Individualismo metodologico
L'espressione 'individualismo metodologico' indica in forma sintetica un concetto generale proprio delle scienze sociali; in una parola, indica un paradigma. Il principio fondamentale di questo paradigma è che ogni fenomeno sociale è il risultato della combinazione di azioni, credenze o atteggiamenti individuali. Ne consegue che la spiegazione di tale fenomeno consiste nel ricondurlo alle cause individuali delle quali è il prodotto: pertanto un momento essenziale di qualsiasi analisi, sia nel campo della sociologia che dell'economia o della scienza politica, consiste nel comprendere il perché delle azioni, delle credenze o degli atteggiamenti individuali responsabili del fenomeno che s'intende spiegare.
Come è stato più volte ribadito dai filosofi della scienza, nessun paradigma risulta evidente di per sé, se non per quanti vi si richiamano. La stessa cosa accade nel caso dell'individualismo metodologico: la sua importanza nella storia delle scienze non deriva dalla sua capacità d'imporsi di per sé, ma dalla sua efficacia nella spiegazione dei fenomeni sociali.
Una prova indiretta di ciò è data dal fatto che l'individualismo metodologico non è mai stato oggetto di un accordo unanime. Al contrario, ha dovuto sempre coesistere con altri paradigmi, come per esempio quello positivistico, al quale si affida uno studioso dell'importanza di Durkheim. Tutto questo è sufficiente per dimostrare che l'individualismo metodologico non ha affatto il carattere di evidenza immediata di una proposizione come 2+3=5.
In ogni caso, nelle forme di opposizione che insorgono frequentemente nei confronti dell'individualismo metodologico si può vedere il risultato di serie obiezioni di fondo, ma anche di malintesi, i quali fanno sì che la reale importanza di questo paradigma tenda a essere sottovalutata.
Il paradigma dell'individualismo metodologico - interpretare i fenomeni collettivi come il prodotto di azioni, atteggiamenti, credenze individuali - in molti casi è di applicazione così naturale che si può affermare che nelle scienze sociali sia stato applicato da sempre.
Tocqueville, per esempio, l'utilizza costantemente. In L'ancien régime et la Révolution (1856), un grande libro di sociologia comparata, egli prende come oggetto del suo studio un certo numero di differenze tra due paesi tanto simili tra loro per molti altri aspetti come erano la Francia e l'Inghilterra alla fine del XVIII secolo, e spiega sempre queste differenze come il prodotto di azioni individuali. Inoltre egli è colpito dalla differenza di stile che riscontra tra la filosofia politica francese e quella inglese: mentre la prima è radicale, rivoluzionaria, astratta, speculativa, la seconda è invece prudente, pragmatica, concreta, attenta ai fatti, cosciente della complessità dei fenomeni sociali. Perché? si domanda Tocqueville. E la sua risposta è: perché la centralizzazione amministrativa è molto maggiore in Francia che in Inghilterra. Di conseguenza, i 'philosophes' francesi - gli 'intellettuali', diremmo oggi - erano facilmente portati a credere che ogni riforma sociale passasse attraverso una riorganizzazione radicale del potere politico. Allo stesso modo Tocqueville spiega il sottosviluppo dell'agricoltura francese rispetto a quella inglese, in un'epoca in cui i fisiocratici avevano peraltro un'influenza importante, con il fatto che la centralizzazione amministrativa francese spingeva i proprietari fondiari a ricercare cariche di corte e a trascurare lo sfruttamento delle loro terre.
