Indonesia
Geografia umana ed economica
di Albertina Migliaccio
Stato insulare dell'Asia sud-orientale. La crisi economico-finanziaria che ha coinvolto molti Paesi asiatici nel 1997-98, il contemporaneo aggravarsi degli effetti esercitati sul clima dalla corrente tropicale el Niño, gli attentati terroristici di Bali e Giacarta successivi al 2002, il fortissimo maremoto (tsunami) del 2004 (v. Storia) e il terremoto a Giava del maggio 2006 hanno prodotto dissesti gravissimi nell'economia indonesiana, facendo emergere le debolezze - per lungo tempo celate dalla rapida crescita economica - di un Paese caratterizzato dalla persistenza di gravi problemi, che vanno dalla fragilità del sistema produttivo ai conflitti etnici e religiosi. Il periodo 1997-1999 è stato segnato da un bassissimo aumento del reddito reale e da una elevata inflazione, conseguente alla fluttuazione della moneta indonesiana sui mercati internazionali: le importazioni hanno subito una forte diminuzione, così come la domanda interna e l'occupazione. I flussi finanziari provenienti dall'estero si sono arrestati pressoché totalmente. Nei primi anni del Duemila la crisi era comunque in via di soluzione, anche grazie agli interventi del Fondo monetario internazionale, che a più riprese ha ottenuto dal governo indonesiano l'avvio di importanti riforme strutturali in cambio della concessione di ulteriori prestiti (i cosiddetti Extended Found Facilities). Non è tuttavia ancora valutabile con esattezza l'incidenza sui conti pubblici dello tsunami del 2004, i cui danni sono stati calcolati in almeno 5 miliardi di dollari.
Al censimento del 2000 la popolazione risultava di 206.264.595 ab., (saliti a 222.781.000 secondo stime del 2005). La densità media era di 109 ab. per km2, però la distribuzione continuava a essere molto disomogenea. Il censimento del 2000 ha confermato l'importanza demografica di Giava, isola in cui risiede circa il 60% della popolazione dell'intero Paese e dove la densità raggiunge i 951 ab. per km2. Il tasso di incremento demografico è in progressiva diminuzione, anche se gli indici sono diversi fra le varie etnie. La mortalità infantile si mantiene elevata, ma anch'essa è in costante benché lento declino. Il tasso di urbanizzazione ha superato il 42%; il distretto urbano di Giacarta aveva raggiunto nel 2001, secondo alcune stime, gli 11,4 milioni di abitanti. Nonostante le buone performances economiche, nel Paese persistono gravi squilibri territoriali e marcati divari sociali: si stima che circa un quarto della popolazione viva con meno di 2 dollari al giorno.
Condizioni economiche
Nel 2004 l'incremento del PIL è tornato al 5%, e anche il reddito pro capite ufficiale ha superato i livelli precedenti alla crisi. Il settore agricolo mantiene un altissimo livello di occupazione (il 44% della forza lavoro), e anche se la partecipazione dello stesso alla formazione del PIL è leggermente aumentata, il comparto presenta diffusi fenomeni di arretratezza e pesanti difficoltà strutturali. In crescita, soprattutto dopo l'abolizione delle restrizioni all'esportazione, la produzione dei beni agricoli non alimentari (caucciù e olio di palma). Allo scopo di proteggere le risorse forestali, nel 2000 lo Stato ha imposto il blocco delle esportazioni di legno grezzo: lo sforzo è stato in parte vanificato dall'aumento del contrabbando di legno pregiato e dalla ripresa delle prospezioni minerarie all'interno delle aree forestali (vietate nel 1999). Il settore manifatturiero ha notevolmente risentito della crisi del 1997-98, e ha perduto numerosi posti di lavoro. Il fenomeno ha coinvolto soprattutto le piccole e medie imprese operanti nella produzione di semilavorati per l'esportazione. Queste difficoltà hanno indotto il governo ad adottare politiche di privatizzazione delle imprese pubbliche, nonché a diminuire le quote dello Stato nelle aziende a compartecipazione. Il processo ha interessato anche le banche statali, nel cui capitale è stato consentito l'accesso agli investitori esteri. Il settore minerario, in particolare quello petrolifero, mantiene una funzione trainante per tutta l'economia. Nel 2002 è stato inaugurato un oleodotto di 96 km che collega i nuovi campi petroliferi di Natuna con la Malaysia. Con questo Paese l'I. ha stipulato un contratto ventennale per la fornitura di greggio. Il calo della domanda e l'aumento della concorrenza estera hanno portato, dopo il 2000, a un forte ridimensionamento della produzione di propano (GPL), fino ad allora una delle principali attività legate alla lavorazione del petrolio. La bilancia commerciale presenta un solido attivo, e un ruolo decisivo rivestono proprio le esportazioni di prodotti minerari, in particolare petrolio. Sono in aumento le esportazioni di olio di palma, di prodotti dell'abbigliamento, dell'elettronica di consumo. Il saldo commerciale tende però a ridursi, in conseguenza del graduale miglioramento del tenore di vita di alcune fasce sociali. Il ceto medio è in rapida espansione, e ciò determina una crescita della domanda interna di beni di consumo e un aumento delle importazioni. Sulla bilancia dei pagamenti influiscono negativamente gli interessi sul debito estero e la forte dipendenza dalle imprese straniere per i trasporti.
