto è minimo poiché le particelle tendono a ricadere rapidamente all'interno del letto, facendo assumere a questo l'aspetto di un liquido in ebollizione, come appunto indicato dal suo nome. Per realizzare elevate capacità di combustione con forni di questo tipo occorrono letti di ampia superficie, in modo da sopperire alle basse velocità di fluidizzazione; ciò tuttavia comporta limitazioni e difficoltà nell'ottenere distribuzioni uniformi dell'alimentazione e delle temperature; inoltre facilmente si può avere agglomerazione delle ceneri.
Più usati sono i forni a letto fluido trascinato o a ricircolazione, nei quali la velocità dell'aria di fluidizzazione è molto superiore, anche doppia (3÷6 m/sec.) di quella indicata per i forni a letto fluido bollente. In queste condizioni si ha un forte trascinamento di particelle da parte del gas, particelle che debbono essere captate e riportate in circolo prima di arrivare alla depurazione dei gas. La maggiore velocità dei gas permette di adottare letti di minore superficie e di realizzare di conseguenza una maggiore uniformità, sia dell'alimentazione che delle temperature.
Gran parte degli inceneritori a letto fluido funziona a pressione atmosferica; però, per poter realizzare apparecchi che a parità di capacità produttive abbiano minori dimensioni e maggiore compattezza, si pensa d'innalzare la pressione di esercizio di qualche atmosfera (5÷10). Questi inceneritori risultano particolarmente vantaggiosi quando si voglia ricuperare il calore generato dalla combustione, per produrre energia elettrica. Va tuttavia notato che l'elevato trascinamento dei solidi in sospensione accentua i fenomeni di erosione delle superfici metalliche (tubi per l'asportazione del calore). In ogni caso il sistema a letto fluido risulta particolarmente versatile: è adatto per solidi, per liquidi e per gas; usato inizialmente per rifiuti industriali, è stato adottato anche per l'i. di quelli urbani, nonché di quelli tossici e pericolosi.
In Giappone è stato recentemente realizzato un sistema a letto fluido diverso da quelli usati in Europa e negli Stati Uniti, e nel quale si forma un letto fluido ruotante; l'aria per la fluidizzazione viene infatti immessa non soltanto sotto la griglia, ma iniettata anche lateralmente provocando la rotazione del letto fluido. Il sistema avrebbe il vantaggio d'incenerire rifiuti solidi urbani o industriali senza trattamenti preliminari (cernita, ecc.); si può utilizzare anche per rifiuti fangosi, liquidi, iniettandoli direttamente nel letto fluido. La combustione risulta rapida e omogenea in ogni punto. La suola, anziché orizzontale, è leggermente inclinata verso l'uscita, facilitando l'operazione di scarico dei residui. In un'altra versione il letto, anziché circolare, è rettangolare e la distribuzione dell'aria di fluidizzazione è suddivisa in tre settori separati: due laterali in cui la portata dell'aria è maggiore; uno centrale in cui la portata è minore. Diversa è pure la circolazione della sabbia. I rifiuti immessi dall'alto e nella zona centrale, dove minore è l'ebollizione del letto, vanno verso il fondo propagandosi poi verso le zone laterali dove le condizioni sono favorevoli per una rapida e completa combustione.
Soprattutto negli Stati Uniti si usano anche forni a piani sovrapposti che sono del tutto simili a quelli largamente adoperati per la combustione delle piriti e di altri solfuri nell'industria dell'acido solforico (v. XXXII, p. 67). Il materiale da bruciare viene alimentato dalla parte alta e scende da un piano all'altro mosso da una serie di bracci, fissati a vari livelli a un albero centrale. Essi, ruotando, rimescolano il materiale spostandolo sui diversi piani dal centro alla periferia, o viceversa, a seconda che le aperture per la caduta al piano sottostante siano praticate in periferia o al centro.
L'aria per la combustione sale controcorrente rispetto al materiale da bruciare, entrando in parte dal basso e in parte da aperture praticate nel mantello del forno, in corrispondenza dei singoli piani, e regolabili in funzione dell'andamento della combustione. Bracci e albero sono fortemente sollecitati dal calore della combustione; per tale ragione l'albero è cavo ed è raffreddato da una corrente d'aria, che poi è utilizzata come comburente.
I forni possono avere diametro di 5÷8 m ed essere in numero di 6÷8 e anche più; si usano per solidi in pezzi, in granuli, ma anche per fanghi, per liquidi e gas. Via via che attraversa il forno dall'alto verso il basso il materiale viene prima essiccato, poi bruciato e infine, i residui, raffreddati. Nei piani intermedi, i più caldi, la temperatura raggiunge di solito 750÷850 °C. I gas in uscita trasportano, sempre in sospensione, molte particelle di ceneri.
