INDONESIA (A. T., 95-96)
Con questo nome s'indica comunemente quel mondo insulare che si estende fra la parte sudorientale del continente asiatico e la Nuova Guinea, a cominciare dal gruppo delle Andamane fino alle isole Aru e Formosa: tre regioni insulari che, peraltro, ne sono abitualmente escluse.
L'Indonesia viene chiamata altresì Insulindia o Arcipelago Australasiatico e anche, meno propriamente, Indie Orientali, Arcipelago Malese o Malesia, Arcipelago Indiano. Essa comprende le Isole della Sonda, le Molucche e le Filippine, che hanno nell'insieme circa 2 milioni di kmq. di superficie e 84 milioni di abitanti. Politicamente l'Indonesia è divisa tra l'Olanda, cui appartengono le Isole della Sonda (all'infuori dalla parte settentrionale di Borneo) e le Molucche; la Gran Bretagna, da cui dipende la parte settentrionale di Borneo; gli Stati Uniti, che possiedono le Filippine; e il Portogallo, al quale è rimasta la parte orientale di Timor.
Per la geografia dell'Indonesia v. soprattutto alle voci filippine; indie olandesi; e poi alle voci borneo; celebes; giava; molucche; sarawak; sumatra; timor, ecc.
Preistoria.
All'infuori dei resti scheletrici del Pithecanthropus rinvenuti a Trinil, nell'isola di Giava, tracce umane quaternarie mancano nell'Indonesia. A Wadjak (Giava), E. Dubois ha scoperto parti di due scheletri d'una razza assai affine agli odierni Australiani, ma l'età quaternaria del giacimento è molto dubbia. Così pure tutti i rinvenimenti di manufatti di tipo paleolitico finora avvenuti, sono da collocare, in tutti i casi almeno nei quali l'età era determinabile, nell'età geologica attuale.
Si possono riconoscere nell'Indonesia tre distinte culture paleolitiche, forse contemporanee: una cultura delle amigdale, una cultura delle schegge, e una cultura dell'osso. In Sumatra, fra Atjeh e Medan, in cumuli di rifiuti (conchiglie) e in rinvenimenti superficiali, si è trovata una cultura che ha per strumenti tipici l'ascia a mano e la picca, sovente a forma di foglia di lauro, quasi sempre lavorate su una sola faccia. Vi erano anche percussori di pietra non lavorata, pietre leggermente concave per macinare e ocra rossa. Oggetti d'una cultura analoga sono stati trovati a Giava (Patjitan), nel Borneo settentrionale e nell'isola di Luzon: essa ha stretta affinità con le culture amigdaloidi dell'Indocina. Una cultura paleolitica caratterizzata dalla lavorazione delle schegge (punteruoli, coltellini, ecc.) si è rinvenuta in due grotte dell'alto fiume Djambi nel centro di Sumatra e nelle grotte di Lamontjong nel Celebes sud-occidentale (P. e F. Sarasin), dove però frecce ad alette o seghettate mettono un carattere neolitico. Infine, le grotte di Sampung e Bodjonegoro, a Giava, hanno dato a van Es e van Stein Callenfels una cultura composta esclusivamente di manufatti d'osso e di corno di cervo. Le tre culture erano portate forse da genti di razze diverse: quella delle amigdale si può, in tal caso, attribuire a genti papuasiche o australoidi, la cultura delle schegge alle genti veddoidi.
Quando si faccia astrazione dallo strato con punte di freccia di Celebes e Giava ancora alquanto enigmatico, si possono distinguere nel Neolitico dell'Indonesia tre grandi culture. La più antica, caratterizzata dall'ascia a sezione ovale o lenticolare (ascia cilindrica), è nota per l'Indonesia orientale, Celebes e Borneo, ma sembra mancare a Giava e Sumatra: essa ha probabilmente invaso l'arcipelago dal nord, passando per Formosa e le Filippine. Sopravvive tale cultura nella Nuova Guinea e nella Melanesia, e molti elementi culturali ancora superstiti qua e là nell'Indonesia stessa forse le appartengono: p. es., la barca composta di più tavole e la fabbricazione della ceramica mediante la sovrapposizione di cercini d'argilla. I suoi portatori introdussero forse le lingue papuasiche nelle Molucche, ma non appartenevano alla razza papua.
La seconda cultura neolitica è quella dell'ascia a spalla ben nota per l'Indocina, la cui diffusione va da Formosa alle Filippine e al distretto di Minahassa in Celebes; forse anche a una parte di Borneo.
