ODDONE, Ines
ODDONE, Ines. – Nacque a Cairo Montenotte (Savona) il 5 gennaio 1874 da Vincenzo, ingegnere delle ferrovie, e da Teresa Gallo.
I suoi studi si svolsero prima a Sant’Elpidio a Mare (Ascoli Piceno) e, successivamente, a Roma, dove si era trasferita la famiglia. Diplomatasi presso la scuola normale, intraprese l’insegnamento nelle scuole elementari e assunse da subito un ruolo attivo nell’organizzazione sindacale dei maestri, venendo eletta nel 1901 nel gruppo di tre revisori che affiancarono il primo consiglio direttivo dell’Unione magistrale nazionale.
Il 30 gennaio 1904 sposò il socialista bolognese Giovanni Bitelli, anch’egli insegnante elementare e sindacalista, e andò a vivere con lui a Bologna, dove entrò a far parte della commissione esecutiva della Camera del lavoro. Entrambi si legarono al gruppo dei sindacalisti rivoluzionari, che, nello stesso 1904, si erano affermati in seno al congresso di Bologna del Partito socialista e avevano una posizione maggioritaria negli organismi direttivi di numerose camere del lavoro, tanto da assumere un ruolo di punta nello sciopero generale nazionale proclamato nel mese di settembre.
In quegli anni la struttura sindacale unitaria, rappresentativa sia degli organismi territoriali sia delle federazioni di mestiere, era il cosiddetto Segretariato della resistenza, nato nel 1902. In occasione del suo terzo congresso, che si tenne a Genova nel gennaio 1905 contemporaneamente al quinto delle camere del lavoro, Oddone, come delegata della Camera bolognese, presentò, insieme con il milanese Virginio Corradi, una mozione favorevole all’indipendenza degli organismi territoriali dalle organizzazioni di mestiere, che venne respinta.
Nel luglio 1905 fondò il periodico La donna socialista, che ebbe sede prima a Bologna e poi, dal novembre dello stesso anno, a Gallarate, dove Oddone si era stabilita con il marito che era stato nominato segretario della locale camera del lavoro, carica che mantenne fino al maggio 1909.
La donna socialista era rivolto principalmente alle lavoratrici per sollecitarle a schierarsi a fianco degli uomini nelle battaglie del lavoro e ad aderire alle leghe sindacali, con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita della famiglia operaia, della quale la donna, attraverso il ruolo di madre e di educatrice, doveva costituire il principale fattore di stabilità e di armonia. Nella rubrica fissa Un consiglio alla settimana - alle mamme, firmata «Un medico» si sollecitavano le madri ad adottare misure idonee a un corretto allevamento dei bambini (allattamento materno, sterilizzazione delle bevande e delle stoviglie) ricorrendo al parere degli esperti. Bersaglio polemico del giornale era la donna borghese, rappresentata attraverso lo stereotipo della persona vacua e oziosa, incapace di provvedere all’educazione dei figli. Con la rubrica La parola alle lavoratrici si sollecitava l’intervento delle lettrici nella convinzione che le donne dovessero contribuire in prima persona al giornale del quale erano le destinatarie. La donna socialista pubblicò scritti di Maria Rygier, Costantino Lazzari, Linda Malnati, Claudio Treves, Leda Rafanelli Polli, Olindo Guerrini, Ada Negri, Edmondo De Amicis. Redattrici e collaboratrici abituali furono Emilia Candelari, Zelinda Roveri e Annita Fontana. Sotto lo pseudonimo «La maestra», che sottoscriveva numerosi editoriali e interventi, sembra, con tutta probabilità, celarsi la stessa Oddone, il cui nome non comparve mai sul giornale se non accanto alla testata come direttrice.