Come già detto, spesso liquidi e gas da incenerire possono essere combinati con i rifiuti solidi, iniettandoli nella zona della fiamma dei bruciatori (forni a tamburo rotante, a letto fluido, ecc.), in quantità regolata in modo da non creare surriscaldamenti localizzati. Ma se non si dispone di solidi, per l'i. dei soli liquidi e/o gas si ricorre, di solito, a forni statici per lo più verticali, costituiti da un mantello metallico e rivestiti internamente di refrattari resistenti alle alte temperature.
In essi si fa bruciare un combustibile gassoso o liquido, polverizzato, immesso alla base, per lo più tangenzialmente in modo da imprimere un andamento vorticoso alla combustione. I rifiuti liquidi o gassosi, polverizzati e iniettati all'interno del vortice, vengono rapidamente portati ad alta temperatura, bruciando in breve tempo e completamente. La temperatura all'interno di questo tipo di forni può variare dai 700 ai 1200 °C e oltre, a seconda delle caratteristiche del prodotto da incenerire (quantità di acqua presente nei rifiuti liquidi, percentuale di inerti presenti nei gas, natura dei componenti organici da distruggere, loro pericolosità, ecc.). Per ridurre le sollecitazioni termiche sui refrattari delle pareti si cerca di evitare che la fiamma le colpisca direttamente. La scelta dei refrattari deve tener conto anche della presenza di componenti ricchi di zolfo e di cloro, che nella combustione danno gas acidi (SOx, HCl).
Poiché i liquidi di solito bruciano più lentamente dei gas, per assicurarne la completa distruzione si richiedono apparecchi di dimensioni maggiori, tempi di permanenza più elevati e temperature superiori. Numerose le varianti realizzate per rendere questi forni adatti a liquidi di diversa viscosità e a capacità differenti, per migliorarne e accelerarne la distruzione, ecc.
Camera di post-combustione. - Non in tutti i forni la distruzione dei composti organici è sempre totale, o quasi; ciò si verifica più facilmente in quelli a letto fluido che in quelli a tamburo rotante. Per assicurarsi che i gas in uscita arrivino al camino privi dei residui di componenti organici e in particolare degli eventuali microinquinanti organici (diossine e composti similari), si fa loro subire un trattamento ad alta temperatura (eventualmente con apporto di combustibile esterno), in una camera detta di post-combustione.
Si tratta, di regola, di un vano in muratura, rivestito internamente di refrattari (a base di carburo di silicio resistente alle alte temperature) e collegato alla camera di combustione da un condotto che ha anche la funzione di miscelatore statico dei gas. In Italia il ministero dell'Ambiente, per garantire che nella camera di post-combustione si realizzino le condizioni favorevoli alle reazioni chimiche necessarie alla completa distruzione degli inquinanti eventualmente presenti (specie diossine e simili), fissa alcune caratteristiche indispensabili, e precisamente: la quantità di ossigeno che dev'essere presente nei gas (almeno 6%), la velocità media dei gas all'entrata (almeno 10 m/sec.), il tempo di loro permanenza (almeno 2 sec.), la temperatura minima (950 °C, nel caso di inceneritori di rifiuti urbani, speciali, tossici, nocivi; almeno 1200 °C nel caso che i rifiuti bruciati abbiano un contenuto in cloro superiore al 2%).
Depurazione dei gas. - I gas uscenti dai forni d'i., oltre a contenere sempre anidride carbonica, vapor d'acqua, eccesso d'aria (azoto e ossigeno), contengono anche macroinquinanti (composti acidi: SOx, HCl, NOx) e microinquinanti (sia inorganici che organici). Inoltre essi trasportano sempre quantità piuttosto elevate di particelle in sospensione. Per rendere tali gas innocui e atti a essere scaricati nell'atmosfera, la maggior parte di questi inquinanti dev'essere eliminata assoggettando i gas a trattamenti di depurazione. A tal fine, i gas che escono dalla camera di combustione a 850÷1000 °C debbono essere raffreddati fino a circa 300 °C; quest'operazione può essere realizzata ricuperando o non ricuperando il calore sensibile dei gas. Nel primo caso il raffreddamento si effettua per scambio del calore con acqua o vapore attraverso pareti metalliche; nel secondo s'investono con acqua nebulizzata i gas, tal quali o parzialmente diluiti con aria. Il raffreddamento con ricupero d'energia comporta costi maggiori d'impianto, e anche per mantenere pulite le superfici di scambio che tendono a ricoprirsi di polvere; il raffreddamento con acqua e aria comporta l'aumento del volume dei gas da depurare e da scaricare.
