indeterminismo
Tesi ontologica secondo cui gli eventi che accadono nella realtà non sono determinati dal verificarsi di condizioni sufficienti al loro accadere, come vorrebbe la concezione opposta: il determinismo (➔). Quest’ultimo è stato variamente discusso a partire dal sec. 18° sotto l’imprecisa formulazione «ogni evento è necessariamente determinato da una causa», che a sua volta ha indotto alcuni pensatori a sostenere l’idea secondo cui il futuro è prevedibile, almeno in linea di principio. La formulazione è imprecisa perché non si avvede che l’analisi della relazione di causalità permette più interpretazioni. Non si può infatti escludere che gli eventi siano causati indeterministicamente, dove la causa non determina necessariamente l’effetto ma si limita ad accrescere la probabilità che esso si verifichi. Tanto i fautori dell’i. quanto quelli del determinismo hanno fatto spesso appello ai risultati della ricerca fisica, affermando per es. che la meccanica quantistica ha dimostrato l’i., così come si riteneva che la teoria newtoniana dimostrasse il determinismo. Tuttavia, derivare conclusioni ontologiche da teorie scientifiche appare azzardato. Non vi è infatti un unanime accordo riguardo all’idea che la fisica classica, compresa la teoria newtoniana, sia deterministica, e nella stessa meccanica quantistica l’i. sembrerebbe coinvolto solo riguardo all’interpretazione dei processi di misurazione, interpretazione che rimane tuttora controversa. Che gli ultimi risultati della scienza militino a favore dell’i. appa- re poi in contrasto con lo spirito di alcune teorie biologiche (per es., il determinismo genetico), psicologiche (per es., la psicologia evoluzionistica), neurofisiologiche e socioculturali, che tendono a considerare il comportamento umano come causalmente determinato dai fattori cardine delle rispettive teorie. Piuttosto, ciò sembrerebbe mostrare che l’i. quantistico, anche ammesso che sia corretto al livello delle microparticelle, non abbia ricadute significative al livello del comportamento macroscopico. A ogni modo, l’i. ha un ruolo nella discussione sul libero arbitrio, in quanto diversi autori ritengono che la libertà sia possibile solo in un contesto indeterministico. Tre sono le posizioni distinguibili a tale proposito: l’i. semplice, quello causale e la cosiddetta agent causation. I fautori della prima posizione assumono una concezione non causale del nesso che lega le azioni umane agli agenti (o ai loro stati mentali), considerandolo un nesso di carattere intenzionale: a produrre azioni non sono cause bensì ragioni, individuate nei desideri, credenze e intenzioni possedute in un dato momento da un agente. L’eliminazione delle cause dal piano della spiegazione delle azioni (cause la cui forza determinante renderebbe ineluttabile il verificarsi dell’effetto) mostrerebbe così la verità dell’i.: se le azioni sono incausate, nulla le necessita, e qualsiasi azione compiuta avrebbe potuto non esserlo, fermi restando lo stato mentale dell’agente e le ragioni maturate per l’azione. I fautori dell’i. causale fanno invece rientrare le cause nella spiegazione dell’azione; soltanto che ritengono lecita una causalità indeterministica, ossia una causalità che non necessita l’effetto ma pone tra questo e la causa un nesso meramente probabilistico: tra lo stato mentale come causa e l’azione come effetto interverrebbe un elemento indeterministico a rendere possibile un eventuale diverso corso d’azione, garanzia del comportamento libero. In breve, un’azione non è causalmente determinata ma causalmente influenzata, e sarebbe proprio tale i. di fondo a garantire la libertà. La terza posizione si basa sull’assunto che il genere di causalità adatto a spiegare il comportamento libero non è quello postulato dalle scienze naturali, e nemmeno riconducibile alla consueta causalità tra eventi, ma è del tutto speciale. Esso è immanente negli agenti che, nel corso delle loro innumerevoli e variegate azioni, hanno costitutivamente la possibilità di autodeterminarsi creando catene causali originali.