INFERNO
Secondo la concezione cristiana l'i. costituisce il luogo di pena per le anime dei peccatori, consistente sia nella privazione della visione di Dio sia in tormenti morali e materiali.Il cristianesimo medievale ereditò dal Nuovo Testamento (in particolare Mt. 25 e Ap. 20) la prospettiva del castigo eterno nell'aldilà per i non battezzati e per i cristiani morti in stato di peccato mortale. Questa nozione si affermò non senza difficoltà e s. Agostino dovette dedicare il libro XXI del De civitate Dei alla difesa del concetto dell'eternità delle pene infernali. Chiaramente stabilito questo punto, la dottrina dell'i. rimase stabile nel corso del Medioevo, tranne per quel che concerne la sorte delle anime prima del Giudizio universale, oggetto di una divergenza tra i greci e i latini, dal momento che l'evoluzione teologica di questi ultimi, avviata alla fine del sec. 12° e confermata nel secondo concilio di Lione del 1274, condusse ad ammettere l'accesso immediato delle anime al paradiso supremo o nel fuoco materiale dell'inferno. Per il resto, i teologi erano unanimi nel distinguere due tipi di pena: la privazione di Dio era la principale, mentre la pena dei sensi veniva evocata attraverso il fuoco, cui si possono aggiungere i vermi, il freddo e le tenebre. I chierici riconoscevano in qualche caso una maggiore varietà - nove pene infernali sono elencate nell'Elucidarium (III, 14; PL, CLXX, coll. 1166-1168) di Onorio Augustodunense -, soprattutto nella predicazione che, attraverso gli exempla, comprendeva talvolta il racconto di visioni dell'aldilà, genere assai più propizio alla descrizione dettagliata dei supplizi (Baschet, 1993). Sotto forme diverse, l'elemento essenziale era la progressiva affermazione nella società medievale della concezione di un aldilà caratterizzato dall'esistenza di una ricompensa e di un castigo eterni, che si impose come prospettiva determinante per regolare la vita terrena.L'iconografia testimonia che il tema dell'i. si affermò con lentezza; esso non sembra sia stato rappresentato prima del sec. 9° e fino all'11° apparve solo in maniera assai sporadica. Questa cronologia è strettamente legata a quella dell'affermarsi della raffigurazione del Giudizio universale (v.). Nell'avorio con il Giudizio universale (Londra, Vict. and Alb. Mus.), la cui datazione intorno all'800, pur se generalmente accettata, resta incerta al pari della provenienza, l'i. è rappresentato come una testa che inghiotte i dannati, associata a un'architettura (Brenk, 1966, pp. 118-120). Intorno all'820-840 l'i. appare raffigurato ripetutamente nel Salterio di Utrecht, generalmente in forma di mostro, la cui testa emerge da un gorgo (Utrecht, Bibl. der Rijksuniv., 32, cc. 1v, 9r, 14v, 53v), così come nel Salterio di Stoccarda, dove invece assume la forma di un'architettura in fiamme (Stoccarda, Württembergische Landesbibl., Bibl. fol. 23, cc. 25r, 38r). Esso compare anche in un manoscritto italo-bizantino del sec. 9° (Parigi, BN, gr. 923, c. 68v) e, un po' più tardi, nei primi esempi monumentali di Giudizio universale nell'area bizantina, in particolare nella chiesa macedone di S. Stefano a Kastoria, in Grecia (sec. 9°-10°), e a Göreme, in Cappadocia, nella prima metà del sec. 10° (Christe, 1989).Il vero sviluppo della rappresentazione dell'i. può essere collocato intorno all'anno Mille; si osserva infatti all'epoca una diversificazione dei temi iconografici all'interno dei quali esso poteva apparire inserito. Il Giudizio universale continuò a essere un contesto privilegiato, che conferiva all'i. il suo pieno significato come luogo definitivo di castigo dei dannati risuscitati. L'i. non compariva comunque necessariamente nella rappresentazione del Giudizio universale, dato che la dimensione parusiaca della scena predominava