Incoronazioni
Secondo la tipologia stabilita da Carlrichard Brühl (1982, pp. 2 ss.), nei rapporti pubblici di un monarca con le insegne della corona si devono distinguere differenti cerimonie: prime incoronazioni, incoronazioni solenni, incoronazioni di rafforzamento, co-incoronazioni, processioni sotto la corona. In questa voce vengono trattate in sostanza le incoronazioni costitutive sul piano giuridico e determinanti in senso politico e quegli atti che comportavano la consegna delle insegne della sovranità spettanti al monarca, compiuti in forme liturgico-ecclesiastiche e per lo più legati all'unzione: in particolare l'imposizione della corona a un re o a un imperatore. L'atto innalzava, consolidava e perfezionava il consenso politico già ottenuto in precedenza in base alle norme che regolavano la sovranità e per lungo tempo fu considerato l'autentico inizio del dominio.
In questa prospettiva devono essere trattate le quattro incoronazioni di Federico II: a Palermo nel 1198, per il Regno di Sicilia; a Magonza nel 1212 e ad Aquisgrana nel 1215, come re di Germania e dei Romani; a Roma nel 1220, per la dignità imperiale. Per ragioni di completezza si discuterà poi il significato del 'mostrarsi incoronato' di Federico II a Gerusalemme nel 1229. Infine, si parlerà brevemente anche di quelle incoronazioni che furono impedite e alle quali Federico rinunciò.
La notevole quantità degli atti legati all'incoronazione si spiega con la circostanza che i fondamenti della sovranità di Federico II erano eterogenei, avendo origine da differenti parti dell'Impero, alle quali egli era legato di volta in volta in forme giuridiche distinte che furono incorporate dalla dignità imperiale, ma non rese unitarie.
Prendiamo le mosse da un'incoronazione impedita. Dopo aver rinunciato al progetto di trasformare la Germania in una monarchia ereditaria, l'imperatore Enrico VI alla fine del 1196 ottenne il consenso dei principi tedeschi all'elezione al trono di suo figlio Federico, che all'epoca aveva appena due anni. Come era accaduto allo stesso Enrico VI il 15 agosto del 1169, il figlio dell'imperatore doveva essere incoronato ancora bambino ad Aquisgrana rex Romanorum. Mentre Enrico VI in Italia si dedicava ai preparativi per la crociata, suo fratello Filippo aveva ricevuto l'incarico di accompagnare il nipote dall'Italia in Germania, affinché vi fosse incoronato dall'arcivescovo di Colonia. Il rivolgimento politico che si produsse in Italia in seguito alla morte inattesa dell'imperatore Enrico VI (28 settembre 1197) costrinse tuttavia Filippo a tornare in patria senza alcun risultato. Durante i disordini per il trono che esplosero in Germania, Filippo in un primo tempo difese i diritti di Federico sulla corona tedesca, finché al principio di marzo del 1198, cedendo alle pressioni del partito favorevole agli Hohenstaufen, si fece eleggere lui stesso re.
Il momento favorevole per Federico si presentò poco dopo, a Palermo, il 17 maggio 1198. L'imperatrice Costanza, che dopo la morte del marito aveva assunto autonomamente la sovranità sul Regno di Sicilia, riconobbe il dominio feudale del pontefice e da Foligno si fece condurre a Messina il figlio, che era stato affidato alla tutela del duca Corrado di Spoleto. Federico, che dal dicembre del 1197 viene designato come co-reggente nelle datationes ufficiali dei documenti, fu incoronato re di Sicilia a Palermo la domenica di Pentecoste del 1198. L'atto solenne dovette essere compiuto secondo l'ordoB dei sovrani normanno-siciliani (cf. la classificazione illustrata da Elze, 1973, pp. 5 s., 15-18), in base al quale l'incoronato dopo la messa avrebbe ricevuto l'omaggio dei grandi siciliani, con il bacio del piede, e in suo onore sarebbero state cantate in seguito le laudes in latino e in greco. Dopo questa incoronazione dai documenti regi siciliani scompare il titolo di re dei Romani che fino a quel momento Federico aveva portato. In tal modo le sue pretese sul trono tedesco vennero lasciate cadere formalmente anche da parte della corte palermitana.
