Abstract
Viene esaminata la struttura e le problematiche della fattispecie di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, una norma introdotta con la legge 29.9.2000, n.300 che ha creato problemi interpretativi specie con riferimento ai rapporti con la fattispecie di cui all’art. 640 bis c.p., dove sul punto sono intervenute ben due sentenze della Cassazione a Sezioni unite.
Il bene giuridico tutelato è il buon andamento e l’imparzialità della p.a., sia essa interna e/o comunitaria (Benussi, C., Sub art. 316 ter, in Marinucci G.-Dolcini E., Codice penale commentato, pt. spec., Milano, II ed., 2007, 2181). Più in particolare, il bene giuridico tutelato è costituito dalla corretta allocazione delle risorse pubbliche verso quei destinatari che, avendo ottenuto il finanziamento, presentano quei requisiti tali da poter realizzare i fini sottesi all’erogazione. Non sembra però che ci si debba spingere fino a ritenere ugualmente protetta anche la libera formazione della volontà dell’ente (Gambardella, M., Sub art. 316 ter, in I delitti contro la personalità dello Stato, I delitti contro la pubblica amministrazione, a cura di Lattanzi G. e Lupo E., in AA.VV., Codice penale, Vol. III, Milano, 2005, 290) e, di conseguenza, anche la veridicità delle informazioni fornite allo stesso (Benussi, C., I delitti contro la pubblica amministrazione, I, I delitti dei pubblici ufficiali, Padova, 2001, 329 ss).
Si tratta di un reato comune, il che evidenzia l’erronea collocazione sistematica della norma (Bevilacqua, B., I reati dei Pubblici Ufficiali contro la Pubblica Amministrazione, I, Padova, 2003, 556; Fornasari, G., Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, in AA.VV., Reati contro la pubblica amministrazione, Torino, 2004, 159). Tra i soggetti attivi si devono annoverare anche le persone giuridiche, dato che l’indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato costituisce reato presupposto per l’applicazione della responsabilità da reato degli enti.
I soggetti passivi sono indicati espressamente dalla disposizione normativa e costituiscono gli enti che devono erogare i finanziamenti: Stato, enti pubblici e Comunità europea.
La condotta tipica può estrinsecarsi in una forma attiva o in una omissiva. La condotta attiva consiste nella presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, cui consegua la percezione di fondi provenienti dal bilancio dei soggetti passivi indicati nella disposizione (Fornasari, G., op. cit., 161; Romano, M., I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, II ed., Milano, 2006, 86; Fiandaca, G.-Musco E., Diritto penale, pt. spec., I, III ed., Bologna-Roma, 2002, 203).
Per quanto concerne il concetto di presentazione, esso si dovrebbe riferire alle dichiarazioni di volontà o di scienza fatte in forza di moduli richiesti espressamente dall’autorità conferente l’erogazione, mentre l’utilizzo dovrebbe riguardare quella documentazione, non espressamente richiesta dall’autorità, ma che il soggetto ha la facoltà di presentare per corroborare la sua richiesta (Pelissero, M., Commento alla legge 29 settembre 2000, n. 300, in Legisl. pen., 2001, 4).
L’oggetto materiale della condotta è costituito da dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere. Difficilmente spiegabile è l’accostamento tra i documenti falsi e quelli attestanti cose non vere, dato che il concetto di falsità è comprensivo anche del secondo. Per conferire significato ad entrambe le indicazioni si è però suggerito di ricondurre le falsità documentali nel concetto più restrittivo di falsità materiali e, di conseguenza, di ricondurre le falsità ideologiche nel concetto di attestazione di cose non vere (Riverditi, M., Sub art. 316 ter, in AA.VV., Commentario al codice penale, Torino, 2002, 1357). Infine, per quanto concerne l’utilizzo del termine cosa anziché di quelli utilizzati nella parte speciale di notizie, dati, fatti, si è sostenuto che, operando in questo senso, il legislatore abbia voluto escludere dalla penale rilevanza le mere valutazioni, le quali non possono essere riconducibili al termine cosa, in quanto prive di un substrato materiale e frutto, invece, soltanto di apprezzamento (Pelissero M., op. cit., 6).
