Infiammazione
di Patrio Caselli
Infiammazione
sommario: 1. Introduzione. a) Definizione e cenni storici. b) La teoria cellulare e la teoria molecolare. 2. Essudazione. a) Composizione dell'essudato. b) Meccanismi di formazione dell'essudato. c) La migrazione dei leucociti. d) Aspetti istologici. e) Mediatori chimici; prostaglandine e LNPF; la reazione antigene-anticorpo; la fissazione del complemento. f) La chemiotassi. 3. Tessuto di granulazione. a) Composizione del tessuto di granulazione. b) Aspetti particolari del tessuto di granulazione. c) Formazione del tessuto di granulazione: i fattori trofici. d) Composizione citologica del tessuto di granulazione. e) Fattori di cronicità. f) Fenomeni di riparazione. 4. Le modificazioni displastiche flogistiche. a) Ipertrofia e metaplasia, displasie infiammatorie. b) Granuloma teleangectasico piogenico; caruncola granulomatosa teleangectasica. c) Il cheloide. d) Epulidi e tumori bruni delle ossa. e) Polipi e papillomi. f) Accrescimenti verrucosi e discheratosici. 5. Fibroplasia. □ Bibliografia.
1. Introduzione
a) Definizione e cenni storici
Il processo infiammatorio consiste in un complesso di alterazioni tessutali che, pur potendo presentare aspetti diversi, hanno tutte in comune il fenomeno essudativo.
Allo stato attuale delle conoscenze, la definizione più accettabile sembra la seguente: l'infiammazione o flogosi è un processo lesivo-reattivo, a carattere locale, consistente in una serie di fenomeni elementari che conducono a essudazione umorale e cellulare nei connettivi vascolarizzati, a reazioni granulomatose e a modificazioni displastiche, con evoluzione fibroplastica. Quanto è contenuto in una simile proposizione è valido per la maggior parte dei processi flogistici.
Certamente nota sin dai tempi della civiltà babilonese e di quella egiziana (Major, 1954), l'infiammazione fu caratterizzata in epoca greco-romana dalla descrizione dei suoi sintomi cardinali: rubor, calor, tumor, dolor, functio laesa (Celso; Galeno). Gli studi anatomici che fiorirono nel Rinascimento e che culminarono nelle acquisizioni fondamentali della circolazione linfatica ed ematica attraverso i tessuti, legati ai nomi di W. Harvey (1628) e di M. Malpighi (1661), prepararono la strada a più approfondite ricerche sulla flogosi. Con le migliorate conoscenze sui capillari e con le informazioni sulla composizione globulare del sangue, cominciò ad affermarsi l'idea che l'infiammazione consistesse principalmente in un'alterazione circolatoria a livello dei piccoli vasi, nel senso soprattutto di un impedimento al flusso ematico, cioè di un'iperemia passiva (Boerhaave, 1708). Il concetto dell'importanza dell'alterazione circolatoria nella flogosi si consolidò rapidamente e fu sostenuto dalle maggiori scuole mediche europee nella prima metà del XIX secolo. Successivamente, la possibilità di osservare al microscopio sezioni di tessuti consentì di studiare l'infiammazione nelle sue varie espressioni istologiche, di cui fu poi tentata l'interpretazione secondo l'indirizzo della patologia cellulare di R. Virchow, che ha recentemente avuto il suo massimo sviluppo nella microscopia elettronica.
b) La teoria cellulare e la teoria molecolare
Le osservazioni microscopiche su tessuti viventi, anche a modesti ingrandimenti, hanno consentito di rilevare fenomeni che non è possibile osservare sui tessuti fissati, come ad esempio il comportamento della circolazione ematica nell'evoluzione della flogosi nei tessuti trasparenti dell'ala di pipistrello (Paget, 1948). Tuttavia, i fenomeni che si verificano nell'infiammazione non sono tutti osservabili al microscopio, né sui tessuti freschi né su quelli fissati e sottoposti a vari metodi di colorazione. Già J. F. Cohnheim aveva intuito che il fenomeno del rallentamento del flusso ematico nei piccoli vasi venosi del mesentere di rana non poteva essere determinato unicamente dalla vasodilatazione e aveva quindi ipotizzato l'esistenza di alterazioni molecolari delle pareti vasali, non rilevabili morfologicamente. Nacque così la teoria della patologia molecolare dell'infiammazione, che oggi possiamo denominare della patologia chimico-fisica, ed ebbe inizio una serie di studi culminati nella ben nota monografia di H. Schade Die Molekularpathologie der Entzündung, che rappresenta indubbiamente una pietra miliare nella via del progresso delle cognizioni sulla flogosi (v. Schade, 1935).
Le interpretazioni circa l'inizio della reazione infiammatoria si possono ricondurre fondamentalmente a due teorie, quella cellulare e quella molecolare.
La prima, sostenuta dal Virchow (v., 1858), presuppone che l'infiammazione tragga origine da lesioni degli elementi cellulari del tessuto interessato e che l'essudazione sia poi la conseguenza delle alterazioni cellulari. L'infiltrato inflaminatorio, secondo Virchow, si dovrebbe considerare come dovuto prevalentemente alla proliferazione delle cellule connettivali del focolaio flogistico. Pertanto, l'instaurarsi di lesioni flogistiche dovrebbe risultare evidenziabile con l'esame microscopico delle sezioni dei tessuti interessati, secondo i criteri della patologia cellulare.
La teoria molecolare propugnata da J. F. Cohnheim, allievo del Virchow, sostiene, in netto contrasto con la precedente, che le alterazioni primarie del tessuto infiammato siano di tipo fisico-chimico e chimico e pertanto definibili come molecolari (vale a dire chimico-fisiche); l'aspetto essenziale della flogosi, secondo Cohnheim, è il passaggio dei leucociti attraverso la parete dei capillari e il loro accumulo nella sede della lesione. Nella sua monografia del 1873 egli scrisse: ‟una semplice riflessione ci suggerisce che debbono esserci queste alterazioni molecolari nel comportamento e nella qualità delle pareti vasali". L'essudazione cellulare dev'essere quindi concepita come un fenomeno secondario, una pura conseguenza delle alterazioni vascolari, che non possono essere rilevabili microscopicamente, appunto perché di natura molecolare (chimico-fisica).
Sino a pochi anni fa le due concezioni si sono contese il campo nell'interpretazione della patogenesi della reazione flogistica e hanno ambedue conservato buona parte del loro significato originale.
La teoria cellulare tende a sottolineare che il processo flogistico consta di un insieme di lesioni tessutali e di conseguenti reazioni proliferative ed essudative. In certi casi l'insieme del processo flogistico assume una disposizione a coccarda con al centro le lesioni necrotiche, contornate da lesioni degenerative, circondate a loro volta da alterazioni cellulari essudative, intorno alle quali infine si trova una semplice reazione iperemica. Questo insieme costituisce una tipica alterazione infiammatoria conforme alle idee della patologia cellulare di Virchow, la quale considera l'esistenza nel processo flogistico di primitive modificazioni cellulari (funzionali, nutritive e formative) che possono evolvere verso fenomeni degenerativi e necrotici.
Però esistono anche processi flogistici nei quali le lesioni cellulari involutive non risultano facilmente rilevabili o non esistono: in questi casi si hanno parimenti alterazioni concentriche a coccarda, ma esse constano di una parte centrale ischemica, edematosa, contornata da un anello iperemico con modesta essudazione cellulare, intorno al quale esiste una semplice iperemia senza essudazione. Questa è una tipica reazione flogistica che si presta per essere interpretata secondo le idee della teoria di Cohnheim della patologia chimico-fisica (molecolare).
Comunque, fra i vari fenomeni patologici di cui consta il processo infiammatorio, non v'è dubbio che l'essudazione è il più tipico. E proprio sulla patogenesi di questo fenomeno si sono maggiormente scontrate le due opposte dottrine di Virchow e di Cohnheim.
Virchow accentua alquanto l'importanza delle alterazioni cellulari come elemento patogenetico del processo infiammatorio e attribuisce una parte notevole ai fenomeni di proliferazione cellulare locale nell'aumento di numero delle cellule nei focolai flogistici. Cohnheim, d'altronde, tiene enfaticamente molto conto delle alterazioni chimico-fisiche dei colloidi che formano la parete dei piccoli vasi, rispetto alle lesioni delle cellule parenchimali, considerando il passaggio dei leucociti ematici nel focolaio infiammatorio quasi come un fenomeno passivo, puramente condizionato dalle modificazioni chimico-fisiche della parete vascolare alterata dalla noxa phlogogena.