Dopo l'incoronazione a re di Sicilia doveva trascorrere oltre un decennio prima che Federico II rivendicasse di nuovo la sovranità tedesca. Le circostanze che condussero all'inversione di rotta di papa Innocenzo III, che nella Deliberatio de tribus electis del 1200-1201 (Regestum Innocentii III papae super negotio Romani imperii, a cura di F. Kempf, Roma 1947, nr. 29, pp. 76 ss.) aveva negato l'elezione al trono tedesco di Federico II motivando il suo rifiuto con la scarsa attitudine del puer per questa carica, dipesero dal comportamento tenuto dal guelfo Ottone IV dopo la sua incoronazione imperiale del 4 ottobre 1209. Una volta raggiunto il traguardo che si era prefissato, Ottone, che era 'creatura' del papa, non solo disattese completamente le promesse fatte a quest'ultimo, ma nel novembre del 1210 si preparò ad attaccare il Regno di Sicilia. Sotto l'influsso del papa e del re francese Filippo II Augusto, un gruppo di principi tedeschi nel settembre del 1211 prescelse Federico di Sicilia come futuro imperatore e sulla base di questa decisione, dopo aver fatto incoronare nel febbraio del 1212 il figlio Enrico re di Sicilia così come era desiderio del papa, Federico legittimò la sua partenza alla volta della Germania nella primavera di quello stesso anno. Dopo i rapidi successi ottenuti nella Germania meridionale e la conclusione di un'alleanza staufico-capetingia contro Giovanni Senzaterra e Ottone IV, Federico fu eletto di nuovo a Francoforte il 5 dicembre del 1212 e quattro giorni più tardi l'arcivescovo Sigfrido II di Magonza, su richiesta dell'arcivescovo di Colonia Adolfo di Altena (sospetto agli occhi della Curia romana) e in sua rappresentanza, incoronò re dei Romani Federico nel duomo di Magonza, "solempnissime, prout decuit et oportuit" (così riferì il cancelliere di corte di Federico, il vescovo Corrado di Metz e Spira, a re Filippo di Francia; Historia diplomatica, I, 1, pp. 230 s.). In tal modo Federico si assicurò finalmente la successione al padre nel Regno tedesco-romano, che per la prima volta gli era stata riconosciuta sedici anni prima.
Il desiderio di re Federico II di ripetere la consacrazione a re di Germania ad Aquisgrana, come era avvenuto prima di lui per suo zio Filippo di Svevia dopo l'incoronazione a Magonza dell'8 settembre 1198, non dipese dall'esigenza di completare l'atto del 1212 espletato dall'arcivescovo di Magonza in sostituzione del titolare di Colonia, ma dalla circostanza che allo Svevo, negli anni iniziali della sua sovranità sulla Germania, era stato precluso il tradizionale luogo dell'incoronazione reale ad Aquisgrana. Perché ciò potesse avvenire fu necessario attendere la battaglia di Bouvines (27 luglio 1214; v.), che liquidò il predominio politico del guelfo Ottone nella Germania settentrionale, e un cambiamento di partito ad Aquisgrana che schiuse a Federico, alla fine di luglio del 1215, le porte della città imperiale. Il giorno successivo al suo ingresso solenne, sabato 25 luglio (giorno di s. Giacomo), dopo una nuova incoronazione e unzione ebbe luogo la sua intronizzazione nella Cappella Palatina. Officiante della cerimonia fu anche in questa circostanza l'arcivescovo Sigfrido di Magonza, poiché l'assegnazione canonica della cattedra arcivescovile di Colonia non era stata ancora definitivamente regolata.