Nel secondo millennio a. C., dalla penisola di Malacca si spiegò, dividendosi in più vie, la grande ondata dei popoli maleo-polinesiani. Due delle correnti migratorie si possono ricostruire chiaramente: una passante per Sumatra, Giava, Bali, ecc. sino a Tenimber, l'altra per Borneo, le Filippine e Formosa sino al Giappone. La loro cultura portava le asce a sezione rettangolare e l'ascia appuntita, la cerealicoltura, l'allevamento del bue, del bufalo e del maiale, la canoa a bilanciere (nata probabilmente nelle acque fluviali del continente), i monumenti megalitici e la caccia alle teste. La tecnica della lavorazione della pietra raggiunse una perfezione straordinaria, specialmente a Sumatra e a Giava; la lingua e la cultura si diffondevano su tutta l'Indonesia e si univano, dando origine a miscele di vario tipo, ai più vecchi popoli e alle culture più arcaiche dell'arcipelago. Probabilmente nelle sue terre nord-orientali (Formosa, Filippine, Celebes settentrionale), da una mescolanza della cultura ad ascia quadrangolare con quella dell'ascia a spalla, con l'aggiunta di elementi più giovani non ancora ben identificati d'origine forse asiatica orientale, si formava la civiltà polinesiana che doveva proseguire verso l'Oceano Pacifico.
Poco si conosce dell'età del bronzo dell'Indonesia. Asce a doccia (v. indocina: Culture preistoriche) sono state trovate un po' dappertutto: Giava ha dato anche punte di lancia, pugnali e alabarde di bronzo. Forme e decorazioni mettono fuori di dubbio l'origine settentrionale, dal continente asiatico. Da questo, al più tardi con la colonizzazione indiana, venne anche la conoscenza e la lavorazione del ferro. Dal Periplo del Mare Eritreo si desume che gl'Indiani conoscevano parte dell'Indonesia, Sumatra o Giava (Javadvîpa) già nel sec. I d. C. Iscrizioni in Giava e nel Borneo orientale provano l'esistenza di regni indiani nell'arcipelago verso il 400 d. C.
Bibl.: R. Heine-Geldern. Ein Beitrag zur Chronologie in Südostasien, in Festschrift für P. W. Schmidt, Vienna 1928, p. 809 segg.; id., Urheimat und früheste Wanderungen der Austronesier, in Anthropos, XXVII, Mödling (Vienna) 1932 (con bibliografia e carte).
Gl'Indonesiani.
Popoli e culture attuali. - Lo strato più antico fra gli abitanti odierni dell'Indonesia è formato dai resti di due razze di bassa statura, i Negritos (Aeta) dai capelli crespi, nelle Filippine (v. negritos), e i Veddoidi dai capelli ondulati o ricciuti che nell'Indonesia rimasero quasi dovunque assorbiti nelle mistioni di popoli di razza malese. Questi ultimi occupano tutte le terre insulari dell'Indonesia fin dai tempi storici più antichi. Le loro lingue, di fronte alle lingue analoghe della Micronesia, Polinesia e Melanesia, formano un'unità designata come "indonesiana" (v. maleo-polinesiache, lingue) che ha conservato il possesso di una sola regione del continente: la parte meridionale della catena annamitica (v. indocina); i Malesi della Penisola di Malacca sono invece il risultato di un'antica immigrazione da Sumatra. L'attuale distribuzione della cultura permette di distinguere nell'Indonesia tre strati o gruppi di popolazioni: i primitivi, cacciatori e raccoglitori, occasionalmente anche pescatori; i Paleo-Indonesiani, o Indonesiani in senso ristretto, agricoltori alla zappa, che oggi si trovano generalmente limitati nell'interno delle isole; i Neo-Indonesiani, o Malesi, che specialmente sotto l'influsso indiano hanno raggiunto una notevole civiltà, grande sviluppo dell'arte nautica e una notevole capacità di organizzazione politica. Una siffatta superiorità politica e culturale rese possibile a questi popoli di estendersi oltre il loro territorio originario, ed essi si trovano attualmente sulle coste di quasi tutte le isole.
I primitivi. - Alle tribù che sono ancora al livello dei cacciatori e dei raccoglitori, o che hanno adottato in tempi relativamente recenti il sistema di agricoltura dei loro vicini, appartengono gli Orang Benua dell'Arcipelago Riouw, alcuni piccoli gruppi di Sumatra, specialmente i Kubu, i Toala e Tokea di Celebes, i Mangyan e Tagbanua delle Filippine, e i Punan con altri gruppi analoghi di Borneo. Una posizione particolare spetta agli Orang Laut ("gente del mare"), popoli di pescatori e raccoglitori che senza sede fissa sulla terra errano su barche e zattere; oggi essi hanno però perduto gran parte della loro primitività. La loro patria originaria era forse sulle coste meridionali della Penisola di Malacca, donde si sono estesi alle coste di quasi tutto l'Arcipelago Malese. A questo gruppo appartengono i Mawken (Selon) dell'Arcipelago di Merghi, gli Orang Sletar e i Beduanda Kallang alle foci dei fiumi e nelle paludi a mangrovie di Johore e Singapore, i Samal delle isole Sulu e altri.