La quantità di polveri trasportate dai gas è elevata, e varia a seconda del tipo di forno e delle condizioni della sua conduzione (volume dei gas, loro turbolenza, presenza della camera di post-combustione dove vengono bruciate particelle di sostanze combustibili, ecc.). L'eliminazione delle polveri si fa per passaggio attraverso cicloni, filtri elettrostatici, filtri a tessuto (o a manica). I cicloni forniscono di solito una depolverizzazione parziale, non superiore al 70÷80%, e comportano una forte erosione da parte dei granuli di polvere. I filtri elettrostatici garantiscono una depolverizzazione pressoché totale, ma con costi d'impianto e di gestione elevati. I filtri a manica − in passato impiegati solo per trattare gas a temperatura ambiente (in mulini, in zuccherifici, ecc.) in quanto usavano tessuti di fibre naturali − oggi vengono invece impiegati in molte industrie in quanto adottano tessuti in fibre sintetiche, resistenti fino ai 250÷300 °C. Tali filtri consentono di realizzare gradi di depolverizzazione paragonabili a quelli forniti dagli elettrofiltri, ma con perdite di carico superiori. La depolverizzazione si può fare anche a umido, con acqua; il sistema, che viene usato specialmente per piccoli impianti perché richiede minori costi, ha però lo svantaggio di dare gas freddi, saturi di umidità, che mal si disperdono nell'atmosfera e spesso richiedono un riscaldamento; il sistema presenta però il vantaggio di permettere l'eliminazione anche di gas acidi, se presenti, specie mediante l'uso di acqua con alcali.
I gas depolverizzati debbono essere privati dei componenti macroinquinanti. Per SOx e HCl si è già detto: essi possono essere fissati nei forni di combustione, aggiungendo alla carica dei neutralizzanti (ossidi o carbonati di calcio, di magnesio, ecc.). Un problema particolare è rappresentato dagli ossidi d'azoto, normalmente indicati come NOx, e costituiti da NO2 ed NO; quest'ultimo è presente nei forni in quantità maggiore rispetto al biossido, ma si trasforma rapidamente in NO2, che è più tossico dell'NO. Gli NOx nei gas di combustione provengono sia dalla trasformazione di composti azotati presenti nei rifiuti, sia dalla combinazione dell'azoto dell'aria comburente con l'ossigeno. Questi sistemi di formazione si dicono anche, rispettivamente, di conversione e termico. Data l'inerzia chimica dell'azoto, la formazione termica richiede temperature elevate, eccesso d'ossigeno e tempi di permanenza prolungati; il sistema di conversione, prendendo origine dalla trasformazione di composti termicamente labili, richiede temperature minori per l'effettuazione.
Poiché l'eliminazione degli NOx non è facile, nei vari forni si cerca di limitarne, per quanto possibile, la formazione durante il processo di combustione (per es. diminuendo l'eccesso d'aria, facendo ricircolare nei forni parte dei gas di combustione, ciò che fa calare la temperatura di combustione e riduce l'eccesso d'ossigeno). Il sistema di pirolisi, ricordato più avanti, operando in assenza o quasi di aria, fornisce gas privi o quasi di NOx.
Il sistema d'abbattimento più usato consiste nell'iniettare nei gas ammoniaca, in presenza o no di catalizzatori. L'ammoniaca reagisce con gli ossidi d'azoto dando azoto elementare (3 NO+2 NH3→2,5 N2+3 H2O; 2 NO2+4 NH3→3,5 N2+6 H2O). Operando senza catalizzatore occorrono temperature di 900÷1000 °C (come si hanno per es. nei gas all'uscita dai forni), mentre in presenza di catalizzatori (TiO2 ecc.) è sufficiente una temperatura di 300÷400 °C. Si possono usare anche sistemi a due stadi con impiego di urea e metanolo; nella prima fase, che deve avvenire a temperatura compresa fra 850 e 1050 °C, l'urea si decompone dando radicali amminici (−NH2) che, per la loro forte reattività, trasformano gli ossidi d'azoto in azoto elementare (−NH2+NO→N2+H2O). Se la temperatura è troppo bassa (inferiore agli 850 °C circa) i gruppi amminici possono reagire fra loro dando ammoniaca, che però viene ridotta dal metanolo aggiunto all'urea.
Microinquinanti. - Sono elementi o composti presenti in quantità piccola ma sempre mal tollerati per la loro nocività; per questo le normative dei vari paesi ne impongono la riduzione a livelli molto bassi.
I microinquinanti si suddividono in inorganici e organici. I primi comprendono essenzialmente metalli (cadmio, mercurio, piombo, zinco, rame, nichel, ecc.) presenti in varia forma nei rifiuti inviati all'i. (additivi di materie plastiche, di elastomeri; pigmenti usati per inchiostri, vernici, carta, ecc.). Nella combustione alcuni di questi metalli (o loro composti, cloruri, ecc.) volatilizzano e nel successivo raffreddamento dei prodotti di combustione si depositano prevalentemente sui solidi che si separano nei depolverizzatori.
