INFORMATICA, INDUSTRIA
L'i. i. comprende non solo le aziende che fabbricano calcolatori, ma tutte quelle che si dedicano alla produzione di apparecchiature e software destinati a organizzare e gestire un flusso di informazioni nel senso più ampio del termine. I programmi, i sistemi operativi, i supporti magnetici, i collegamenti via cavo o via etere, i terminali, le unità periferiche, le stampanti e più in generale tutto ciò che compone un sistema informativo sono alcuni dei prodotti tipici del settore. Per questo motivo non è possibile considerare l'i. i. come un insieme ben individuabile di imprese con un prodotto ben definito. Essa è piuttosto un complesso di attività volte a razionalizzare e rendere efficiente l'acquisizione, la registrazione, la trasmissione e la consultazione di informazioni, siano esse in forma scritta, sonora o visiva.
L'i. i. nacque subito dopo la seconda guerra mondiale, quando cominciarono a essere commercializzati i primi esemplari di calcolatori fino a quel momento utilizzati solo nei laboratori di ricerca. In molti paesi si erano sviluppate, quasi in sincronia, le conoscenze tecniche e scientifiche che avrebbero consentito la costruzione di elaboratori elettronici. Tuttavia, quando agli inizi degli anni Cinquanta si trattò di abbandonare la fase della sperimentazione e passare alla produzione su vasta scala, l'industria statunitense dimostrò di essere l'unica in grado di compiere il salto di qualità. Le imprese europee, pur con notevoli conoscenze scientifiche e applicative, non ebbero la capacità d'investire nella produzione per il mercato o non ne intuirono le potenzialità. Per es. l'Olivetti, che nel 1950 aveva messo a punto un computer a transistor ponendosi ai vertici della ricerca in questo campo, vendette la sua divisione computer alla General Electric, che successivamente la passò alla Honeywell.
Dall'inizio l'i. i. fu dominata da poche grandi aziende multinazionali con una rete di vendita ampia e capillare. Tra di esse prevaleva per dimensioni la IBM che assunse il controllo di una larga parte del mercato mondiale, che tuttora mantiene. Solo alla fine degli anni Sessanta in Europa si compresero appieno le potenzialità dell'i. i. e i governi iniziarono a operare politiche di sostegno e di protezione alle industrie nazionali e d'incentivazione agli investimenti in ricerca. Ancora nel 1965 la produzione statunitense copriva il 95% di quella mondiale per un valore di circa 4 miliardi di dollari. Con l'eccezione della Gran Bretagna, nessun paese europeo aveva un'industria nazionale, mentre in Giappone si era appena nella fase iniziale dello sviluppo.
Le aziende europee, che stentavano a raggiungere dimensioni tali da poter competere su tutta la gamma di prodotti, tendevano a concentrare gli sforzi su particolari segmenti di mercato, trovandosi spesso costrette a seguire gli sviluppi innovativi piuttosto che a guidarli.
Fino agli inizi degli anni Sessanta i modelli di calcolatore disponibili erano, salvo rarissime eccezioni, ''a carattere gestionale'' (general purpose); più tardi, a partire dal 1966, iniziò la commercializzazione delle macchine dedicate (o minicomputers), che erano state sperimentate qualche anno prima e che consentivano calcoli e applicazioni tecnico-scientifici. Questo cambiamento non riguardava soltanto il prodotto, ma coinvolgeva anche i metodi di commercializzazione, in quanto a differenza dei calcolatori gestionali, quelli dedicati, a parità di prestazioni, avevano un costo molto più contenuto, cosicché gli utenti preferivano acquistarli anziché affittarli. Già nei primi anni Settanta le consegne dei minicomputers superarono quelle dei grandi elaboratori e fino agli anni Ottanta la produzione crebbe a ritmi esponenziali (in media del 27% all'anno). Sulla scia di questo successo anche i calcolatori gestionali vennero adeguati alle esigenze della domanda con modelli più piccoli, di minor costo e maggiore facilità d'uso, tanto che al principio degli anni Ottanta ormai la differenza tra i due sistemi era difficilmente percepibile.
La diffusione della tecnologia e la tendenza dei distributori a fornire al cliente un sistema completo di tutte le unità periferiche e dei programmi, aprì prospettive anche a piccoli produttori che occuparono nicchie di mercato trascurate dai maggiori. Si ridusse così la posizione di forza dei produttori statunitensi a vantaggio di quelli europei e giapponesi; contemporaneamente si verificò una marcata tendenza alla diminuzione della concentrazione nel settore.