Se il paradigma dell'individualismo metodologico risulta d'uso corrente nelle analisi sociologiche più antiche, la sua importanza è percepita appieno e analizzata solo a partire dalla fine del XIX secolo. È forse l'economista austriaco C. Menger (v., 1883) il primo a sottolinearne esplicitamente l'importanza. Sfortunatamente, per indicare quello che oggi chiamiamo individualismo metodologico egli utilizza il termine 'atomismo'; ma con ciò non intende affatto affermare che la società debba essere concepita come composta esclusivamente da individui, così come la materia è composta esclusivamente da atomi. Egli sa perfettamente che una società comprende anche istituzioni sociali e politiche, regole giuridiche e morali, costumi, tradizioni, e anche risorse materiali, la cui natura cambia da una società all'altra. Parlando di 'atomismo', egli riconosce quindi che gli 'atomi' costituiti dagli individui si muovono in un campo politico e sociale definito, ma intende affermare che il compito delle scienze sociali consiste nell'analizzare i fenomeni collettivi come prodotto di azioni individuali e nel concepire queste azioni come 'comprensibili' (per utilizzare un termine che verrà impiegato successivamente).
La metodologia delineata da Menger ha ispirato a lungo gli economisti (cfr., tuttavia, A. Mingat, P. Salmon e A. Wolfelsperger, Méthodologie économique, Paris 1985). Come sembra naturale, trattandosi dell'analisi di fenomeni economici, gli economisti associano generalmente al principio dell'individualismo metodologico quello secondo cui le azioni individuali obbediscono a motivazioni utilitaristiche. Questa tendenza a coniugare individualismo metodologico e utilitarismo ha indotto alcuni sociologi a ritenere, a torto, che esistesse un legame organico tra questi due principî. In realtà, se tale unione appare pertinente nel caso dell'economia, essa non è tuttavia ineluttabile: tra l'individualismo metodologico e l'utilitarismo non esiste alcun rapporto d'implicazione reciproca. Questo aspetto è stato analizzato con estrema chiarezza da alcuni sociologi classici e, in particolare, da numerosi autori tedeschi (Max Weber, Simmel), ma anche italiani (Pareto) e francesi (Tarde).
Max Weber non utilizza l'espressione 'individualismo metodologico'. È stato osservato, tuttavia, che s'incontra un'espressione pressoché identica in una lettera inviata da Weber all'economista marginalista R. Liefmann, una lettera che ha un'importanza del tutto particolare, non solo perché scritta nell'anno della morte di Weber, ma anche perché definisce in modo lapidario una vera e propria epistemologia delle scienze sociali. "Anche la sociologia [come l'economia] - scrive Weber - sul piano metodologico deve procedere in senso individualistico".
Se l'uso dell'espressione 'individualismo metodologico' è incidentale in Weber, egli tuttavia utilizza costantemente questo paradigma nelle sue analisi sociologiche. Tutta la sua sociologia della religione, per esempio, è fondata sul principio metodologico secondo il quale le credenze religiose apparentemente più strane debbono essere analizzate dal sociologo come fornite di senso per chi le professa. Per esempio, quando Weber s'interroga sulla diffusione del culto di Mitra tra i funzionari dell'Impero romano o della massoneria tra i funzionari prussiani (v. Weber, 1922), egli analizza questo fenomeno come il risultato di un atteggiamento comprensibile dal punto di vista degli individui interessati: i funzionari romani hanno le loro buone ragioni per lasciarsi sedurre da questo culto, in quanto è molto più congruente della religione romana tradizionale con il mondo nel quale essi vivono. Il culto di Mitra non riconosce una potenza trascendente, ma si sottomette a una potenza immanente; l'adepto è sottoposto a un'iniziazione e supera gli stadi successivi di una vera e propria gerarchia formale di gradi attraverso prove perfettamente definite, nel corso delle quali viene giudicato in modo assolutamente impersonale. Questo culto poteva facilmente apparire al funzionario romano come una trasposizione simbolica dell'universo burocratico cui apparteneva professionalmente: egli era al servizio di una potenza immanente, l'imperatore, e le sue promozioni dipendevano dal superamento di un certo numero di prove. Aveva quindi delle ragioni comprensibili per preferire questo culto alla religione tradizionale, che si era definita in un periodo in cui la società romana era ancora essenzialmente rurale.In generale gli scritti metodologici di Weber insistono su un leitmotiv: l'affermazione che il compito essenziale del sociologo consiste nel ricostruire il senso delle azioni, delle credenze e degli atteggiamenti degli attori sociali.