Il mercurio costituisce un caso particolare data la sua elevata volatilità, sia allo stato metallico che di suoi composti. La sua formazione si realizza durante la combustione, e parte dei vapori, del metallo e/o dei composti, può sfuggire alla condensazione per ritrovarsi nei gas all'uscita dai camini. In questo caso si deve ricorrere a un lavaggio dei gas. Se l'abbattimento dei componenti acidi è fatto per via umida, il trattamento risulta utile anche per il mercurio; in caso contrario il lavaggio si può operare con soluzioni di ipoclorito sodico che assicura un'eliminazione pressoché totale.
I microinquinanti organici sono quelli che maggiormente interessano; si tratta essenzialmente di derivati policlorurati della dibenzodiossina (Cl2 C6 H4 C6 H4Cl2), PCDD, e del dibenzofurano (C2C6H4 C6H4Cl2), PCDF. Per questi composti (genericamente indicati come diossine) si hanno numerosi isomeri (75 per PCDD e 135 per PCDF) caratterizzati da diversa struttura e proprietà chimiche, fisiche, biologiche e soprattutto tossicologiche. Gli isomeri più tossici sono quelli che hanno 4 atomi di cloro in posizione 2, 3, 7, 8 e servono come standard di riferimento per la misura della tossicità degli altri isomeri. La tossicità varia notevolmente nei riguardi dei vari organismi.
Nel 1977 tre ricercatori dell'università di Amsterdam riscontrarono tracce di diossina nei fumi e nelle ceneri volanti in uscita da alcuni inceneritori di rifiuti solidi urbani. La gravità della notizia indusse a intensificare le ricerche volte a stabilire le condizioni di formazione di questi composti nell'i. dei rifiuti, le relazioni fra composizione dei rifiuti, condizioni di combustione, possibilità di abbattimento, limiti di pericolosità, ecc. Oltre alla pubblicazione di numerose ricerche condotte in molti paesi, si tiene annualmente un congresso mondiale in cui vengono esposti i risultati delle ricerche teoriche e delle esperienze ricavate nei vari impianti di combustione esistenti.
Le legislazioni dei vari paesi hanno nel frattempo fissato limiti molto restrittivi al contenuto massimo di diossine ammesse nei fumi degli inceneritori. La CEE, per il momento, ha lasciato liberi i paesi aderenti di fissare limiti al contenuto di diossine; Italia, Germania, Austria, Olanda, Svezia lo hanno fatto fissando il limite di 0,1 ng/m3 (un decimo di nanogrammo per m3 di gas). Va però notato che il valore numerico indicato ha significato diverso nei vari paesi, poiché in alcuni casi si riferisce a campioni medi di un'ora, in altri di 24 ore; inoltre in alcuni casi la quantità globale si valuta in equivalenti di tossicità, in altri in valori ponderati; ciò porta a dati che non sempre possono essere direttamente e chiaramente confrontati.
Circa l'origine delle diossine, le ricerche hanno indicato che esse a volte sono già presenti nei rifiuti; che parte di queste possono essere distrutte nella combustione mentre altre se ne formano sia da precursori presenti nei rifiuti (quali composti aromatici clorurati) sia, anche, da composti senza anelli benzenici e da cloro proveniente da composti inorganici. La presenza di diossine nei gas di combustione è in gran parte attribuita alla presenza di PVC nei rifiuti urbani, ma ciò non sempre è giustificato in quanto in parte possono derivare anche da una non appropriata combustione. I risultati delle ricerche indicherebbero che la scelta di un'adeguata temperatura di combustione, di un giusto eccesso di aria, di conveniente turbolenza e tempo di permanenza sono fattori che favoriscono una ridotta presenza di diossine nelle emissioni gassose. L'adozione di camere di post-combustione con precise caratteristiche per una combustione controllata, come avviene nella normativa italiana, può risultare efficace per una buona termodistruzione dei microinquinanti, a condizione che tali prescrizioni siano rigorosamente rispettate.
Scorie e ceneri. - Costituiscono la parte solida residua dell'operazione d'i. e contengono tutti i componenti non combustibili, accompagnati da residui carboniosi che non hanno bruciato. Il loro scarico avviene dalla parte bassa, nei forni a tamburo, dall'estremità della griglia nei forni a griglia, dal piano della griglia in quelli a letto fluido. Le scorie rappresentano le parti più grossolane; le ceneri le più minute, di solito dell'ordine del mm o meno. Si indicano come ceneri volanti le frazioni più piccole e più leggere, trasportate dai gas, che, nel caso della depurazione a secco, si vanno a depositare lungo il condotto dei gas o nei cicloni, nei filtri a manica, negli elettrofiltri, altrimenti vengono trattenute nel lavaggio del gas con acqua.
