Infiammazione
L'infiammazione (o flogosi) è una parte, clinicamente importante, della risposta omeostatica del nostro organismo a un danno. I meccanismi attivati dall'infiammazione tendono a neutralizzare ed eliminare lo stimolo dannoso e a riparare la funzione e la struttura dei tessuti danneggiati. Con gli altri aspetti della risposta omeostatica (proliferazione, stress, immunità) l'infiammazione condivide molecole (mediatori) e cellule (leucociti).
L'infiammazione o risposta flogistica era già conosciuta da Ippocrate e appare ben nota a Celso e a Galeno che ne descrivono i fenomeni clinici (rubor, calor, tumor, dolor e functio laesa, aggiunta da Galeno). Solo nel corso del 19° secolo, tuttavia, sono state individuate le cellule attive nella risposta (leucociti). Recente è l'identificazione delle basi molecolari che permettono uno straordinario adattamento dell'espressione genica delle cellule coinvolte e che determinano i fenomeni clinici già noti a Ippocrate. Poiché il processo infiammatorio, pur avendo manifestazioni sistemiche, appare localizzato a livello dei tessuti e degli organi danneggiati, viene identificato dal nome del distretto interessato con l'aggiunta del suffisso -ite (quindi, per il polmone polmonite, per il fegato epatite, per la vescica cistite, per il muscolo miosite, per i bronchi bronchite ecc.). L'andamento clinico (durata) del processo flogistico e il tipo di cellule da esso attivate hanno permesso di identificare due tipi fondamentali di risposta: l'infiammazione acuta o angioflogosi (di breve durata, in cui sono coinvolti soprattutto granulociti) e l'infiammazione cronica o istoflogosi (di durata più lunga, che ha per protagonisti linfociti e macrofagi). Le diverse risposte rappresentano il risultato dell'azione di molecole diverse, la cui mobilitazione dipende essenzialmente dal tipo di danno iniziale e dai meccanismi da esso attivati.
La risposta infiammatoria è scatenata dal danno prodotto da agenti fisici (calore, radiazioni), chimici (veleni, tossici, solventi) e biologici (batteri, virus, altri parassiti e loro prodotti). Il danno primario si manifesta con la necrosi o con alterazioni subletali delle cellule presenti nel sito di azione (sito infiammatorio): cellule dei tessuti, leucociti, piastrine e cellule endoteliali. Questo permette la genesi dei primi segnali responsabili della liberazione delle molecole attive (mediatori) le quali, a loro volta, generano la sequenza dei fenomeni clinici flogistici nell'area direttamente interessata dal danno. Per es., sulla superficie cutanea sottoposta all'azione di uno stimolo dannoso, la comparsa dei segni clinici della flogosi può essere descritta in questo modo: 1) fugace pallore, immediatamente associato al danno, dovuto a una vasocostrizione locale determinata da molecole liberate dalle cellule presenti nel tessuto danneggiato; 2) comparsa di rossore (rubor) e aumento della temperatura locale (calor), dovuti a vasodilatazione persistente e aumento del flusso sanguigno; 3) formazione di una vescicola o di una tumefazione (tumor) per l'accumulo locale di liquido nello spazio interstiziale; 4) estensione dell'area interessata con comparsa di dolore (dolor) e alterazione della funzionalità del tessuto e dell'organo (functio laesa). Questa sequenza è determinata dall'azione concertata dei mediatori liberati dalle cellule proinfiammatorie che sono coinvolte. L'evidenza clinica di questi sintomi è legata all'amplificazione della risposta, direttamente proporzionale all'intensità dello stimolo dannoso, al tempo per cui esso agisce e al numero delle cellule proinfiammmatorie che vengono reclutate e attivate. La rilevanza clinica è dovuta anche alla rapidità con cui la risposta infiammatoria ripristina l'omeostasi per mezzo della guarigione e della riparazione. L'innesco e l'amplificazione della risposta, il danno collaterale alle reazioni difensive e la sua guarigione o riparazione sono controllati dalle molteplici famiglie di mediatori ad azione pro- e antinfiammatoria. Alcuni di questi sono immediatamente pronti per l'uso (per es., istamina e serotonina), altri vengono mobilizzati più o meno rapidamente (per es., chinine vasoattive e complemento), altri ancora sono il prodotto di complesse attività biochimiche (per es., prostanoidi e leucotrieni) o geniche (per es., citochine ed enzimi chiave per la sintesi delle varie famiglie di mediatori). Sono stati comunque parzialmente chiariti due fenomeni importanti: 1) il tipo di risposta infiammatoria, acuta o cronica, viene determinato dall'iniziale interazione con alcune cellule infiammatorie e dalla successiva liberazione di citochine di tipo I (Th1) e di tipo II (Th2); 2) l'amplificazione della risposta infiammatoria, rilevante per l'evidenziazione della sintomatologia clinica e per la produzione del danno, è dovuta soprattutto all'attivazione di gruppi di geni, normalmente inattivi, nei leucociti e nelle altre cellule dei tessuti coinvolti.