Il dissidio fra le suddette opposte vedute è risultato ridotto negli ultimi vent'anni a mano a mano che si è fatta maggior luce sulle modificazioni ultrastrutturali, in microscopia elettronica, delle cellule dei piccoli vasi, sui mediatori chimici dell'infiammazione, sui fenomeni chemiotattici dei leucociti, sugli agenti proflogistici, sul meccanismo della fibroplasia infiammatoria e sulle displasie flogistiche.
Per poter comprendere quali sono stati i sostanziali progressi della moderna patologia nell'ambito dell'infiammazione, occorre prenderne in considerazione quattro aspetti fondamentali: a) l'essudazione; b) il tessuto di granulazione; c) le modificazioni displastiche flogistiche; d) la fibroplasia.
2. Essudazione
Già in condizioni normali si verificano intensi fenomeni di trasudazione dai piccoli vasi ematici negli spazi tessutali e nelle cavità sierose, e di riassorbimento del trasudato attraverso i linfatici. Oltre a tale flusso di liquido, si produce, sempre in condizioni normali, una ricircolazione continua di cellule, prevalentemente di tipo linfomonocitico, dal sangue ai tessuti e dai tessuti al sangue; anche i polimorfonucleati migrano dal sangue nei tessuti e da questi al sangue, attraverso le vie linfatiche, sebbene si tratti di un fenomeno di modeste proporzioni. Comunque la migrazione di leucociti attraverso i tessuti è facilmente documentabile, specialmente in corrispondenza di alcune mucose normali (v. Frasca e altri, 1968).
In condizioni patologiche, il passaggio di liquido e di cellule dal sangue nei tessuti può divenire tanto pronunciato da determinare un accumulo di materiale essudativo negli spazi dei tessuti e nelle cavità sierose; questo materiale essudativo che ristagna nella compagine dei tessuti è caratteristico dell'infiammazione
a) Composizione dell'essudato
L'essudato è un liquido ricco in proteine e in leucociti, che si produce in tutte le forme dell'infiammazione; è evidente in special modo nelle infiammazioni acute e in particolare nelle angioflogosi, nelle quali anzi il fenomeno è molto pronunciato in conseguenza della cospicua iperemia.
Studiando la composizione colloidale degli essudati sierosi, si è riscontrata la presenza di glicoprotidi, che sono assenti, invece, nel siero di sangue e nei trasudati (v. Caselli e Caputo, 1953).
Tali colloidi glicoprotidici essudativi, che provengono probabilmente dalle membrane basali dei vasi alterate dal processo infiammatorio, sono intensamente elettronegativi e migrano in campo elettroforetico verso il polo positivo più rapidamente delle sieroalbumine. Le sostanze glicoprotidiche essudative conferiscono ai liquidi patologici una certa viscosità, che si riduce a opera della ialuronidasi; si è quindi supposto che la parte glici- dica di questi colloidi sia costituita da acido ialuronico (v. Campani, 1942; v. Caselli e Caputo, 1953; v. Baggi, 1954).
b) Meccanismi di formazione dell'essudato
La filtrazione del plasma ematico e la migrazione dei leucociti, attraverso i piccoli canali vascolari iperemici, nei tessuti alterati dalla noxa phlogogena, si verificano prevalentemente in corrispondenza delle venule (v. Florey e Grant, 1961; v. Marchesi, 1962; v. Majno, 1962).
Le alterazioni microcircolatorie iperemiche favoriscono l'essudazione: tanto l'iperemia quanto l'essudazione si producono in correlazione con la liberazione locale di sostanze vasoattive (v. Lewis, 1927; v. Schade, 1935), istamina e altre sostanze derivate dalla scissione di polipeptidi, polinucleotidi e polisaccaridi (v. Boivin e Delaunay, 1948; v. Green e Stoner, 1950; v. Spector e Whipple, 1964).
Fra i prodotti di scissione dei polipeptidi possono essere distinti due gruppi: uno costituito da peptidi contenenti 4-6 residui di amminoacidi, che stimolano la migrazione leucocitaria dal sangue nei tessuti, e uno formato da peptidi contenenti 8-14 residui di amminoacidi, che determinano incremento della permeabilità vascolare, oltre a richiamare i leucociti fuori dai vasi (v. Moon e Tershakovec, 1954).
Generalmente l'infiammazione acuta si produce nel modo seguente: si stabilisce prima una condizione di iperemia attiva, cui fa poi seguito congestione ematica dei piccoli vasi del focolaio infiammatorio.
Detta congestione ematica è dovuta a incapacità delle venule alterate di ricevere l'incrementato flusso ematico, che è la conseguenza della dilatazione arteriolare e dell'apertura dei cortocircuiti della rete capillare. In una fase più avanzata dell'infiammazione, a carico delle venule si possono osservare alterazioni cospicue, consistenti in distacco di tratti di endotelio e in presenza di aggregati piastrinici e leucocitari, e talora anche fenomeni emorragici. L'ostacolo al deflusso ematico venulare è causa di ristagno del sangue nei capillari, che si dilatano e consentono più facilmente il passaggio del liquido dal sangue nei tessuti. Circa le modalità di tale fenomeno, la microscopia elettronica ha permesso di rilevare che l'essudazione liquida dall'interno dei piccoli vasi verso gli spazi tessutali si produce per allargamento dei tratti giunzionali fra le cellule endoteliali (v. Cotran e Majno, 1964; v. Marchesi, 1970), e di constatare l'esistenza anche di un aumento di microvescicole nel citoplasma delle cellule endoteliali (v. Majno e Palade, 1961; v. Florey, 1970) interpretabile come un indizio di incrementato flusso transparietale.
Alle modificazioni dell'endotelio probabilmente si associano anche alterazioni della membrana basale che non sono ben rilevabili morfologicamente: questo è verosimilmente il luogo delle alterazioni chimico-fisiche ipotizzate da Cohnheim.
L'aumento di permeabilità dei microcanali vascolari nell'essudazione dipende, come sopra accennato, dalle alterazioni della parete del lato venoso dei capillari, delle venule e delle piccole vene. Si ha motivo di ritenere, come si è considerato, che gli elementi endoteliali si contraggano e perciò si determini allargamento cospicuo degli spazi giunzionali (v. Majno e altri, 1969; v. Florey, 1970).
La migrazione dei leucociti dal sangue nei tessuti si produce prevalentemente attraverso gli spazi giunzionali allargati, fra le cellule endoteliali.
c) La migrazione dei leucociti
Il passaggio dei leucociti attraverso la parete vascolare è favorito dal fenomeno della marginazione: tali elementi, infatti, tendono ad aderire alla parete sino a costituire uno strato continuo disposto sulle cellule endoteliali.
I fattori che favoriscono l'adesione dei leucociti all'endotelio sono costituiti dal rallentamento della corrente ematica, dalle alterazioni delle cellule endoteliali e probabilmente dalla produzione di sostanze collanti, ma forse più semplicemente da eventuali modificazioni delle cariche elettriche della superficie endoteliale, nel senso di una riduzione delle cariche elettronegative (dovute normalmente ai polisaccaridi acidi di tipo eparinico) che costituiscono una barriera colloidale repellente verso gli elementi figurati del sangue. Tale perdita di cariche elettronegative da parte della superficie endoteliale sarebbe il principale fattore favorente l'adesione dei leucociti (v. McGovern, 1957).
Dato che il fenomeno dell'aderenza dei leucociti viene inibito dall'acido etilendiammino tetracetico (EDTA), si è supposto che alla sua produzione contribuisca l'azione chelante degli ioni Ca2+ (v. Thompson e altri, 1967). Tuttavia non possono essere escluse eventuali incidenze sui leucociti, che sono sensibili ad alcune sostanze, come le endotossine, sotto la cui azione acquistano capacità adesive insolite (v. Berthrong e Cluff, 1953).
La migrazione dei leucociti dal sangue nei tessuti è in gran parte dovuta ai movimenti attivi, ameboidi, di questi elementi cellulari, mentre il passaggio attraverso la parete vascolare degli eritrociti si verifica come spostamento passivo, spesso sulla scia del movimento attivo leucocitario.
Alle vecchie osservazioni in microscopia ottica della marginazione dei leucociti e del loro passaggio attraverso la parete vascolare, si sono aggiunte in questi ultimi tempi interessanti documentazioni in microscopia elettronica. Si sono raccolte in tal modo chiare immagini dimostranti come i leucociti impegnino gli spazi giunzionali fra le cellule endoteliali e raggiungano lo stroma disposto fra gli elementi endoteliali e quelli periteliali (v. fig. 9).
Questo modo di attraversare le venule è proprio dei leucociti polimorfonucleati e dei monociti. Generalmente gli elementi migranti non lasciano lesioni permanenti a carico della parete vascolare, poiché la membrana basale viene rapidamente restaurata (v. Williamson e Grisham, 1961).
