infanzia
La prima tappa della vita dell'uomo
L'infanzia è forse il periodo più ricco e denso di tutta l'esistenza umana. È in questo primo stadio della vita che si sviluppano le capacità affettive e cognitive e vengono apprese le norme e i modelli di comportamento necessari all'inserimento nella società. Tuttavia, la consapevolezza della specificità dell'infanzia è relativamente recente. Anche nel passato i bambini erano oggetto di cura e attenzione: le testimonianze del mondo greco e romano sono numerose e persino in epoca preistorica si costruivano giocattoli. È nel Novecento, però, che l'infanzia acquista una nuova centralità, con il riconoscimento che il bambino, oltre a essere titolare dei diritti universali propri di ogni essere umano, ha bisogni e interessi specifici cui va garantita una tutela particolare
Dal ciò che non è al ciò che è. Il termine infanzia deriva da infans, che in latino significa "che non sa parlare": e per lungo tempo il bambino è stato considerato più per quello che (ancora) non è e non sa fare anziché per quello che è e che sa fare. Progressivamente, però, la pedagogia e successivamente la psicologia hanno scoperto molte caratteristiche del modo in cui il bambino vede ed elabora la realtà.
Dal piacere alla realtà. Fu il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, a mettere in luce che la vita psichica del bambino è tutt'altro che elementare: sin dalle primissime fasi l'esistenza del bambino è ricca di drammi e di forti emozioni, di esperienze affettive che condizioneranno profondamente tutta la sua vita successiva. Lo sviluppo psichico dell'individuo, secondo Freud, comporta un passaggio dal dominio dell'Es (la parte inconscia che costituisce la sede degli istinti e delle pulsioni fondamentali) allo sviluppo dell'Io (la parte della coscienza che governa la percezione, la memoria, il linguaggio, e così via) e infine del Super-Io, in parte conscio e in parte inconscio, ma comunque costituito da quell'insieme di norme e valori appresi attraverso la socializzazione, soprattutto per opera della famiglia, che guidano il nostro comportamento. Nell'infanzia questa evoluzione comporta un passaggio dal dominio incontrollato del principio di piacere (dalla nascita ai 2 anni circa) alla graduale affermazione del principio di realtà (dai 3 ai 6 anni circa).
La sessualità infantile. Un'altra scoperta rivoluzionaria ‒ e all'epoca scandalosa ‒ di Freud fu che il bambino non è un angioletto asessuato, ma possiede una peculiare forma di sessualità. La sessualità infantile è legata alle funzioni vitali del corpo ed è dominata nelle varie fasi dello sviluppo da una particolare zona erogena, cioè fonte di piacere erotico: nella fase orale (dalla nascita ai 18 mesi circa) le sensazioni di piacere sono concentrate nella bocca, sulle funzioni di succhiare e inghiottire.
Nella fase successiva, quella sadico-anale, la zona erogena è la mucosa anale; il piccolo prova piacere a trattenere e lasciare andare le feci, e il prodotto del suo corpo non lo disgusta, anzi lo interessa enormemente. Nella fase fallico-edipica, che va dai 3 ai 5 anni, la zona erogena è costituita dagli organi sessuali, che però sono ancora immaturi; il bambino manifesta una grande curiosità per le differenze anatomiche tra maschio e femmina. Come conseguenza di questa curiosità si ha una specie di innamoramento per il genitore di sesso opposto e una forte rivalità per quello dello stesso sesso. Infine vi è la fase di latenza, che dura sino alla pubertà, caratterizzata da una stasi delle pulsioni sessuali e da una prevalenza degli interessi sociali. Freud stesso si rese conto che la sua teoria si basava principalmente sull'analisi degli adulti. Dalla consapevolezza di questo limite si sviluppò in seguito la psicoanalisi infantile, basata sull'osservazione diretta dei bambini.