La quantità di scorie o ceneri varia di solito dal 7÷8% al 10÷15% a seconda della natura dei rifiuti trattati, degli eventuali trattamenti preliminari, della loro composizione. Nelle ceneri si raccolgono sotto forma di composti diversi (cloruri, solfati, ecc.) i componenti inorganici o inizialmente presenti nei rifiuti, o messi in libertà durante la combustione (come sodio, potassio, calcio, magnesio, alluminio, ferro, ecc., presenti nei residui vegetali, legno, carta, ecc.; o come metalli − piombo, cadmio, rame, ferro, ecc. − provenienti, come già detto, dagli additivi delle materie plastiche, degli elastomeri, dall'i. di residui di inchiostri, di vernici, ecc.).
Lo smaltimento di questi rifiuti solidi può avvenire o inviandoli in discariche (di diversa categoria in base alla composizione e alle prescrizioni fissate dal d.P.R. 915 del 1982) o impiegandoli per sottofondi stradali, ''immobilizzandoli'' in una matrice solida che ne impedisce, o ne rallenta molto, la fuoriuscita (per es. inglobandoli in contenitori di cemento, di resine, di masse vetrose).
Per ottemperare ai requisiti imposti dalle norme antinquinamento, il costo degli impianti d'i. va sempre crescendo e diviene accettabile solo per quantità elevate di rifiuti da smaltire, il che eccede le capacità economiche delle industrie medio-piccole. È prevista a tal fine la costruzione di ''piattaforme polifunzionali'', cioè centri consortili di trattamento, in cui vengano convogliati e trattati i rifiuti di più aziende di uno stesso ambito territoriale, o che scaricano rifiuti di analoghe caratteristiche. Ciò consentirebbe di costruire e gestire impianti tecnologicamente validi, dotati di dispositivi di controllo, capaci di offrire ottime garanzie; ma le difficoltà per la concessione dei permessi e delle autorizzazioni ne hanno finora ostacolato la realizzazione.
Un particolare sistema d'i. è stato adottato in Germania, fin dal 1969, per lo smaltimento dei liquidi residuati da diverse industrie nella produzione di idrocarburi clorurati. L'operazione è effettuata in mare, a mezzo di apposite navi, munite di un forno a fiamma, verticale, dell'altezza di una decina di metri, munito alla base di tre bruciatori ruotanti, a spruzzo, che in fase d'avviamento bruciano un combustibile liquido e, arrivati alla temperatura di 1100 °C circa, polverizzano nella fiamma i rifiuti da smaltire. La distruzione è pressoché totale (99,9%). L'acido cloridrico che si sviluppa viene neutralizzato dall'acqua del mare, leggermente alcalina (pH 7,4÷8); 1 m3 di acqua è in grado di neutralizzare circa 80 g di acido cloridrico. L'inceneritore è dotato di una particolare ''scatola nera'' che registra con cadenza di 15 minuti tutti i dati di funzionamento dell'inceneritore (data, ora, posizione della nave, temperatura, quantità di liquidi inceneriti, analisi delle emissioni, ecc.); la scatola nera viene giornalmente controllata dalle autorità. Le navi attrezzate a questo scopo hanno una capacità d'i. di 10÷20 t/giorno di rifiuti.
Energia da rifiuti. - L'i. è un sistema importante per ridurre il volume di qualsiasi tipo di rifiuti da smaltire (urbani, industriali, nocivi, tossici). Specie nel caso dei rifiuti urbani, per i quali si richiede lo smaltimento di notevoli quantità giornaliere, si è ritenuto interessante utilizzare, almeno in parte, il calore che si sviluppa nella combustione: impianti più recenti sono stati progettati e realizzati in modo da utilizzare il calore per la produzione di vapore per usi civili o industriali, per alimentare reti di teleriscaldamento, per produrre energia elettrica. Un'altra possibilità è quella di trasformare gli stessi rifiuti in gas combustibili da usare per usi termici o elettrici.
Quando si vuole sfruttare il calore di combustione conviene operare un trattamento di selezione dei rifiuti (eliminazione degli incombustibili, parziale essiccazione a spese del calore residuo di gas, preparazione di RDF, ecc.), in modo da innalzare il potere calorifico dei rifiuti da bruciare.