Il più vigoroso dei popoli selvaggi dell'arcipelago è costituito dai Punan di Borneo il cui numero, inclusi gli Ukit, Sian, Bukitan, Lugat e Lisum, loro prossimi parenti, è calcolato a 100.000 individui. I Punan sono assai timidi e difficilmente si possono incontrare; essi vivono nelle montagne del Borneo centrale, e si trovano lungo il corso superiore di tutti i grandi fiumi; qualche rara volta si spingono nella pianura e arrivano fino alla costa. Alcuni gruppi sono già divenuti sedentarî, ma per lo più vivono in piccoli aggruppamenti da 20 a 30 persone, si trattengono alcune settimane o mesi in un dato posto per poi allontanarsene di nuovo. Non possiedono coltivazioni, né animali domestici, ma vivono di caccia e di ciò che offre la foresta, specialmente di sago selvatico e dei frutti di un albero (shorea). Abitano in rozze e basse tettoie di foglie di palma, alcuni anche in caverne. L'abbigliamento dell'uomo si limita a un grembiule, quello della donna a una piccola sottana, tutti e due fatti di corteccia d'albero battuta. Il tatuaggio non è molto diffuso. Tutta la proprietà dei Punan consiste in alcune armi e utensili che possono facilmente essere trasportati, specialmente panieri e stuoie, l'intrecciatura essendo molto sviluppata. Fra le armi la più importante per la caccia come per la guerra è la cerbottana munita di frecce avvelenate, con la punta di lancia assicurata all'estremità. Come tutti gli oggetti di metallo che eventualmente possiedono, anche il trapano, necessario alla fabbricazione delle cerbottane, deve essere stato ottenuto dai vicini mediante scambî. La fabbricazione delle barche è completamente sconosciuta. Il canto e la danza sono i soli divertimenti dei Punan; come strumenti musicali, conoscono la cetra di bambù e una specie di silofono; nella caccia fanno uso anche di zufoli di bambù con i quali imitano la voce del cervo e di alcuni uccelli. I membri di una banda sono generalmente parenti stretti del capo, la cui autorità è esattamente pari alla sua esperienza e alla stima di cui gode. Entro l'orda si mantiene un armonico lavoro comune e una concordia pacifica, e quello che i singoli uccidono o raccolgono viene diviso con gli altri. I dissidî fra i diversi gruppi sono rari e ogni banda rispetta il territorio delle altre. Con le tribù vicine i Punan sanno invece imporsi: ogni ingiustizia commessa verso uno di loro è vendicata severamente dalla banda. Le frecce avvelenate che da un riparo sicuro essi tirano con grande precisione, sono molto temute; per questa abilità guerriera, bande punan sono state assunte da alcune tribù daiake per le loro cacce di teste.
L'uomo cerca generalmente la moglie in un'altra orda; la regola è la poligamia, ma si trova la poliandria quando una donna sposata con un uomo anziano non può avere figli da lui; infatti la ricchezza di figlioli è desiderata e non sono rare le famiglie con 8 o 9 figli. Nel matrimonio è l'uomo che entra nell'orda della moglie. Il totemismo sembra mancare. Nei concetti religiosi si trova poco di originale; molti elementi sono stati presi forse dai popoli vicini: così i Punan considerano il coccodrillo come un dio e lo chiamano Bali Penyalong, che è il nome dell'essere supremo presso i Daiaki Kenja: qualche volta hanno un'immagine di coccodrillo in legno, che portano con sé in ogni nuovo accampamento. Anch'essi, come i loro vicini più evoluti, osservano il contegno di alcuni animali-presagi, come la cavalletta, la lucertola e lo zibetto. Gli stregoni si occupano specialmente della guarigione delle malattie; mancano invece i sacrifici di animali e l'esame degl'intestini come usa presso le tribù vicine. Quando un membro della banda muore, gli altri lasciano il cadavere insepolto, lo coprono di foglie e abbandonano il luogo. I concetti dell'oltretomba corrispondono a quelli delle popolazioni vicine; sulla strada dell'al di là l'anima deve oltrepassare un ponte alla cui estremità più lontana siede un "calao rinoceronte"; questo con le sue grida simili a una risata di scherno, cerca di spaventare le anime in modo che precipitino nel fiume dove vengono divorate da un grosso pesce.
Paleo-Indonesiani. - A questi appartengono i Bataki (600 mila) e i Gajo della Sumatra settentrionale (circa 40 mila); le popolazioni di Nias, delle isole Mentavei (12 mila) e di Engano (1914: 294); i Daiaki, nome che in senso lato designa molte tribù di Borneo, come ad es. i Kajan, i Kenja, i Murut, i Dusun, i Kalabit (in tutto forse 2 milioni d'individui); le tribù dell'interno delle Molucche e di altre isole dell'Indonesia orientale (Alfuri); i Toradja, Tolampu, Tobada e altri a Celebes, alcune tribù nelle Filippine e finalmente le tribù indonesiane di Formosa (forse 100 mila anime).