Nell'infanzia, oltre allo sviluppo affettivo studiato da Freud e dalle varie scuole psicoanalitiche successive, avviene anche lo sviluppo dell'intelligenza e delle facoltà cognitive: percezione, linguaggio, pensiero. A questo percorso evolutivo ha dedicato la sua attenzione lo psicologo e filosofo svizzero Jean Piaget. Alla base della sua teoria vi è l'idea che l'intelligenza sia la più evoluta forma di adattamento all'ambiente. Partendo dal presupposto che lo sviluppo dell'individuo ricalchi quello della specie, Piaget cerca di ricostruire l'evoluzione dell'intelligenza dalla nascita alla maturità attraverso una complessa successione di stadi.
Appena nato il bambino vive in una sorta di completa fusione con l'ambiente: per esempio, percepisce la copertina della culla o il seno materno come un prolungamento del proprio corpo. Progressivamente acquista la consapevolezza di essere nel mondo come individuo separato dagli altri, impara la distinzione tra soggetto e oggetto, tra sé stesso e la realtà fisica e sociale. Attraverso l'apprendimento del linguaggio, poi, scopre la possibilità di usare simboli, ossia 'qualcosa al posto di qualcos'altro'. È questa la fase importantissima del gioco simbolico, del 'giocare a', del 'far finta di': un bastone di scopa può essere usato come un cavallo, uno scatolone diventa una carrozza.
Tra i 4 e i 6 anni si sviluppa il pensiero intuitivo, che ha caratteristiche molto simili a quello dell'uomo 'primitivo': l'animismo, cioè la convinzione che tutti gli oggetti sono vivi; il finalismo, ossia l'idea che tutti gli oggetti, compresi quelli della natura, 'servono a qualcosa'; l'antropomorfismo, cioè la convinzione che tutto ciò che esiste è stato costruito dagli uomini o da un 'Dio' concepito come un uomo 'più grande e potente'; il realismo, vale a dire la convinzione che anche i prodotti della mente sono reali e concreti (per esempio, che il pensiero sta nella bocca ed è confuso con le parole oppure che i sogni sono nella stanza e sono visibili come un film).
Tra i 7 e gli 11 anni si sviluppa poi il pensiero operativo, basato dapprima su dati concreti e immagini mentali e successivamente, dagli 11 anni in poi, su operazioni logico-matematiche e concetti astratti.
Nonostante Freud e Piaget avessero rilevato le sorprendenti capacità del bambino di interagire con l'ambiente esterno, per lungo tempo è perdurata la convinzione che il neonato fosse un essere inerte e passivo, quasi cieco e sordo, bisognoso solo di cibo: una specie di 'tubo digerente'. Lo stesso Freud aveva affermato che l'attaccamento del bambino a un oggetto privilegiato avviene perché questo soddisfa il suo bisogno primario di nutrimento, e dato che è in genere la madre a farlo, ella diventa la principale figura di riferimento del bambino. Tuttavia gli psicologi successivi hanno scoperto che il legame affettivo, l'attaccamento a un oggetto d'amore privilegiato è un bisogno primario, e che il piccolo può sviluppare legami anche molto intensi con figure diverse da quella materna. Per esempio, negli anni Cinquanta lo psicologo francese René Spitz si accorse che negli orfanatrofi i neonati cadevano in uno stato di grave depressione sino ad ammalarsi gravemente e a morire, anche se erano nutriti adeguatamente. Ciò perché venivano lasciati sempre nella culla, senza che nessuno si occupasse di loro, e il latte veniva somministrato da un biberon appeso a una funicella abbassata a intervalli regolari.
Altre conferme provenivano dall'etologia, lo studio comparato del comportamento nelle diverse specie animali, uomo compreso. In un esperimento condotto alla fine degli anni Cinquanta alcune scimmiette erano state separate dalla madre e chiuse in una gabbia con due figure di sostituti materni, una di peluche calda e morbida che però non dava cibo, l'altra di fil di ferro con attaccato un biberon pieno di latte. Le scimmiette imparavano presto ad andare dalla mamma di fil di ferro quando avevano fame, ma preferivano il contatto di quella di peluche, e correvano a rifugiarsi da lei quando qualcosa le spaventava. Tutto ciò contribuiva a dimostrare che negli animali come negli uomini il bisogno di contatto, di instaurare un legame affettivo è primario e indipendente da bisogni fisiologici come la fame.