Quando il sistema d'i. mira al ricupero di calore, si possono usare gli stessi forni sopra descritti (specie quelli a letto fluido o a griglia), cercando − con opportune varianti − di evitare le dispersioni di calore e impiegando nella combustione un minore eccesso d'aria (ciò che consente di utilizzare camere di combustione di minori dimensioni per il minore volume dei gas di combustione). La riduzione dell'eccesso d'aria infatti porta al raggiungimento di temperature di combustione più elevate, e la parte di calore eccedente viene sottratta inserendo lungo o all'interno delle pareti, sopra la griglia o nell'alto dei forni, fasci di tubi nei quali scorre acqua o un fluido diatermico. Analogamente il raffreddamento dei gas non si farà per contatto diretto con mezzi refrigeranti (aria di diluizione, polverizzazione di acqua) ma attraverso superfici di scambio termico. L'impianto d'i. diviene così più complesso e di maggior costo, compensato tuttavia dai ricavi energetici. Si può calcolare che un impianto che smaltisce 200 t/giorno di rifiuti solidi (circa 50.000 t/anno), con potere calorifico dell'ordine di 1500 kcal/kg può consentire di ricuperare 320.000 kg di vapore o 64.000 kWh. Nell'impianto di Hartford (Connecticut), sopra ricordato, da poco entrato in funzione e nel quale vengono trattate 200 t/giorno di rifiuti sotto forma di RDF, si producono 90 MW usando due turbine che ricevono vapore a 60 atm prodotto in tre caldaie.
È in costruzione a Londra un inceneritore da 1400 t/g di RSU con recupero di vapore, che alimenta un turbogeneratore da 33 MW, con tutti i dispositivi antinquinamento, del costo di 210 miliardi di lire.
Un altro sistema di utilizzazione dell'energia degli RSU è quello della pirolisi, che consiste in una trasformazione dei rifiuti in un gas combustibile e in un residuo solido che può essere usato come combustibile (per es. per far avvenire la gassificazione, che è processo endotermico, o bruciandolo insieme ad altri combustibili, ecc.). Il vantaggio della pirolisi consiste nella produzione di un gas combustibile con poche impurezze e pochi inerti, di facile utilizzabilità.
Con il sistema della pirolisi i rifiuti vengono riscaldati per quanto possibile fuori dal contatto dell'aria, a temperatura dell'ordine dei 300÷500 °C. Operare in assenza completa d'aria è difficile; di solito si è in presenza di quantità molto limitate d'aria, capaci di far bruciare solo un'esigua parte del materiale. Il gas che si sviluppa, oltre alla piccola quantità di vapor d'acqua e di anidride carbonica (derivante dall'umidità dei rifiuti e dall'aria entrata) contiene ossido di carbonio, idrogeno, metano, qualche idrocarburo a due atomi di carbonio. La quantità di questi componenti combustibili dipende dalla composizione dei rifiuti e dalla temperatura raggiunta nel trattamento: operando al disotto dei 500 °C circa i metalli presenti nei rifiuti non riescono a vaporizzare (eccetto il mercurio, se presente); non si può avere formazione di composti aromatici, policiclici, e aggiungendo alla carica un po' di calce, di magnesia, si possono bloccare i gas acidi che rimangono così inglobati nel residuo. Il residuo solido derivante contiene componenti combustibili e incombustibili; questo residuo, di volume e peso notevolmente ridotto rispetto al materiale trattato, viene inertizzato e, se non utilizzato, può essere anche inviato in discariche senza ulteriori problemi. Di solito viene bruciato nello stesso impianto di pirolisi.
Per la pirolisi si debbono usare forni chiusi, riscaldati dall'esterno o dall'interno facendo bruciare parte della carica con una quantità dosata di aria (o di ossigeno). Negli Stati Uniti la Babcock ha recentemente costruito impianti di pirolisi per trattare rifiuti industriali (residui dell'industria elettronica) usando un forno cilindrico ruotante riscaldato dall'esterno, nel cui interno si ha una leggera sovrappressione per evitare infiltrazioni d'aria.
Un recente processo giapponese usa due apparecchi a letto fluido collegati fra loro. Nel primo si gassificano i rifiuti a mezzo del calore di un letto di sabbia calda che viene fluidizzata da una frazione del gas prodotto poi riportata in circolo immettendola sotto la griglia; la temperatura è mantenuta fra i 750 e gli 800 °C. I gas che si sviluppano, tolta la frazione che deve ricircolare, vanno alla depolverizzazione e poi all'utilizzazione. Il residuo, insieme a parte della sabbia, passa con continuità a un secondo forno, analogo al precedente. In questo secondo forno il residuo carbonioso vien fatto bruciare elevando la temperatura della sabbia a 100÷150 °C al disopra della temperatura che regna nel forno di pirolisi, in modo che, riportata in questo, la sabbia è in grado di far avvenire la gassificazione dei rifiuti. I gas prodotti nella combustione del residuo solido subiscono i normali trattamenti di depurazione prima di andare al camino.