Simmel è ancora più esplicito e soprattutto più esauriente di Weber sulle questioni di metodo. I fenomeni sociali, egli scrive, non possono essere nient'altro che il prodotto di azioni, atteggiamenti e credenze individuali. Per esempio, le regole di educazione che si possono riscontrare in una certa società in un determinato momento sono il prodotto di un complesso di azioni e interazioni; esse sono accettate e rispettate in quanto hanno un senso per gli individui che le adottano e resteranno in vigore finché saranno percepite come dotate di senso. In linea di massima non esiste per Simmel, al di sopra degli individui, alcuna entità di ordine superiore che li trascenda.
In breve, Simmel (v., 1892) ha una concezione nominalistica della società, nettamente in contrasto, per esempio, con la concezione realistica di un Durkheim. Ai suoi occhi la società non è altro, in realtà, che l'insieme degli individui che la compongono. In questo senso, analizzare un fenomeno sociale consiste sempre, almeno in linea di principio, nel ricostruire le azioni, le credenze e gli atteggiamenti individuali che lo hanno determinato.
Ma Simmel sottolinea altresì che l'applicazione di un 'programma' - direbbe Lakatos - come è quello dell'individualismo metodologico si trova a fare i conti con ostacoli pratici d'importanza notevole: spesso, egli spiega, è molto difficile ricostruire le cause a cui far risalire una certa istituzione, soprattutto perché esse nel frattempo sono scomparse senza lasciare una qualche traccia concreta.
Per spiegare quest'ultimo punto si può far ricorso a un esempio ripreso da A. Vierkandt (v., 1908), la cui metodologia in questo caso non si distingue in nulla da quella di Weber o di Simmel: l'esempio è tratto dalle nostre società, ed è l'usanza dei banchetti che, fino a non molto tempo fa, seguivano i funerali. Quando si interrogano i partecipanti, o un sociologo dilettante, sulle cause di una siffatta istituzione, le risposte oscillano tra un'interpretazione di tipo durkheimiano (il banchetto funebre rinsalda la comunità degli amici e dei parenti del defunto) e una di tipo utilitaristico (l'aspettativa del pranzo spinge a partecipare alla cerimonia). La prima interpretazione commette l'errore di confondere cause ed effetti, e più precisamente di trasformare arbitrariamente un effetto in una causa. La seconda è nel migliore dei casi parziale, nel peggiore riduzionista: non si può supporre che la presenza di tutti i partecipanti, e neppure di una significativa maggioranza, possa essere spiegata in questo modo.
Il fatto che si faccia spesso ricorso a queste spiegazioni insufficienti tradisce le difficoltà che s'incontrano nell'identificare le vere cause di questa pratica, scomparse nella notte dei tempi: si è dunque costretti a procedere per congetture.
Allo stesso modo, afferma Simmel, è evidente che un tasso di suicidi rappresenta soltanto la somma di un complesso di atti individuali dettati dalle ragioni più diverse. Quando si osserva, per esempio, che la curva che rappresenta l'evoluzione di questi tassi nel tempo cresce in modo regolare, si deve indubbiamente ammettere che questa regolarità ha una causa precisa. Ma poiché questa causa non può essere ricercata se non nelle azioni individuali responsabili di tale crescita, e poiché queste ultime sono il risultato di motivazioni complesse ed eterogenee, ne consegue che è assai difficile evidenziare questa causa.Incidentalmente si può osservare che alcuni sociologi moderni hanno portato alle estreme conseguenze le implicazioni di questo tipo di osservazioni sostenendo l'inanità di ogni analisi statistica in campo sociologico (v. Douglas, 1967). Simmel, però, non arriva a queste conclusioni estreme e non vi è in effetti nessuna ragione per arrivarvi.