Questi popoli non possiedono una civiltà omogenea. Condizioni particolari sono presentate tanto nelle isole più occidentali, Engano e Mentavei, dove mancano la coltivazione del riso e la tessitura, quanto all'estremo oriente nelle Molucche, isole Kei e Aru, dove la coltivazione del riso è sostituita dalla palma del sago, l'allevamento del bestiame e specialmente dei bovini è poco praticato e si ignora la metallurgia; vi compare inoltre un vero culto solare. Presso alcuni di questi popoli, d'altra parte, p. es. presso i Bataki, l'influsso della civiltà indiana è già molto accentuato; ciò nonostante la civiltà di tutto questo gruppo può essere considerata e descritta come uno stato intermedio fra i primitivi e i popoli di civiltà superiore.
I cereali sono coltivati dappertutto (oltre al riso, anche il miglio e il granturco), come pure i tuberi (yam, taro, batata), i fagioli, le zucche, la canna da zucchero e le radici. I principali alberi da frutta sono la banana (pisang), il durian, la palma da cocco, l'albero del pane e la palma del sago. Il metodo tradizionale di coltivazione consiste nel dissodare una parte di bosco e governare questo terreno con la cenere degli alberi bruciati; i campi collocati in questi dissodamenti possono essere coltivati per una durata da uno a tre anni. Presso gl'Ifugao (Filippine) si trovano anche dei campi disposti a terrazze, irrigati artificialmente.
Gli animali domestici più diffusi sono il maiale, il cane e il pollame, mentre i buoi e i bufali mancano in alcune regioni. La carne degli animali domestici non è mangiata che durante le feste e i sacrifizî. La caccia è praticata attivamente almeno come sport maschile, ma in quasi tutte le regioni ha più importanza la pesca; questa è praticata per mezzo di ami, lance, veleno e soprattutto di un gran numero di trappole molto ingegnose. Nelle Molucche si pesca anche con l'aiuto di aquiloni facendoli volare in modo che l'esca fissata all'estremità della coda balli sulle onde. Molto diffusa è la masticazione del betel; birra è preparata da più cereali e un'altra bevanda inebriante è fornita dalla palma da zucchero.
Oggi l'abbigliamento consiste almeno di un panno passato fra le gambe per gli uomini, e di un panno annodato intorno ai fianchi per le donne; il busto rimane quasi sempre scoperto; per rivestirlo gli uomini usano una giacca aperta sul davanti e senza maniche, le donne un panno drappeggiato intorno al petto o gettato sulle spalle. Le giacche a lunghe maniche, dove sono usate (Giava, ecc.), provengono da un'influenza culturale più recente. Il materiale più antico usato per l'abbigliamento consiste in corteccia d'albero battuta, erba, foglie e anche pelli; ma oggi il cotone è diffuso quasi dappertutto. La tessitura è conosciuta presso la maggior parte delle tribù e la tecnica delle colorazioni è molto avanzata. Rinomati sono i tessuti il cui ordito è colorato col complicato sistema chiamato ikat. Il lobo dell'orecchio viene quasi sempre allargato e perforato e i denti appuntiti e anneriti; alcune tribù li ornano anche con placchette d'oro. Solo in poche isole manca il tatuaggio. L'uso degli omamenti è sviluppatissimo; la ricchezza delle sue forme e del suo materiale, fra il quale non sono rari l'oro e l'argento, non può essere nemmeno accennata; una cura speciale è data all'ornamento di guerra e di danza. La ceramica e la lavorazione del metallo sono molto diffusi e il bambù fornisce un materiale così multiforme nelle sue applicazioni che si potrebbe parlare di una "civiltà del bambù". Le armi comuni da guerra e da caccia erano la lancia di legno o di bambù, spesso uncinata. Per la punta si usavano occasionalmente lische di pesce o osso, ma più comunemente il ferro. Di varie forme sono anche i coltelli, i pugnali e le sciabole, adoperati spesso anche come arnesi da lavoro. Nella cesellatura molto comune delle lame, come nelle varie e particolari forme dell'impugnatura, si trova un'influenza indiana, e, in minor misura, anche araba. L'arco di legno o di bambù è poco adoperato e l'arma caratteristica dell'Indonesia occidentale è la cerbottana, confezionata di legno o di bambù e munita di frecce avvelenate; spesso vi applicano una punta di lancia per poterla adoperare come baionetta. Molto sviluppate sono anche le armi da difesa, lo scudo, la corazza e l'elmo.
Molta attività è dedicata alla pittura e al disegno nella decorazione degli edifici, degli scudi e degli oggetti d'uso comune; lo stesso si nota nella scultura in legno, più raramente in pietra, connessa specialmente al culto dei morti. L'isola di Nias presenta a questo riguardo i migliori prodotti (immagini di antenati, figure per combattere le malattie e "custodi" di villaggi e di case), mentre alcune case dei Bataki e di altre popolazioni sono dei veri capolavori dell'arte dell'intarsio. La musica degl'Indonesiani dispone di una ricca orchestra: tamburi, silofoni, gong, corni di conchiglia e flauti.