Se queste sono state le intenzioni del legislatore, esse sono, però, da criticare almeno nella parte in cui escluderebbero tout court la penale rilevanza delle valutazioni. La giurisprudenza ricomprende nel fuoco della disposizione anche le valutazioni alla luce del principio secondo cui un enunciato valutativo può essere riconosciuto come oggettivamente vero o falso quando si collochi in un contesto che implichi l'accettazione di parametri di valutazione normativamente determinati o tecnicamente indiscussi (Cass. pen., sez. V, 9.2.1999, n. 3552, in Riv. pen., 1999, 464; Picotti, L., L’attuazione in Italia degli strumenti dell’Unione europea per la protezione penale degli interessi finanziari comunitari, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2006, 649).
Per quanto concerne la condotta omissiva, invece, si è sostenuto che questa sia l’unica modalità di comportamento che “tiene in vita” la norma in esame, la quale, altrimenti, risulterebbe fagocitata dalla truffa aggravata. Una parte della dottrina ritiene che l’introduzione dell’art. 316 ter può essere un argomento sistematico in favore della non configurabilità della truffa (art. 640 c.p.) mediante omissione (Fornasari, G., op. cit., 161; Mezzetti, E., Frodi comunitarie, in Dig. Pen., Aggiornamento VI, Torino, 2010, 322 ss.), di modo che l’art. 316 ter si trasformerebbe in un reato omissivo proprio.
Per quanto concerne, inoltre, le dichiarazioni o i documenti falsi, presentati o utilizzati, o le informazioni omesse, queste devono essere rilevanti al fine del conseguimento dell’erogazione. In altri termini, devono aver influito ed alterato la decisione, diversamente ponderata, dell’ente erogatore, ciò è imposto sia dal principio di offensività (altrimenti si ricadrebbe nelle ipotesi di falso innocuo o inutile per le condotte attive) sia dal dato letterale, il quale richiede che l’erogazione sia conseguita mediante l’utilizzo dei dati documenti o mediante l’omessa spendita delle informazioni (contra: Benussi, C., I delitti, cit., 332; Manacorda, S., Corruzione internazionale e tutela penale degli interessi comunitari, in Dir. pen. e processo, 2001, 424). Pur non essendo espressamente menzionato il requisito dell’induzione in errore, non si può dubitare sul fatto che la norma non incentri il disvalore solo sulla presentazione dei dati o delle notizie falsi, ma anche sul conseguimento del finanziamento o dell’erogazione. Quanto suesposto, inoltre, permette di ricercare necessariamente un nesso di causalità tra la condotta dell’agente e l’evento intermedio costituito dall’errore dell’organo (rectius: persona/e fisica/che) deputato alla decisione sul finanziamento e tra questo e l’erogazione effettiva (rectius: conseguimento) dello stesso (Salcuni, G., Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, in Cadoppi, A.-Canestrari, S.-Manna, A.-Papa, M., a cura di, Trattato di diritto penale, pt. spec., II, Torino, 2008, 118; contra: Cass. pen., S.U., 19/04/2007, n. 16568, in Dir. pen. e processo, 2007, 6, 746 – v. infra).
Per la configurabilità della fattispecie occorre, dunque, che il soggetto sia tratto in inganno dalla falsa o incompleta documentazione. In assenza di quest’ultima, sussistendo invece una mera situazione di ignoranza originaria (di cui l'agente si limiti a profittare senza in nulla incidere sulla medesima) il contributo non risulta conseguito mediante la spendita delle note condotte.
