INDUSTRIA AUTOMOBILISTICA.
– Produzione e mercati. La trasformazione dei gruppi. Le vetture. La tecnica. Bibliografia.
Trasformazioni profonde hanno segnato il settore dell’i. a. negli ultimi anni del Novecento e forte è stata l’accelerazione nel nuovo secolo. Trasformazioni che hanno interessato sia gli apparati produttivi sia i mercati, nell’ambito di un generale processo di globalizzazione e con uno spostamento di asse soprattutto verso le aree orientali del mondo che hanno quindi assunto un ruolo di sempre maggiore importanza strategica.
Produzione e mercati. – La Cina è diventata stabilmente leader delle vendite sul piano internazionale, raggiungendo nel 2014 i 18 milioni di unità, mentre dalle sue fabbriche sono uscite quasi 20 milioni di vetture: risultato che vale un terzo del totale mondiale, cinque volte superiore a quello degli Stati Uniti e due volte a quello del Giappone. Completano il quadro del predominio asiatico i dati di Repubbica di Corea (4 milioni), India (3 milioni) e Indonesia (1 milione). Sempre nel 2014, in Europa è la sola Germania a conservare quote produttive di assoluto rilievo: oltre 5 milioni e mezzo di unità, a fronte del milione e mezzo sia di Francia sia del Regno Unito, di 1,9 milioni della Spagna e delle poco più di 400.000 unità dell’Italia, scesa a livello della Romania e superata di gran lunga anche dalla Repubblica Ceca (1,2 milioni). La Russia, d’altra parte, non è più riuscita a toccare il traguardo dei 2 milioni raggiunto in anni precedenti, mentre in evidenza, nello scenario dell’America Latina, sono gli oltre 2 milioni di unità del Brasile e i quasi 2 milioni del Messico. Hanno iniziato, inoltre, a farsi avanti nel settore Paesi un tempo marginali, come l’Irān (circa 1 milione di auto) e il Marocco (oltre 200.000).
Il generale processo di redistribuzione produttiva è stato accompagnato da una altrettanto complessiva mutazione dell’andamento dei mercati. La crisi dell’economia occidentale, in particolare, ha influenzato l’intera situazione mondiale, con gli Stati Uniti a fare da termometro dell’evolversi degli eventi. Nel 2009, le vendite statunitensi hanno toccato poco più di 10 milioni di unità, con un calo di quasi 7 milioni nei confronti del 2005, per risalire a quei livelli soltanto nel 2014. In Europa, il mercato valeva 21 milioni di unità nel 2005 e, dopo una lunga stagione di difficoltà, è riuscito a tornare su valori intorno ai 16 milioni a partire dal 2013.
La trasformazione dei gruppi. – Le conseguenze sono state assai significative anche sugli assetti aziendali, con modifiche sostanziali e forte accelerazione di processi di assorbimento, accorpamento, dismissioni, sinergie che hanno ridefinito la fisionomia dei gruppi, a volte determinando svolte epocali.
In primo piano, la crisi dei grandi costruttori americani, che ha causato importanti effetti nel ridisegnare il quadro internazionale complessivo.
La General Motors, non solo ha abbandonato marchi legati alla sua storia più antica, come Oldsmobile e Pontiac, ma anche prestigiosi blasoni europei come Saab e Lotus, dei quali aveva acquisito il controllo. Ford ha via via smantellato l’intero polo del lusso che aveva creato in Europa, acquistando nomi prestigiosi per competere nelle categorie superiori del mercato: l’indiana Tata, potenza economica in vari settori dell’industria pesante, ha così acquisito le britanniche Jaguar e Land Rover, mentre la svedese Volvo è stata conquistata dalla cinese Geely. Chrysler, lasciata da Daimler-Mercedes, ha completato nel 2014 il processo che ha portato alla costituzione del nuovo gruppo FCA (Fiat Chrysler Automobiles), corroborando il risultato della trasformazione del gruppo italiano in un’entità multinazionale orientata al mercato globale e non più dal prevalente radicamento nel Paese di origine.