Il liquido essudativo e parte dei leucociti migrati negli spazi tessutali perivascolari prendono più o meno rapidamente la via dei linfatici. Ma una certa quota di liquido e di cellule rimane negli spazi dei tessuti e tende a raccogliersi nelle vicine cavità naturali.
Nella fase iniziale del processo flogistico la migrazione dei leucociti è generalmente costituita da polimorfonucleati, e, se lo stimolo flogogeno è determinato da batteri piogeni, la migrazione di polimorfonucleati nel focolaio infiammatorio perdura a lungo. Al contrario, se lo stimolo non è di tipo piogeno la migrazione dei polimorfonucleati tende ad affievolirsi e viene gradatamente sostituita da migrazione linfomonocitica. Perciò, nelle fasi tardive di molti processi infiammatori i polimorfonucleati sono presenti in scarso numero e gli elementi linfoidi, istiocitari e fibroblastici rappresentano, invece, la parte più cospicua delle cellule infiammatorie. Nei processi purulenti questa tendenza al prevalere, col tempo, degli elementi linfoistiocitari e fibroblastici si riscontra verso la periferia delle lesioni.
L'essudazione degli elementi linfoidi può verificarsi con modalità analoghe a quelle dei polimorfonucleati e dei monociti, ma per lo più si attua in maniera alquanto diversa. Infatti, quando in un distretto si instaura un processso infiammatorio, vi si viene a determinare un'esaltazione della ricircolazione linfatica, cioè del normale flusso di linfociti dal sangue ai tessuti e dai tessuti ai piccoli vasi linfatici, ai linfonodi e ai grossi vasi linfatici che si scaricano nelle vene.
Esiste in realtà una stretta relazione fra numero e tipo di leucociti presenti nel focolaio flogistico e composizione cellulare della linfa drenante il distretto interessato (v. Smith e altri, 1970): infatti quando l'essudazione è a preponderanza polimorfonucleata la linfa drenante risulta ricca in polimorfonucleati, mentre quando l'essudazione è di tipo linfomonocitico la linfa drenante appare costituita da mononucleati.
Nei focolai infiammatori acuti migrano e si accumulano sempre piccoli linfociti, a breve vita nella circolazione, pervenuti nel sangue attraverso il dotto linfatico: si tratta di elementi non originati nei linfonodi, ma che hanno tuttavia colonizzato i tessuti linfonodali, nei quali sono giunti dal sangue. Sono proprio questi elementi linfocitici a breve vita le cellule linfoidi che attraversano i piccoli vasi ematici dei tessuti infiammati per accumularsi nell'essudato (v. Koster e McGregor, 1970). Il modo di passare attraverso la parete delle venule da parte dei linfociti consiste per lo più nel colonizzare lo strato endoteliale.
Questi elementi prendono contatto con la superficie delle cellule endoteliali, le quali li accolgono sollevando parte del protoplasma sino ad abbracciarli. Si riescono a sorprendere fasi del passaggio dei linfociti attraverso la parete dei piccoli vasi, caratterizzate da immagini di linfociti circondati da citoplasma di un elemento endoteliale.
Si ha motivo di pensare che i linfociti permangano per un certo tempo nelle altre cellule. Anzi si è supposto che le cellule linfoidi, colonizzando i tessuti, soprattutto entrando negli elementi epiteliali delle mucose delle vie digerenti e respiratorie, apportino particolari fattori trofici (v. Schields e altri, 1969). Da questa posizione intraendoteliale, i linfociti finiscono per affiorare verso la parte periferica della parete vascolare e si vengono a trovare situati fra una cellula endoteliale e una cellula periteliale. In tale situazione, il linfocita viene a far parte degli elementi del connettivo perivascolare, più precisamente dello stroma della membrana basale, che si continua appunto con gli spazi connettivali perivasali (v. Marchesi e Gowans, 1964).
Come si è già accennato, dei leucociti che attraversano la parete dei piccoli vasi alterati dalla flogosi, i polimorfonucleati sono quelli che più rapidamente si allontanano dai tessuti circostanti le strutture vascolari, mentre i linfociti e i monociti si soffermano a lungo nel connettivo perivasale.
d) Aspetti istologici
La migrazione delle cellule essudative produce frequentemente quadri istologici di aggregati perivascolari a manicotto. La composizione citologica di tali aggregati essudativi localizzati intorno ai piccoli vasi venosi è generalmente costituita in prevalenza da linfomonociti stipati con pochi polimorfonucleati diffusi.
Tali quadri istologici, caratterizzati da manicotti essudativi avventiziali, rappresentano un reperto che il patologo è abituato a riscontrare in vari organi interessati da processi fiogistici, quali fegato, cervello, rene e polmone.
Gli elementi essudativi sono costituiti da cellule ematiche (leucociti polimorfonucleati, linfociti e monociti) e da cellule tessutali (istiociti macrofagici, plasmacellule ecc.). Negli essudati delle mucose (vescicale, vaginale, tracheale ecc.), inoltre, sono anche presenti cellule epiteliali in conseguenza di lesioni desquamative e ulcerose.
La componente epiteliale delle infiammazioni croniche erosive della mucosa vaginale e del collo uterino consta di elementi dello strato parabasale, con citoplasma basofilo e nucleo relativamente grande, che possono simulare cellule neoplastiche cervicali.
Nelle essudazioni delle cavità sierose, tappezzate da mesoteli, la composizione citologica risulta caratterizzata dalla presenza di grandi elementi mesoteliali. Questi elementi, a citoplasma basofilo e a grosso nucleo, tipici degli essudati sierosi pleurici nei quali si vengono a trovare insieme a leucociti e macrofagi, debbono essere ben conosciuti onde evitarne la possibile confusione con cellule neoplastiche.
e) Mediatori chimici; prostaglandine e LNPF; la reazione antigene-anticorpo; la fissazione del complemento
Importanti questioni patogenetiche dei fenomeni flogistici essudativi sono quelle relative ai mediatori chimici, cioè all'intervento di sostanze prodotte dai tessuti sede della lesione-reazione infiammatoria, le quali con i loro effetti combinati risultano essere le responsabili dello svolgersi degli eventi che caratterizzano l'infiammazione acuta (v. Spector, 1959).
L'istamina e la 5-idrossitriptammina vengono liberate da varie incidenze patologiche comportanti danneggiamento delle membrane cellulari: agiscono in tal senso particolarmente le proteasi (v. Paton, 1956). In realtà tali mediatori vengono liberati dalla fibrinolisina e dall'anafilotossina (v. Ungar, 1956; v. Rocha e Silva, 1956), nonché dalla C1 esterasi (v. Rattnoff e Lepow, 1963). Essendo sostanze cationiche, vengono adsorbite facilmente da polianioni (polisaccaridi acidi e polinucleotidi), e tendono pertanto a concentrarsi sul materiale polisaccaridico delle cellule granulose basofile.
Un altro gruppo di sostanze che intervengono come mediatori dell'infiammazione essudativa è costituito da peptidi e proteine (v. Menkin, 1938; v. Spector, 1951; v. Miles e Wilhelm, 1955). Fra i peptidi si debbono ricordare le chinine, quali importanti fattori della permeabilità vascolare, che derivano dalle α2-globuline (prochinine o chininogeni) per opera di sistemi enzimatici (callicreine) ematici o tessutali, i quali agiscono quando vengono attivati dal fattore contatto di Hageman (v. Margolis, 1963; v. Graham e altri, 1965; v. Mackay e Cambridge, 1970).
Le prostaglandine sono sostanze di natura lipidica che intervengono come fattori patogenetici dei fenomeni essudativi. Il loro ruolo, nell'evoluzione del processo infiammatorio, si svolgerebbe nella fase tardiva dell'essudazione, cioè dopo l'intervento dell'istamina e delle chinine (v. Di Rosa e altri, 1971), come è stato rilevato nell'edema flogistico sperimentale da carrageenina.
Un interessante fattore capace d'incrementare la permeabilità vascolare è stato riscontrato in vari tessuti, in particolare in quello linfonodale (v. Walters e Willoughby, 1965) e in quello timico (v. Lykke e altri, 1967). Si tratta di un protide ad alto peso molecolare che, oltre a indurre aumento della permeabilità capillare e venulare, è in grado di richiamare i leucociti nei tessuti. L'intervento di tale fattore linfonodale (LNPF) nell'essudazione risulta ostacolato dal siero antilinfocitico.
Un meccanismo di fondamentale importanza nella patogenesi dell'infiammazione acuta è costituito dall'interazione, a livello tessutale, di antigeni con i relativi anticorpi e conseguente fissazione del complemento (v. Rattnoff e Lepow, 1963; v. Cochrane, 1965). Tale meccanismo interviene ovviamente nella patogenesi delle lesioni flogistiche di natura allergica (v. Osler e altri, 1959; v. Osler, 1961; v. Bier, 1962; v. Ward e altri, 1965).