Per contributi si intende qualsiasi erogazione, in conto capitale e/o interessi finalizzata al raggiungimento di un obiettivo del fruitore; i finanziamenti consistono nel fornire al soggetto i mezzi finanziari che necessitano allo svolgimento di una sua determinata attività; i mutui indicano l'erogazione di una somma di denaro con l'obbligo di restituzione e, nella specie, dovendo caratterizzarsi per il loro essere agevolati, l'ammontare degli interessi è fissato in misura inferiore a quella corrente. Con l'espressione altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, infine, il legislatore ha posto una formula di chiusura idonea a ricomprendere ogni altra ipotesi avente gli stessi contenuti economici, indipendentemente dalla relativa denominazione (Benussi, C., Sub art. 316 ter, cit., 2185).
È discusso se nel concetto di erogazioni pubbliche possano rientrare anche le indennità di natura previdenziale, assistenziale o sanitaria e, quali rimborsi, l’indennità di disoccupazione o di maternità. Sul punto sono intervenute due sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione le quali hanno preferito l’orientamento interpretativo più estensivo, volto a ricomprendere anche le prestazioni assistenziali. Il massimo organo di legittimità ha infatti fatto propria la tesi secondo la quale il termine “contributo” è riferibile anche alle erogazioni pubbliche assistenziali, come sarebbe confermato dal secondo comma dello stesso art. 316 ter c.p., laddove impone, quale condizione di rilevanza penale del fatto, una soglia minima di 3999,96 euro, certamente non giustificabile se la fattispecie si riferisse alle sole erogazioni di sostegno alle attività economico produttive (Cass. Pen., S.U, 19.4.2007, n. 16568, in Guida dir., 2007, n. 20, 77 ss.; Cass. pen., S.U., 16.12.2010, n. 7537, Dir. pen. e processo, 2011, 407). Ad adiuvandum, si muove anche dal raffronto con l’art. 316 bis c.p., il quale, reprimendo la distrazione dei contributi pubblici dalle finalità per le quali erano stati erogati, non può che riferirsi a contributi connotati appunto da un tale vincolo di destinazione. Mentre gli art. 316 ter.e 640 bis c.p., essendo entrambi destinati a reprimere la percezione di per sé indebita dei contributi, indipendentemente cioè dalla loro successiva destinazione, sono applicabili anche a erogazioni non condizionate da particolari destinazioni funzionali, come sono i contributi assistenziali ed anche previdenziali (Cass. pen., S.U., 19.4.2007, n. 16568, in Dir. pen. e processo, 2011, 963 ss., con nota di F. Bellagamba; Salcuni G., op. cit. 119).
La norma richiede che il conseguimento debba essere indebito: trattasi di un elemento normativo inquadrabile come ipotesi di illiceità speciale. La questione più interessante verte, però, sul fatto che la norma tace sull’indebita ritenzione. Si tratta di un lacuna non colmabile per via interpretativa (Romano, M., I delitti, cit., 87; Picotti, L., op. cit.., 641), pertanto, un’omessa informazione successiva alla percezione dell’aiuto non integrerebbe il tipo delittuoso in esame, anche se, ricorrendo alcune condizioni, rientrerebbe nel fuoco dell’art. 316 bis (Salcuni, G., op. cit., 121).
La fattispecie è punita a titolo di dolo generico. L’elemento psicologico sarà, dunque, costituito dalla rappresentazione e volizione sia della falsità o (della) non veridicità delle dichiarazioni, dei documenti o delle attestazioni, ovvero della mancanza delle informazioni (dovute); sia del carattere indebito dell'erogazione. Quest’ultimo elemento di fattispecie è costruito dalla dottrina maggioritaria come un elemento di illiceità speciale per cui in caso di errore sullo stesso si verificherà un’ipotesi riconducibile all’art. 47, co. 3, c.p.. Viene anche proposta una diversa lettura, ritenendo quell’indebitamente un “arricchimento del dolo” che dovrebbe far propendere per l’esclusione della punibilità a titolo di dolo eventuale (Salcuni, G., op. cit., 122). In relazione al suddetto requisito, si è affermato che esso ha la funzione di evidenziare la necessaria consapevolezza dell’agente in ordine alla carenza dei presupposti per l’ottenimento dell’aiuto economico (Seminara, S., sub art. 316 ter, in Crespi, A.-Stella, F.-Zuccalà, G., Commentario breve al codice penale, Milano, 2003, 903). Non rientra, invece, nell’oggetto del dolo l'ammontare dell'importo percepito, in quanto la soglia di (non) punibilità presente nel comma 2 dell’articolo 316 ter fungerebbe da condizione di non punibilità.