Il turismo, in crescita durante tutti gli anni Novanta, ha subito un drastico calo a causa dell'instabilità politica, degli attentati terroristici e delle distruzioni inferte dallo tsunami. Nonostante le favorevoli prospettive economiche, l'abbondanza di risorse e di manodopera a basso costo, e una domanda interna in crescita, l'I. non riesce ad attirare consistenti flussi di capitale estero. Tra i principali fattori che frenano gli investitori internazionali vanno annoverati il basso livello di sicurezza interna, il permanere di una burocrazia inefficiente e farraginosa (soprattutto per l'iter di approvazione degli investimenti stranieri), la mancanza di trasparenza nei procedimenti amministrativi come anche nella normativa fiscale e del lavoro, la scarsa competitività dei settori finanziari. Le più importanti agenzie internazionali di rating considerano l'I. un Paese ad alto rischio.
Il nuovo governo, insediatosi dopo le elezioni del 2004, appare intenzionato a proseguire nelle politiche di privatizzazione, nella riduzione del controllo dello Stato sull'economia, nell'apertura al capitale straniero, anche attraverso uno snellimento delle procedure burocratiche e alla lotta alla corruzione. L'I. sconta, inoltre, una grave arretratezza delle infrastrutture territoriali, della rete stradale e autostradale, dei trasporti pubblici, dei porti e degli aeroporti, delle telecomunicazioni. Il petrolio viene estratto ma al Paese urge energia elettrica; la rete di oleodotti e di gasdotti è del tutto inadeguata. Dal punto di vista ambientale la situazione è assai delicata e sono necessari forti investimenti. La costruzione di reti fognarie e di impianti per il trattamento delle acque reflue rappresenta una delle più urgenti priorità sanitarie e ambientali; nel periodo 1997-98 un incendio di notevole estensione si è sviluppato nelle foreste equatoriali del Borneo a causa dell'eccessivo disboscamento e della siccità collegata a el Niño; in tre mesi è stata distrutta un'area di molte migliaia di chilometri quadrati. Il miglioramento delle prospettive economiche indonesiane passa per un forte consolidamento della fiducia degli investitori internazionali. Sul piano interno sono divenuti improcrastinabili gli investimenti per l'affrancamento dalla povertà, per la riduzione degli squilibri economico-territoriali, per il miglioramento delle condizioni sociali di una gran parte della popolazione del Paese: nel 2004 l'I. si trovava ben oltre il centesimo posto nella graduatoria dell'Indice di sviluppo umano elaborata dall'ONU, in peggioramento rispetto alla posizione di inizio secolo.
bibliografia
Indonesia in transition. Social aspects of reformasi and crisis, ed. Ch. Manning, P. Van Diermen, Singapore-London 2000.
S.O.H. Hobom, Economy in Indonesia, in The Far East and the Australasia, London 2003, pp. 536-53.
ICE, Indonesia, Roma 2005.