spesso su quella propriamente giudiziaria (Christe, 1969). La condanna dell'umanità peccatrice poteva essere rappresentata dalla raffigurazione del corteo dei dannati che si allontanano da Cristo; il loro triste destino poteva essere suggerito da atteggiamenti di profondo sconforto, da posture scomode, dalla presenza di diavoli o di elementi ctoni, mentre, in qualche caso, il motivo della porta dell'i. segnalava il loro luogo di destinazione, senza tuttavia renderne sensibile la natura (timpano della cattedrale, od. Vieux Saint-Vincent, di Mâcon, dip. Saône-et-Loire). Anche la presenza sempre più frequente dell'i. - e la sua importanza relativa - all'interno della figurazione del Giudizio universale è un indice significativo del suo sviluppo, anche perché questo fattore si cumula con il fenomeno dell'affermarsi dello stesso Giudizio universale (Baschet, 1993). Nell'arte romanica l'i. compariva, in tale contesto, ancora poco di frequente, sebbene in varianti talvolta assai evolute, come nel portale del Saint-Lazare ad Autun (dip. Saône-et-Loire), datato intorno al 1130-1135, e in quello del Saint-Trophime ad Arles (dip. Bouches-du-Rhône), della fine del 12° secolo. Se l'epoca gotica sembra spesso comprimere la rappresentazione dei castighi, il considerevole sviluppo del Giudizio universale assicurò allora una massiccia diffusione delle immagini dell'i., in particolare nei portali e nelle vetrate delle grandi cattedrali della Francia settentrionale.Fra gli altri temi che potevano comprendere rappresentazioni dell'i. occorre menzionare la Caduta degli angeli, a partire dagli inizi del sec. 11° (v. Diavolo), e gli ultimi episodi dell'Apocalisse (v.), che lasciavano spazio all'i., in particolare nei primi manoscritti dei Commentari all'Apocalisse di Beato di Liébana (Gerona, Mus. de la Catedral, Arx. i Bibl., 7, c. 17v, del 975; Madrid, Bibl. Nac., Vit. 14-2, c. 187r, del 1047; Londra, BL, Add. Ms 11695, c. 2r, del 1100 ca.; Schapiro, 1939). La parabola di Lazzaro e del ricco Epulone, altra attestazione neotestamentaria del castigo post mortem (Lc. 16, 19-31), giocò un ruolo particolarmente importante soprattutto nei secc. 11° e 12°, allorché il Giudizio universale non comprendeva ancora che rare rappresentazioni dell'inferno. Con un secolo di ritardo rispetto al mondo bizantino (Gregorio Nazianzeno, Omelie; Parigi, BN, gr. 510, c. 149r, dell'880 ca.), la parabola comparve in Occidente nella miniatura ottoniana (Evangeliario di Lotario, Aquisgrana, Domschatzkammer, c. 364v, intorno al 990; Codex Aureus Epternacensis, Norimberga, Germanisches Nationalmus., 156142, c. 78r, del 1020-1040). Essa costituiva spesso l'occasione per raffigurare estesamente le sorti dei dannati, al di là del caso individuale riportato dalla narrazione evangelica, come accade nel portale di Saint-Pierre a Moissac (dip. Tarn-et-Garonne), del 1120-1125. Al di fuori del contesto della parabola, l'evocazione della sorte delle anime dannate, in rapporto con il giudizio individuale e non con il Giudizio universale, rimane rara prima della fine del Medioevo: un esempio è rappresentato dal dipinto murale di Chaldon, degli inizi del sec. 13°, dove l'i. è eccezionalmente sviluppato (Baschet, in corso di stampa).Infine, la discesa di Cristo al limbo non riguarda strettamente l'i. (v. Anastasi) e anzi, a partire dal sec. 12°, il limbo dei patriarchi venne concepito come luogo specifico ben separato dall'i.; tuttavia, è frequente vedere il Cristo tirare a sé i giusti dell'Antico Testamento estraendoli da una gola animale che in nulla si distingue dalla raffigurazione corrente dell'inferno. In altri casi la rappresentazione beneficiava di una estensione tematica che permetteva di contrapporre la liberazione dei giusti alla segregazione eterna dei dannati, come per