La ripetizione dell'incoronazione di Federico II a re di Germania solleva una serie di questioni fondamentali inerenti alla teoria e alla prassi delle usanze relative all'incoronazione regia nel Medioevo tedesco. La disputa per il trono che contrappose Filippo di Svevia a Ottone di Brunswick negli anni successivi al 1198 innescò il dibattito sull'argomento, con il risultato di fare chiarezza sui criteri di un'incoronazione reale giuridicamente valida in ambito tedesco. Poiché Innocenzo III aveva recepito la motivazione propagandata dal partito di Colonia, che tuttavia faceva riferimento a precedenti concezioni giuridiche salico-staufiche, e l'aveva presa a fondamento della sua decisione in merito alla disputa per il trono, si era imposta all'epoca la duplice argomentazione dell'ubi e dell'a quo. Di conseguenza, per la legittimità dell'incoronazione di un sovrano tedesco erano determinanti il luogo appropriato e il coronator legittimo. Il luogo appropriato, secondo la tradizione, era la Cappella Palatina di Aquisgrana e il legittimo coronator l'arcivescovo di Colonia. Dalla sua presenza si poteva prescindere a fronte di motivi fondati, come dimostrano le incoronazioni di Federico II nel 1212 e nel 1215. Tuttavia, volendo portare a compimento un'incoronazione che avesse pieno valore giuridico, non era possibile sostituire Aquisgrana. Tutti i sovrani che regnarono abbastanza a lungo e che erano stati incoronati in un luogo 'sbagliato', ossia fuori da Aquisgrana ‒ per esempio, dopo Filippo di Svevia e Federico II, anche Carlo IV nel 1349 ‒ avrebbero ripetuto successivamente l'atto in quella sede, per rendere inattaccabile la loro posizione regale. L'atto giuridico determinante nel quadro della consacrazione reale ad Aquisgrana, così come prescriveva il Codice sassone (cf. Sachsenspiegel. Landrecht, III, 52, a cura di K.A. Eckhardt, in M.G.H., Fontes iuris Germanici antiqui, Nova series, I, 1, 19733, p. 237) intorno al 1224-1225 ‒ quindi sotto il regno di Federico II ‒ era che il consacrato dal vescovo competente giungesse "sul trono reale di Aquisgrana" (op den stul to Aken kumt). Il seggio reale di Aquisgrana, però, era il trono che si faceva risalire a Carlomagno, collocato nel deambulatorio dell'edificio a pianta centrale carolingio. Non è importante accertare se per l'incoronazione di Federico II, nel giorno di s. Giacomo del 1215, fosse già applicato il cosiddetto "Ordo Aquisgranensis", in cui l'ufficio della messa secondo la festività dell'Epifania potrebbe alludere a una redazione destinata all'incoronazione ad Aquisgrana di Filippo di Svevia avvenuta in questo stesso giorno nel 1205. L'intronizzazione "in regali sede" (Chronica regia Coloniensis, Continuatio, III, in M.G.H., Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum, XVIII, a cura di G. Waitz, 1880, p. 236) per l'incoronazione di Federico II ad Aquisgrana è infatti adeguatamente testimoniata nelle fonti. A decidere della legittimità dell'atto dell'incoronazione in Germania era un'insegna legata al luogo, introdotta a partire dall'età ottoniana nella teoria della sovranità transpersonale.