Il quadro di infiammazione acuta si manifesta quando viene riconosciuto dall'organismo lo stimolo dannoso. Hanno così inizio i fenomeni vascolari descritti e vengono reclutati e attivati i granulociti (basofili, neutrofili ed eosinofili). Il riconoscimento iniziale avviene da parte di cellule localmente presenti: cellule dendritiche, cellule NK (natural killer), linfociti e macrofagi. Il reclutamento di altre cellule nel sito è mediato da una sottofamiglia di citochine, dette chemiochine, liberate o prodotte dalle cellule che per prime hanno avvertito lo stimolo dannoso. Le chemiochine fanno affluire specificamente i vari leucociti, permettono una nuova liberazione di mediatori a pronta disponibilità e, successivamente, stimolano la produzione di altri mediatori.
L'attivazione comprende una serie di segnali recettoriali che agiscono su alcune vie metaboliche favorendo la sintesi di altre molecole coinvolte nel meccanismo flogistico, quali prostanoidi, PAF (Platelet activating factor), leucotrieni ecc.; essi forniscono inoltre segnali per il nucleo e, quindi, per la trascrizione dei geni proinfiammatori. Le cellule attivate sono caratteristiche del sito infiammatorio (infiltrato) e della risposta flogistica sistemica (leucocitosi). La vasodilatazione (rubor e calor) è imputabile all'azione di mediatori come l'istamina, le chinine e le varie prostaglandine. Essi agiscono soprattutto sui recettori delle cellule endoteliali determinando l'attivazione di un enzima (NOS, ossido nitrico sintasi) che genera l'ossido nitrico (NO) a partire dall'arginina. L'NO è un gas diffusibile che raggiunge facilmente le cellule muscolari dei vasi provocandone il rilassamento. Per questo motivo la vasodilatazione interessa attivamente le arteriole (dotate di muscolatura liscia) e solo passivamente per l'aumento del flusso, i capillari e le venule (privi di muscolatura liscia). Contemporaneamente alla vasodilatazione, si verifica l'alterazione della permeabilità della parete vasale, soprattutto in quei distretti dove è presente un endotelio continuo. Gli stessi mediatori (istamina, chinine e prostaglandine), con diversa efficacia, disorganizzano le giunzioni strette (impermeabili) tra le cellule endoteliali, permettendo il passaggio di proteine plasmatiche dal compartimento vascolare a quello interstiziale. Ciò altera il normale gradiente osmotico tra i due compartimenti, per cui acqua e ioni del plasma tendono a passare in eccesso nell'interstizio. Questo liquido, per molti versi simile al plasma, si accumula progressivamente nello spazio interstiziale, producendo le vescicole o il caratteristico turgore (tumor) dei tessuti infiammati. All'accumulo contribuisce, oltre all'insufficienza del richiamo oncotico del plasma a livello delle venule, anche l'inadeguatezza del drenaggio linfatico, il quale normalmente è in grado di eliminare soltanto una piccola parte del liquido in eccesso (circa 5 mmHg, in valore pressorio). Il liquido che si accumula nello spazio interstiziale del sito infiammato si chiama essudato e si distingue dal trasudato tanto per la composizione (presenza di proteine simili a quelle del plasma), quanto per la patogenesi: l'essudato è legato soprattutto all'alterazione della pressione oncotica, cioè in ultima analisi al passaggio di proteine dal plasma all'interstizio, mentre il trasudato è legato all'aumento della pressione idrostatica ematica a monte di un blocco o di un restringimento vasale.