Si sono, inoltre, accumulate osservazioni che depongono per l'intervento del complemento come mediatore anche di lesioni flogistiche non allergiche. Infatti diversi materiali capaci di produrre infiammazione, come la silice e la carrageenina, fissano il complemento (v. Ferina e Caselli, 1961; v. Davies, 1963). La fissazione aspecifica del complemento è stata documentata in diversi tipi di focolai flogistici prodotti da sostanze che non hanno carattere di antigene, quali trementina e carrageenina (v. Willoughby e altri, 1969).
In realtà è alquanto difficile poter escludere l'intervento di reazioni antigene-anticorpo, con fissazione del complemento, nei focolai infiammatori, poiché alcuni materiali, come zymosan, destrano, carrageenina, agar e lipopolisaccaridi batterici, possono trovare nell'organismo dell'animale nel quale sono stati inoculati i relativi anticorpi naturali (v. Jensen, 1967).
Sembra giusto supporre che dai tessuti lesi da sostanze sicuramente non antigeni, come la trementina e il calomelano, e da agenti fisici, come il calore e i raggi X, originino composti con caratteri antigenici in grado di interagire in loco, nel focolaio flogistico, con anticorpi naturali presenti nell'organismo (effetto precoce), oppure di mettere in moto il meccanismo della formazione degli anticorpi, con i quali reagire poi a distanza di tempo (effetto tardivo).
All'interazione antigene-anticorpo può conseguire sia passaggio di materiale liquido essudativo dal sangue ai tessuti, sia migrazione leucocitaria oltre la barriera vasale. I leucociti, subendo alterazioni involutive nei tessuti, liberano i granuli specifici (lisosomi), che a loro volta danno luogo a esaltazione delle lesioni flogistiche per mezzo delle idrolasi che contengono (v. Thomas, 1965; v. Weissmann e Uhr, 1968).
È possibile ridurre notevolmente la migrazione leucocitaria e l'apporto di lisosomi nel focolaio infiammatorio, rendendo gli animali leucopenici; ad esempio, con l'impiego di un antifolico, l'α-metopterina, che provoca agranulocitosi, si possono produrre flogosi da scottature e da trementina, senza partecipazione leucocitaria. L'essudazione sierosa in tal caso è riconducibile all'intervento del complemento, poiché l'α-metopterina non incide sul titolo complementare (v. Willoughby e (Giroud, 1969).
f) La chemiotassi
Nella patologia spontanea l'essudazione sierosa è accompagnata generalmente da migrazione leucocitaria. Tuttavia si producono talora spontaneamente essudazioni sierose con scarsa compartecipazione leucocitaria, così come in realtà si verificano in natura anche fenomeni flogistici caratterizzati da modesta compartecipazione essudativa sierosa e da notevole ricchezza di leucociti.
Quando nel focolaio infiammatorio si accumula cospicua proporzione di leucociti, l'essudato tende ad assumere caratteri siero-purulenti. Tale arricchimento di leucociti nell'essudato si verifica nel focolaio flogistico per un fenomeno di attrazione dei leucociti del sangue da parte dei connettivi perivascolari alterati. I fattori della disposizione perivascolare dei leucociti, alla quale è stata attribuita la denominazione di chemotaxis (v. Leber, 1891), sono identificabili in particolari sostanze chiamate citotassine (v. McCutcheon, 1946; v. Harris, 1954). La chemiotassi è una reazione che concerne la direzione del movimento delle cellule, non la loro velocità di spostamento. Per la maggior parte i Batteri, sia vivi sia morti, venuti in contatto coi tessuti, costituiscono uno stimolo chemiotattico positivo per i leucociti, mentre il silicato di alluminio esercita su tali cellule un influsso chemiotattico negativo.
Tra i Batteri, alcuni non evocano la reazione chemiotattica dei leucociti: ne sono esempio gli streptococchi beta-emolitici, i quali non inducono attrazione leucocitaria sebbene risultino regolarmente fagocitati dai polimorfonucleati e dai monociti (v. McCutcheon e altri, 1939).
Nelle colture di Diplococcus pneumoniae si produce un fattore chemiotattico positivo per i leucociti, costituito da un peptide di peso molecolare inferiore a 3.600 (v. Ward, 1968); nelle colture di meningococchi e di bacilli tubercolari, al contrario, non vengono elaborati fattori chemiotattici positivi per i leucociti (v. Ward e altri, 1968). Nel caso dei meningococchi, che come si sa inducono intensa migrazione tessutale di polimorfonucleati, bisogna supporre che o tali germi producano nei tessuti sostanze chemiotattiche che non sono in grado di produrre nelle colture, o che l'essudazione leucocitaria nel corso di infezioni meningococciche sia dovuta a un effetto indiretto, determinato da sostanze liberate dai tessuti lesi o dall'intervento di fenomeni immunologici e del complemento.
In realtà non si può assumere che i fattori chemiotattici, così come possono essere messi in evidenza nelle colture in vitro, siano in ogni caso gli stimoli della migrazione dei leucociti in vivo. La produzione di fattori chemiotattici in vitro si verifica in condizioni ambientali del tutto particolari, cioè in assenza di siero, di complemento, di calcio e di magnesio (v. Florey, 1970); nel focolaio infiammatorio da Batteri, al contrario, giungono le sostanze provenienti dal siero, il complemento, Ca2+ e Mg2+ e vari altri fattori.
Una considerazione particolare può essere fatta per i silicati e per la silice, i quali rientrano nel novero delle sostanze a chemiotassi negativa sui leucociti: tale comportamento può forse essere correlato con l'effetto anticomplementare posseduto da tali materiali (v. Caselli, 1961), consistente nella capacità di denaturare alcuni componenti del complemento.
Vari polisaccaridi esercitano effetto chemiotattico positivo sui leucociti, e sono quindi designati come flogogeni (v. Delaunay, 1953). Agiscono in tal senso anche il glicogeno e l'amido (v. Harris, 1954); tuttavia il trattamento dei granuli d'amido con siero non è seguito da un'esaltazione della capacità del polisaccaride di attrarre i leucociti in vivo (v. Spector e Storey, 1958). Il siero contiene il complemento, il quale è un importante fattore chemiotattico positivo per i polimorfonucleati, quando vada a fissarsi sul complesso antigene-anticorpo (v. Boyden, 1962; v. Ward, 1968); affinché ciò si verifichi sono necessari i primi quattro componenti del complemento, ma l'azione chemiotattica per i leucociti dipende per se dai componenti C5 e C6 (v. Ward e altri, 1965; v. immunologia e immunopatologia: Immunologia generale). Rientrano inoltre nella categoria delle sostanze che inducono stimolazione chemiotattica da fissazione aspecifica del complemento diversi composti chimici capaci di produrre essudazione sieropurulenta, come il nitrato d'argento e il cloruro mercuroso. Ormai si può affermare che il complesso immune fissante il complemento è certamente il fattore chemiotattico che interviene più frequentemente. Tuttavia agiscono logicamente nello stesso senso anche materiali tessutali capaci di fissare aspecificamente il complemento (v. Willoughby e altri, 1969); nei tessuti infiammati di ratto sono stati riscontrati due tipi di fattori chemiotattici positivi per i leucociti, uno responsabile della migrazione tardiva dei leucociti (a diverse ore di distanza dall'applicazione dello stimolo flogogeno) in assenza di concomitante incremento di permeabilità alle proteine plasmatiche, l'altro in grado di stimolare la migrazione leucocitaria precoce (che raggiunge il massimo in circa mezz'ora) durante la fase d'incremento della permeabilità vascolare del processo flogistico (v. Hurley, 1964).
Nei sieri trattati con complessi antigene-anticorpo la sostanza dotata di capacità di attrarre i polimorfonucleati è stata individuata in una frazione protidica di piccolo peso molecolare (compreso fra 5.000 e 35.000), mentre una frazione di peso molecolare superiore a 200.000 è risultata in grado di attrarre i mononucleati.
Non soltanto la chemiotassi dei polimorfonucleati risulta dissociata da quella dei monociti, ma talora a condizioni di esaltazione chemiotattica dei neutrofili si associano condizioni di inibizione chemiotattica dei monociti (v. Wilkinson e altri, 1969).
I fattori chemiotattici che operano sui leucociti vengono denominati agenti citotassinici se sono capaci di agire direttamente sulle cellule, mentre sono detti agenti citotassigeni se, pur non esercitando un'azione chemiotattica diretta sulle cellule, possono acquistarla in particolari condizioni, come ad esempio in presenza di siero fresco (v. Sorkin e altri, 1970): rientrano fra gli agenti citotassigeni i fattori chemiotattici che sono capaci di agire sulle cellule soltanto in vivo.
