INFANTICIDIO (lat. cristiano infanticidium, da infans "infante" e caedo "uccido"; fr. infanticide; sp. infanticidio; ted. Kindesmord; ingl. childsmurder)
La definizione dell'infanticidio varia a seconda della legge penale dei varî paesi e delle varie epoche. In generale s'intende per infanticidio, secondo il significato etimologico delle parole, l'uccisione del neonato, fatto che poteva e può passare impunito presso quei popoli che ammettono il diritto dei genitori sulla vita e sulla morte delle proprie creature; ciò anche in relazione a primordiali concetti malthusianistici, ovvero per ragioni eugeniche, o, meglio ancora, per deficiente sentimento di maternità. Mentre l'aborto procurato è più frequente nelle città da parte di ragazze intellettualmente evolute, l'infanticidio è più frequente nei centri rurali ed è proprio di ragazze del contado, persone di servizio e simili. L'infanticidio è reato d'impeto, consumato generalmente per mezzo della soffocazione, per strozzamento, strangolamento, sotterramento, annegamento nei pozzi, nella latrina, ecc. Si hanno pure infanticidî per omissione di cure e cioè per abbandono della creatura al freddo o a morte per fame.
Storia del diritto. - In Grecia una legge consentiva agli Spartani di uccidere i bambini di conformazione difettosa: in ogni altro caso l'uccisione era punita. A Roma l'uccisione del bambino commessa dalla madre era punita di morte dalla legge Pompea de parricidiis e dalla legge Cornelia de sicariis. Il diritto del padre di uccidere il neonato rientrava nel ius vitae et necis che il paterfamilias romano aveva rispetto ai proprî filiifamilias e trovava la sua ovvia spiegazione nell'antico carattere politico della potestas del paterfamilias. È opinione erronea che Costantino abbia sancito per l'estremo esercizio della patria potestà la stessa pena che per il parricidio: soltanto a datare da Valentiniano (l. 1 Cod. Theod., IX, 14) l'uccisione del neonato è punita con la pena capitale.
Anche nell'antico diritto germanico era consentito al padre di uccidere il figlio; in epoca successiva, l'infanticidio fu sempre punito di morte. Era punito di morte nell'antico diritto francese e in Inghilterra. Negli statuti italiani non si avevano disposizioni particolari per l'uccisione d'infanti: si applicavano quindi le norme ordinarie sull'omicidio. Nel diritto canonico la pena era aggravata per l'infanticidio commesso allo scopo di disperdere la prova d'un concepimento illegittimo.
Nell'età di mezzo il rigore della repressione era accresciuto dalle disposizioni concernenti le prove legali per questo delitto: erano infatti stabilite presunzioni di colpevolezza per casi in cui risultasse essere stata celata la gravidanza o occultata la nascita, per quelli in cui il parto fosse avvenuto senza richiesta di soccorso, ovvero quando il cadaverino fosse stato segretamente interrato. Tale severità, oltreché derivata da fini di politica criminale, poggiava sul fatto che, laddove non vi è possibilità di difesa per parte della vittima, si riteneva che più energica occorresse la difesa sociale e più rigorosa la sanzione penale, e, inoltre, che nell'uccisione dell'infante fosse sempre da presumere che il colpevole avesse agito con premeditazione, perché il bambino non può giammai dar causa a omicidio d'impeto. Fu primo il Beccaria (Dei delitti e delle pene, XXXVI) che insorse contro questi eccessi, rispondenti alla valutazione dei soli elementi obiettivi di maggiore gravità, e invocò una attenuazione di pena per i casi in cui l'uccisione fosse commessa dalla madre allo scopo di nascondere il frutto d'illegittimi amori. L'impulso del Beccaria fu seguito dal codice austriaco del 1804 e, successivamente, da numerose legislazioni che previdero la causa d'onore, come ragione d'attenuazione della pena, rispetto alla madre infanticida.
Legislazione odierna. - Alcune legislazioni considerano tuttora l'infanticidio come omicidio qualificato (cod. francese, articoli 300-302); altre distinguono l'infanticidio comune, non accompagnato cioè da alcuna scusante, da quello commesso sulla prole illegittima per timore del disonore (cod. sardo, belga, portoghese, brasiliano); altre infine prevedono, con disposizione particolare, l'uccisione per causa d'onore della prole illegittima, e ogni altra uccisione di neonati comprendono nelle ipotesi comuni di omicidio.