Il Trattato di sociologia generale di Pareto si apre, come Economia e società di Weber, con importanti considerazioni sul concetto di azione. La distinzione che Pareto fa tra "azioni logiche" e "azioni non logiche" è celebre ed essenziale: l'economia, dice Pareto (v., 1916) sarebbe lo studio delle azioni logiche, la sociologia, invece, lo studio di quelle non logiche. Lasciamo da parte, per il momento, questa distinzione difficile, per osservare immediatamente che attraverso questa distinzione Pareto propone di considerare e di analizzare tutti i fenomeni sociali come il risultato di azioni. La sua distinzione propone esplicitamente di considerare le azioni di cui si occupa l'economista come azioni 'razionali' - diremmo noi -, cioè come azioni ispirate dal desiderio del soggetto di impiegare i mezzi obiettivamente più adatti ai suoi scopi, mentre le azioni di cui si occupa il sociologo sarebbero in generale dettate da motivi irrazionali. Pareto, tuttavia, precisa molto chiaramente che le azioni non logiche non devono essere considerate come 'illogiche'; in altri termini, le azioni non logiche hanno un senso, e il compito fondamentale del sociologo consiste proprio nel ritrovare questo senso. Anche se il vocabolario di Pareto è assai diverso da quello di Weber, entrambi concordano sul principio dell'individualismo metodologico (ogni fenomeno sociale ha cause individuali). Pareto insiste anche sulla necessità di considerare ogni credenza e ogni azione come dotate di senso. La differenza tra i due, dal punto di vista di questa nostra analisi, consiste essenzialmente nel fatto che Pareto ha una visione molto più netta di Weber della distinzione tra 'razionale' e 'irrazionale'.
Il contrasto tra Durkheim e Tarde è uno dei luoghi comuni della storia della sociologia. Sono note le accuse rivolte da Durkheim a Tarde: questi avrebbe avuto il torto di voler spiegare i fatti sociali non attraverso altri fatti sociali - come raccomandava Durkheim - ma attraverso fatti psicologici. Per usare una terminologia moderna, Durkheim accusava Tarde di cadere nel riduzionismo adottando il principio dell'individualismo metodologico.
Effettivamente Tarde ha cercato di spiegare i fenomeni di moda, ma anche le regolarità statistiche che osservava nel campo dei fenomeni criminali e, in generale, tutti fenomeni ai quali si è interessato, a partire dal principio dell'individualismo metodologico.
Il fatto che i fenomeni di moda seguono una "legge geometrica" (oggi diremmo una legge esponenziale) deriva, secondo Tarde (v., 1890), dalla tendenza dei soggetti sociali a imitarsi reciprocamente. Questa ipotesi 'psicologica' dà conto del fenomeno 'sociologico' che si vuole spiegare: più numerosi sono i seguaci della nuova moda, più numerosi saranno gli imitatori. La crescita istantanea del numero dei seguaci è quindi proporzionale al loro numero:dn/dt=kn . Integrando questa equazione, se ne deduce facilmente che il processo di diffusione di una moda segue una legge "geometrica".
Non è molto importante che, in questa analisi, Tarde semplifichi notevolmente i fenomeni della diffusione sociale. Ciò che merita rilevare è che, in forma originale e creativa e in contrasto con la raccomandazione di Durkheim, egli spiega un fenomeno sociale per via 'psicologica', in particolare a partire dal paradigma dell'individualismo metodologico. D'altra parte, come si avrà occasione di verificare in seguito, in contrasto con i suoi stessi principî, anche Durkheim utilizza suo malgrado questo paradigma nelle sue analisi più innovative.
Schumpeter e, sulla sua scia, Popper, Hayek e altri, hanno contribuito a imporre l'espressione 'individualismo metodologico' per indicare il paradigma che era stato correntemente utilizzato da Tocqueville e chiaramente identificato dalla maggior parte dei sociologi classici - da Pareto a Weber - o per accettarlo, come questi due autori e molti altri, o per respingerlo teoricamente, anche se non nella pratica, come Durkheim e in particolare i sociologi di orientamento positivistico.