3. Tessuto di granulazione
Come si è visto, l'essudazione comporta la migrazione nei tessuti di cellule provenienti dal sangue, che si accumulano nel focolaio infiammatorio. Se tra questi elementi vi è una notevole quantità di linfociti e di monociti, il tessuto vasculo-stromale del focolaio infiammatorio risulta stimolato alla proliferazione e si formano nuovi elementi cellulari di tipo istiocitario, fibroblastico ed endoteliale. In conseguenza di tale proliferazione si determina l'organizzazione degli accumuli cellulari essudativi in un tessuto patologico di neoformazione, assimilabile a un connettivo ricco in cellule e in vasi capillari, al quale si dà il nome di tessuto di granulazione.
a) Composizione del tessuto di granulazione
Il tessuto di granulazione risulta costituito da un'estesa trama a maglie larghe di capillari, sanguigni e linfatici, strettamente connessa con una seconda rete a maglie strette costituita da un graticcio di fibre reticolari e collagene .
L'insieme di questa tessitura vascolare e fibrosa delimita piccole cavità nelle quali sono allogati gli elementi cellulari rappresentati per la maggior parte da mononucleati, cioè linfociti, istiociti macrofagici, plasmacellule, fibroblasti e cellule periteliali. A tali elementi si associano quelli di tipo polimorfonucleato, neutrofili, eosinofili e basofili che, qualora presenti in notevole proporzione, rappresentano un ostacolo all'organizzazione del tessuto di granulazione.
Il tessuto di granulazione giovane, organizzato da poco tempo, contiene maggior quantità di polimorfonucleati rispetto alle fasi successive; contemporaneamente a questa riduzione del numero di polimorfonucleati è evidente una tendenza all'aumento di quello delle cellule mononucleate.
La curva esprimente la variazione percentuale dei polimorfonucleati nella composizione citologica del tessuto di granulazione, in funzione del tempo, ha un andamento caratteristico che dipende dal sommarsi di due fenomeni: la precocità della migrazione dei polimorfonucleati rispetto a quella dei linfomonociti, e la tendenza dei polimorfonucleati a subire la disintegrazione nella compagine dei tessuti o a passare nuovamente nel sangue attraverso le vie linfatiche (v. Smith e altri, 1970).
L'aumento degli elementi mononucleati nel tessuto di granulazione, in funzione del tempo, è in parte un fenomeno relativo, conseguente alla riduzione dei polimorfonucleati, in parte un fenomeno assoluto, dovuto alla notevole migrazione monocitica e alla proliferazione in loco degli istiociti e dei fibroblasti. Nel tessuto di granulazione si realizza quindi un notevole traffico di cellule: continuamente nuovi elementi vi giungono con l'essudazione dal sangue, mentre altri migrano senza sosta in direzione opposta verso le vie linfatiche per essere convogliati ai linfonodi regionali (v. Smith e altri, 1970).
b) Aspetti particolari del tessuto di granulazione
Il traffico cellulare è indubbiamente un importante fenomeno nell'evoluzione del focolaio flogistico. Si possono infatti distinguere due fasi: la prima, di incremento, nella quale prevalgono le cellule in arrivo dal sangue, e la seconda, di decremento, caratterizzata dalla preponderanza dei processi di involuzione necrotica e di migrazione verso le vie linfatiche di elementi cellulari, che sono rimpiazzati da monociti in arrivo dal sangue.
La persistenza di una condizione di equilibrio fra numero di cellule che arrivano al focolaio infiammatorio e numero di cellule che scompaiono, è ovviamente motivo del lungo perdurare nel tempo di alcuni processi flogistici.
La neoformazione di piccoli vasi è di certo la condizione che garantisce l'adeguato nutrimento delle cellule del tessuto di granulazione; essa in alcuni casi può essere tanto pronunciata da imprimere a tale tessuto un particolare carattere angiomatoso, bene evidente nella struttura istologica simile a quella degli angiomi capillari e degli angiomi cavernosi.
Tessuto di granulazione coi suddetti caratteri si riscontra frequentemente nella mucosa buccale e nella cute, dove costituisce il noto granuloma piogenico teleangectasico: è questo un processo flogistico banale (v. Letterer, 1959), non proprio granulomatoso come invece farebbe pensare la denominazione, del quale si parlerà più avanti a proposito dell'accrescimento infiammatorio.
In alcune condizioni, come nel caso delle piaghe granuleggianti, la superficie del tessuto di granulazione assume un aspetto granulare per la presenza di minuscoli nodulini, individuabili anche a occhio nudo o con l'aiuto di una lente semplice, in ognuno dei quali è possibile riconoscere i caratteri di un granulum di tessuto flogistico neoformato (v. Letterer, 1959).
Come si è già accennato, il tessuto di granulazione non più giovane è costituito da una notevole proporzione di fibroblasti e da rare strutture vascolari, ed è ricco di fibre collagene.
I cheloidi cicatriziali risultano costituiti da un tessuto di granulazione esuberante, che si arricchisce progressivamente in fibre collagene, mentre gli elementi cellulari permangono soltanto lungo il decorso dei vasi.
c) Formazione del tessuto di granulazione: i fattori trofici
La formazione del tessuto di granulazione si attua sotto l'influsso di fattori trofici di natura nucleoproteica, ribonucleinica e nucleotidica (v. Boivin e Delaunay, 1948). Nell'essudato delle ferite sono stati individuati fattori in grado di stimolare in vitro la coltura di fibroblasti (v. Rosen e altri, 1962).
Anche le cellule del tessuto di granulazione producono, a loro volta, fattori trofici: i fibroblasti elaborano fattori di crescita per i macrofagi (v. Ichikawa e altri, 1966; v. Virolainen e Defendi, 1967), mentre i macrofagi producono un fattore che inibisce lo sviluppo di altre cellule dei focolai infiammatori (v. Ichikawa e altri, 1967) e un fattore che stimola i fibroblasti (v. Heppleston, 1969); i leucociti polimorfonucleati liberano sostanze che agiscono sulle cellule linfoidi favorendone la trasformazione blastica (v. Jones, 1966) responsabile della successiva formazione di plasmacellule e di macrofagi, un fattore che inibisce la migrazione dei macrofagi identificabile in una sostanza termostabile e dializzabile dal peso molecolare di circa 4.000 (v. Stastny e Ziff, 1970), e un fattore chemiotattico che al contrario favorisce la migrazione nel focolaio flogistico dei macrofagi, costituito probabilmente da materiale lisosomico.
Gli stessi meccanismi che portano alla liberazione di 5- idrossitriptammina finiscono per incidere sulla composizione citologica del focolaio infiammatorio, poiché tale sostanza si è rivelata un potente fattore di crescita per i fi- broblasti (v. Boucheck e Alvarez, 1970).
d) Composizione citologica del tessuto di granulazione
La composizione citologica del tessuto di granulazione è in definitiva la somma algebrica degli effetti positivi e negativi considerati, e la molteplicità dei fattori in causa rende ragione della sua complessità nonché dei caratteri produttivi subacuti e cronici: un evidente motivo della cronicità, ad esempio, risiede nel fatto che il tessuto di granulazione risulta costituito da elementi particolarmente persistenti, quali sono le cellule macrofagiche e fibroblastiche (v. Spector e Lykke, 1966).
Focolai flogistici a composizione citologica particolare si riscontrano nelle infiammazioni allergiche: in questi casi il tessuto di granulazione presenta una notevole ricchezza di cellule eosinofile, le quali tendono a raggrupparsi insieme con istiociti e cellule giganti multinucleate.
A carico dei polmoni si realizza una flogosi produttiva eosinofila nelle infestazioni da nematodi (ascaridiasi e filariasi), nelle allergie ai pollini e in quelle ad alcuni composti chimici (v. Spencer, 19682), conosciuta con la denominazione di sindrome di Loeffler.
I leucociti eosinofili originano dal midollo osseo e vengono mobilizzati da un eosinophil releasing factor che compare nel plasma sanguigno degli animali nei quali sono state inoculate larve elmintiche (v. i contributi di Spry, 1971). Essi in realtà subiscono gli effetti degli stessi stimoli chemiotattici che agiscono sui polimorfonucleati neutrofili (v. Harris, 1960; v. Ward, 1969). È stata anche prospettata l'ipotesi che il complesso antigene-anticorpo rappresenti un fattore chemiotattico per gli eosinofili (v. Litt, 1964), specialmente quando intervenga il complemento (v. Ward, 1966). Forse l'eosinofilia dell'asma allergico e quella delle elmintiasi tessutali sono particolarmente intense perché vi intervengono ambedue i tipi di fattori, quello plasmatico stimolante il midollo e quello locale agente chemiotatticamente sulle cellule. Si è osservato che lo stimolo elmintico riduce nel midollo il tempo del ciclo cellulare degli eosinofili a 1/3 (v. i contributi di Spry, 1971).