Nell’editoriale Sequestro, in apertura del numero del 21 ottobre 1905, si diede conto del provvedimento censorio che aveva colpito il fascicolo del 14 ottobre precedente per aver esposto l’esercito al disprezzo del pubblico: in realtà, secondo la redazione, l’intervento censurato non intendeva gettare discredito sull’esercito ma criticarne l’impiego strumentale come «mezzo di repressione irragionevole e cieca». Nello stesso editoriale – non firmato – si dichiarava che tutti gli articoli privi di firma dovevano attribuirsi alla direttrice che se ne assumeva la completa responsabilità. Altri sequestri colpirono successivamente il giornale, accusato di svolgere propaganda antimilitarista: da tale addebito Oddone, processata dal tribunale di Bologna insieme con Nello Gamberini, gerente responsabile, fu assolta con sentenza del 10 dicembre 1906. Il 31 marzo 1906 l’amministrazione del giornale lanciò l’allarme sullo stato economico e sul rischio di un’imminente cessazione delle pubblicazioni sollecitando l’aiuto dei lettori. Il foglio chiuse con il numero 39 del 14 aprile 1906: l’epilogo veniva definito, in un ultimo appello di Annita Fontana, una vera e propria disfatta che seguiva il fallimento degli altri due giornali socialisti rivolti alle donne, Eva, diretto da Rina Melli, e Cronache femminili, fondato da Emilia Mariani.
Nel congresso che si tenne a Milano tra la fine di settembre e l’ottobre 1906, il Segretariato della Resistenza si sciolse per dare vita alla Confederazione generale del lavoro (CGdL). Oddone fece parte, con Emanuele Branconi ed Eugenio Guarino, di un comitato formato dai sindacalisti rivoluzionari con il compito di promuovere l’opposizione alle modalità con cui da parte dei riformisti si era giunti alla formazione della struttura sindacale unitaria.
Dopo la chiusura de La donna socialista, si dedicò a un’altra impresa giornalistica, voluta dalla Commissione esecutiva della Camera del lavoro, La lotta di classe, organo delle «organizzazioni proletarie gallaratesi», che iniziò le pubblicazioni il 13 agosto 1907. In esso Oddone proseguì le sue battaglie politiche e sindacali. In prima pagina compariva la rubrica La parola alle donne, che diede voce ai temi da lei prediletti: i problemi della maternità, l’antimilitarismo, il suffragio femminile, il divorzio, l’educazione sessuale. Anche questo giornale fu colpito da interventi censori: gli articoli Come si vive (11 gennaio 1908) e Regicidio (8 febbraio 1908) vennero sequestrati e Oddone fu incriminata, insieme con il responsabile Paolo Campi, per «incitamento all’odio tra le varie classi sociali» e per «apologia di regicidio» per aver giustificato, nel secondo dei due articoli, l’assassinio del re del Portogallo e di suo figlio, avvenuto il 1° febbraio precedente. Condannata, insieme con Campi, a quattro mesi di reclusione dal tribunale di Busto Arsizio, si sottrasse alla cattura rifugiandosi a Lugano, dove continuò a dirigere il giornale. Sospesa, a seguito della condanna, dalla cattedra di cui era titolare a Gallarate, ottenne un incarico di insegnamento a Bioggio, nei pressi di Lugano.
Beneficiò di amnistia il 4 febbraio 1909 e fece allora ritorno a Gallarate, dove ebbe un impiego presso il Segretariato del popolo della Camera del lavoro: proseguì anche la sua attività di insegnante organizzando durante i mesi estivi corsi gratuiti per i ragazzi bisognosi. Nell’estate del 1911 fu parte attiva in un’iniziativa di solidarietà messa in atto dalle camere del lavoro controllate dai sindacalisti rivoluzionari per sostenere le lotte degli operai del Consorzio ILVA.
Nel luglio gli operai di Piombino erano entrati in sciopero per protestare contro una riduzione di salario ai danni degli addetti ai laminatoi; il consorzio, militarizzata la fabbrica, la fece sgomberare e attuò una serrata. Anche negli stabilimenti di Portoferraio si rispose con una serrata a una protesta originata dal licenziamento di alcuni addetti agli altiforni cui avevano aderito anche gli addetti alle attività estrattive. Oddone, insieme con altre sindacaliste emiliane e romagnole, organizzò una rete di accoglienza per i figli dei lavoratori dei due impianti che vennero accolti per alcuni mesi da famiglie solidali con la lotta degli operai. Oddone e il marito ospitarono due bambine, figlie di operai piombinesi. La lotta si concluse con una sconfitta e La lotta di classe, nei numeri di dicembre 1911, dedicò ampio spazio alla fine della resistenza operaia e al ritorno a casa dei bambini.