Il vero e proprio rivolgimento nell'i. i. mondiale, che si compie a partire dagli anni Ottanta, è in gran parte dovuto alla diffusione dei microelaboratori (o personal computers, PC) e in un certo senso rappresenta un'evoluzione molto rapida dei processi iniziati nel decennio precedente. I PC sono macchine monoutente, a volte collegate tra loro da una rete per lo scambio d'informazioni, mentre ai calcolatori più grandi (o mainframes) si può accedere attraverso più terminali.
La tecnologia dei microelaboratori fu messa a punto in Francia nei primi anni Settanta dalla R2E, ma fu negli Stati Uniti che l'innovazione venne applicata su scala industriale e registrò un impensabile successo. Dal 1980 al 1985 si passò da una vendita di 300.000 unità a 6 milioni e mezzo all'anno, con un incremento del 60% in media annua. Oggi si stima che il numero di PC installati negli Stati Uniti sia superiore ai 30 milioni.
Con l'avvento dei PC è venuta a cadere la differenza tra elaboratori mini e gestionali, e i segmenti di mercato si distinguono invece in base al prezzo di acquisto e al software usato. Per descrivere gli andamenti del mercato informatico è stata formulata l'ipotesi che la spesa si evolva con movimenti a onde: quando un prodotto diventa maturo, com'è accaduto per i calcolatori gestionali tra gli anni Sessanta e Settanta, il prodotto più avanzato che lo sostituisce attrae nuovi flussi di spesa a un tasso di crescita molto superiore a quelli registrati in precedenza. In effetti, questo processo è dovuto al continuo miglioramento del rapporto prezzo-prestazioni, espresso in dollari per Mips (milioni di istruzioni per secondo), che nel corso degli anni si è ridotto drasticamente. Nel 1975 i grandi elaboratori comportavano una spesa di 800.000 dollari/Mips, mentre tale spesa attualmente si aggira sui 25.000 dollari/Mips a prezzi correnti.
Nell'ultimo decennio i progressi tecnologici sono avvenuti in un periodo di espansione economica senza precedenti per durata e intensità, che ha stimolato forti spese per innovazioni e ristrutturazioni. Buona parte di esse si è diretta verso gli investimenti in informatica. I mutamenti tecnologici dei primi anni Ottanta e la spesa in prodotti informatici che ne è conseguita hanno provocato un vero e proprio sommovimento, tale da cambiare il volto e i rapporti di forza nell'i. informatica. La crescita esponenziale della domanda ha aperto notevoli possibilità ad aziende fortemente innovative che si sono affermate con impressionante rapidità, sfruttando appieno le tecniche di marketing più innovative e sofisticate per battere la concorrenza delle multinazionali, più lente ad adottare strategie di vendita aggressive.
Gli esempi più spesso citati sono quello della Apple Computers, avviata in un garage per iniziativa di tre giovani amici, diventata in pochi anni uno dei protagonisti della scena mondiale, e la Microsoft, una software house (casa produttrice di programmi) balzata rapidamente ai vertici della graduatoria mondiale delle imprese del settore. Ma, oltre ai casi eclatanti, attorno alle grandi aziende statunitensi si è venuta creando una costellazione di imprese medie e piccole che si sono aggiudicate posizioni rilevanti in specifici segmenti di mercato facendo uso di strategie di penetrazione aggressive.
La comparsa di questi nuovi e più agguerriti produttori ha determinato un restringimento dei margini di profitto per cui la posizione anche delle grandi aziende non è più sicura e stabilizzata come un tempo. Questo processo ha influito anche sulla ripartizione geografica della produzione, con una crescita dell'importanza oltre che dell'industria europea e giapponese, anche di quella del Sud Est asiatico con Taiwan, Singapore e Corea del Sud in prima fila.
L'internazionalizzazione dei processi produttivi ha caratterizzato gli anni Ottanta: i sistemi di elaborazione dati vengono assemblati dalle grandi aziende multinazionali con parti provenienti da fabbriche ubicate in regioni e paesi diversi. Per questo motivo la dinamica delle bilancie commerciali non è più un indicatore del successo e della penetrazione delle industrie nazionali.