Le aziende tedesche hanno seguito una politica di acquisizioni ad ampio raggio, con Volkswagen in grado di far coesistere, all’interno dello stesso enorme complesso aziendale, marchi esclusivi, come Bentley, Lamborghini, Bugatti, Porsche e Audi, assieme a quelli più popolari, come Volkswagen stessa, Seat e Skoda. BMW, mantenendosi strettamente legata alle categorie del lusso o comunque dei modelli per un pubblico di fascia superiore, ha aggiunto nel suo portafogli Mini e Rolls Royce. Mercedes, invece, dopo aver tentato con non troppo successo il rilancio del nobile marchio Maybach, ha praticamente monopolizzato il mercato delle cittadine ultracompatte con Smart.
Le difficoltà dei costruttori francesi sono state tamponate attraverso sinergie asiatiche. Renault è stata sostenuta dalla stretta parentela con Nissan, mentre PSA-Peugeot Citroen ha trasformato completamente la sua struttura giungendo a partecipazioni azionarie paritarie tra la famiglia Peugeot (che ha perso il controllo del gruppo), lo Stato francese e la cinese Dongfeng. Entrambe le aziende transalpine, d’altra parte, hanno rafforzato la loro presenza nei mercati emergenti di Cina e Russia, decentrando la produzione e arricchendo le gamme con modelli specifici.
Un’analoga tendenza al decentramento, ha portato Fiat Chrysler a investire in nuovi stabilimenti in Serbia e in Brasile, ridimensionando la presenza in Italia, dove si è puntato in prevalenza al rilancio delle vetture di fascia medio-superiore (Alfa Romeo e Maserati), lasciando alla fabbrica di Pomigliano il compito di coprire, con Panda, il settore utilitario.
In piena espansione l’industria coreana che si è inserita d’autorità nel confronto internazionale con il gruppo Hyundai-Kia, presenza importante anche in Europa con sedi in Slovacchia e nella Repubblica Ceca, mentre la piccola Ssangyong ha trovato nuova spinta dopo l’assorbimento da parte della indiana Mahindra.
Sostanzialmente stabile la situazione dei gruppi giapponesi, che vede Toyota confermarsi nella triade ai vertici mondiali, con General Motors e Volkswagen, e la tenuta di Honda e Mazda nonostante i valori produttivi limitati.
Le vetture. – Un contesto economico globale in continuo mutamento, l’estensione progressiva dei mercati e le sempre più stringenti emergenze per quanto riguarda tutela dell’ambiente, risparmi energetici e caratteristiche della mobilità, hanno portato nell’ultimo decennio a trasformare i connotati stessi del prodotto auto, a stabilire nuovi parametri tecnici e costruttivi anche in relazione alle esigenze di un pubblico più vasto e diversificato. Totalmente rivoluzionate le antiche categorie che facevano riferimento ad architetture classiche (berlina, familiare, sportiva), con l’affermazione di modelli sempre più trasversali e non rigidamente classificabili.
Tale processo iniziato già negli anni Ottanta del secolo scorso, in particolare negli Stati Uniti e in Giappone, ha ormai decretato ovunque il successo prima delle monovolume (una sintesi di berlina, wagon e furgoncino, votate al massimo sfruttamento dello spazio), poi delle SUV (Sport Utility Vehicle) imparentate con le fuoristrada e infine delle crossover simili strutturalmente alle SUV, ma con caratteristiche di comportamento più vicine alle auto convenzionali. Si è verificato inoltre un fiorire di ulteriori ‘manipolazioni genetiche’, che hanno costretto, per restare competitivi, perfino i marchi più blasonati, vedi Porsche o Jaguar, ad abbandonare radicate tradizioni per sposare le nuove tendenze.
Quasi in contraddizione con l’allargamento a dismisura delle diverse tipologie automobilistiche, le ragioni economiche, la necessità di contenere i costi di progettazione e produttivi, a fronte della crescente complessità delle vetture, hanno imposto ai costruttori l’imperativo di rendere più razionale e omologato tutto ciò che è celato dalla carrozzeria. È diminuito così drasticamente il numero delle piattaforme delle auto, che vengono realizzate ciascuna per l’utilizzo su un numero spesso molto elevato di modelli diversi, come, per es., la MQB (Modularer Querbaukasten) del gruppo Volkswagen, tanto flessibile da adeguarsi a una familiare compatta e al tempo stesso a una sportiva di gamma alta. La trasversalità si è manifestata anche tra aziende concorrenti, per realizzare in cooperazione auto che sul mercato si confrontano l’una contro l’altra. È il caso di PSA e Toyota, che hanno creato nella Repubblica Ceca una fabbrica che realizza modelli (108, C1, Aygo) differenti soltanto in poche componenti, o di Mercedes apparentata con Renault per Smart e Twingo.