Nella costruzione delle case la forma usuale è data dalla casa rettangolare di legno o di bambù costruita su palafitte sopra il terreno o, più raramente, sull'acqua. La casa su palafitte a pianta rotonda è rara (Engano, Nicobar), come pure le costruzioni al livello del terreno, che appaiono solo in poche regioni. Nell'isola di Luzon vi sono case sugli alberi. La grandezza dell'abitazione varia molto; presso alcuni Daiaki, dove usano le case per più famiglie, ve ne sono alcune lunghe 300 m. Oltre alle abitazioni vere e proprie si costruiscono diversi altri edifici per scopi particolari: magazzini di provviste, case per pestare il riso, case di celibi, capanne per le donne nei periodi della mestruazione, casette degli spiriti e dei morti. Variano molto anche la grandezza, la forma e la situazione degl'insediamenti; presso alcune tribù si trovano villaggi con più di 1000 ab. Specialmente i Bataki e gli abitanti di Nias erano abilissimi nella fortificazione delle loro sedi. La navigazione fluviale e costiera è molto sviluppata: a Borneo vi sono delle barche di corteccia d'albero, ma in generale le canoe sono scavate in un tronco d'albero; nei luoghi dove compaiono le imbarcazioni a bilanciere, queste lo hanno generalmente doppio; è comune anche l'albero di legno o di bambù, con vele triangolari o trapezoidali fatte di strisce di foglie o di filamenti di palma. La navigazione permette a quelle popolazioni un commercio attivo; come misura di valore o moneta servono braccialetti d'ottone, polvere d'oro e perle di vetro.
La società, presso i Bataki, i Gajo e nelle isole orientali è basata sulla divisione in clan esogamici; prendere una donna dal proprio clan è considerato presso i Bataki come un incesto. I clan stessi, in origine, dovevano essere totemici, come si può dedurre dalle leggende relative alla discendenza o all'appartenenza di certi animali alla tribù, col conseguente divieto di usarne per cibo. Così, p. es., la marga (clan batako) Harahap è "parente" dei piccioni, che perciò non vengono mangiati. Il totemismo è diffuso anche nell'Indonesia orientale.
I Bataki, i Gajo, gli abitanti di Nias e di gran parte delle isole orientali hanno la famiglia patriarcale; un rigoroso matriarcato domina, invece, presso alcune tribù di Formosa e tracce se ne trovano anche in molti altri luoghi. Le forme dominanti del matrimonio sono la compera, il riscatto mediante servizio, l'adozione e il ratto della sposa; anche quest'ultimo metodo è considerato legale per la conclusione di un matrimonio e non richiede che il pagamento ulteriore di una somma per la riconciliazione. Per ragioni economiche la poligamia è limitata ai ricchi e ai capi e la poliandria non è menzionata che per il Ceram occidentale. La circoncisione, che si diffonde sempre più con l'avanzare dell'islamismo, si trova presso i Bataki e i Daiaki anche come usanza preislamica. A Borneo e a Celebes si pratica come eccitante la perforatio glandis. Riti di virilità sono molto diffusi: presso molte tribù daiake, nessuno poteva prendere moglie se non avesse prima riportato il bottino di un teschio umano; con i riti iniziatorî della pubertà sono collegati pure la mutilazione dei denti, la circoncisione e il tatuaggio. Nel Ceram occidentale si trovava una vera società segreta, il Kakihan, nella quale venivano ammessi tutti i ragazzi. Questi passavano un dato tempo nella foresta sotto la sorveglianza dei sacerdoti, e venivano tatuati col segno di riconoscimento della società; quest'associazione segreta è in tutto simile a quelle della Melanesia ed ebbe una parte politica importante nella difesa contro gli Olandesi, ma oggi il suo potere è spezzato. A Formosa, in una parte di Borneo, e anche altrove, si trovano delle case per i celibi, ma generalmente esse sono trasformate in case di riunione; le case per le ragazze da marito sono più rare. Presso molte tribù i capi sono ereditarî e dispongono di un potere molto esteso. Singolare è il regno sacerdotale dei Bataki, sviluppatosi sotto influenze indiane. I capi d'un villaggio sul Lago Toba portavano il titolo di Si Singa Mangaradja ed esercitavano, pur senza essere dei sovrani veri e proprî, per mezzo delle forze magiche che venivano loro attribuite, un'influenza che diede molto da fare agli Olandesi; l'ultimo Si Singa Mangaradja fu ucciso da questi in battaglia il 17 giugno 1907.
