infezione farmacoresistente
infezióne fàrmacoresistènte locuz. sost. f. – Processo patologico caratterizzato dalla moltiplicazione, nei tessuti viventi, di virus o di microrganismi patogeni (batteri, funghi, protozoi) resistenti all'azione dei farmaci (v. ). L'insorgenza della resistenza porta i microrganismi patogeni dapprima a richiedere per la loro eliminazione dosi sempre crescenti di farmaco, poi alla selezione di ceppi insensibili (resistenti) al farmaco, che risulta così inefficace. Fattori che possono favorire questo fenomeno sono per es. il cattivo uso e l'abuso degli antibiotici, che ne determinano l'impiego indiscriminato e non selettivo anche in infezioni banali o l'utilizzazione ingiustificata nel corso di infezioni non batteriche, oppure la loro assunzione irregolare o l’abbandono della terapia. Si calcola che la percentuale di ceppi microbici resistenti ai farmaci sia aumentata notevolmente all'inizio del 21° sec., interessando in modo significativo anche le infezioni virali. Il problema della resistenza batterica è inoltre aggravato da fattori demografici, quali l'aumento della popolazione, l'urbanizzazione e l'emigrazione, che creano condizioni favorevoli alla trasmissione di infezioni. È da notare che l'eziologia da microrganismi resistenti è sempre più frequente nelle infezioni ospedaliere rispetto a quelle della popolazione in generale. Nel caso delle i. f. risulta particolarmente necessaria la prevenzione, dal momento che, quando un focolaio epidemico inizia a diffondersi, l'uso indiscriminato degli antibiotici e la capacità dei microrganismi di scambiare materiale genetico portano inevitabilmente a un incremento della resistenza dei patogeni. Alcuni microrganismi patogeni, come, per es., gli agenti eziologici della tubercolosi e del colera, possono diventare resistenti fino a dieci differenti antibiotici (v. ). Inoltre, l'uso degli antibiotici nella terapia di alcune infezioni intestinali (per es., in quella provocata da Escherichia coli O157:H7) viene sconsigliato, in quanto, provocando la lisi delle cellule batteriche, potrebbe favorire il rilascio di particolari tossine, che hanno importanza nell'insorgenza della sindrome emolitico-uremica. In futuro, le biotecnologie potrebbero far diventare gli uomini resistenti a certe infezioni, mediante terapia genica, prevenendo così gli effetti dovuti alle variazioni casuali e alla selezione naturale. In assenza di alternative, questo tipo di terapia potrebbe essere utilizzata come ultima risorsa per salvare la nostra specie.
Origine della resistenza ai farmaci. ‒ La maggior parte delle farmacoresistenze ha un'origine genetica, in quanto compare a seguito di mutazioni e della conseguente selezione. La resistenza può essere dovuta alla mutazione di un sito cromosomico che controlla la sensibilità a un certo antibiotico: la presenza del farmaco permette di selezionare i microrganismi resistenti che si moltiplicano, mentre quelli sensibili muoiono. Alcuni batteri possiedono dei frammenti di genoma extracromosomico, chiamati plasmidi, che contengono geni per la resistenza agli antimicrobici, in genere esplicata attraverso la sintesi di enzimi inattivanti. Esiste anche una resistenza batterica di origine non genetica ed è quella posseduta, per es., da microrganismi che, in un certo periodo della loro permanenza nell'organismo, non si moltiplicano e quindi non possono essere attaccati dai farmaci i quali, in generale, agiscono sui microrganismi in fase di moltiplicazione. Per es., i micobatteri che sopravvivono a lungo in taluni tessuti, sono inibiti dalle difese dell'organismo e non si moltiplicano, e sono quindi resistenti. Un'altra possibilità è legata alla perdita, da parte del microrganismo, del sito specifico necessario per l'azione di un farmaco. Per es., alcuni microrganismi sensibili alla penicillina possono trasformarsi in protoplasti, forme prive di parete batterica; poiché le penicilline agiscono sulla parete, i protoplasti risultano resistenti alla penicillina.