es. nei dipinti murali della parrocchiale di Saint-Jacques-des-Guérets (dip. Loir-et-Cher), della seconda metà del sec. 12°, e nella Bibbia di Holkham Hall (Londra, BL, Add. Ms 47682, c. 34r; v. Apocrifi).Nell'iconografia dei secc. 11°-13° possono essere distinti diversi tipi di rappresentazioni dell'inferno. Nel mondo bizantino due elementi, spesso associati, caratterizzavano la rappresentazione infernale, in particolare in opere quali il dipinto murale della Panaghia ton Chalkeon a Salonicco, del 1028, l'evangeliario conservato a Parigi (BN, gr. 74, cc. 51v, 93v), del sec. 11°, l'avorio di Londra (Vict. and Alb. Mus.), il mosaico della cattedrale di Torcello, della fine del sec. 11°, l'affresco in S. Maria del Casale a Brindisi, risalente agli inizi del Trecento. Tali elementi sono, da una parte, il fiume di fuoco scorrente dalla mandorla del Cristo-giudice, che si allargava intorno a Satana in un'ampia zona ove bruciano i dannati, dall'altra, un insieme di caselle o di alveoli, generalmente nel numero di tre o di sei, che evocavano le diverse pene dei dannati (fuoco, tenebre, acqua, lezzo, vermi, ecc.) e ricordavano, attraverso la presenza di crani, che la vera morte è la dannazione, senza che fosse necessario raffigurare i castighi corrispondenti ai diversi peccati capitali (Baschet, 1993).Nel mondo occidentale la gola dell'i. giocò un ruolo determinante, mentre rimase sconosciuta in area bizantina e in Italia apparve in maniera limitata a partire dalla fine del 13° secolo. La descrizione del Leviatano (Gb. 40,25-41,26), spesso ritenuta la fonte del motivo iconografico, deve piuttosto essere considerata come la sua principale giustificazione a posteriori (Baschet, 1993, pp. 236-241). Probabilmente di origine anglosassone, la gola dell'i. appare accennata nelle opere già citate dei secc. 9° e 10°, ma è nei manoscritti insulari degli inizi del sec. 11° che essa acquisì la sua vera dimensione animale e divorante (Genesi di Caedmon, Oxford, Bodl. Lib., Junius 11, cc. 3r, 16r, del 1000 ca.; Liber vitae, Londra, BL, Stowe 944, c. 17r, del 1020 ca.; Salterio di Londra, BL, Cott. Tib. C. IV, c. 14r, del 1050 ca.). Il suo impiego si generalizzò nel sec. 12° nelle aree francese, tedesca e iberica. Se la gola era in qualche caso l'entrata che conduceva al mondo infernale, come nei timpani dell'abbaziale di Sainte-Foy a Conques (dip. Aveyron) e di Notre-Dame a Parigi, essa costituiva più spesso una rappresentazione sintetica che caratterizzava l'i. come potenza animale e mostruosa, facendo della dannazione una divorazione. È questo il significato che sottolineano l'apertura della gola, le sue mascelle e le sue zanne affilate, per es. nel fregio della facciata della cattedrale di Lincoln (Lincolnshire) e nella Bibbia di Pamplona (Amiens, Bibl. Mun., 108c, c. 254v, del 1197), così come sui capitelli del chiostro del monastero spagnolo di Santa Maria a Ripoll (prov. Gerona) o in quelli provenienti da Saint-Guilhelm-leDésert (dip. Hérault), conservati a New York (Metropolitan Mus. of Art, The Cloisters). Altri elementi - come la criniera, le pieghe che contornano la gola, le fiamme e i serpenti che ne fuoriescono - accentuavano l'agitazione e la potenza ostile del mostro, mentre il suo sguardo gli attribuiva in qualche caso una temibile forza di fascinazione. L'effetto poteva essere rafforzato dall'associazione di due o più gole intrecciate, come nel Salterio di Enrico di Blois (Londra, BL, Cott. Nero C.IV, c. 39r, del 1150 ca.; Le Don, 1979) o nelle apocalissi anglonormanne dei secc. 13°-14° (Parigi, BN, fr. 403, c. 40r; New York, Metropolitan Mus. of Art, The Cloisters, 68.174, cc. 9r, 35r, 35v). Altri motivi potevano essere associati alla gola: elementi architettonici (per es. nel timpano del Saint-Lazare ad Autun) o, più spesso, una