La religione degl'Indonesiani è generalmente designata come un tipico animismo; infatti il culto degli spiriti dei morti non manca quasi mai, si sviluppa anzi occasionalmente come un vero culto degli antenati, molto evidente a Nias e nelle isole orientali; a Nias, p. es., per ogni morto che lasci discendenti viene eretta un'immagine di legno nella quale il prete trasferisce l'anima del defunto. In genere a tutta la natura, agli animali, alle piante e alle pietre vengono attribuite delle anime; ciò non ostante l'animismo non è l'unico elemento della religione degl'Indonesiani; oltre alla venerazione degli spiriti dei morti, degli spiriti delle malattie e di demoni minori, s'incontra almeno l'accettazione di dei o di esseri d'ordine superiore, specialmente di un dio del cielo che si presenta come creatore. Le forme del culto (sacrifici, feste, danze) sono di un'infinita varietà; da notare in particolare le feste e le danze mascherate. Preti e sacerdotesse si trovano dappertutto; essi scacciano gli spiriti delle malattie, dirigono i sacrifici più importanti, custodiscono la sapienza degli antenati e degli dei e predicono il futuro con una quantità di metodi diversi, fra i quali sono da menzionare l'esame delle viscere e l'osservazione degli uccelli presso i Daiaki. Ad alcuni animali (tigre, coccodrillo, calao rinoceronte) è quasi sempre conferita una specie di venerazione; presso alcune tribù daiake il culto degli uccelli-presagi ha una grande importanza e presso gli Iban (Sarawak) la credenza nello ngarong (animale soccorritore) è molto diffusa. Lo ngarong si rivela la prima volta in sogno al suo padrone e questi, come i suoi discendenti, evita di uccidere gli animali di quella specie. Il sistema di sepoltura varia da tribù a tribù e anche entro la tribù è diverso secondo lo stato sociale, l'età e la fortuna del morto. Sono praticate l'inumazione semplice nel terreno, la deposizione in casse di varie forme, l'esposizione su piattaforme, sugli alberi e in caverne. Le feste dei morti sono molto sviluppate; dappertutto si cerca, da una parte, di rendere impossibile il ritorno dell'anima del trapassato e, dall'altra, di facilitarle il cammino nel paese dei morti. È comune anche il concetto, che non si può attribuire a influenze islamiche, che l'anima nel suo viaggio debba oltrepassare un ponte pericoloso gettato su un lago nel quale stanno in agguato coccodrilli minacciosi. La sorte dell'anima nell'al di là dipende generalmente dalla posizione sociale sulla terra e dal modo nel quale è avvenuta la morte. Il concetto della migrazione dell'anima manca raramente. L'usanza così diffusa della caccia alle teste è collegata a concetti religiosi, spesso è in relazione col culto dei morti, perché si vogliono dare degli schiavi nell'al di là ai nobili deceduti; altre volte essa è connessa con i riti agricoli: i teschi sotterrati nei campi ne assicurano miracolosamente la fertilità. Questa credenza si mostra anche in un mito di creazione presso i Kajan (Borneo). Sembra che con la caccia alle teste (per es., a Mindanao) fossero collegati anche sacrifici umani e pratiche di cannibalismo; quest'ultimo era specialmente diffuso presso i Bataki; alcune tribù batake lo praticavano come una punizione giuridica e mangiavano i nemici feriti o uccisi, i ladri e gli adulteri; la carne era preparata in varî modi. La mitologia è assai ricca e varia: oltre ai miti nei quali il dio più alto o l'intero pantheon compariscono come creatori, vi sono dei miti cosmogonici nei quali si trova qualche principio di filosofia naturale.
Neo-Indonesiani. - Oltre ai Giavanesi (v. giava) e ai Tagali (v. filippine) appartengono in prima linea a questo gruppo i Malesi veri e proprî (5 milioni) provenienti dalle regioni montuose di Sumatra e specialmente da Menangkabau. Essi subirono già nei tempi antichi l'influenza dell'alta civiltà indiana e si stabilirono nel corso dei secoli XII e XIII d. C. nella Penisola di Malacca dove fu fondata nel 1160 la città di Singapore. Di qui si estesero su tutto l'arcipelago, imponendosi dappertutto come commercianti, apportatori di civiltà e fondatori di stati. Furono i Malesiche propagarono nell'Indonesia l'islamismo da essi adottato nel sec. XIV e XV; la loro lingua, così facile a impararsi, è rimasta ancor oggi la lingua del traffico e del commercio in tutta l'Indonesia. Vanno poi ricordati i Makassari e i Buginesi della parte meridionale dell'isola di Celebes, che devono il loro vigore all'Islām, tanto che si estesero molto oltre il territorio originale come pirati, commercianti e coloni. E, infine, rientrano nella stessa categoria gli abitanti di Ternate e Tidor (Molucche), una mescolanza di tutti gli elementi stranieri possibili, i cui sultanati furono una volta possenti e temuti. La religione di tutte queste tribù è l'Islām, che ha sostituito completamente l'induismo e il buddhismo. La scrittura araba è adoperata oggi dai Malesi, Accinesi e Ternatani, meno dai Giavanesi e Sondanesi. L'Islām esercitò anche nel diritto familiare ed ereditario una influenza molto importante, sebbene non generale. Infatti non riuscì a soppiantare il deciso matriarcato dei Malesi di Menangkabau, per quanto contrario al suo spirito. All'infuori di queste particolari influenze islamiche, tutto quello che solleva questi popoli semicivili al di sopra delle tribù dei coltivatori alla zappa, rimonta sempre alla più vecchia influenza indiana; la fondazione di regni potenti con sovrani assoluti e ricco cerimoniale di corte (parasole, corona), l'amministrazione, il costume e gli ornamenti, la tecnica delle armi, i mestieri artistici, il cavallo, gli elefanti addomesticati, l'agricoltura all'aratro, le carrozze, il tornio del vasaio, la coltivazione e la tessitura del cotone, tutto risale a origini indiane. E questa influenza si mostra anche più nell'astrologia, nel teatro, nella scrittura e nella letteratura: alfabeti derivati da quello indiano esistono, come presso i Bataki, presso i Giavanesi, i Buginesi e i Makassari, ed esistevano presso i popoli semicivili delle Filippine.