In via schematica, i mutamenti più rilevanti nel settore si riferiscono:
a) a una notevole riduzione dei tassi di crescita del mercato informatico; secondo le valutazioni di analisti di mercato, la crescita mondiale del settore è progressivamente scesa dal +18% medio annuo (a prezzi correnti) della prima metà degli anni Ottanta al +14,5% della seconda metà del decennio; un ulteriore rallentamento, verso il 10÷11%, è previsto per il periodo 1990-95;
b) alla variazione del peso relativo dei tre grandi mercati mondiali; l'incidenza del mercato nordamericano sul totale del mercato mondiale delle tecnologie informatiche (naturalmente a valore) è scesa, dal 45% del 1985 al 39% del 1990, a favore di un aumento dell'importanza del mercato europeo (dal 30% al 33%) e di un andamento accentuato del mercato giapponese. Le previsioni dei principali analisti di settore confermano questa tendenza, tenuto conto che con il progressivo completamento del mercato unico e con l'apertura dei paesi dell'Est, il mercato europeo probabilmente manifesterà dinamiche evolutive più accentuate rispetto al mercato di riferimento, quello nordamericano, che in certi segmenti sta dando evidenti segnali di saturazione e maturità;
c) alla progressiva crescita del peso del software rispetto all'hardware e, nell'ambito di quest'ultimo, dei PC rispetto a mini e mainframes come conseguenza diretta dell'affermarsi dell'informatica distribuita (rispetto alla concezione ''gerarchica'' degli anni Settanta) e della conseguente nascita di mercati globali di massa (home/office). Fatto pari a 100 il valore totale del mercato mondiale dell'informatica, si registra un'incidenza percentuale del 19% dei PC, del 13 dei minicomputers, dell'8% dei mainframes, del 5% delle stampanti, del 4% dei prodotti per ufficio e del 3% dei terminali, per un peso complessivo dell'hardware del 52%. Il restante 48% è attribuibile a software e servizi. Il mercato nordamericano, a conferma di una tendenza consolidata, registra già nel 1990 il sorpasso del software (56%) sull'hardware (v. tab.);
d) all'accentuata differenziazione di mercati e applicazioni, con l'affermarsi di consistenti mercati verticali quali programmi educativi, banche e assicurazioni, pubblica amministrazione, commercio all'ingrosso, servizi telematici a livello territoriale, ecc.
Riguardo al mercato europeo, esso ha mostrato negli ultimi anni tassi di crescita superiori a quello statunitense (v. tab.). L'Europa è ancora lontana dalla saturazione: si stima che vi siano installate 34 stazioni di lavoro ogni 100 impiegati, contro 73 stazioni negli USA, e questo ha richiamato l'attenzione e l'interesse di Americani e Giapponesi.
Si è inoltre registrata una crescita sostenuta del software (+17%) rispetto all'hardware (+6,7%), con una dinamica positiva per i mainframes (+5%), una dinamica negativa per mini/server più rilevante a valore che non a quantità in relazione a un'accentuata tendenza alla riduzione dei prezzi. Le stazioni di lavoro hanno rappresentato invece il segmento più dinamico (+51% a unità), anche se il loro peso specifico rimane basso rispetto al totale del fatturato hardware. I PC, pur sempre rappresentando il segmento di mercato più consistente, hanno infine fatto registrare un rallentamento della crescita complessiva, con una maggiore dinamica per i portatili.
Per quanto concerne il mercato italiano, stimato (Nomos Ricerca) intorno ai 19.160 miliardi di lire nel 1990 (di cui 11.130 hardware e 8030 software), esso rappresenta il 3,5% del mercato mondiale e il 10% del mercato europeo; e, sempre nel 1990, cresce poco più della media europea (10,8%, rispetto a una media del 10%). Il mercato presenta una crescita a forbice dell'hardware (+5,9%) rispetto a software e servizi (+18,4%). La dinamica del mercato delle tecnologie informatiche in Italia tende sempre più a livellarsi sulla media europea, pur nel contesto di traiettorie di crescita che presentano specificità del tutto proprie anche in relazione a tendenze congiunturali particolarmente sfavorevoli per l'economia italiana nel corso del 1990. Si è infatti assistito a una dinamica mediamente negativa del segmento dei minicomputers, a un mercato dei PC con crescita meno positiva rispetto alle iniziative e a un rallentamento del segmento dei prodotti per ufficio.
Per quanto riguarda i settori economici (i cosiddetti ''mercati verticali''), l'industria compra il 32% dei prodotti e servizi informatici, seguita dal settore bancario con il 19%, dalla pubblica amministrazione con il 17%, dai servizi con il 13%, dalle società di distribuzione con il 12% e dalle assicurazioni con il 4%. A parte questi andamenti congiunturali, permane un dato di fatto, che è il ritardo strutturale del processo d'informatizzazione in Italia. Il livello d'informatizzazione della struttura produttiva e dei servizi italiani è ancora relativamente basso e ben lungi da una fase di maturità.