È importante richiamare il nome di Durkheim nel contesto della presente analisi, in quanto nei suoi scritti teorici sono numerose le obiezioni nei confronti del paradigma dell'individualismo metodologico (anche se, naturalmente, l'espressione 'individualismo metodologico' non compare mai nelle sue opere).
Durkheim ha una concezione fondamentalmente positivistica delle scienze, concezione che ha ereditato da A. Comte, la cui influenza in Francia alla fine del XIX secolo era assai notevole. Comte aveva proposto di considerare la sociologia come la disciplina chiamata a coronare l'edificio delle scienze. Come la biologia deve rispettare la specificità ontologica del vivente, allo stesso modo la sociologia deve rispettare la specificità del sociale: in altri termini, non può spiegare il sociale se non attraverso il sociale stesso; inoltre, come tutte le scienze, deve poggiare sull'osservazione metodica di fatti osservabili. Ora, i 'fatti psichici' - come le 'ragioni' che possono avere gli attori sociali di fare o di credere questa o quest'altra cosa - presentano dal punto di vista di questa epistemologia due inconvenienti fondamentali. In primo luogo non sono 'osservabili'; inoltre, se si vuole farne la causa dei fenomeni sociali, s'infrange l'obbligo di rispettare la specificità del sociale.
In realtà non vi è alcun obbligo di adottare l'epistemologia positivistica di Comte, ma, soprattutto, il fatto che le ragioni degli attori sociali non siano osservabili direttamente non implica affatto che non si possa raggiungere l'oggettività quando le si descrive. L'esperienza quotidiana ci insegna, al contrario, che possiamo correggere facilmente l'interpretazione che in un primo momento abbiamo data di una qualche azione: 'se ha fatto questo, è sicuramente per questa ragione e non per quest'altra' è una proposizione che spesso non presenta problemi. Se abbiamo osservato metodicamente dei dati di comportamento, siamo spesso in grado di decidere che una interpretazione è preferibile a un'altra. Pressappoco allo stesso modo non possiamo osservare direttamente lo stato magnetico di un oggetto fisico, ma possiamo ricavarlo a partire dalle sue 'reazioni' in alcune situazioni ben determinate. In una parola, il fatto che le motivazioni degli attori sociali non siano direttamente osservabili non autorizza in alcun modo a concludere che è impossibile formulare in proposito ipotesi verificabili.
Questo non significa che l'interpretazione delle ragioni degli attori sociali o, se si preferisce un altro linguaggio, la determinazione del senso delle loro azioni o delle loro credenze sia sempre semplice; lo è in alcuni casi: l'individuo che guarda a destra e a sinistra prima di traversare una strada lo fa per evitare di farsi investire, su questa interpretazione non può esservi alcun dubbio. Naturalmente, è molto più difficile individuare il motivo per cui i funzionari prussiani si sentivano tanto attirati dalla massoneria. Anche se la teoria di Weber - secondo la quale questa attrazione dev'essere interpretata pressappoco negli stessi termini di quella dei funzionari romani per il culto di Mitra - in senso stretto non può essere dimostrata, essa può tuttavia essere facilmente considerata come l'ipotesi più credibile che sia stata formulata a tutt'oggi a proposito di questo fenomeno. Questa ipotesi è altrettanto solida della maggior parte delle ipotesi formulate nell'ambito delle scienze della natura.
È ancora più difficile spiegare perché i tassi di suicidio aumentano o diminuiscono, anche se, in molte delle sue analisi, Durkheim (v., 1897) propone al riguardo ipotesi affascinanti. Per esempio, egli osserva che i tassi di suicidio tendono a diminuire nei periodi di crisi politica o di tensione internazionale e interpreta questo fatto servendosi di un'ipotesi convincente: in questi periodi il soggetto sociale non può ripiegarsi sulla sua sfera privata ed è spinto a occuparsi degli affari pubblici; di conseguenza, le difficoltà personali che potrebbero indurlo a mettere fine ai suoi giorni vengono relegate in secondo piano. Poiché questo cambiamento nella situazione degli individui è valido per tutti, ne deriva una diminuzione statistica dell'egoismo. Ma, se è vero che tale egoismo caratterizza lo stato della società e che questa analisi spiega efficacemente un fatto sociale (la diminuzione del tasso di suicidio) mediante un altro fatto (la diminuzione dell'egoismo), è vero anche che la relazione tra le due variabili sociali è il prodotto di un dato 'psicologico': non è possibile restare ripiegati su se stessi in un periodo di crisi politica intensa. Contro i suoi stessi principî, in questo caso Durkheim spiega un fatto sociale attraverso un fatto psichico e applica il paradigma dell'individualismo metodologico.