Storia
di Paola Salvatori
La diffusa corruzione dell'apparato burocratico, il peso predominante dell'esercito sia sulla vita politica sia su quella economica, i contrasti etnico-religiosi esistenti in molte zone del Paese, rimanevano alle soglie del Duemila gli ostacoli principali per il consolidamento del processo di democratizzazione, pure faticosamente avviato dalle élites dirigenti dopo la caduta del regime autoritario del presidente della Repubblica A. Suharto (1998). Né il presidente ad interim B.J. Habibie (1998-99), né il suo successore A. Wahid, eletto nell'ottobre 1999, riuscirono infatti a porre fine a pratiche clientelari ormai consolidate e ramificate in profondità in tutti i gangli della struttura amministrativa, né tanto meno a porre un freno all'ingerenza delle forze armate, aduse a considerare del tutto lecito il ricorso alla violenza e le cui rappresaglie, soprattutto nei territori in cui erano attivi gruppi indipendentisti, continuavano a richiamare l'attenzione della comunità internazionale per l'efferatezza con la quale venivano compiute.
Nel corso del 2000 Wahid cercò di promuovere una politica di riconciliazione nazionale, ma fu costretto a fronteggiare l'intensificata azione della guerriglia secessionista in Aceh (regione nella parte settentrionale dell'isola di Sumatra) e il peggioramento della situazione nelle isole Molucche, dove riesplosero violenze etniche e religiose. La difficoltà a gestire tali situazioni, e il permanere di una grave crisi economica, indebolì la posizione di Wahid, accusato inoltre, agli inizi del 2001, di illeciti finanziari dalle opposizioni.
Nel luglio 2001, anche in seguito alle manifestazioni di protesta della società civile e alla mobilitazione di massa contro di lui, Wahid fu infine costretto a dimettersi, e venne sostituito dalla signora D.P. Megawati Setiawati Sukarnoputri (chiamata comunemente Megawati), già vicepresidente e leader del Partai Demokrasi Indonesia - Perjuangan (PDI-P, Partito democratico indonesiano - Lotta, raggruppamento di nazionalisti moderati e cristiani). Megawati pose tra le priorità della amministrazione il rafforzamento delle istituzioni democratiche, la lotta alla corruzione e il rilancio dell'economia e dell'occupazione, suscitando grandi aspettative. In realtà ben poco del programma proposto riuscì a essere attuato, e si perpetuarono le condizioni per il mantenimento di forti squilibri sociali e di una grave instabilità politica. L'unico successo che il governo poté vantare fu infatti l'approvazione, nell'agosto 2002, di alcuni emendamenti costituzionali, che prevedevano, tra l'altro, l'introduzione dell'elezione diretta del presidente e del vicepresidente a partire dalle consultazioni del 2004, l'abolizione di tutti i seggi riservati agli esponenti delle forze armate, la creazione di una nuova camera elettiva, la Camera dei rappresentanti delle regioni, composta da 128 membri, che insieme alla già esistente Camera dei rappresentanti avrebbe formato l'Assemblea consultiva del popolo, dotata di poteri legislativi. Sebbene formalmente rilevanti, tali modifiche non intaccarono il ruolo predominante dei militari, gli unici reali detentori del controllo di intere zone del Paese, e poco o nulla cambiò sul piano della moralità della vita pubblica e nelle condizioni di vita della maggioranza della popolazione.
La scarsa incisività del governo sul piano sociale ed economico provocò una crescente sfiducia nei confronti di Megawati, la cui popolarità risentiva anche dell'ambivalente posizione assunta nei confronti del terrorismo interno e internazionale. Il sostegno offerto agli Stati Uniti dopo gli attentati terroristici dell'11 settembre 2001, e in occasione delle operazioni militari contro l'Afghānistān, generò forti tensioni interne e un crescente malumore tra i partiti islamici alleati del governo, contrari a stringere legami troppo saldi con l'Occidente. Nonostante le pressioni di Washington, da cui dipendevano gran parte degli aiuti internazionali, Megawati evitò di assumere una linea intransigente nei confronti dei gruppi radicali, che continuarono così ad avere una certa libertà d'azione. Nell'ottobre 2002 un attentato terroristico a Bali, attribuito a un'organizzazione terroristica regionale (ma con forti legami con i gruppi internazionali Jemaah Islamijah e al-Qā̔ida), provocò la morte di 202 persone, in gran parte turisti, e oltre 300 feriti. Il governo reagì inasprendo le misure di sicurezza e promulgando una speciale legislazione antiterrorismo, che portò in breve tempo a numerosi arresti. Gli attentati però proseguirono nel corso del 2003 e ancora nel 2004 - anno nel quale rimase colpita, tra gli altri, anche l'ambasciata australiana a Giacarta (sett.) - mentre continuò a crescere la protesta antioccidentale, soprattutto dopo l'attacco anglo-statunitense all'Irāq (marzo 2003).