In apparente contraddizione con questi risultati è la concezione che si sviluppò nel sec. XIX e che in quello successivo giunse ad acquisire addirittura un valore assiomatico, finché in anni recenti è stata smascherata come uno stereotipo inesatto creato dagli studiosi, ossia l'opinione che per la validità dell'incoronazione reale tedesca fosse necessario l'uso delle insegne 'giuste' o 'autentiche', e precisamente della corona imperiale conservata oggi a Vienna, mentre le incoronazioni ‒ come si diceva ‒ con insegne 'contraffatte', nuove o 'sbagliate' sarebbero state agli occhi dei contemporanei di minore importanza. Ma in realtà un simile rapporto vincolante con gli oggetti non è in questione nel diritto tedesco relativo alle incoronazioni. Anche nell'Impero tedesco-romano, come in tutte le monarchie europee (a eccezione dell'Ungheria in riferimento alla cosiddetta 'corona di s. Stefano'), era fondamentale che le insegne fossero di un determinato tipo, e non che si trattasse di determinate insegne. È significativo che nessun re che avesse ricevuto in occasione della sua prima incoronazione le insegne imperiali dalle mani di un rivale, ovvero dai suoi eredi, utilizzasse queste stesse insegne per una nuova incoronazione: non lo fecero né Ottone IV, né Federico II, né, in seguito, Ludovico il Bavaro, Carlo IV oppure Sigismondo. Decisiva per la legittimità dell'incoronazione e la sua accettazione era piuttosto l'esecuzione dell'atto dell'incoronazione ‒ a prescindere dalle insegne ‒ nel luogo di Aquisgrana.
Il ruolo delle insegne imperiali, ossia di determinati simboli della sovranità appartenenti al tesoro imperiale, rientrava insomma in una sfera completamente diversa. Non era il loro uso all'atto dell'incoronazione, ma il loro possesso ad essere considerato il contrassegno di una regalità pienamente valida: disporre delle insegne imperiali conferiva alla sovranità una legittimazione di tipo particolare; trasmetteva al loro detentore un diritto globale sull'Impero, simboleggiava la piena titolarità della dignità regale tedesco-romana. In questo senso la loro acquisizione poteva essere ritenuta la definitiva imposizione di una sovranità che in un primo tempo era stata contrapposta a un'altra. In quest'ottica si spiega anche perché i re tedeschi medievali potevano imboccare la strada che conduceva a Roma per l'incoronazione imperiale solo a condizione che avessero ricevuto le insegne imperiali, come è dimostrato nei casi di Ottone IV, Ludovico il Bavaro, Carlo IV e anche di Federico II. Ciò non deve naturalmente portare a ritenere necessario il loro uso nell'atto dell'incoronazione a Roma. Nessun papa avrebbe vincolato la sua libertà d'azione a questo tipo di formalismo, tuttavia il loro impiego indicava che la dignità imperiale cui si aspirava era fondata su una sovranità regale già assicurata in Germania.
All'incoronazione reale di Federico II ad Aquisgrana sono legati altri due atti pubblici dall'accentuato simbolismo politico-religioso che devono essere brevemente trattati, in quanto costituiscono testimonianze eloquenti del valore attribuito a quest'incoronazione dal giovane svevo: la presa della croce e la sua partecipazione diretta alla chiusura della cassa-reliquiario di Carlomagno.
In concomitanza con la messa d'incoronazione, il 25 luglio del 1215, Federico, suscitando lo stupore degli astanti, prese la croce ed esortò numerosi principi ad imitare il suo esempio. L'obbligo di recarsi in Terrasanta ebbe conseguenze molto serie per il suo futuro dominio. Si è voluto vedere in quest'atto un chiaro calcolo politico, ma è opportuno precisare che lo stesso Federico, nella sua lettera giustificatoria del 6 dicembre 1227 successiva alla prima scomunica comminatagli da papa Gregorio IX, sottolineò di aver compiuto questo passo al fine di esprimere la sua gratitudine per i molti benefici ricevuti dal Signore (M.G.H., Leges, Legum sectio IV: Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, II, a cura di L. Weiland, 1896, nr. 116, § 5, p. 150).