Le importanti trasformazioni sociali, economiche e culturali degli ultimi secoli hanno cambiato il modo in cui viene vissuta l'infanzia. Di rilievo sono stati i mutamenti nella struttura della famiglia, il contesto primario in cui il bambino cresce e si sviluppa. Molte funzioni educative svolte in passato dalla famiglia sono affidate oggi a istituzioni specializzate che, soprattutto con l'ingresso delle donne nel mondo del lavoro, intervengono in fasi sempre più precoci dell'infanzia (asili nido, scuole dell'infanzia).
Inoltre, a seguito del calo della natalità nei paesi industrializzati, il bambino ha acquistato un nuovo 'valore sociale', diventando in misura crescente un bene raro e prezioso, sulla cui educazione si investono più denaro ed energie. Tutto ciò, unito alla diffusione di nuove forme di intrattenimento per l'infanzia (videocassette, DVD, videogiochi, play station, simulatori e così via) ha cambiato il rapporto tra genitori e figli, ma anche l'universo in cui avviene lo sviluppo del bambino.
Si osserva spesso che i bambini di oggi sono letteralmente 'bombardati' da stimoli. Siamo convinti che comprendano più cose di quelli delle generazioni passate perché apprendono molte nozioni, ma non possiamo stabilire quale sia il reale livello di comprensione. Non sempre, infatti, viene dato loro il tempo per elaborare le informazioni ricevute e mettere in atto i necessari processi di adattamento. I genitori, afflitti dai sensi di colpa per il tempo sempre più scarso trascorso con i figli o vittime della mentalità competitiva dominante, spesso si affannano a riempire le giornate del bambino con attività finalizzate a qualcosa.
L'idea che 'si impara giocando' induce i genitori a programmare anche lo spazio di gioco, che diventa dunque sempre più finalizzato all'apprendimento e spogliato del suo carattere di libertà. Questo è anche un modo con cui gli adulti evitano attività impegnative come quella di riflettere e soprattutto quella di ascoltare. Assumendo come ideale di genitore la figura di un adulto che fa e progetta, non sono capaci di fermarsi per osservare e capire i bambini, spesso condannandoli in questo modo a una nuova solitudine.
In passato nel mondo occidentale l'infanzia finiva piuttosto presto. Come ha messo in luce lo storico francese Philippe Ariès, nel Medioevo a 7 anni i bambini erano pienamente inseriti nel mondo degli adulti, abbandonavano la famiglia d'origine e 'andavano a servizio' presso altre famiglie come garzoni o come domestici. È con la rivoluzione industriale, però, che inizia lo sfruttamento disumano e indiscriminato del lavoro minorile: i bambini, come le donne, offrivano una manodopera a bassissimo costo e la loro debolezza ne garantiva la docilità. Proprio nell'Ottocento, quando cresce l'attenzione degli studiosi per l'infanzia e si moltiplicano le scoperte nel campo della pedagogia e della psicologia, i bambini sono sottoposti a trattamenti particolarmente brutali e disumani da parte degli adulti.
Sotto la spinta dei riformatori sociali, all'inizio dell'Ottocento, vengono emanati in Gran Bretagna i primi provvedimenti e le prime leggi per regolamentare, anche se non abolire, il lavoro minorile; l'esempio verrà seguito dalla Germania, dal Belgio e dall'Italia nella seconda metà del secolo. Una legge approvata in Inghilterra nel 1833 ridusse a 8 ore la giornata lavorativa dei bambini al di sotto dei 13 anni, vietò il lavoro dei bambini con meno di 9 anni e introdusse l'obbligo dell'istruzione.
Solo nel Novecento, comunque, si affermò l'idea del bambino come persona che gode a pieno titolo dei diritti universali riconosciuti a tutti gli esseri umani e che per la sua particolare condizione di debolezza sociale necessita di una tutela specifica. Il primo passo è stata la Dichiarazione dei diritti del bambino, formulata nel 1924 dalla Lega delle nazioni, documento in cui si afferma che il bambino ha diritto a un sano sviluppo psicofisico, a non subire discriminazioni, a ricevere assistenza e protezione da parte dello Stato. Gli stessi principi furono ribaditi in una nuova Dichiarazione dei diritti del bambino approvata nel 1959.
