INFAMIA
. Infamia nel linguaggio giuridico romano si chiama quella speciale diminuzione dell'onore del cittadino, per cui chi ne è colpito incorre in alcune particolari incapacità stabilite tassativamente dalla legge. I Romani concepiscono l'existimatio sociale come uno status dignitatis inlesae, il quale può essere tolto o diminuito ex delicto nostro auctoritate legum (Dig. L, 13, de var. et extraord. cogn., 5, 1). L'existimatio cessa nel caso di perdita totale o menomazione della capacità giuridica, come avviene nel caso che una persona libera diventi schiava o subisca la relegatio in insulam; ma può subire anche una menomazione, pur restando integra nel complesso la capacità. Nelle fonti romane si parla anche di turpitudo e di ignominia: la persona colpita da infamia si qualifica anche turpis o ignominiosa; è dubbio se l'infamia sia cosa distinta dalla turpitudo, giacché, sebbene spesso infamis, turpis, ignominiosus siano qualifiche adoperate indifferentemente, in qualche passo si distingue l'infamia dalla turpitudo e dalla levis notae macula. Comunque, a parte la terminologia, occorre separare l'infamia, che è un istituto giuridico, dalla semplice turpitudo (dagl'interpreti detta infamia facti), consistente in una valutazione che si suole fare caso per caso dell'onore d'una persona con varia conseguenza giuridica: così si tien conto della condotta delle persone nella nomina di tutori o curatori, nella testimonianza, nel conferimento d'onori e cariche pubbliche, ecc. L'infamia produce conseguenze giuridiche uniformi solo nella legislazione giustinianea, che unifica e generalizza alcuni istituti classici. Il precedente legislativo più immediato, che fornì a Giustiniano l'elenco degl'infames, fu un editto del pretore, che vietava a talune persone, tassativamente elencate, di postulare pro aliis; più remoto precedente è la nota censoria (v. censore). Forse non si ricollega all'infamia l'antica intestabilitas delle XII Tavole, che importava non perdita dell'onore, ma incapacità di adibire o di essere adibito come testimone per chi si rifiutava di attestare intorno a quegli atti giuridici a cui era stato presente in qualità di teste.
Gl'interpreti distinguono l'infamia mediata dall'immediata, secondo che sia conseguenza d'una condanna, oppure derivi direttamente da un fatto. L'infamia dura per tutta la vita; può cessare per speciale indulgenza del Senato o del principe, oppure per revoca della condanna che vi abbia dato luogo. Le principali categorie d'infames sono: 1) i condannati in certe azioni penali (a. furti, doli, vi bonorum raptorum, iniuriarum), in talune azioni civili nascenti da speciali rapporti fondati sulla fides (a. tutelae, mandati, depositi, pro socio), per taluni crimina extra ordinem (calunnia, prevaricazione); 2) coloro che esercitano mestieri ritenuti turpi o spregevoli (lenones, meretrices, ecc.); 3) la vedova che contrae nuovo matrimonio prima che siano trascorsi dieci mesi dalla morte del marito (questo periodo, chiamato inesattamente anno di lutto, corrispondente alla durata massima della gestazione, era stabilito allo scopo di evitare la turbatio sanguinis); 4) la donna sorpresa in adulterio, ancorché non condannata iudicio publico; 5) chi essendo vincolato da matrimonio contrae altro matrimonio o anche sponsali; 6) il tutore che senza licenza sposa o fa sposare al figlio la pupilla, prima della resa dei conti; 7) il soldato radiato dall'esercito ignominiae causa; 8) il debitore fallito che subisce la bonorum venditio; 9) il giudice corrotto.
Effetti giuridici dell'infamia sono: a) esclusione dalle cariche pubbliche; b) perdita del diritto di postulare pro aliis nisi pro certis personis, il che importa incapacità d'esercitare un'azione popolare, d'essere rappresentante o rappresentato in giudizio; c) inpacità, in certi casi, di fare testimonianza.
Bibl.: F. Glück, Erläuterung der Pandekten, III (trad. it. e note di C. Ferrini, pp. 27-100); C. F. Savigny, System des heut. röm. Rechts, II, §§ 76-83 e app. VII, Berlino 1840 (trad. it. di V. Scialoia, II, pp. 177-234, 509-551); O. Lenel, Edictum perpetuum, 3ª ed., Lipsia 1927, pp. 77, 89, 92; A. H. J. Greenidge, Infamia, its place in Roman public and private Law, 1894; S. Perozzi, Istituzioni di dir. rom., 2ª ed., Roma 1928, I, pp. 543-545.
Diritto canonico. - Nel diritto canonico l'infamia, che è privazione o diminuzione della buona fama, si distingue in infamia di diritto e infamia di fatto. La prima è limitata ai soli casi stabiliti dal diritto stesso (nel Codex iuris canonici ve ne sono otto: cc. 2314, 2320, 2328, 2343, 2351, 2356, 2357, 2358-2359), ha carattere di pena e ha per effetto l'irregolarità a ricevere gli ordini sacri, l'inabilità a ricevere benefici e uffici ecclesiastici e l'allontanamento dall'esercizio delle funzioni sacre; cessa per dispensa della S. Sede. Nell'infamia di fatto s'incorre quando, a giudizio dell'ordinario, per delitto commesso o per cattivi costumi si perde la buona stima dei fedeli probi e prudenti; ha per effetto l'esclusione dagli ordini sacri, dai benefici e uffici ecclesiastici o dall'esercizio di essi; cessa allorché, secondo il parere dell'ordinario, s'è riacquistata la stima perduta, soprattutto se l'emendazione è durevole (cc. 2293-2295).