Il giorno successivo all'incoronazione, una domenica, fu dedicato alla predicazione della crociata, cui il re assistette personalmente dalla prima mattina fino a sera. Nella giornata che seguì, come riferisce Ranieri di Liegi, lo spettatore più informato sugli eventi, Federico partecipò in prima persona alla chiusura solenne dello sfarzoso reliquiario di Carlomagno, eseguito negli anni Ottanta del sec. XII, in cui era raffigurata la serie dei sovrani, fra i quali lui stesso fu accolto come ultimo re dal volto giovanile che regge la croce nella mano destra. Insieme al mastro, sotto gli occhi di tutti i presenti, Federico terminò di piantare i chiodi già conficcati nel reliquiario (Reineri Annales S. Jacobi Leodiensis, in M.G.H., Scriptores, XVI, a cura di G.H. Pertz, 1859, p. 673). Mentre suo nonno Federico Barbarossa, nel 1165, aveva partecipato personalmente all'elevazione delle ossa di Carlomagno, in questa circostanza il coinvolgimento del re si era limitato a un'operazione più marginale. Nondimeno Federico volle conferire a quest'atto un carattere che si riferisse in modo speciale alla sua sovranità. Il giorno stabilito per la seconda traslazione di Carlomagno, che cadeva nel cinquantesimo anno dalla sua canonizzazione, il 27 luglio 1215, era anche il primo anniversario della battaglia di Bouvines. Filippo II Augusto, dopo la vittoria, aveva inviato a Federico le insegne con l'aquila imperiale sottratte a Ottone e, con questo gesto, l'aveva investito in un certo senso come suo successore nella dignità imperiale. Federico aveva interpretato in modo estremamente positivo quest'evento, che gli aveva aperto la strada all'incoronazione di Aquisgrana, avendolo collocato nella linea di successione di Carlomagno, e l'aveva associato alla decisione di organizzare la crociata, alla quale lo esortavano anche i bassorilievi del reliquiario in cui erano illustrate scene delle battaglie di Carlomagno contro i saraceni.
Il 19 maggio del 1218 morì l'imperatore Ottone IV, ormai esautorato e confinato sull'Harzburg (nei pressi di Goslar). Nel suo testamento redatto il giorno precedente aveva dato incarico al fratello, il conte palatino Enrico, di rimettere le insegne e le reliquie imperiali venti settimane dopo la sua morte a colui che fosse stato riconosciuto unanimemente come sovrano. La loro consegna a Federico avvenne il 24 giugno del 1219 a Goslar. Dopo aver fatto eleggere suo figlio Enrico (VII) re dei Romani nell'aprile del 1220, Federico partì in agosto verso il Sud, attraversò senza incontrare ostacoli l'Italia settentrionale e il 22 novembre, nel giorno di s. Cecilia, l'ultima domenica prima dell'avvento, fu incoronato imperatore da papa Onorio III in S. Pietro a Roma. È molto verosimile che questa incoronazione sia stata effettuata secondo il cosiddetto 'ordine staufico' (ordo D in Eichmann, 1942; KO XVII in Elze, 1973), forse adottato anche per Ottone IV nel 1209, che ancora nel sec. XIV era considerato dalla Curia l'ordo determinante per le incoronazioni imperiali. In questa prospettiva è possibile delineare, molto sinteticamente, lo svolgimento dell'atto solenne compiuto nell'anno 1220.