I margini di guadagno che hanno iniziato a restringersi sono stati inoltre fattore determinante per scelte di marketing che hanno convinto le case a indirizzare le proprie gamme in quantità crescente verso le fasce più elevate, e di profitto, del mercato. Ciò spiega fenomeni come quello della Mini e della Fiat 500 o la decisione di Citroën di creare ex novo il marchio DS, mentre i nuovi facoltosi clienti dell’Est europeo o dell’Asia hanno favorito il grande incremento produttivo delle vetture di lusso, dalle Audi alle Ferrari.
In controtendenza Ford, che ha deciso di rafforzare il marchio generalista tradizionale, e Renault, che con il marchio rumeno Dacia ha seguito, con ottimi risultati commerciali, la strada del low cost anche per i Paesi più maturi.
La tecnica. – Ambiente, sicurezza, risparmi energetici, connettività sono i parametri tecnici che hanno assunto nel tempo sempre maggiore importanza nella progettazione delle nuove vetture. Potenza, prestazioni, piacere di guida non sono valori passati in secondo piano, ma l’imperativo del compromesso è diventato ineludibile. Del resto, il condizionamento delle normative nazionali e internazionali è stato pressante e, in molte aree geografiche, la situazione della mobilità ha subito limitazioni profonde.
L’attenzione agli aspetti ecologici e all’abbattimento dei consumi ha determinato nei motori la riduzione del numero dei cilindri (sono tornati alla ribalta i tre e i due) e delle cilindrate, la rivalsa dell’alimentazione a benzina (con l’ausilio del turbocompressore) sul gasolio (più difficile nel controllo delle emissioni inquinanti), protagonista del decennio precedente, mentre è cresciuta costantemente la diffusione dei modelli ibridi, benzina-elettrico o diesel-elettrico, anche con il sistema plug-in, che consente la marcia solo in elettrico per poche decine di chilometri. Alcuni mercati hanno visto la diffusione di vetture a metano o a GPL (Gas di Petrolio Liquefatto, in Italia il 15% del totale), ed è ancora estremamente circoscritta la presenza delle auto soltanto elettriche (a eccezione di qualche Stato statunitense e della Scandinavia), penalizzate da scarsa autonomia e mancanza di adeguate reti infrastrutturali. L’impiego dell’idrogeno è tuttora a livello di prime sperimentazioni concrete, ma le previsioni guardano a un futuro non lontano.
Negli apparati di sicurezza i progressi sono stati notevoli nel decennio, frutto di una elettronica capace ormai di consentire all’auto di adattarsi a ogni condizione delle strade, di correggere gli errori di guida e di prevenire le distrazioni. Le vetture possono frenare e parcheggiare da sole, consentono con telecamere il monitoraggio a 360° del traffico circostante, possono adattarsi automaticamente ai percorsi e permettere di essere costantemente connessi con ogni strumento interattivo. Sono inoltre già diventati realtà prototipi futuristici che fanno a meno del guidatore, come la Google car (v. informatica, industria della), priva di volante e pedali, mentre sono quasi al limite del futuribile proposte come la Toyota FV2, che riconosce addirittura l’umore del pilota, o il sistema omni traction drive system di Honda che si manovra con lo spostamento del corpo.
Bibliografia: R. Rizzo, Guida all’auto ecologica, Milano 2010; M. Favilla, A. Agnelli, Fare l’automobile, Milano 2013; G. Barba Navaretti, G. Ottaviano, Made in Torino?, Bologna 2014; G. Giugiaro, Le strade del design, Milano 2014; A. Signoretti, Fabbriche globali, Bologna 2014; Quattroruote, L’Automobile dalla a alla z, Milano 2015; I personaggi dell’automobile, a cura di R. Boni, Rozzano 2015.