incensuratezza
s. f. L’essere incensurato, il non avere precedenti penali o giudiziari.
• Il fatto ‒ la cessione di 0,20 grammi di eroina al prezzo di 10 euro e di un’altra dose, stesso peso lordo, ma di qualità «imprecisata, tipo white» ‒ è certo. E lo spacciatore è reo confesso. Ma è sulla sua attuale condizione di clandestinità che per il giudice non vi è altrettanta chiarezza: l’omone ha fatto richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno nel 2003 (documentata) e l’avrebbe reiterata nel 2007 (non documentata). Nel frattempo ha perso la «verginità» dell’incensuratezza. (Alberto Gaino, Stampa, 31 maggio 2008, p. 21, Interno) • I giudici ammettono che non è possibile escludere il rischio di recidiva, ma che, tuttavia, «l’incensuratezza, il tempo trascorso di sottoposizione alla misura coercitiva estrema, la risonanza mediatica della vicenda processuale connessa alla carica pubblica ricoperta sono elementi che, globalmente valutati, hanno attenuato la sua pericolosità e dunque la concreta possibilità di riproporre i medesimi meccanismi operativi illeciti, anche in ragione della eclatante e indiscutibile perdita di affidabilità dell’imputato». (Cristiana Mangani, Messaggero, 1° novembre 2011, p. 13, Cronache) • Una vittima fattasi carnefice: «Un kapò, come ci ha insegnato la storia». Il pubblico ministero Marcello Tatangelo lo dice senza alcuna enfasi accusatoria. [...] È un ragazzo di 22, «non per questo si può passare sopra gli orrori: la giovane età e l’incensuratezza vanno comparate con la straordinaria gravità, l’efferatezza dei crimini commessi». (Luigi Gambacorta, Avvenire, 27 settembre 2017, Milano, p. II).
- Derivato dal s. m. e agg. incensurato con l’aggiunta del suffisso -ezza.
- Già attestato nella Repubblica del 22 febbraio 1992, p. 17, Cronaca.