Un'obiezione frequentemente rivolta all'individualismo metodologico è che la metodologia che esso propone ignora un punto essenziale, vale a dire che l'individualismo è una caratteristica inerente alle società moderne: solo in queste società l'individuo sarebbe dotato di un'autonomia tale da poter essere considerato l'atomo dell'analisi sociologica.
Che il livello dell'individualismo muti secondo le società, e che sia maggiore nelle società moderne, è certo. Per fare un esempio significativo, è senz'altro vero che l'individuo godeva di maggiore autonomia nelle società di tradizione liberale che nei regimi 'socialisti' dell'Europa orientale che sono crollati l'uno dopo l'altro. Questo non significa però in alcun modo che in questi due casi l'analisi sociologica debba seguire principî diversi.
La situazione è analoga qualora si mettano a raffronto le società arcaiche con quelle moderne: è vero che nel primo caso l'orizzonte dell'individuo si limita a un villaggio, nel secondo si estende al pianeta. Differenze di ogni genere distinguono la situazione e il campo d'azione e di percezione del soggetto sociale nei due casi, e tuttavia non ne risulta che il comportamento del soggetto risponda a principî diversi.
In realtà ci si può chiedere se questa obiezione non derivi da quello che Piaget (v., 1965) chiama "sociocentrismo": non abbiamo alcuna difficoltà a credere che i soggetti delle società 'socialiste' dell'Europa orientale siano simili a quelli dell'Europa occidentale, e che siano soltanto collocati in campi sociali strutturati differentemente. Invece, nel caso di soggetti delle società 'arcaiche', questi ci sembrano appartenere a mondi così lontani dal nostro che ne ricaviamo facilmente l'impressione che essi siano per se stessi diversi da noi.
Più in particolare, l'obiezione storicistica è fondata su un''iperbole' filosofica: si crede spesso che la grande varietà delle forme di società implichi la liquidazione di un concetto classico, quello di natura umana. In realtà non è così: se non esistessero principî di comportamento comuni a tutti i soggetti sociali e indipendenti dal campo sociale nel quale essi si trovano, non sarebbe possibile comprendere come due attori collocati in campi diversi possano capirsi tra loro.In verità, sarebbe facile citare molti esempi che mostrano come il paradigma dell'individualismo metodologico conduca, anche nel caso delle società arcaiche, a spiegazioni più soddisfacenti di quelle dei paradigmi d'ispirazione storicistica. Ci si è chiesti spesso perché le società contadine tradizionali dell'Asia o dell'Africa adottino le loro decisioni collettive all'unanimità. La spiegazione corrente consiste nell'affermare che la nozione di individuo sarebbe una categoria applicabile solo alle società moderne: i membri di queste società contadine non si considerano come individui autonomi, ma come parti di un tutto, la comunità. Questa spiegazione arbitraria e puramente verbale può essere vantaggiosamente sostituita da una teoria come l'individualismo metodologico (v., per esempio, Popkin, 1979): in generale, queste società contadine sono società che vivono in un sistema economico di sussistenza, dove tutti sono poveri, anche se alcuni lo sono meno di altri, e sono comunque società di dimensioni ridotte. Questi dati strutturali fanno sì che il solo sistema che ha qualche possibilità di essere considerato legittimo è quello in grado di garantire a ciascuno che non dovrà subire conseguenze negative da una decisione collettiva: nelle società di questo tipo la soppressione del diritto di spigolatura, per esempio, rappresenterebbe un pericolo mortale per i più poveri. La sola protezione efficace contro gli effetti 'esterni' delle decisioni collettive consiste pertanto nell'accordare a ciascuno un diritto di veto su queste decisioni, adottando, in altri termini, una costituzione che preveda l'unanimità per le decisioni collettive. D'altra parte, basta osservare che il diritto di veto e le decisioni adottate all'unanimità sono due facce della stessa medaglia, per valutare quanto d'arbitrario vi sia nell'affermare che questo tipo di regola costituzionale comporta una dissoluzione dell'individuo nel gruppo.