All'estero gli impianti con ricupero d'energia vanno crescendo rapidamente; in Italia il loro numero è ancora limitato, alcuni sono stati ricostruiti e ammodernati di recente o sono in fase di ricostruzione (Bologna, Modena, Reggio Emilia, Livorno, Bergamo, Brescia). L'impianto di Bologna, capace di trattare 450 t/giorno di rifiuti, fornisce 55 t di vapore a 18 atm; la produzione di energia corrisponde a un risparmio di 10.000 t/anno di gasolio.
Situazione degli impianti d'incenerimento. - L'i., dopo approfondite ricerche, ha trovato larga applicazione all'estero, come per es. in Svezia, dove agli inizi degli anni Ottanta era già avviato un programma di costruzione di impianti d'i. che però, a seguito delle preoccupazioni derivanti dalle emissioni di diossina rilevate in Olanda, veniva bloccato. Fu avviata allora una ricerca sotto l'egida dell'Ente per la tutela dell'ambiente, per una durata di un triennio e un costo di circa due miliardi di lire, conclusa con un rapporto in 33 volumi, in base ai quali si concludeva che l'i. dei RSU, con ricupero del loro contenuto energetico, è un procedimento valido. Larga parte del rapporto era dedicata al problema della diossina, per la cui eliminazione si confermava la validità della combustione purché fossero rispettati i requisiti impiantistici e gestionali indicati nel rapporto, che fissava nel valore di 0,1 ng/m3 (equivalenti di 2, 3, 7, 8-TCDD) la quantità di diossine presenti negli effluenti gassosi. Nel 1986 veniva perciò ripresa la costruzione di impianti d'i. grazie ai quali nel 1989 la Svezia smaltiva già il 54% dei RSU (1.450.000 t sui 2.700.000 raccolti), col programma di arrivare in breve al 70% almeno.
Dai dati della tab. 1 risulta la notevole influenza sulla diminuzione della quantità di diossine immesse nell'atmosfera in Svezia, esercitata dai provvedimenti riguardanti l'aumento del numero degli inceneritori (come pure dall'adozione della benzina senza piombo e delle normative riguardanti le emissioni degli impianti industriali).
La situazione dell'i. negli altri paesi europei risulta dai dati presentati nel 1990 al Convegno di Amsterdam della ISWA (International Solid Wastes and Public Cleansing Association), riportati in tab. 2; da essi si desume che i paesi che inceneriscono in misura maggiore i rifiuti urbani sono Danimarca, Olanda, Svezia; le prime due incrementano costantemente l'uso degli inceneritori non avendo terreni adatti alla creazione di discariche. La Gran Bretagna, al contrario, disponendo di numerosi e vasti terreni, in passato ha consentito l'utilizzazione di discariche (anche abusive), ma di fronte all'aumento dei rifiuti da smaltire anche in questo paese si stanno diffondendo gli impianti d'i. (sono in corso di costruzione una quindicina di impianti). In Germania, oltre ai 47 inceneritori esistenti, ne sono in costruzione altri 20 capaci d'incenerire altri 5 milioni t/anno di RSU.
In tab. 3 sono indicati i sistemi di smaltimento dei RSU usati nelle principali città europee; è evidente la diffusione dell'i. come sistema prevalente.
Negli Stati Uniti la situazione è del tutto analoga: nei primi anni Ottanta la diffusione dell'i. era relativamente modesta, anche a causa dell'opposizione di parte della popolazione; nel corso dell'ultimo decennio, anche a seguito dei miglioramenti tecnologici realizzati e dell'emanazione di norme restrittive sulle emissioni, si è arrivati a smaltire mediante i. il 26% circa dei RSU. Sono attualmente censiti oltre 200 impianti, gran parte con ricupero d'energia, capaci di smaltire giornalmente 150.000 t di rifiuti. Le previsioni fanno ritenere che nel breve periodo con l'i. si arriverà a smaltire oltre il 30% dei RSU, tenuto anche conto del loro costante aumento.
Nella tab. 3 non sono riportati i dati riguardanti l'Italia, la cui situazione è, per gli inceneritori, all'incirca analoga a quella della Gran Bretagna e della Spagna; la percentuale di RSU smaltiti per i. sarebbe infatti appena del 6,3% (secondo la relazione sullo stato dell'ambiente del 1992). La nostra situazione generale è comunque peggiore di quella della Gran Bretagna tenuto conto che, mentre quest'ultima dispone di ampie zone ove collocare discariche senza incorrere in proteste o in grossi pericoli d'inquinamento, in Italia vengono inviati alle discariche 17 milioni di t/anno di rifiuti (le discariche autorizzate sono 785, delle quali almeno 217 non rispettano le normative tecniche vigenti), il che vuol dire che una quantità rilevante di rifiuti solidi (diversi milioni di t/anno) va annualmente in discariche selvagge.