Nell’ipotesi omissiva il dolo comprende la consapevolezza e la volontà della mancata informativa o dell’incompletezza dei dati o notizie forniti, diretti ad ottenere indebitamente gli aiuti finanziari previsti dalla norma (Romano, M., I delitti, cit., 88).
Le Sezioni unite ribadiscono la natura sussidiaria dell’art. 316 ter con un’interpretazione orientata alle conseguenze (Cass. pen., S.U., n. 16568/2007). La costruzione dell’art. 316 ter c.p. come un'ipotesi speciale di truffa finirebbe per vanificare l'intento del legislatore che aveva perseguito l'obiettivo di espandere ed aggravare la responsabilità per le condotte decettive consumate ai danni dello Stato o dell'Unione europea; mentre proprio tali condotte risulterebbero invece punite meno severamente a norma dell'art. 316 ter, co. 1, c.p. o, addirittura, sottratte alla sanzione penale a norma dell'art. 316 ter, co. 2, c.p.. Ora non v'è dubbio che il legislatore del 2000, quando ha inserito nel codice penale l'art. 316 ter, ha ritenuto di estendere la punibilità a condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa, esattamente come già il legislatore del 1986, che aveva previsto un'analoga fattispecie criminosa (art. 2, l. 23.12.1986, n. 898).
Questa diversità della fattispecie di truffa è stata più volte riconosciuta sia dalla Corte costituzionale sia dalle stesse Sezioni unite, sebbene con l’affidamento all'interprete del compito di verificare, caso per caso, se sia configurabile il delitto di truffa aggravata (art. 640, cpv., c.p.) ovvero quello residuale previsto dall'art. 316 ter c.p. (C. cost., 10.2.1994, n. 25, C. cost., 23.12.1998, n. 433, C. cost., 12.3.2004, n. 95; Cass. pen., S.U., 24.1.1996, n. 2780, Panigoni, in Foro It., 1996, II, 273). Sicché l'interprete non può che ridurre l'ambito di applicazione dell'art. 316 ter c.p. in termini di radicale marginalità ricorrendo la norma solo quando si è in presenza di un mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l'autore della disposizione patrimoniale. In molti casi, infatti, il procedimento di erogazione delle pubbliche sovvenzioni non presuppone l'effettivo accertamento da parte dell'erogatore dei presupposti del singolo contributo, ma ammette che il riconoscimento e la stessa determinazione del contributo siano fondati, almeno in via provvisoria, sulla mera dichiarazione del soggetto interessato, riservando eventualmente a una fase successiva le opportune verifiche. In questi casi l'erogazione può non dipendere da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell'erogatore, che in realtà si rappresenta correttamente solo l'esistenza della formale dichiarazione del richiedente. D'altro canto, l'effettivo realizzarsi di una falsa rappresentazione della realtà da parte dell'erogatore, con la conseguente integrazione degli estremi della truffa, può dipendere, oltre che dalla disciplina normativa del procedimento, anche dalle modalità effettive del suo svolgimento nel singolo caso concreto e, quindi, l'accertamento dell'esistenza di un'induzione in errore, quale elemento costitutivo del delitto di truffa, ovvero la sua mancanza, con la conseguente configurazione del delitto previsto dall'art. 316 ter c.p., è questione di fatto, che risulta riservata al giudice del merito.