Raramente l'obiezione strutturalistica è espressa in modo esplicito. Essa muove da una sfiducia di principio nell'idea che le scienze sociali possano interessarsi ai contenuti di coscienza degli individui senza andare contro la loro vocazione: le ragioni che gli individui danno delle proprie azioni sono sempre 'false', le ragioni degli attori sociali sono sempre 'razionalizzazioni', ecc.
L'influenza del marxismo e del freudismo ha contribuito a rafforzare notevolmente questa concezione, soprattutto negli anni sessanta e settanta, quando tanti sociologi sembravano convinti che queste due correnti di pensiero costituissero l''orizzonte insuperabile' delle scienze umane. Ma anche numerosi sociologi che non si richiamano né a Marx né a Freud, e neppure a Durkheim, considerano ovvio che le 'ragioni' delle azioni e delle credenze degli individui non abbiano alcun posto nell'analisi sociologica, in quanto sarebbero sempre ingannevoli. In queste condizioni si è legittimati a cancellare l'individuo dall'analisi sociologica o a interpretare i suoi stati soggettivi, le sue dichiarazioni, ecc. come pure e semplici illusioni.
Questa 'teoria', che fa della 'falsa coscienza' lo stato normale della coscienza, appare oggi così curiosa che i suoi stessi sostenitori ne prendono le distanze. In realtà, come tutti i luoghi comuni, questa nozione di 'falsa coscienza' poggia su casi molto concreti; diventa inaccettabile solo quando viene utilizzata in modo iperbolico. Ricordiamo un esempio già citato: poiché le motivazioni dei banchetti funebri si sono perse nella notte dei tempi, normalmente il soggetto tende a 'razionalizzare' questa semi-istituzione, a trovarvi delle motivazioni fittizie e, infine, ad attribuire il proprio comportamento a motivazioni ingannevoli. Questo esempio mostra che, in alcuni casi, le ragioni del proprio comportamento date dal soggetto possono essere false; non dimostra, evidentemente, che lo siano in ogni caso. È appunto su questa iperbole che poggia tutto lo strutturalismo.
Se si adotta l'impostazione della presente analisi, si comprende più facilmente anche il motivo per cui lo strutturalismo ha tentato di accreditare la tesi secondo cui la linguistica - o, più esattamente, la fonologia strutturale - sarebbe la regina delle scienze: i comportamenti linguistici, soprattutto nella loro dimensione fonologica, sono largamente inconsci e il soggetto ignora completamente le ragioni per cui associa un certo significato a un certo fonema. (Osserviamo incidentalmente che il successo folgorante, ma circoscritto nel tempo e nello spazio, dello strutturalismo è legato anche al fatto che, tentando di fondare la liquidazione del soggetto su basi filosofiche, esso ritrovava, a suo modo, l'ideale oggettivistico del positivismo: per questo motivo lo strutturalismo per alcuni anni è potuto passare per un movimento di pensiero che era riuscito a dare alle scienze umane uno statuto scientifico).