La citata relazione del ministero dell'Ambiente elenca 40 impianti d'i. per RSU, nei quali affluirebbero 1205 milioni di t/anno di rifiuti; da altra statistica (tab. 4) si rileva ugualmente l'esistenza di 40 impianti, dei quali però solo la metà circa sarebbe in funzione, mentre i rimanenti sarebbero in ricostruzione.
Gli impianti d'i. italiani sono quasi tutti di vecchia data, come si rileva dall'ultima colonna della tab. 4. Nel 1983 se ne contavano 94, dei quali solo 70 funzionanti; nel 1986 tale numero si era ridotto a 40 appena. Il pericolo delle emissioni di diossina si è avvertito anche in Italia, portando all'emanazione di norme restrittive che mettevano fuori legge le attrezzature di trattamento dei gas d'i. di molti impianti, parte dei quali venne chiusa mentre per altri furono decisi lavori di ristrutturazione; alcune di queste ristrutturazioni sono state avviate, con buoni risultati. Si deve quindi pensare che la cifra indicata dal ministero dell'Ambiente (1205 milioni di t/anno di RSU inceneriti) si riferisca al lavoro dei 20 impianti circa funzionanti; e che il numero di 40 impianti comprenda anche quelli in ricostruzione.
Diversi fra gli impianti che hanno subito miglioramenti e innovazioni in questi ultimi anni hanno adottato bruciatori a letto fluido; hanno inserito la camera di post-combustione richiesta dalle norme; immettono calce o magnesia nei forni durante la combustione per fissare i composti acidi che si generano, neutralizzandoli; abbinano spesso cicloni a filtri a tessuto sintetico per l'eliminazione delle particelle in sospensione; adottano sistemi automatici di controllo e conduzione e sfruttano il calore di combustione.
In molti paesi si va sviluppando la convinzione che la combustione rappresenti un sistema fondamentale per lo smaltimento dei RSU; essa dev'essere integrata possibilmente con impianti di selezione (per escludere tutto ciò che può venir riciclato o che non è combustibile), con impianti di riutilizzazione del calore sviluppato e, naturalmente, con ogni dispositivo di trattamento degli effluenti. L'i., essendo in grado di ridurre dell'85÷90% il volume dei prodotti da inviare in discarica, può procurare notevoli vantaggi.
In Italia sull'argomento c'è una forte prevenzione che in parte si può giustificare col cattivo risultato offerto in molti casi dai primi impianti, che distruggevano i rifiuti in maniera molto sommaria senza agire sulle emissioni, per le quali si operavano solo grossolani, parziali, interventi. Nel 1983, dei 90 impianti esistenti solo 6 disponevano di post-combustione, 45 avevano un depolverizzatore e ben 34 erano completamente privi di trattamento fumi.
Altra causa della diffidenza è stata la cattiva gestione degli impianti: anche impianti tecnologicamente validi possono infatti non rimanere tali dopo il collaudo, se alla comparsa delle prime irregolarità di funzionamento il personale responsabile non vi pone rimedio. Questo si è verificato, per es., in molti impianti di depurazione delle acque di scarico.
Gli attuali impianti d'i. tuttavia sono notevolmente cambiati. Essi dispongono di sistemi e strumentazioni di controllo automatico a microprocessori, che riguardano non solo la regolazione delle singole variabili ma anche la loro interdipendenza, in modo tale che, in caso d'irregolarità di una delle variabili, il sistema interviene a ripristinare, in tempi brevi, il normale andamento dell'impianto. Ciò dovrebbe consentire di abbattere la disinformazione, che finisce per provocare l'opposizione delle popolazioni, spesso influenzate da interessi di parte, e alle quali invece dovrebbe essere resa chiara la necessità di adottare una soluzione tecnicamente valida e non demagogica, non dilazionabile, del problema dello smaltimento dei rifiuti prodotti da ciascuno; per questi rifiuti la combustione, allo stato attuale della tecnica, risulta essere il sistema migliore che consente di ridurre il volume senza creare danni all'ambiente. Dev'essere tenuto presente che gli attuali impianti sono dei veri e propri impianti industriali, che sfruttano tecnologie avanzate, e che pertanto vanno diretti e gestiti da personale tecnico valido e responsabile, se non si vuol correre il rischio che anche lo smaltimento per i. faccia la fine di altre attività municipalizzate, funzionanti male e in perdita, o non funzionanti affatto, nonostante i forti investimenti, come è avvenuto per diversi impianti di depurazione delle acque. Vedi tav. f.t.
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