In realtà, le affermazioni delle Sezioni unite impongono qualche precisazione (Amato, G., Un chiarimento sulle differenze tra le due fattispecie incriminatici, in Guida dir., 2007, n. 20, 79; Mezzetti, E., Frodi, cit., 326 ss). Non è chiaro infatti sia il significato concreto da attribuire alla nozione di “mero silenzio antidoveroso”, sia il discrimine tra i due reati fondato sulla circostanza che la condotta posta in essere abbia o no “indotto in errore” l'autore della disposizione patrimoniale. Sotto il primo profilo il mendacio o il silenzio possono assumere connotazioni artificiose o di raggiro in riferimento a specifici obblighi giuridici di verità, la cui violazione sia penalmente sanzionata, perché essi qualificano l'omessa dichiarazione o la dichiarazione contraria al vero come artificiosa rappresentazione di circostanze di fatto o manipolazione dell'altrui sfera psichica. Se vi sono specifici obblighi di verità ricorrerà sempre l’ipotesi di truffa aggravata, al contrario, se sul soggetto grava soltanto un generico dovere di comportarsi secondo buona fede, ricorreranno i presupposti dell’art. 316 ter. Nei casi, ad esempio, in cui l’erogazione avviene senza un preventivo vaglio dell’ente erogatore, ma in base alla mera presentazione della documentazione da parte del soggetto, non è così agevole però escludere la configurabilità dell’art. 640 bis, poiché il soggetto pubblico, a ben vedere, concede od eroga il contributo, il finanziamento, ecc., solo in quanto posto di fronte all’apparenza dei requisiti stessi. (Pisa, P.-Calcagno, E., Mendacio e truffa: un problema ancora irrisolto, in Dir. pen. e processo, 2006, 1376 ss.).
L'ipotesi tipica, per esemplificare, è quella delle dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà. In questo caso, essendo la legge che conferisce al privato la facoltà della dichiarazione sostitutiva, è dalla stessa legge che discende l'obbligo per il privato di affermare il vero (art. 76, d.P.R. 28.12.2000, n. 445). In una tale situazione, le false attestazioni possono integrare, da un lato, il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.), dall’altro, il reato di truffa, o ancora il delitto di cui all’art. 316 ter.
Per distinguere le due ipotesi bisognerà accertare il rapporto di causalità psichica, ovvero, nella truffa il soggetto che eroga deve essere stato tratto in inganno o fuorviato dalla presentazione dei documenti falsi, mentre nel reato di indebita percezione, pur se i falsi sono astrattamente idonei ad ingannare, non hanno in concreto espletato alcuna capacità decettiva. In tal senso, più di recente, sono nuovamente intervenute le Sezioni Unite precisando come l’art. 316 ter punisce condotte decettive caratterizzate (oltre che dal silenzio antidoveroso) da false dichiarazioni o dall'uso di atti o documenti falsi, dalle quali l'ente pubblico erogatore non viene in concreto indotto in errore perché in realtà si rappresenta correttamente solo l'esistenza della formale attestazione del richiedente. Ne discende che la truffa va ravvisata solo ove l'ente erogante sia stato in concreto «circuito» nella valutazione di elementi attestativi o certificativi artificiosamente decettivi (Cass. pen., S.U., n. 7537/2000, cit., sulle difficoltà probatorie di un simile accertamento, v. Bellagamba, F., op. cit., 970).
Questo accertamento in astratto ed in concreto dell’induzione in errore deve essere operato con cautela perché l’argomento delle Sezioni unite potrebbe condurre a punire per il reato di cui all’art. 316 ter, in assenza di una verifica sull’induzione di errore, anche falsi innocui e/o inutili, il che violerebbe il principio di offensività punendo di fatto condotte prive anche in astratto dell’idoneità all’inganno.
Il momento consumativo si realizza quando il soggetto agente consegue effettivamente l’indebita percezione. Il tentativo è configurabile (Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, pt. spec., I, Bologna, 1999, 203), così come potrà configurarsi anche l’ipotesi della desistenza volontaria. Per quando riguarda il concorso di persone nel reato non vi sono deroghe ai principi previsti nella Parte generale. Se vi è accordo tra i soggetti preposti all’erogazione o al controllo della stessa ed il privato che presenta la documentazione falsa idonea ad ottenere l’erogazione pubblica, entrambi risponderanno, in concorso tra loro, del reato in esame e dei reati previsti dallo statuto penale della p.a., quali il peculato, l’abuso d’ufficio o la corruzione (Benussi, C., I delitti, cit., 335).