Quest'ultimo era il sistema del codice toscano, che fu seguito dal codice penale italiano del 1889, e da quello del 1930, oggi vigente, il quale nell'art. 578 prevede, minacciando una pena notevolmente attenuata, l'omicidio d'un infante immediatamente dopo il parto, commesso per salvare l'onore proprio o di un prossimo congiunto. Per conseguenza, l'uccisione d'un infante è considerata normalmente dalla legge come un omicidio comune; solo, invece, quando venga commessa su un neonato, allo scopo di nascondere le tracce del disonore proprio o d'un prossimo congiunto, si ha una ipotesi d'omicidio scusato, a cui più propriamente si riferisce la denominazione infanticidio. Primo elemento differenziale da altre ipotesi di omicidio è la causa d'onore, intesa nel senso della necessità di evitare, mediante il celamento della nascita, la pubblica conoscenza d'un fatto lesivo della propria reputazione. L'uccisione inoltre deve avvenire nel momento stesso della nascita o immediatamente dopo. Un'ultima limitazione riguarda la persona del colpevole, giacché la legge restringe la causa d'onore entro la cerchia dei rapporti familiari, stabilendo che l'infanticidio si può commettere, oltreché dalla madre, da un prossimo congiunto.
Il codice penale 1930 prevede anche il feticidio, cioè l'uccisione d'un feto durante il parto. Pertanto si è data molta importanza alla dimostrazione della vita autonoma del neonato e della sua durata dopo la nascita (prove che, in gran parte, si desumono dall'avvenuta respirazione; v. docimasia). Un'importante modificazione, rispetto all'analoga disposizione dell'art. 369 del cod. pen. 1889, è quella di aver richiesto che l'uccisione dell'infante avvenga immediatamente dopo il parto, stabilendo così la necessità d'una successione temporale tra il parto e il delitto.
Il cod. pen. 1930 dispone, altresì, che la pena per i delitti di infanticidio o feticidio si applica anche agli estranei che abbiano concorso nel fatto, al solo scopo di favorire la madre o il prossimo congiunto di lei. Se il concorso in tali delitti sia diretto a scopi diversi da quello della difesa dell'onore, che ispira il principale colpevole, la pena è notevolmente aggravata.
Etnologia. - La legge dell'esistenza costringe talvolta il selvaggio a sopprimere i figli di tenera età, sia per provvedere all'impellente bisogno della fame (Tasmaniani, Australiani), sia per la difficoltà di allevarli. Presso alcune tribù eschimesi della Groenlandia, i bambini, in caso di morte dei genitori, vengono seppelliti con essi, non essendovi chi possa prendere cura degli orfani. La tradizione popolare spiega il fatto con la credenza che la madre, dal Killo (soggiorno dei morti), li chiami a sé.
Le consuetudini relative all'infanticidio variano da luogo a luogo e da gente a gente. In alcuni paesi è ammessa soltanto l'uccisione dei parti anormali, siano essi storpî, deformi o deboli (Eschimesi, ecc.), siano gemelli (Indiani dell'America Settentrionale, ecc.); in altri, dei nati di sesso femminile (Ottentotti, Indonesia, India); in altri, dei nati di sesso maschile (Tikopia); e in altri, poi, l'uccisione di tutti i figli, senza distinzione di sesso, lasciandone uno solo in vita; ovvero l'uccisione di uno, che ordinariamente è il primogenito, per ragioni superstiziose (offerta ai genî invisibili, in Australia). Nelle isole Hawaii non si sottraevano alla morte, in ogni famiglia, più di due o tre figli. A Tahiti l'associazione degli Areoi aveva eretto l'infanticidio a istituzione obbligatoria, salvo eccezioni, per le quali venivano risparmiati i primogeniti dei capi. Il diritto di vita o di morte sui neonati spetta, in generale, al titolare della patria potestà, il quale rileva la creatura dal suolo, nel caso voglia salvarla (Tupi del Brasile, isolani delle Figi).
Si è voluto da alcuni etnologi mettere l'infanticidio in relazione con la poligamia e la poliandria, o meglio questa in rapporto con la soppressione delle bambine (Himālaya) e quella in rapporto con la soppressione dei bambini (Tikopia); ma E. Westermarck ha dimostrato lo scarso fondamento della teoria, giacché l'infanticidio è un fatto dovuto in parte a necessità di esistenza e in parte a ragioni superstiziose.
Bibl.: F. Carrara, Programma del corso di dir. crim., Parte spec., 10ª ed., Firenze 1926; G. B. Impallomeni, L'omicidio, 2ª ed., Torino 1900; B. Alimena, Delitti contro la persona, Milano 1908; V. Manzini, Trattato di diritto penale, VII, Torino 1919; E. Pessina, Elementi di diritto penale, II, Napoli 1882 segg. - Per l'etnologia, v. C. Letourneau, La sociologie d'après l'ethnographie, 3ª ed., Parigi 1892; A. E. Post, Giurisprudenza etnologica, trad. ital. di P. Bonfante e C. Longo, II, Milano 1908; E. Westermarck, The history of human marriage, 5ª ed., Londra 1926; B. Malinowski, La vie sexuelle des sauvages du N. O. de la Mélanésie, Parigi 1930.