grande pentola che si colloca tra le zanne del mostro, facendo eco a Gb. 41, 6, come nel Giudizio universale della facciata della cattedrale di Saint-Etienne a Bourges (dip. Cher). Altri tormenti completavano talvolta, sebbene raramente, l'immagine dell'i.: la ruota dentata (Parigi, BN, nouv. acq. lat. 2290, c. 160r; dipinti murali del Saint-Julien a Poncé-sur-le-Loir, del 1180 ca., e di Asnières-sur-Vègre, dip. Sarthe, risalenti alla fine del sec. 13°; v. Beato di Liébana) e, ancora più raramente, l'impiccagione o l'impalatura. Anche se spesso si possono distinguere tra le figure sovrani incoronati, prelati con mitra, avari che portano una borsa al collo, lussuriosi attaccati da serpenti e, in qualche caso, Giuda, queste rappresentazioni sono soprattutto caratterizzate dall'affollarsi disordinato dei corpi e dall'agitazione dei demoni e dei rettili infernali.Esistono poi opere occidentali nelle quali la rappresentazione dell'i. non appare basata sul motivo della gola e che sono vicine piuttosto all'iconografia orientale, senza peraltro essere legate a una influenza bizantina diretta. In particolare nelle aree tedesca e italiana l'i. era frequentemente raffigurato come una zona di fuoco (senza fiume infuocato che lo collegasse al Giudice), spesso bordato da rocce o delimitato da un motivo geometrico, come nel Libro delle Pericopi di Enrico II (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4452, c. 202v), nelle Pericopi di Brema (Staats- und Universitätsbibl., B. 21, c. 77r, del 1040 ca.), nei dipinti murali del St. Michael a Burgfelden (Baden-Württemberg, del 1070 ca.), di S. Michele a Oleggio (prov. Novara) e di Sant'Angelo in Formis (prov. Caserta, della fine del sec. 11°). Questa zona della composizione era basata soprattutto sulla presenza, al centro, di Satana in trono o incatenato a una colonna, attorno al quale gravitano i dannati. La raffigurazione dell'i. poteva in qualche caso avere una estensione notevole, allorché la struttura rocciosa era suddivisa in più registri (The Hortus Deliciarum, 1979, c. 255r) o quando si dilatava per far posto a supplizi sempre più diversificati, come per es. nel mosaico del battistero di Firenze (1270 ca.) e nell'affresco di Giotto nella cappella degli Scrovegni a Padova (1305 ca.).Tra le rappresentazioni eccezionalmente sviluppate nei secc. 12° e 13° due salteri inglesi (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 835, c. 30v, del 1200-1210; Cambridge, Trinity College, B.11.4, c. 5v, del 1220-1230) accordano all'i. una piena pagina suddivisa in dodici scomparti: all'interno di un gioco ritmico assai elaborato, alle pene più frequenti (fuoco, tenebre, serpenti) si trovano associati alcuni supplizi più specifici (impiccagione, supplizio di Tantalo), senza che si tratti tuttavia di fondare la rappresentazione su di una classificazione penale rigorosa. Il timpano della Sainte-Foy a Conques appare come un'eccezione particolarmente rilevante, soprattutto in ragione della doppia strutturazione della regione infernale, da una parte secondo una logica morale (almeno sei dei sette peccati capitali), dall'altra secondo una classificazione sociale (re e feudatari, chierici, artigiani; Bonne, 1985).Senza giungere a un grado di organizzazione tanto rigoroso, gli esempi spagnoli di Giudizio universale accordavano spesso all'i. un'importanza più considerevole che non quelli del resto dell'Occidente, diversificando inoltre largamente i supplizi, in particolare nei portali delle chiese navarresi di Santa María la Real a Sangüesa e, soprattutto, di Santa María a Tudela (Mariño, 1989), quindi, ancora nel sec. 13°, in Santa María la Mayor a Toro (prov. Zamora) e nella cattedrale di León (o Santa María de la Regla).Alla fine del Medioevo lo sviluppo della raffigurazione dell'i. si