Analizzando i rapporti tra gli artt. 316 bis e 316 ter.si giunge alla conclusione che tra le due fattispecie non si ponga un problema di concorso di reati, bensì di concorso apparente di norme (Romano, M., I delitti, 88; Benussi, C., I delitti, cit., 337). In altri termini, colui che mediante la presentazione di documenti falsi ottiene un finanziamento pubblico e successivamente lo destina (o non lo destina) per finalità diverse da quelle della causale o per finalità private dovrebbe, di conseguenza, essere punito ai sensi dell’art. 316 ter.
Il non destinare per finalità pubbliche una somma ottenuta mediante l’inganno costituisce, dunque, uno sviluppo della condotta di frode e che non approfondisce l’offesa già arrecata; inoltre, se il finanziamento è ottenuto attraverso falsi presupposti non si può logicamente pretendere che il soggetto lo impieghi a fini pubblici, in quanto non vi sarà mai un fine pubblico sotteso (Salcuni, G., op. cit., 132).
Il problema sorge, però, in quanto l’art. 316 ter è sanzionato meno gravemente rispetto all’art. 316 bis, non potendo operare, dunque, il principio dell’assorbimento. Perciò, è preferibile una soluzione diversa che inquadra i rapporti tra le due fattispecie all’interno della categoria del concorso di reati (Fornasari, G., op. cit., 165), disciplina sanzionatoria che sarà, il più delle volte, mitigata dall’istituto del reato continuato ex art. 81 c.p.
Quanto ai rapporti con l’art. 2 della l. 23.12.1986, n. 898, si ritiene comunemente che i rapporti tra le due norme in esame siano regolate dal principio di specialità, in particolare, ad una condotta tipica pressoché comune, l’art. 2 aggiungerebbe un elemento di specialità in quanto si riferirebbe alle condotte aggressive dei fondi del FEOGA (Fonds Européen d'Orientation et de Garantie Agricole). In altri termini, quest’ultimo costituirebbe l’unico soggetto passivo del reato di cui all’art. 2, mentre i soggetti passivi del reato previsto dall’art. 316 ter sono lo Stato, gli enti pubblici e la Comunità europea (Bevilacqua, B., op. cit., 593). Si aggiunge, altresì, che, dato che l’art. 2 non contemplerebbe l’ipotesi di omissione di informazioni dovute e quella della presentazione o utilizzazione di documenti falsi, da ciò deriverebbe che l’art. 316 ter si dovrà applicare in tutte queste ipotesi anche se tali condotte sono rivolte verso il FEOGA, che comunque è un organo della Comunità europea (Cass. pen., S.U., 15.3.1996, n. 2780, in Riv. Pen., 1996, 712).
È da ritenersi, però, preferibile la soluzione che ritiene abrogato il citato art. 2 ad opera dell’introduzione dell’art. 316 ter. Ciò in quanto «o in caso di indebita percezione mediante mera omissione di notizie, nel settore agricolo del FEOGA, si applica la norma generale dell’art. 316 ter: e allora l’art. 2 coincidendo con la condotta attiva della norma codicistica sarebbe inutile; oppure, l’omissione è penalmente irrilevante: e allora l’art. 2 è illegittimo, poiché appresta una irragionevole minore tutela al primario settore in questione» (Romano, M., I delitti, cit., 85).
Quanto ai rapporti con gli artt. 482, 483 c.p., la giurisprudenza fa concorrere il reato in esame con questi articoli, ovvero, con i delitti di falso materiale e falso ideologico. La tesi è nota: la diversità tra i beni giuridici tutelati, il patrimonio degli enti pubblici per l’art. 316 ter e la fede pubblica o la genuinità dei documenti per gli artt. 482 e 483 c.p. farebbero sì che non si verta nel concetto di “stessa materia” e, pertanto, non trovi applicazione l’art. 15 c.p. (Cass. pen., 13.11.1998, n. 6136, in Cass. pen., 2000, 81; Cass. pen., sez. II, 15.1.1990, in Riv. pen., 1990, 977).