Nel tessuto di granulazione oltre agli eosinofili, facilmente dimostrabili nei preparati istologici e ben distinguibili dagli altri elementi cellulari con la comune colorazione con ematossilina ed eosina, è possibile osservare, specialmente nelle flogosi allergiche da ipersensibilità ritardata (v. Wolf-Jürgensen, 1966), anche i mastociti: questi elementi vengono messi in evidenza con particolari coloranti basici, come il blu di toluidina e la tionina, i quali colorano metacromaticamente in rosso-viola le loro granulazioni basofile citoplasmatiche.
Tra questi due tipi di cellule esistono rapporti alquanto stretti, nel senso che gli eosinofili si dispongono sovente intorno ai mastociti e ne fagocitano il materiale granulare scaricato nell'ambiente intercellulare (v. Mann, 1969).
I risultati delle numerose ricerche condotte negli ultimi quindici anni soprattutto col metodo delle colture in vitro inducono a ritenere che le cellule granulose basofile derivano dai linfociti, in particolare dai timociti (v. Csaba e altri, 1963; v. Ginsburg e Sachs, 1963). La trasformazione dei linfociti in mastociti si può verificare nello stesso tessuto di granulazione, ma sembra che prevalga il fenomeno dell'arricchimento del focolaio infiammatorio a opera di cellule granulose basofile ematiche (v. Wolf-Jürgensen, 1966). L'interazione fra linfociti sensibilizzati e antigene, al livello tessutale, sembra essere una condizione favorente l'attrazione degli elementi basofili (v. Dvorak e Mihm, 1972).
e) Fattori di cronicità
Affinché il tessuto di granulazione possa persistere a lungo è necessario che gli elementi avviati verso la decadenza necrobiotica vengano sostituiti da nuovi elementi migrati dal sangue e prodotti in loco. I fenomeni di proliferazione cellulare nel focolaio infiammatorio dipendono fondamentalmente dall'attività moltiplicativa degli istiociti, che si sono formati in seguito alla modulazione istiocitica subita dai monociti immigrati dal sangue e dalla moltiplicazione cellulare degli elementi fissi, quali periciti, cellule endoteliali, cellule di Schwann, ecc.
In seguito al persistere di tale attività moltiplicativa cellulare, documentabile a mezzo della timidina marcata captata dagli elementi in sintesi premitotica, si produce un tessuto di granulazione a struttura compatta (v. Spector e altri, 1968). Tale compattezza del tessuto di granulazione è non soltanto la conseguenza dell'attività moltiplicativa cellulare, bensì anche condizione favorente le sintesi di DNA nei nuclei cellulari. È noto d'altra parte che la condizione opposta, cioè la scarsa densità degli infiltrati cellulari (di cui è tipico esempio l'infiltrazione essudativa del derma da istamina), è caratterizzata dall'esiguità di proliferazioni cellulari.
I due caratteri, compattezza dell'infiltrato cellulare flogistico e intensità della proliferazione, si riscontrano in maniera cospicua nelle reazioni infiammatorie evocate da macromolecole, o da materiale polveroso insolubile (coniotico), o anche quando lesioni distruttive tessutali restino incluse nell'organizzazione del tessuto di granulazione (v. Spector e altri, 1968).
Un'altra condizione di cronicità della reazione flogistica può essere rappresentata dall'intervento di fenomeni immunologici che complichino l'infiammazione: questi possono dipendere o dal carattere antigenico degli agenti eziologici (Virus, Batteri, Protozoi, Vermi), o dalla capacità dei tessuti alterati dalle lesioni flogistiche di acquisire caratteri autoantigenici e quindi di scatenare reazioni autoimmunitane. Questi fenomeni di tipo autoimmune correlati coi processi infiammatori sono il fondamento patogenetico di lesioni fiogistiche peculiari: infatti, l'instaurarsi e perdurare del focolaio infiammatorio può costituire la condizione che favorisce l'intervento di complessi potenzialmente antigenici segregati, poiché viene a interrompere la segregazione (v. immunologia e immunopatologia: Malattie autoimmuni).
La complicazione da fenomeni immunologici dei processi infiammatori, più frequente di quanto non sembri (v. Boyden, 1964), comporta ovviamente un certo allungamento nell'evoluzione del processo fiogistico; l'intervento di antigeni può indurre l'instaurazione di ipersensibilità ritardata, con relativa immunità cellulare. Le cellule linfoidi liberano nel tessuto di granulazione un fattore che inibisce la migrazione dei macrofagi (MIF), il quale determina pertanto arricchimento di macrofagi; liberazione di MIF avviene anche a opera delle cellule fibroblastiche proliferanti (v. Tubergen e altri, 1972).
Un altro elemento patogenetico della cronicizzazione è costituito dall'intervento nel focolaio infiammatorio di materiale non disintegrabile dai leucociti e dai macrofagi: la mancata digeribilità del materiale flogogeno come causa di cronicità dell'infiammazione è stata studiata sperimentalmente utilizzando macromolecole di materiale non fisiologico difficilmente biodegradabile (v. Spector e altri, 1968).
Un'importante condizione di persistenzadella lesione infiammatoria produttiva è rappresentata dall'esistenza di alterazioni circolatorie ematiche e linfatiche, le quali a lungo andare risultano causa di lesioni displastiche disemiche dei tessuti interessati. Tali lesioni finiscono per concretarsi in fenomeni fibrosclerotici, la cui patogenesi sarà presa in considerazione successivamente, trattando della fibroplasia.
f) Fenomeni di riparazione
Non si può terminare l'esame del tessuto di granulazione senza accennare alla parte che esso rappresenta nella guarigione delle soluzioni di continuo: rotture di organi, fratture, ferite, piaghe, lesioni infartuali e altre alterazioni distruttive necrotiche. Nel tessuto di granulazione, infatti, deve essere individuato il materiale vivente, prodotto dalla reazione infiammatoria, che ristabilisce le connessioni nelle lesioni di continuo, che tende a colmare le perdite di sostanza e che conduce al riavvicinamento dei margini delle ferite e alla circoscrizione o demarcazione dei distretti necrotici.
Nella guarigione delle ferite la riparazione è dovuta prevalentemente ai fenomeni proliferativi del tessuto di granulazione. Tuttavia, alla riduzione della soluzione di continuo prende parte un fenomeno di restringimento dei margini della ferita, che porta a una rapida, meccanica, riduzione della superficie della perdita di sostanza; questo fenomeno è stato largamente studiato sperimentalmente negli animali e nell'uomo su ferite a stampo di superficie predeterminata, ed è stato denominato contrazione delle ferite. Il fenomeno del restringimento dei bordi comincia a verificarsi nelle ferite a partire dal secondo giorno, cioè da quando l'essudato inizia a organizzarsi in tessuto di granulazione. In realtà, si è osservato che il tessuto di granulazione delle pseudocisti granulomatose di Selye, nel sottocutaneo di ratto, si contrae come il tessuto muscolare liscio sotto l'influsso di vari stimoli (v. Majno e altri, 1971). La capacità di contrarsi del tessuto di granulazione può ricondursi alla sua ricchezza in strutture vascolari; tuttavia è stato messo in evidenza che gli elementi che maggiormente prendono parte alla contrazione sono i fibroblasti, che per questo peculiare comportamento si è proposto di denominare miofibroblasti (v. Majno e altri, 1971).
Si tratta di elementi simili per alcuni caratteri alle cellule muscolari lisce, contenenti materiale contrattile (ne è stata estratta actomiosina) non in forma di fibrille parallele quali sono sovente dimostrabili nelle miofibrille muscolari striate. Inoltre, gli stimoli, che ne determinano la contrazione in via sperimentale, risultano essere istamina, 5- idrossitriptammina, angiotensina, vasopressina, adrenalina, noradrenalina e altre sostanze che producono la contrazione del tessuto muscolare liscio. Il tessuto di granulazione può essere quindi considerato come una struttura patologica contrattile, simile alle normali strutture muscolari lisce (v. Majno e altri, 1971).
Sarebbe interessante trattare delle recenti acquisizioni sulla patogenesi di quelle forme particolari di tessuto di granulazione che costituiscono i granulomi, in quanto i progressi compiuti negli ultimi vent'anni in tale settore della patologia sono stati veramente cospicui (v. Caselli, 1966); l'esame della patogenesi delle reazioni granulomatose, tuttavia, andrebbe ben oltre i limiti concessi alla presente trattazione.