Il rex in imperatorem electus, dopo essere entrato a cavallo nella Città leonina da Monte Mario, fu accolto nei pressi di Castel Sant'Angelo dal clero dell'Urbe e accompagnato a S. Pietro, dove il prefetto della città gli portò la spada. Sulla scalinata della basilica lo attendeva il papa seduto sul faldistorio, circondato dai cardinali e dai funzionari di corte, che, dopo il bacio del piede e l'offerta dell'oro, lo abbracciò. Il re e il priore dei cardinali diaconi scortarono il papa fino alla piccola chiesa di S. Maria in Turribus, dove Federico, come prescritto, prestò giuramento come protettore e difensore della Chiesa romana. Mentre il papa si recava nella chiesa di S. Pietro per prendere posto sul suo trono nell'abside, il re fu accolto nel capitolo della basilica e rivestito dei paramenti imperiali. I vescovi cardinali di Ostia, Porto e Albano lo guidarono poi in chiesa, e qui il vescovo di Ostia, davanti all'altare di S. Maurizio nel transetto meridionale, lo unse. Solo per la consegna delle insegne, che quindi acquista risalto come l'atto più importante della cerimonia, Federico ascese all'altare di S. Pietro, dove il papa durante la messa dell'incoronazione, fra epistola e vangelo, dapprima gli consegnò la mitra clericalis ponendo sopra di essa il diadema imperiale, e poi gli porse lo scettro, il pomo e la spada. Seguirono le laudes nelle quali l'antico a Deo coronato fu sostituito dal più incolore invictissimo. La moglie di Federico, Costanza d'Aragona, dovette ricevere successivamente mitra e corona. Dopo il vangelo l'imperatore, deposti la corona e il mantello, presentò l'offertorio, prestò al papa servizi in qualità di suddiacono e ricevette da lui l'eucaristia e il bacio della pace, insieme alla benedizione papale a conclusione della messa. Lo svolgimento consueto della cerimonia fu integrato nel 1220 da un altro atto: dopo l'incoronazione Federico ricevette nuovamente la croce dal cardinale vescovo Ugolino di Ostia, il futuro papa Gregorio IX.
Una differenza sostanziale tra l'incoronazione imperiale e la maggior parte delle incoronazioni reali consiste nel fatto che la consacrazione imperiale non si concludeva con l'intronizzazione ‒ infatti a S. Pietro non esisteva un trono imperiale, e secondo la concezione papale non era possibile che vi fosse ‒ ma prevedeva alla fine un servizio svolto pubblicamente dall'imperatore per il papa, in cui si esprimeva in modo inequivocabile l'interpretazione curiale della dignità imperiale come defensio Romanae ecclesiae. Dopo la messa l'imperatore dovette recarsi nel luogo di fronte alla chiesa in cui il papa montava a cavallo, per reggergli la staffa e condurre per un tratto la cavalcatura per le briglie (servizio di maresciallo e di strator), poi entrambi cavalcarono insieme nella Città leonina fino alla chiesa di S. Maria in Traspadina e lì si congedarono. L'ordo non prevedeva alcun corteo diretto verso il Laterano. Federico, a conclusione della cerimonia, che si svolse senza incidenti, dovette tornare all'accampamento imperiale situato su Monte Mario.
Una controversia tra gli studiosi è sorta in merito alla corona usata per la consacrazione imperiale di Federico. Nel 1952 Josef Deér (pp. 11 ss., 75 ss.) ha avanzato la tesi secondo cui Federico II per la sua incoronazione imperiale avrebbe fatto eseguire nelle officine della corte palermitana nuovi paramenti, di cui faceva parte la corona rinvenuta nel 1781 nella tomba della sua prima moglie Costanza d'Aragona e oggi conservata nel Museo della cattedrale di Palermo. Due circostanze sembrano tuttavia smentire che Federico nel 1220 abbia indossato questa corona. In primo luogo, Burcardo di Ursberg (Chronicon, in M.G.H., Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum, XVI, a cura di O. Holder-Egger-B. von Simson, 19162, p. 114) riferisce che Federico, nel 1221, rimandò le "insignia imperii, videlicet coronam et alia" in Germania. Inoltre, nell'ordine staufico la prevista collocazione della corona sopra la mitra è possibile solo a condizione di usare una corona aperta, che presenti cioè un ponticello che va dalla fronte alla nuca, per cui i corni della mitra ruotati a questo scopo di 90 gradi possono sporgere a destra e a sinistra tra il ponticello e il bordo della corona. Quest'operazione è effettuabile con la corona imperiale spianata, mentre un camelauchion con calotta chiusa, come quello di Palermo, esclude una simile soluzione.