V. tavv. XLV-XLVIII e tavv. a col.
Bibl.: R. Heine-Geldern, Südostasien, in G. Buschan, Völkerkunde, II, p. 689 segg. (con ricca bibliografia); W. Schmidt, Grundlinien einer Vergleichung der Religionen und Mythologien der austronesischen Völker, in Denkschriften der K. Akad. der Wissensch. Phil.-Hist. Klasse, LIII, Vienna 1910; A. Krämer, Westindonesien (Atlas der Völkerkunde), Stoccarda 1927. Per Sumatra in particolare, v.: J. V. Brenner, Besuch bei den Kannibalen Sumatras, Würzburg 1894; C. Snouck Hurgronje, Het Gajoland en zijne bewoners, Batavia 1903; id., The Achehnese, voll. 2, Leida 1906; M. Joustra, Litteratuuroverzicht der Bataklanden, Leida 1907; C. Lekkerkerker, Land en volk van Sumatra, leida 1916; P. J. Veth, Midden-Sumatra, voll. 7, Leida 1881-1882; W. Volz, Nord Sumatra, voll. 2, Berlino 1909-1912; J. Warneck, Die Religion der Batak, Gottinga 1900. Per Borneo, v.: E. H. Gomes, Seventeen Years among the Sea Dayaks of Borneo, Londra 1911; C. Hose e W. Mc Dougall, The Pagan Tribes of Borneo, voll. 2, Londra 1912; A. W. Nieuwenhuis, Quer durch Borneo, voll. 2, Leida 1904-1907; H. Ling Roth, The Natives of Sarawak and British North Borneo, voll. 2, Londra 1896. Per Celebes, v.: N. Adriani e A. C. Kruyt, De Barée sprekende Toradja's van Midden-Celebes, voll. 3, Batavia 1912-14; N. Graafland, De Minahassa, 2ª ed., voll. 2, Haarlem 1898; A. Grubauer, Unter Kopfjägern in Central Celebes, Lipsia 1913; P. e F. Sarasin, Reisen in Celebes, voll. 2, Wiesbaden 1905; id., Versuch einer Anthropologie der Insel Celebes, voll. 2, Wiesbaden 1906. Per le Molucche, v.: F. S. A. de Clercq, Bijdragen tot de kennis der Residentie Ternate, Leida 1890; K. Martin, Reisen in den Molukken, voll. 2, Leida 1894; F. J. P. Sachse, Het eiland Seran en zijne bewoners, Leida 1907; O. D. Tauern, Patasiwa und Patalima, Vom Molukkeneiland Seran und seinen Bewohnern, Lipsia 1918. V. inoltre la bibliografia delle voci engano; filipine; formosa; giava; nias, ecc.
Storia.
Verso il principio dell'era volgare mercanti del mezzogiorno della Penisola Indiana vennero in contatto con la parte occidentale dell'Indonesia; la prima notizia certa su questi contatti si trova presso Tolomeo (circa 150 d. C.) e proviene da fonti indiane. Col tempo, tali contatti condussero alla formazione di staterelli indù-indonesiani: il primo di cui si ha notizia è quello di Koetei (pronuncia Cutei) in Borneo; seguono stati nella Penisola Malacca e nella parte occidentale di Giava. In tutti questi luoghi si sono trovati documenti di scrittura pallawa-indiana, databili intorno al 400 d. C.; il fatto che manchino in Sumatra, è un puro caso, poiché anche quest'isola è stata induizzata ben presto, e tanto i commercianti quanto i coloni devono averla raggiunta anche prima del Borneo.
Non bisogna tuttavia pensare a una vera colonizzazione, ma piuttosto che la popolazione indigena fece sua la cultura indù, e ciò non con la medesima intensità in ogni luogo. Così in Borneo la cultura indù ben presto si perdette; si mantenne invece in Sumatra, Giava, e in specie nell'isola di Bali. In Sumatra il regno di Śrivijaya (odierno Palembang) sulla costa orientale, dal secolo settimo in poi, sotto la dinastia dei Śailendra, si estese nell'interno di Sumatra, acquistando pure l'isola di Banka e la Penisola Malacca, ottenendo così il controllo della strada di Malacca, la grande via del commercio tra l'India e la Cina, ed esercitando influenza anche sulla costa dell'Indocina. Per un secolo anche il centro di Giava fu sotto il dominio dei Śailendra. I re di quella dinastia proteggevano il buddhismo mahayanico; un monaco buddhista cinese I-tsing, ha lasciato scritto gran numero di particolari sul regno di Śrivijaya, in cui per lungo tempo egli aveva vissuto. La rimanente parte dell'Indonesia restava fuori dell'influenza indù e non aveva che rapporti rari e fuggevoli con i Cinesi.