4. Le modificazioni displastiche flogistiche
a) Ipertrofia e metaplasia, displasie infiammatorie
Lo svilupparsi di un processo flogistico e il suo perdurare conducono a modificazioni trofiche che si estrinsecano per lo più come fenomeni di ipertrofia (v. cellula: Patologia della cellula).
In particolare in alcune mucose (nasali, bronchiali, intestinali e urogenitali) si producono frequentemente fenomeni di ipertrofia flogistica, caratterizzata da esagerato sviluppo delle cellule mucipare, disposte nel contesto dell'epitelio di rivestimento, e delle ghiandole mucipare, situate nello stroma sottomucoso, e da incremento della normale colonizzazione di cellule linfoidi.
Tali fenomeni di ipertrofia costituiscono per alcuni tessuti (mucosa tracheobronchiale) i segni più sicuri del carattere di cronicità del processo infiammatorio (v. Reid, 1961; v. Heard, 1969). Così ad esempio, per la dimostrazione peritale dell'esistenza di un processo infiammatorio cronico bronchiale si procede alla determinazione del rapporto fra lo spessore delle strutture ghiandolari tubulo-acinose e quello di tutto lo strato mucoso e sottomucoso, che viene denominato indice della Reid. L'indice della Reid possiede valore risolutivo per la difficile diagnosi necroscopica medico-legale di bronchite cronica (v. Hartung e Meyer-Carlstaedt, 1968).
Accanto a semplici fenomeni di ipertrofia si riscontrano frequentemente fenomeni di metaplasia (v.cellula: Patologia della cellula) in concomitanza o in conseguenza di processi flogistici cronici di lunga durata. Così ad esempio, a carico del collo uterino, in caso di cervicite ghiandolare cronica, si verificano alterazioni iperplastiche delle ghiandole mucipare, con iperproduzione di secreto e accumulo del prodotto mucinoso nelle strutture ghiandolari dilatate (cervicite ghiandolare cistica), nonché alterazioni metaplastiche platicellulari degli epiteli inizialmente cilindrici .
Le modificazioni ipertrofiche dei tessuti che conseguono ai fenomeni flogistici cronici sono probabilmente dovute alle alterazioni iperemiche caratteristiche del focolaio infiammatorio, nel quale insieme agli elementi essudativi, soprattutto cellule linfoidi, giungono sostanze che esaltano il trofismo tessutale: infatti è stato prospettato che i linfociti apportino nei tessuti fattori trofici (v. Schields e altri, 1969). Agli eccessi di accrescimento che si verificano in rapporto a fenomeni flogistici si è attribuita la denominazione generica di displasie infiammatorie (v. Redaelli e Cavallero, 1950). Esse comprendono accrescimenti cellulari benigni dei tessuti connettivali fibrosi collageni, dei tessuti ossei, periostei e peridentali, dei tessuti delle strutture ghiandolari e dei tessuti delle mucose e della cute.
Se ne prenderanno in considerazione alcuni fra i più ti- pici.
b) Granuloma teleangectasico piogenico; caruncola granulomatosa teleangectasica
Un caratteristico accrescimento infiammatorio è rappresentato dal cosiddetto ‛pseudobotriomicoma' o granuloma teleangectasico piogenico: si tratta di una neoformazione nodulare, di color rosso vivo, che ha sede per lo più in corrispondenza della cute delle parti scoperte e talora nei tessuti della mucosa della bocca (labbra, palato, ecc.) e della vulva (meato uretrale), la cui struttura istologica è quella di tessuto di granulazione ricco in vasi lacunosi (v. fig. 24). Questa lesione displastica infiammatoria ha scarsa tendenza a regredire, e per la sua cura si rende necessaria l'asportazione chirurgica come se si trattasse di un nodulo fibromatoso. La localizzazione della lesione in corrispondenza del meato uretrale femminile costituisce il quadro di una forma di caruncula, che viene denominata caruncula granulomatosa teleangectasica. La composizione citologica di tali accrescimenti flogistici è caratterizzata dalla notevole proporzione di plasmacellule e consente quindi di prospettare l'intervento di fattori patogenetici immunologici nella loro instaurazione e nel loro perdurare tanto a lungo.
c) Il cheloide
Il cheloide è un accrescimento infiammatorio nodulare di consistenza duro-elastica, quasi cartilaginea, che si sviluppa a carico del connettivo dermico e può raggiungere il diametro di 20 cm (v. Tommasi, 1951); istologicamente risulta costituito da tessuto di granulazione ricco in grossolani fasci di fibre collagene alterate da omogeneizzazione ialina, e con gli elementi infiammatori linfoistiocitari disposti lungo il decorso dei piccoli vasi. In seguito ad asportazione chirurgica questo accrescimento flogistico si riproduce sempre (v. Tommasi, 1951), poiché la sua insorgenza è in stretto rapporto col terreno sul quale si sviluppa. Le razze negre e mongoloidi risultano particolarmente inclini allo sviluppo di lesioni cheloidee (v. Willis, 1948; v. Evans, 1956); fra i bianchi europei, i popoli meridionali sono quelli più soggetti alla produzione di tale displasia flogistica. È stata giustamente prospettata l'esistenza di una diatesi cheloidea o fibroplastica, consistente probabilmente in difetto di produzione di ormoni surrenalici (cortisolo e altri ormoni antiflogistici), come si è già avuto occasione di considerare.
d) Epulidi e tumori bruni delle ossa
Altri accrescimenti infiammatori da prendere in considerazione sono quelli del paradenzio, che rientrano nel novero delle neoformazioni granulomatose gigantocellulari riparative (v. Toma e Goldman, 19605) e che vengono correntemente indicati come epulidi. Questi accrescimenti hanno la struttura istologica del tessuto di granulazione, e la loro composizione citologica è caratterizzata da macrofagi, la cui cospicua presenza determina intensi fenomeni di fagocitosi, fibroblasti e cellule giganti multinucleate, con una certa proporzione di plasmacellule; questi ultimi elementi sono particolarmente abbondanti in quelle epulidi dette plasmacellulari. Talora si riscontra in tali neoformazioni una certa ricchezza di vasi capillari lacunosi, che fa loro assumere un carattere granulomatoso teleangectasico o angiomatoso.
Nelle epulidi gigantocellulari frequentemente si osservano goccioline di materiale lipidico e granuli di emosiderina; alla presenza di tale materiale estraneo, di origine emorragica, si attribuisce significato patogenetico. Neanche gli accrescimenti gigantocellulari riparativi dei tessuti peridentali tendono a regredire, e debbono quindi essere asportati chirurgicamente (v. Benagiano, 1952).
Accrescimenti a struttura istologica simile a quella testé descritta si riscontrano in alcune neoformazioni flogistiche delle ossa, che insorgono per lo più in seguito a fenomeni emorragici e sono caratterizzate da infiltrazione di emosiderina: macroscopicamente appaiono come noduli scuri, di color marrone, che vengono denominati tumori bruni delle ossa e sono ovviamente compresi fra le neoformazioni granulomatose gigantocellulari riparative.
e) Polipi e papillomi
A carico delle ghiandole si producono le displasie flogistiche nodulari. Un tipo di displasia ghiandolare è costituito dai polipi adenomatosi: localizzati elettivamente in corrispondenza della mucosa nasale, di quella intestinale e di quella uterina, tali accrescimenti ghiandolari infiammatori constano di una piccola quantità di tessuto epiteliale e di una quota ben più elevata di origine mesenchimale, costituita da tessuto di granulazione alla cui formazione prendono larga parte elementi linfoidi e plasmacellulari. Nella patogenesi di queste displasie svolgono un ruolo importante fattori irritanti, flogogeni, che agiscono per un lungo periodo di tempo con una modesta intensità (v. Redaelli e Cavallero, 1950).
Esistono anche accrescimenti poliposi alla cui costituzione il tessuto epiteliale prende parte minima, e alcuni nei quali le strutture ghiandolari non si osservano affatto: sono questi i polipi, la cui struttura viene definita mixoide o fibroangiomatosa, che si riscontrano con notevole frequenza a carico della mucosa nasofaringea.
Anche questi accrescimenti infiammatori non hanno tendenza a regredire, per cui debbono essere eliminati chirurgicamente.
Dopo aver preso in considerazione gli accrescimenti glogistici poliposi, nei quali lo stroma infiammatorio si trova disposto senza alcun ordine, si deve trattare degli accrescimenti flogistici papillomatosi, caratterizzati da uno stroma infiammatorio disposto in ordinati assi multipli, delimitati da stratificazione epiteliale.