La spesa per l'informatica (hardware +software e servizi) in rapporto al PIL rappresenta nel 1990 per l'Italia solo l'1,4%, rispetto al 2,3% di Francia e Gran Bretagna, al 2,1% della Germania, al 2,3% del Giappone e al 2,7% degli Stati Uniti. La spesa EDP pro capite in Italia è circa un terzo di quella statunitense (231 dollari nel 1990 rispetto a 612) e molto lontana da quella tedesca e francese (rispettivamente 437 e 374 dollari). Le proporzioni non cambiano anche se si misurano le spese per informatica, per ogni addetto. Sempre per il 1990, viene inoltre stimato che in Italia vi siano 10 PC ogni 100 addetti, rispetto a un valore decisamente superiore per USA (37 su 100), Giappone (15 su 100), Germania, Francia e Gran Bretagna (13 su 100).
Con riferimento alle politiche nazionali, e in particolare alla posizione dell'Italia, il contenzioso con la CEE sugli aiuti di stato alle imprese sta avendo un impatto negativo su quelle misure che, pur in assenza di un quadro organico di settore, più contribuiscono al sostegno del settore Informatica e Telecomunicazioni, vale a dire la legge 46/82 (Fondo innovazione) e la legge 64/86 (Aree meridionali). Tutto questo nel momento in cui lo sviluppo di una politica italiana per l'informatica appare strettamente necessario, soprattutto se si bada alle iniziative adottate da altri paesi. Mentre in Francia la percentuale delle commesse pubbliche nell'informatica destinata ad aziende a controllo nazionale è del 73%, in Germania e Gran Bretagna del 45%, in Italia questa percentuale non arriva al 35%.
L'impoverimento delle risorse destinate al Fondo IMI, gli scarsi risultati ottenuti con le ricerche del Progetto Finalizzato Informatica del CNR e, più in generale, la riduzione delle risorse destinate alla Ricerca e Sviluppo in Italia (1,2% del PIL nel 1989, livello prossimo a quello di India e Senegal) sembrano invece muoversi nella direzione opposta. Quanto alle spese di Ricerca e Sviluppo nel settore, secondo stime OCSE l'Italia nel 1985 ha investito un terzo di quanto speso in Germania e Francia e otto volte meno di quanto investito in Giappone: un handicap aggravato anche dall'insufficienza delle strutture di ricerca di base e dalla carenza delle risorse, pubbliche e private, dedicate alla formazione/qualificazione del personale e allo sviluppo delle applicazioni tecnologiche avanzate. Ciò provoca limiti e ritardi nello sviluppo e nel ricambio del tessuto produttivo formato dalle imprese operanti nell'area high-tech.
La rilevanza strategica delle tecnologie informatiche è fuori discussione, a motivo del decisivo contributo che queste tecnologie, quando siano fortemente radicate nel paese, possono dare al progresso della competitività di tutti i settori produttivi, al rinnovamento del sistema infrastrutturale e dei servizi pubblici e al processo d'integrazione dell'Italia con il sistema-Europa.
Il settore dell'informatica in Italia è in una fase di profonda trasformazione e richiede da un lato una rapida ristrutturazione delle imprese che in esso operano e dall'altro, in linea con quanto sta emergendo a livello comunitario, un'attenta politica industriale e della domanda pubblica con l'obiettivo di un effettivo rilancio della competitività e profittabilità delle imprese del settore. Sembra quindi particolarmente importante che in questa delicata fase, in cui si vanno definendo gli schieramenti competitivi su scala mondiale degli anni Novanta, venga dedicata al settore una particolare attenzione, mettendo a punto un sistema articolato di interventi che servano in primo luogo da stimolo della domanda e dell'innovazione nel settore, così da non commettere errori che già nel passato hanno ritardato lo sviluppo informatico dell'Italia.
Bibl.: The structure of European industry, Studies in industrial organization, a cura di H. W. De Jong, L'Aia 1981; Organisation de Coopération et Développement Economique, Les logiciels: l'émergence d'une industrie, Parigi 1985; Italia informatica: dieci anni di mercato EDP, analisi e prospettive, a cura del Servizio studi Honeywell-ISI, Milano 1986; Commissione delle Comunità Europee, Panorama of EC Industry 1989, Bruxelles 1989; L'industria elettronica e dell'informatica in Europa, a cura di F. Onida e F. Malerba, in Previsioni dell'economia italiana, Roma, giugno 1991; ASSINFORM, Rapporto sulla situazione dell'informatica in Italia, Milano 1991.