Sulla fine del sec. X il regno di Giava orientale (v. giava) si riteneva abbastanza forte per assalire Śrivijaya; incontrò accanita resistenza, soccombette e decadde in anarchia. Solamente quando il regno sumatrano nel 1024 fu in crisi temporanea (v. sumatra), Giava poté rimettersi. Seguì un periodo di politica d'equilibrio, rimanendo la parte occidentale dell'arcipelago a Śrivijaya mentre Giava faceva sempre più sentire la sua influenza nella parte orientale e s'impadroniva delle isole delle spezie (Molucche).
Nel secolo XIII il regno di Śrivijaya cominciò a indebolirsi, finché una spedizione dello stato giavanese di Singasari diede al regno sumatrano, nel 1275, il colpo di grazia. Da allora lo stato di Malaya (odierno Djambi) divenne il principale stato di Sumatra, ma sotto l'alta sovranità di Giava. Nel sec. XIV lo stato giavanese di Madjapahit, successore di quello di Singasari, sottometteva l'arcipelago intero e verso il 1350 era il solo stato. Indipendenti rimanevano la parte settentrionale di Celebes e le Filippine. Il predominio di Madjapahit non fu di lunga durata.
Con l'Islām, che da Gujarat era venuto in Malacca e di là per le vie del commercio s'era introdotto in Indonesia, la posizione cambiava. Nel 1292 Marco Polo non trovava che uno staterello islamico nel nord di Sumatra; nella prima metà del sec. XV questa religione aveva raggiunto le coste di Giava, Borneo e le Molucche.
I Portoghesi nel 1511 s'impadronirono di Malacca, nel 1522 di Ternate; in quel tempo l'influenza indù svanì in Giava e tre nuovi stati giunsero a una certa importanza: Bantam, in Giava occidentale, che ben presto divenne il porto principale dell'arcipelago; Djohore, ove regnano i sultani cacciati dalla Penisola di Malacca, e Atjeh che dopo il 1518 sottomise gli staterelli del nord di Sumatra. Tanto Bantam quanto i due stati sumatrani erano musulmani.
Sempre più si faceva sentire l'influenza europea in specie dopo la venuta degli Spagnoli. La flotta di Magellano raggiungeva nel 1521 le Filippine; egli caduto, le sue navi si recavano verso le desideratissime isole delle spezie. Le difficoltà tra la Spagna e il Portogallo vennero risolte col trattato delle Molucche del 1529, per cui tanto queste isole quanto le Filippine furono attribuite al Portogallo. Ma per quanto riguarda le Filippine gli Spagnoli non si attennero al trattato, organizzando ben tre volte spedizioni dall'America. La terza riuscì: la fondazione di Manila nel 1571 significa la fine del dominio portoghese e il principio di quello spagnolo nelle Filippine. Nelle Molucche i Portoghesi nel 1573 vennero cacciati dagl'indigeni di Ternate dalla loro fortezza e in genere nella parte orientale dell'arcipelago dovevano difendere i loro commerci contro Giava, ove nel 1580 circa, un regno potente, quello di Mataram, seguiva ai precedenti deboli stati islamitici. Nella parte occidentale i Portoghesi si mantenevano solo per la discordia regnante fra i due stati di Atieh e Diohore. Queste erano le condizioni dell'Indonesia quando nel 1596 le prime navi olandesi arrivarono a Bantam: quando cioè l'unità storica sino a quel momento rappresentata dall'Indonesia si frantumò per il prevalere di due diverse colonizzazioni europee, l'una spagnola, al nord, nelle Filippine, l'altra olandese, al sud (per il periodo posteriore, quindi, v. filippine; indie olandesi).
Bibl.: P. A. Tiele, De Europeërs in den Maleischen Archipel, L'Aia 1877-1887; W. P. Groeneveldt, Notes on the Malay Archipelago, Batavia 1876; 2ª ed., Londra 1887; J. H. C. Kern, Verspreide geschriften, VI e VII, L'Aia 1917; J. L. A. Brandes, Oud-Javaansche oorkonden, Batavia 1913 (edizione critica di documenti storici giavanesi, di valore grandissimo); id., Nagarakertagama, Batavia 1902. Altra edizione critica del Nagarakertagama curata da J. H. C. Kern e N. J. Krom, L'Aia 1919; Pararaton, edizione curata da J. L. A. Brandes, L'Aia 1920; Hoesein Djajadiningrat, Critische beschouwingen over den Sadjarah Banten, L'Aia 1913 (é la migliore storia sulla diffusione dell'Islām in Indonesia); Ferrand, L'empire sumatrais de Çrivijaya, Parigi 1922; N. J. Krom, Hindoejavaansche geschiedenis, L'Aia 1931.