Questi assi vasculoconnettivali, che rappresentano l'espressione più evidente dell'importanza dell'infiammazione nella patogenesi dell'accrescimento displastico (v. Redaelli e Cavallero, 1950), sono costituiti da tessuto di granulazione con anse vascolari particolarmente sviluppate e presenza di elementi linfoistiocitari e plasmacellulari. Soprattutto nelle sezioni trasversali delle escrescenze dei papillomi è bene evidente la ricchezza in anse iperemiche e la composizione linfocitica, istiocitaria e plasmacellulare della loro quota di origine mesenchimale.
f) Accrescimenti verrucosi e discheratosici
Per portare a termine la nostra disamina delle displasie infiammatorie, occorre prendere in considerazione gli accrescimenti infiammatori verrucosi (verruca volgare, condiloma acuminato, mollusco contagioso, verruca senile ecc.) e quelli discheratosici (cheratoma senile e cheratoacantoma).
Gli accrescimenti verrucosi sono la conseguenza di un eccessivo sviluppo distrofico dell'epitelio epidermico, sollecitato da stimoli abnormi provenienti dai sottostanti tessuti stromali sede di reazione infiammatoria cronica produttiva. Al notevole sviluppo dei tessuti dermici papillari l'epidermide reagisce aumentando la sua estensione e assumendo pertanto una conformazione pieghettata (falde epidermiche), cui il connettivo dermico si adatta (v. Masson, 1956). Nella parte stromale di tali accrescimenti verrucosi si riscontra un cospicuo sviluppo delle anse dei piccoli vasi, congeste di sangue, nonché la presenza di infiltrati infiammatori linfoistiocitari. In alcune di tali neoformazioni verrucose in senso lato, come nel condiloma acuminato, la displasia si esprime anche in forma di acantosi, con atipie citologiche degli elementi epiteliali, che risultano bene evidenti nelle osservazioni microscopiche a forte ingrandimento.
Fra gli accrescimenti infiammatori discheratosici merita di essere preso in particolare considerazione il cheratoacantoma (pseudoepitelioma seborroico), che spesso è stato confuso con l'epitelioma spinocellulare: si tratta di un accrescimento nodulare di falde e cordoni epiteliali impiantato su un derma infiammato, di forma rotondeggiante con ombelicatura centrale, ripieno di un ammasso di cheratina. Il nodulo s'ingrandisce progressivamente nel corso di alcune settimane, poi la proliferazione si riduce, e nel giro di alcuni mesi la lesione regredisce spontaneamente (v. Midana e Ormea, 1955). La struttura del cheratoacantoma è caratteristica: la massa nodulare neoformata, incassata nel derma, è delimitata ai bordi da una plica cutanea concava verso la massa, architettura questa che mai si osserva nell'epitelioma (v. D'Arrigo, 1963); le sue pareti e il suo fondo sono costituiti da una proliferazione epiteliale caratterizzata dalla presenza di focolai di cheratinizzazione.
Questo accrescimento, riproducibile sperimentalmente nel coniglio, nel criceto e nel topo, deriva dai fenomeni displastici flogistici che interessano gli annessi cutanei situati nel derma (follicoli piliferi e lobuli ghiandolari); nelle fasi iniziali ha i caratteri di una piccola cisti pilosebacea contenente lamine cheratiniche, la quale poi si usura in superficie e risulta quindi riempita nella parte concava dalle falde epiteliali verrucose (v. Heslop, 1958); successivamente le strutture follicolari pilifere e quelle ghiandolari non risultano più identificabili, mentre si forma una massa nodulare di strutture epiteliali cheratinizzate, ben delimitata dai tessuti circostanti.
Lateralmente la delimitazione è costituita da pliche cutanee, mentre inferiormente è formata da tessuto connettivo collageno intensamente infiltrato da elementi infiammatori linfoistiocitari e plasmacellulari.
Quando l'accrescimento pilosebaceo non risulta sufficientemente incassato nel derma, ne deriva una neoformazione verrucosa discheratosica (verruca senile).
La notevole reazione infiammatoria che si riscontra nel derma su cui è impiantato il cheratoacantoma ha probabilmente significato di elemento patogenetico distrofico. Tuttavia la reazione flogistica è più intensa nei cherantoacantomi vecchi che in quelli giovani (v. Ghadially, 1958). La reazione linfoide e plasmacellulare risulta più cospicua nella fase involutiva della neoformazione, nella quale la reazione flogistica assume più chiaramente i caratteri di tessuto di granulazione, che conduce a distruzione degli elementi epiteliali e dà esito infine a tessuto fibrosclerotico cicatriziale (v. Ghadially, 1959).
5. Fibroplasia
Molti processi infiammatori cronici producono nei tessuti alterati le condizioni adatte all'aggregazione dei colloidi collageni in materiale organizzato in fibrille reticolari e collagene. La formazione intercellulare di tali materiali scleroproteici viene studiata prendendo in considerazione le sclerie flogistiche.
Forme particolari di sclerie flogistiche sono i cheloidi cicatriziali, costituiti da tessuto di granulazione di ferite, esuberante, particolarmente ricco in fibrille collagene orientate in diverse direzioni tra le quali si trovano interposti rari elementi fibroblastici e fibrocitici.
Lungo il decorso dei vasi si riscontrano, invece, manicotti di elementi parvicellulari, che denunciano la natura flogistica di tali accrescimenti patologici connettivali.
Il fenomeno della fibroplasia è stato ritenuto connesso con l'essudazione linfocitica (v. Dumont, 1965): gli elementi linfoidi tenderebbero a trasformarsi in fibroblasti, le cellule cioè che rappresentano la parte principale nella sintesi delle molecole del collageno. Tuttavia la produzione di materiale fibroso collageno in eccesso sembra risulti stimolata da sostanze che derivano dalla distruzione dei leucociti e dei macrofagi (v. Schepers, 1960; v. Curran e Ager, 1962). Ricerche condotte su colture in vitro e osservazioni di microscopia elettronica hanno anche richiamato l'attenzione sull'intervento dei mastociti nella comparsa del fenomeno della fibroplasia, in quanto tali elementi sarebbero in grado di interagire con i fibroblasti e di esercitare un'attrazione citotattica nei confronti dei granulociti eosinofili, la cui degranulazione rappresenterebbe uno stimolo alla produzione di nuove fibrille collagene (v. Gigante e altri, 1969).
La fibrosclerosi da silice viene attribuita infatti all'enorme intensità dei fenomeni distruttivi di leucociti e macrofagi intossicati da acidi polisilicici. La fibroplasia è un'alterazione dei tessuti vasculostromali dovuta principalmente al particolare comportamento degli istiociti macrofagici, che vengono eccitati alla iperproduzione del collageno quando risultino carichi di materiale difficilmente disintegrabile (silice, cere batteriche ecc.). Si ritiene che sia più precisamente un'interazione fra macrofagi e fibroblasti, con attivazione di questi ultimi, il fondamento patogenetico della fibroplasia collagena (v. Spector, 1973).
Le prime speculazioni sulle sostanze fibrogene macrofagiche condussero a prospettarne la natura lipidica (v. Fallon, 1937; v. Harington, 1963): poiché in seguito alla morte delle cellule nei tessuti infiammati si determina accumulo di fosfolipidi, sembrava logico supporre che la fibroplasia fosse un fenomeno dipendente dalla tesaurizzazione di materiali derivanti dalle membrane cellulari, che sono ricche in lipoprotidi.
In realtà le colture in vitro di macrofagi, danneggiati da polvere di silice, quando vengano inoculate nei tessuti dopo essere state private del materiale minerale, risultano fibrogene; inoltre un fattore fibroplastico è stato individuato proprio nel liquido nel quale è stata fatta avvenire la fago- citosi della silice, anche dopo aver allontanato il detrito cellulare (v. Heppleston e Styles, 1967). La fibrogenicità di tale fattore è stata messa in evidenza su colture di fibroblasti mediante la dimostrazione dell'incremento dell'idrossiprolina, a partire dalla prolina contenuta nel medium colturale: l'effetto fibroplastico della silice sembra pertanto che debba essere attribuito alla liberazione di un fattore macrofagico che agisce esaltando la capacità di sintetizzare il collageno (v. Heppleston, 1969).
I fattori H (da hydroxyproline) di Heppleston sarebbero però non sostanze di natura lipidica, bensì fattori protidici in grado di stimolare direttamente la produzione del materiale scleroproteico connettivale. I materiali lipidici, sebbene non possano essere considerati stimolatori diretti della displasia flogistica, conservano tuttavia la loro importanza di fattori indiretti, secondo l'ipotesi di Heppleston, in quanto esercitano un potente influsso sugli elementi del sistema reticoloendoteliale, in senso iperplastico, e sui monociti, richiamandoli dal sangue nei tessuti e facendoli proliferare in senso macrofagico.
Questo schema di meccanismo patogenetico della fibroplasia flogistica da silice verosimilmente è valido anche per spiegare la patogenesi delle fibrosclerosi da agenti infettivi (tubercolari) e da agenti parassitari (elefantiasi elmintica).
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