Con la Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni unite nel 1989 e ratificata da 190 paesi, si arriva a una tutela piena e completa dell'infanzia. La Convenzione non si limita a proclamare principi generali, ma impegna gli Stati firmatari a rendere effettivi i diritti e le libertà riconosciuti ai bambini.
Gli etologi hanno notato che nelle specie animali esistono segnali che scatenano l'aggressione e altri che la inibiscono. Tra questi ultimi vi sono i tratti somatici e gli atteggiamenti infantili: la testa voluminosa, la figura tondeggiante, le guance paffute, gli occhi grandi risultano accattivanti e bloccano l'aggressività. Tra gli uccelli che covano e tra i mammiferi, un adulto può 'disarmare' un altro assumendo comportamenti infantili: per esempio un uccello può mendicare il cibo; i lupi si sottomettono al vincitore stendendosi sul dorso e urinando, mettendosi cioè nelle condizioni in cui il cucciolo si mostra alla madre perché lo pulisca. In situazione di paura anche l'uomo spesso tende ad assumere atteggiamenti infantili. È questa forse una delle ragioni per cui la violenza contro i bambini ci appare un atto 'contro natura' e suscita una particolare ripugnanza.
Purtroppo, proprio perché sono deboli e indifesi, i bambini sono da sempre vittime privilegiate di violenze, sfruttamento, abusi di ogni tipo. Le statistiche e i dati, per quanto incompleti, offrono un quadro spaventoso. Soprattutto nel Terzo Mondo e nei paesi in via di sviluppo si contano a milioni i bambini stroncati dall'AIDS e dalla fame, costretti alla prostituzione, ridotti in schiavitù, venduti per il trapianto di organi; bambini costretti a lavori disumani e massacranti, che non andranno mai a scuola, che si aggirano per le strade inalando colla, un micidiale surrogato 'povero' della droga, per dimenticare la miseria quotidiana e la fame. Ma abusi sessuali, discriminazioni, incuria, violenze psicologiche dirette e indirette sono una triste realtà anche nei paesi cosiddetti avanzati, tra gli strati sociali più disagiati ma anche in insospettabili famiglie benestanti, persino nelle scuole. I bambini sono ancora ben lontani dall'aver acquisito i sacrosanti diritti sanciti dalle solenni dichiarazioni di organismi internazionali.
Il processo di sviluppo e di crescita psicologica del bambino comporta un progressivo distacco sia dal mondo esterno sia dalla figura materna, l'oggetto di attaccamento primario, e questa separazione produce un senso di solitudine. Per superarlo, il bambino spesso si serve di un oggetto - una coperta, un giocattolo, un fazzolettino - che rappresenta e ricorda la fusione con la madre e a cui si attacca nei momenti critici. È la famosa 'coperta di Linus' - il bimbo delle strisce a fumetti Peanuts (Charlie Brown), inseparabile appunto dalla sua coperta - che gli psicologi chiamano oggetto transizionale. Gli oggetti transizionali devono avere caratteristiche ben precise: sono insostituibili (nessun altro oggetto, anche se identico, sarà accettato dal bambino) e sono in genere sporchi e maleodoranti, a volte rotti e sciupati. Per il bambino un orsetto di pezza maneggiato e carezzato a lungo e impregnato di sostanze piacevoli, un fazzoletto amorosamente succhiato per settimane perdono ogni valore dopo essere stati lavati. Gli odori, i sapori, le sensazioni tattili che tali oggetti procurano hanno a che fare con il mondo dei primissimi rapporti con la madre e con lo stato di fusione con lei che il bambino ha sperimentato nei primi mesi di vita. Il fatto che un bambino possegga una sua 'coperta di Linus' è un segno positivo, perché indica uno sforzo per raggiungere quell'autonomia che gli permette di sentirsi solo senza eccessiva angoscia e di conquistare uno spazio mentale in cui sviluppare il pensiero.