Parte della dottrina ritiene, invece, che le norme sui falsi risultino assorbiti dall’art. 316 ter perché questa norma conterrebbe in sé gli elementi costitutivi del falso, ergo opererebbe il principio di assorbimento. Tale ultimo orientamento è stato recepito anche dalle recenti Sezioni unite (Cass. pen., S.U., 19.4.2007, n. 16568; Cass. pen., S.U., 16.12.2010, n. 7537, cit.) che, sposando alcune indicazioni delle sezioni semplici, hanno affermato che «il reato di cui all'art. 316 ter c.p. assorbe quello di falso previsto dall'art. 483 c.p., in quanto l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituiscano elemento essenziale per la sua configurazione».
Le Sezioni unite conferiscono così una lettura restrittiva dell’art. 84 c.p. concludendo nel senso che solo i delitti di cui all'art. 483 c.p. e all'art. 489 c.p. rimangono assorbiti nel delitto previsto dall'art. 316 ter c.p., che concorre invece con gli altri delitti di falso eventualmente commessi al fine di ottenere le indebite erogazioni.
Artt. 316 ter, 640 bis. c.p.; art. 2, l. 23.12.1986, n. 898.
Benussi, C., Sub art. 316 ter, in Marinucci, G.-Dolcini, E., Codice penale commentato, pt. spec., Milano, II ed., 2007 2181; Gambardella, M., Sub art. 316 ter, in AA.VV., Codice penale, Vol. III, I delitti contro la personalità dello Stato, I delitti contro la pubblica amministrazione, a cura di Lattanzi G. e Lupo E., Milano, 2005, 290; Benussi, C., I delitti contro la pubblica amministrazione, I, I delitti dei pubblici ufficiali, Padova, 2001 329 ss; Bevilacqua, B., I reati dei Pubblici Ufficiali contro la Pubblica Amministrazione, I, Padova, 2003, 556; Fornasari, G., Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, in AA.VV., Reati contro la pubblica amministrazione, Torino, 2004, 159; Romano, M., I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, II ed., Milano, 2006, 86; Pelissero, M., Sub art. 4, in Commento alla legge 29 settembre 2000, n.300, in Legisl. pen., 2001, 4; Riverditi, M., Sub art. 316 ter, in AA.VV., Commentario al codice penale, Torino, 2002, 1357; Picotti, L., L’attuazione in Italia degli strumenti dell’Unione europea per la protezione penale degli interessi finanziari comunitari, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2006, 649; Manacorda, S., Corruzione internazionale e tutela penale degli interessi comunitari, in Dir. pen. e processo, 2001, 424; Mezzetti, E., voce frodi comunitarie, in Dig. Pen., Aggiornamento, IV, Torino, 2010, 309 ss.; Salcuni, G., Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, in Cadoppi, A.-Canestrari, S.-Manna, A.-Papa, M., a cura di, Trattato di diritto penale, pt. spec., II, Torino, 2008, 118; Amato, G., Un chiarimento sulle differenze tra le due fattispecie incriminatici, in Guida dir., 2007, n. 20, 79; Pisa, P.-Calcagno, E., Mendacio e truffa: un problema ancora irrisolto, in Dir. pen. e processo, 2006, 1376 ss.; Salcuni, G., La tutela penale delle finanze comunitarie. Controllo penale vs cogestione delle risorse pubbliche, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2005, 758 ss.; Riverditi, M., Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, in Dig. pen., Aggiornamento, Torino, 2004, 410 ss.; Manduchi, C., “Tanto tuonò … che non piovve”: perplessità e reticenze della prima giurisprudenza di legittimità sul nuovo art. 316 ter c.p., in Cass. pen., 2003, 1224 ss.; Valentini, V., L’effetto boomerang dell’art. 316 ter c.p. fra principi costituzionali e obblighi comunitari, in Cass. pen, 2005, 75 ss.