accentuò ulteriormente e il tema comparve su nuovi tipi di manoscritti (libri d'ore, Speculum humanae salvationis, Bréviaire d'amour, Cité de Dieu) e, in particolare, sfruttando la trascrizione in immagini delle narrazioni di viaggi nell'aldilà, le quali permettevano di moltiplicare le rappresentazioni dei castighi, nei manoscritti della Divina Commedia di Dante (Brieger, Meiss, Singleton, 1969), del Pèlerinage de l'âme di Guillaume de Digulleville e talvolta della Visio Tnugdali (Kren, Wieck, 1990). Le formulazioni precedenti continuarono in larga misura a essere adottate, con una tendenza a una rappresentazione meno frequente della gola dell'i. e a uno sviluppo della raffigurazione dei supplizi (per es. dannati impalati su un albero spinoso nei dipinti murali di Notre-Dame a Kernascléden, Bretagna). Soprattutto gli anni 1330-1340 segnarono una tappa importante, con l'affermarsi di una organizzazione più rigorosa dell'i., in particolare negli affreschi del Camposanto di Pisa (Baschet, 1993). Mentre un nuovo equilibrio si stabilì tra il Giudizio universale e l'i., i supplizi si ripartirono all'interno di una struttura a compartimenti funzionale, in larga misura basata sul settenario dei peccati: ogni luogo corrisponde al castigo relativo a un peccato specifico, al punto che si stabilisce una corrispondenza sistematica tra il supplizio e il comportamento punito (i golosi sottoposti al supplizio di Tantalo, gli avari ingozzati di monete fuse, i sodomiti impalati). Viene così presentato un vero e proprio sistema penale dell'aldilà, poi diffuso e perfezionato, in particolare con il moltiplicarsi delle sottocategorie, che permetteva di distinguere ancor più chiaramente le colpe punite, come per es. nei dipinti murali italiani, soprattutto in Santa Croce a Firenze (affreschi di Andrea di Cione, 1345 ca.), nella collegiata di S. Maria Assunta a San Gimignano (1393-1413), nella cappella Bolognini in S. Petronio a Bologna (1408-1415) e, più tardi ancora, nel santuario di Nostra Signora a Montegrazie (prov. Imperia, del 1483).Al di fuori d'Italia, modi di strutturazione analoghi si svilupparono solo successivamente. In Francia perciò la suddivisione basata sul settenario dei peccati comparve solo alla fine del sec. 15°, in particolare in Notre-Dame-du-Bourg a Digne-les-Bains (dip. Alpes-de-Haute-Provence), nel chiostro della cattedrale di Cahors (dip. Lot) e soprattutto a Sainte-Cécile ad Albi (dip. Tarn), ove i castighi infernali, ben differenti da quelli comuni in Italia, si ispiravano alla tradizione letteraria della Visio Lazari, forse attraverso le edizioni del Calendario dei pastori. Questo modello infine svolse solo un ruolo limitato nell'iconografia tardobizantina, che privilegiò la rappresentazione delle categorie professionali (Garidis, 1985), secondo una logica che ricorre anche, in qualche caso, in Occidente (Apocalisse di Isabella di Francia, Parigi, BN, fr. 13096, cc. 86v-87v, del 1313).A partire dal suo emergere nei secc. 9°-11° e sino alla fine del Medioevo, la rappresentazione dell'i. conobbe dunque una progressiva espansione. In ogni caso, per quanto significativi siano il suo sviluppo e l'affermarsi di una logica penale più strutturata e più efficace, nulla permette di affermare che queste rappresentazioni suscitassero un sentimento di timor panico. Benché parzialmente autonome, esse restavano integrate in una dinamica di salvezza che la Chiesa tracciava per i fedeli, in particolare incitandoli alla confessione, cui dovevano appunto condurre la contemplazione e la meditazione dell'i., la presenza del quale, sempre più insistita, finì per favorire il controllo sociale da parte della Chiesa e cristallizzare le angosce degli uomini degli ultimi secoli del Medioevo.
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