È opportuno menzionare anche un procedimento che non rientra, in senso stretto, nell'ambito delle incoronazioni giuridicamente costitutive qui trattate, ma che è stato accostato ad esse: cioè il 'mostrarsi incoronato', il 18 marzo del 1229, nella chiesa del S. Sepolcro a Gerusalemme. Dopo la conquista di Gerusalemme l'imperatore, grazie al trattato con il sultano al-Kāmil, il 17 marzo aveva fatto il suo ingresso nella Città Santa e il giorno seguente, domenica in oculis, portò una corona nella chiesa del S. Sepolcro. Alcuni contemporanei, ma anche certi storici moderni, l'hanno considerata un'autoincoronazione, ma le dichiarazioni più prossime all'evento si possono interpretare inequivocabilmente come prove di una processione sotto la corona. Con questo atto Federico ‒ come riconosceva quello stesso giorno nel suo manifesto indirizzato al re d'Inghilterra (M.G.H., Leges, Legum sectio IV: Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, II, a cura di L. Weiland, 1896, nr. 122, p. 166) ‒ esprimeva la sua gratitudine a Dio per averlo innalzato in modo prodigioso fra i principi dell'orbe terrestre, e al tempo stesso evitava l'inopportunità di una vestizione ecclesiastica inammissibile per uno scomunicato. Del resto, Federico non fu mai incoronato re di Gerusalemme; una notizia di questo tenore contenuta nel Breve Chronicon de rebus Siculis del 1225 (Historia diplomatica, I, 2, p. 897) potrebbe dipendere da uno scambio con la sua seconda moglie Iolanda di Brienne, che in quell'anno fu incoronata a Tiro e alla quale spettavano i diritti sul Regno di Gerusalemme, i quali dopo la sua morte, il 5 maggio 1228, furono trasferiti al figlio Corrado IV, nato dalle nozze con Federico II, secondo il diritto di successione gerosolimitano.
A prescindere dal Regno di Gerusalemme, devono essere menzionate due incoronazioni alle quali Federico II rinunciò, malgrado potesse rivendicare diritti sia statali che consuetudinari: le incoronazioni reali in Borgogna e in Italia. Mentre la Borgogna, dove Federico Barbarossa nel 1178 era stato incoronato ad Arles, agli occhi di Federico II non rivestì mai un'eccessiva importanza, la Lombardia fu un territorio al centro del suo interesse politico. Del resto, Corrado III era già stato incoronato nel 1128 a Monza, Enrico VI forse a Milano nel 1186. Federico Barbarossa nel 1159 aveva definito esplicitamente Monza come "caput Lombardie et sedes regni illius […], in qua […] nostri antecessores de iure regni coronari consueverant" (M.G.H., Diplomata regum et imperatorum Germaniae, X, Federici I diplomata, II, a cura di H. Appelt, 1979, nr. 253, pp. 52-54) e nel trattato concluso con Milano nel 1185 si riservò la paratica, che doveva essere assegnata a suo figlio Enrico e a tutti i suoi successori, "cum primo coronam regni Mediolani aut Modoetie suscipient" (ibid., Leges, Legum sectio IV: Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, I, a cura di L. Weiland, 1893, nr. 303, p. 429). Lo stesso papa Gregorio IX, nella sua lettera allegorico-parenetica sulle insegne all'imperatore del 22 luglio 1227 (ibid., Epistolae saec. XIII e regestis pontificum Romanorum selectae, a cura di C. Rodenberg, I, 1883, nr. 365, p. 279), nel quadro della sua dottrina delle tre corone presentava l'incoronazione in "Liguria" come un caso ordinario. La dignità regia lombarda era legata all'elezione al trono in Germania e l'incoronazione aveva luogo il più delle volte lungo il viaggio verso Roma, ma non sembra che Federico II si sia adoperato per raggiungere questi obiettivi, nel 1220 o successivamente.
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(con la collaborazione di Francesco J.M. Roberg)
Traduzione di Maria Paola Arena