Nel congresso che avevano tenuto a Ferrara nel luglio 1907 i sindacalisti rivoluzionari avevano deliberato di uscire dal Partito socialista e, allo stesso tempo, di aderire in massa alla CGdL. In occasione di un successivo congresso tenutosi a Bologna nel dicembre 1910, decisero di costituire, all’interno della Confederazione, un organismo di coordinamento delle loro attività, il Comitato dell’azione diretta. Tra questo e la dirigenza della CGdL si manifestarono presto acuti contrasti, che si espressero nel congresso del Comitato svoltosi a Modena nel novembre 1912, in cui Oddone si pronunciò a favore del mantenimento dell’unità sindacale contro le ipotesi scissioniste: infatti, pur criticando l’azione accentratrice della CGdL che tendeva a soffocare le lotte spontanee, presentò una mozione a sostegno dell’organizzazione unitaria dei lavoratori, che, a suo avviso, rappresentava il mezzo più efficace per condurre le battaglie sindacali e tenere viva la lotta di classe. In ogni caso, secondo Oddone, il Comitato dell’azione diretta avrebbe dovuto continuare a svolgere, all’interno della Confederazione, il ruolo di coordinamento degli organismi minoritari del sindacalismo rivoluzionario. La mozione di Alceste De Ambris che, al contrario, proponeva l’uscita dei sindacalisti rivoluzionari dalla Confederazione e la formazione di una nuova organizzazione, ottenne la maggioranza e determinò la fondazione dell’Unione sindacale Italiana alla quale Oddone e il marito Giovanni Bitelli aderirono.
Nel gennaio 1913 ottenne un incarico di insegnante nel comune di Crenna (dal 1923 frazione di Gallarate).
Morì nell’ospedale civico di Gallarate il 20 maggio 1914.
Nei giorni successivi diedero notizia della sua morte sia La lotta di classe sia i giornali socialisti nazionali. L’Avanti! sottolineò la commossa partecipazione ai funerali, in forma civile, di una gran folla di persone, delle organizzazioni operaie e socialiste di Gallarate e della zona circostante, oltre che dei rappresentanti delle istituzioni locali e della Camera del lavoro di Milano. In un breve necrologio La difesa delle lavoratrici (7 giugno 1914) ricordò la popolarità di Ines Oddone come «maestra, giornalista, oratrice» e la additò a esempio per la sua «opera di educazione civile e di redenzione sociale del proletariato».
Opere: Parole alle donne proletarie, Varese 1908; Parole alle donne, Busto Arsizio 1915; Comitato dell’azione diretta e Confederazione del lavoro, Relazione di Ines Bitelli al Congresso nazionale dell’Azione diretta in Modena, Parma 1912; V Congresso delle Camere del lavoro, III Convegno della Resistenza: Genova, 6-7-8 e 9 gennaio 1905, Milano 1905.
Fonti e Bibl.: A. De Ambris, L’unità operaia e i tradimenti confederali, Parma 1913, pp. 5-35; La morte della compagna I. O. Bitelli, in La lotta di classe, 23 maggio 1914; Imponenti funerali ad I. O. Bitelli, in Avanti!, 22 maggio 1914; I. Monti Ottolenghi, O. Bitelli, I., in Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, a cura di F. Andreucci - T. Detti, Roma 1978, IV, pp. 5 s.; A. Roveri, Bitelli, Giovanni, ibid., I, pp. 320 s.; M.P. Bigaran, Per una donna nuova. Tre giornali di propaganda socialista tra le donne, in Nuova DWF, 1982, n. 21, pp. 53-72; F. Cordova, De Ambris, Alceste, in Dizionario biografico degli Italiani, XXXIII, Roma 1987, pp. 214-222; La donna socialista. I. O. Bitelli: una donna, un giornale, a cura del Club Olympia di Bologna, Bologna 1993 (con ristampa anastatica del giornale); A. Coruzzi, Una “donna moderna”, ibid., pp. 7-18; A. Barausse, L’Unione magistrale nazionale. Dalle origini al fascismo (1901-1925), Brescia 2002, pp. 17-95; R. Brocchi, L’organizzazione di resistenza in Italia, Roma 2005, ad ind.; A. Pellegatta, I figli dei serrati: una storia di affido proletario e di solidarietà di classe da Piombino a Gallarate (1911), Milano 2006.