A creare ulteriori preoccupazioni al governo contribuì la recrudescenza, proprio in questi anni, degli scontri tra esercito e movimenti indipendentisti in Aceh e Irian Jaya (la parte occidentale della Nuova Guinea). Megawati cercò inizialmente la via del dialogo, e nel dic. 2002 fu raggiunto un accordo con il Gerakan Aceh Merdeka (GAM, Movimento per l'Aceh libero), per porre fine a un conflitto iniziato nel 1976 e costato la vita a oltre 12 mila persone. L'accordo prevedeva fra l'altro l'istituzione di una commissione internazionale che vigilasse sull'effettiva demilitarizzazione della zona, e una estesa autonomia regionale che permettesse al governo locale di trattenere il 70% dei redditi derivati dal petrolio e dal gas presenti sul territorio. Boicottato dalle forze armate, l'accordo entrò in crisi nel giro di pochi mesi: alla rottura delle trattative, avvenuta nell'aprile 2003, seguì in maggio l'imposizione della legge marziale e la ripresa massiccia dell'intervento armato.
Nei mesi seguenti Megawati cercò di rilanciare l'azione di governo in vista delle elezioni del 2004, ma non riuscì a evitare al suo partito un drastico calo dei consensi. Nelle consultazioni politiche, svoltesi in aprile, il PDI-P passò infatti da 154 a 109 seggi; il Golkar (Partai Golongan Karya, Partito dei gruppi funzionali, legato all'ex dittatore Suharto e alle forze armate) subì una leggera flessione (da 128 a 120 seggi), mentre si affermò inaspettatamente il Partai Demokrat (PD, Partito democratico), fondato nel 2001, che conquistò 57 seggi. Nelle elezioni presidenziali, al secondo turno (sett.) vinse il leader del PD, S. Bambang Yudhoyono, con il 60,6% dei consensi. Giavanese, proveniente dalle file dell'esercito, responsabile della sicurezza pubblica nel precedente governo, Bambang Yudhoyono era riuscito a imporsi con un programma incentrato sulla crescita economica, il ristabilimento della sicurezza interna e la lotta al terrorismo. Il suo primo impegno di governo fu comunque quello di gestire la gravissima emergenza seguita al maremoto (tsunami) abbattutosi nel dicembre 2004 sulle coste settentrionali di Sumatra, che aveva provocato oltre centomila vittime e distrutto abitazioni e infrastrutture. Una delle regioni più colpite fu l'Aceh, dove, nonostante le devastazioni, continuavano gli scontri armati. Il nuovo presidente decise di riprendere il dialogo con il movimento indipendentista (genn. 2005) e, revocata la legge marziale (maggio), nell'agosto 2005 siglò un accordo con il GAM allo scopo di porre fine al conflitto e nel gennaio 2006 presentò un progetto di legge che prevedeva, tra l'altro, l'autonomia della regione. L'esecutivo promosse inoltre una riduzione dell'influenza delle forze armate nel settore economico, e rilanciò la lotta tanto alla corruzione quanto al terrorismo. Nell'ottobre 2005, tuttavia, un nuovo violento attentato colpiva Bali, provocando 22 morti e oltre 1000 feriti, soprattutto fra i turisti stranieri.
bibliografia
D. Kingsbury, H. Aveling, Autonomy and disintegration in Indonesia, London 2003.
E.F. McFlyn, Politics of Indonesia, New York 2006.
Z. Abusa, Political Islam and violence in Indonesia, New York 2006.