indulgere [pass. rem. III singol. indulse]
Latinismo, adoperato due volte nel Paradiso. Col significato di " perdonare ", proprio del latino indulgere (" idest remitto ", Benvenuto; Vellutello, Daniello, Cesari, Tommaseo, Del Lungo, Rossi, ecc.), in Pd IX 34 lietamente a me medesma indulgo / la cagion di mia sorte: è Cunizza da Romano che si dichiara completamente paga del grado de la spera (V 128) a lei assegnato.
Ma non mancano altre interpretazioni (" lietamente e non con vergogna si consente la cagione di sua sorte ", Ottimo; " con letizia mi vezzeggio ", Landino; " Mi do pace dei miei passati trascorsi giovenili ", Venturi; " ho ragione di compiacermi ", Casini-Barbi), tra cui piuttosto singolare quella del Buti, sia pure in alternativa con l'altra: " cioè do per opera... et in questo lietamente ora m'adopero cioè in amare Iddio perfettamente, secondo la influenzia dello amore che a me fu data come sorte. O vogliamo intendere: Io me la perdono... ".
Con altro valore, che ugualmente risale al latino: la virtù che lo sguardo [di Beatrice] m'indulse [" mi concesse "; " graziosamente mi comunicò ", Venturi] / ... nel ciel velocissimo m'impulse (XXVII 97).