Gli anni ottanta saranno forse visti a posteriori come gli anni della maturità delle scienze sociali. Nel corso degli anni sessanta e settanta 'grandi teorie' di ogni tipo - strutturalismo, teorie neomarxiste, neofreudiane, ecc. - hanno occupato di volta in volta il primo posto; la maggior parte dei sociologi riteneva che una teoria generale facile da cogliere nei suoi principî potesse spiegare il mondo e servire da guida al proprio lavoro. Questo dogmatismo appare oggi sostituito da un saggio scetticismo: non esistono teorie sociologiche generali, ma solo teorie parziali, non vi sono paradigmi miracolosi, ma solo paradigmi più o meno utili ed efficaci.
Questo atteggiamento crea condizioni favorevoli perché il paradigma dell'individualismo metodologico sia considerato nel suo giusto valore. In effetti l'individualismo metodologico non costituisce in alcun modo una teoria generale, ma solo un paradigma, cioè un complesso di precetti e di principî: considerare ogni fenomeno sociale come il prodotto di azioni, atteggiamenti o credenze individuali (quando ciò sia possibile), tentare di ritrovare il senso di questi atteggiamenti, azioni o credenze, e (quando ciò sia possibile) assimilare l'oscura e difficile nozione di 'senso' a quella di 'ragioni'. In realtà, in molti casi, cogliere il senso di un'azione significa comprenderne le 'ragioni'. Detto questo, bisogna però tener presente che l'attore sociale stesso può avere una percezione sbagliata delle proprie ragioni e che non vi è alcuna contraddizione nel supporre che tali ragioni siano talvolta inconscie.
In breve, anche se l'individualismo metodologico in generale presuppone, sulla scia di autori come Weber e Popper, che l'attore sociale debba essere considerato come 'razionale', non presuppone però in alcun modo la trasparenza della coscienza. D'altra parte, esso ammette che le ragioni dell'attore possono essere buone, senza per questo essere oggettivamente buone: insomma, l'individualismo metodologico implica una concezione complessa della razionalità.Un altro punto che occorre sottolineare è che l'individualismo metodologico conduce a una concezione della sociologia in cui questa appare aperta verso le altre scienze umane. La concezione complessa della razionalità implicita nell'individualismo metodologico istituisce dei collegamenti tra sociologia e psicologia. Il fatto che esso consideri le 'strutture' non come realtà in sé, ma come parametri che caratterizzano il campo sociale in cui si muovono dei soggetti dotati di autonomia, riavvicina anche sociologia e storia, e consente al sociologo di ritrovare il senso della contingenza senza che ciò gli sembri in contraddizione con l'ideale scientifico della sua disciplina. Pur utilizzando una teoria più semplice della razionalità, anche l'economista segue in generale il paradigma dell'individualismo metodologico: sociologia ed economia appaiono allora complementari.
Si può fare un altro passo avanti e chiedersi se il paradigma dell'individualismo metodologico, nonostante la sua 'sobrietà', non abbia una forte carica rivoluzionaria: quando tutte le scienze umane avranno assimilato i suoi principî e compreso la sua importanza, i confini che le dividono diventeranno più facili da superare (v. Dogan e Pahre, 1991).
Sia ben chiaro: tutto questo non significa affatto una dissoluzione delle singole scienze sociali, ma solo una modifica dei loro rapporti in direzione di un arricchimento reciproco. Ho cercato in altra sede (v. Boudon, 1990) di mostrare che la teoria durkheimiana della magia rappresenta un contributo scientifico di primaria importanza. In contrasto con le tesi che Durkheim sostiene nei suoi testi dottrinari, tale teoria s'inserisce perfettamente nel quadro dell'individualismo metodologico. Essa è completamente astorica e, in questo senso, si differenzia per la sua stessa natura dai lavori prodotti dagli storici sul fenomeno della magia. E tuttavia essa è perfettamente utilizzabile da parte dello storico: in effetti, i migliori lavori degli storici moderni della magia (cfr., per esempio, K. Thomas, Religion and the decline of magic, Harmondsworth 1973) possono essere visti come applicazioni, come parametrizzazioni di questa teoria a-storica.
(V. anche Azione sociale; Decisioni, teoria delle; Epistemologia delle scienze sociali).
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