Si possono distinguere vari tipi di essudato a seconda della loro composizione proteica e della presenza o meno di cellule ematiche: essudato sieroso, sierofibrinoso, fibrinoso, purulento (pus), emorragico. Il tipo di essudato è caratteristicamente associato alla natura e alla gravità dello stimolo dannoso. Gli essudati sieroso e fibrinoso dipendono essenzialmente dall'entità della disorganizzazione delle giunzioni strette tra gli endoteliociti e, quindi, dal grado di permeabilità che lascia passare molecole di maggiore peso (per es. il fibrinogeno). L'essudato purulento dipende soprattutto dall'intensità dello stimolo chemiotattico delle chemiochine e quindi dall'abbondanza di granulociti e macrofagi giunti nel sito infiammatorio. Per questo il pus è costituito non solo da componenti plasmatici ma anche da leucociti, batteri e detriti cellulari derivati dalle azioni difensive messe in atto localmente contro l'agente patogeno, sul tessuto circostante e sui leucociti stessi. L'essudato emorragico è associato a gravi lesioni della parete vasale, la quale lascia passare il sangue in toto. Esso risulta quindi ricco di piastrine, eritrociti e di tutte le proteine plasmatiche. La risposta infiammatoria progredisce e si amplifica perché in seguito al danno vengono coinvolte e attivate cellule sia del sangue sia dei tessuti interessati. Il meccanismo molecolare che determina la migrazione dei leucociti nel sito infiammatorio, la scelta del tipo di leucocita da reclutare e, infine, la loro attivazione (espressione di nuovi geni) è parzialmente conosciuto.
A seconda del meccanismo con cui viene avvertito lo stimolo dannoso vengono prodotti due pool di citochine e di chemiochine che caratterizzeranno il tipo e l'attivazione delle cellule reclutate. Il tipo I comprende chemiochine che richiamano soprattutto cellule NK, linfociti T (helper CD4 e citotossici CD8) e macrofagi, dando un quadro di infiammazione linfomonocitaria; altre citochine presiedono allo sviluppo di una risposta immune cellulomediata. Il tipo II comprende chemiochine e citochine attive su granulociti e linfociti B; esse pertanto presiedono alla risposta acuta tipica della immunità mediata da anticorpi e delle allergie. La migrazione, diretta dalle chemiochine, avviene con una caratteristica sequenza di fasi. Dapprima i leucociti aderiscono alla parete endoteliale del vaso (marginazione), quindi, emettono pseudopodi lungo le cellule endoteliali, seguendo il gradiente chemiochinico e, attraverso le giunzioni strette precedentemente disorganizzate, passano al di là della parete (migrazione). Durante questo processo la cellula si deforma adattandosi allo stretto passaggio tra le cellule endoteliali. La membrana basale e, poi, la matrice extracellulare vengono localmente digerite da enzimi litici (metalloproteinasi come collagenasi, ialuronidasi, elastasi ecc.) liberati dagli stessi leucociti attivati, i quali in questa maniera si fanno strada fino al sito infiammatorio che è il punto massimale del gradiente chemiochinico. Localmente i leucociti esplicano una sequenza di eventi difensivi che comprendono: la fagocitosi dell'agente patogeno, la sua uccisione (killing) e la sua digestione; il tutto legato a fini meccanismi molecolari di attivazione e di controllo.
La fagocitosi è caratteristica dei fagociti professionali (neutrofili e macrofagi), ma può essere osservata anche in altre cellule. Essa è un evento dipendente da recettori presenti sulla membrana dei fagociti e dagli specifici ligandi presenti sulla particella da internalizzare (opsonine, quali anticorpi e frazioni del complemento) e avviene come interazione ordinata tra queste due molecole (meccanismo a chiusura lampo) che porta la membrana plasmatica del fagocito a circondare la particella, fino alla formazione di un vacuolo (fagosoma). Nel microambiente del fagosoma vengono sintetizzati dal complesso citocromico della NADPH-ossidasi vari metaboliti dell'ossigeno, i quali, essendo altamente reattivi, uccidono i batteri tramite perossidazione dei vari componenti. Nel frattempo, i lisosomi primari si fondono con il fagosoma (fagolisosoma) e permettono alle idrolasi lisosomiali di degradare il parassita ucciso. La progressione della risposta flogistica si manifesta attraverso il coinvolgimento di altri distretti dell'organismo, che possono essere anche lontani dal sito infiammatorio e spiega inoltre le manifestazioni sistemiche che si possono osservare in una risposta infiammatoria pienamente realizzata.
Le principali manifestazioni sistemiche sono la febbre, le modificazioni ematiche e le reazioni vascolari e funzionali degli altri distretti dell'organismo. La febbre (v.), cioè l'aumento della temperatura corporea al di sopra di 37,5 °C, è dovuta all'azione di molecole, dette pirogeni endogeni, per la maggior parte identificate come citochine, prostaglandine e altri mediatori. Questi agiscono su un gruppo di neuroni dei nuclei periventricolari dell'ipotalamo (organo subfornicale, organum vasculosum, eminenza mediana e altri forniti di endotelio fenestrato permeabile alle citochine, contrariamente al resto della barriera ematoencefalica) che hanno la funzione di termostato e sono, infatti, in grado di controllare la temperatura dell'organismo, mantenendola normalmente attorno ai 37 °C. La regolazione del termostato è associata all'attività metabolica di questi neuroni e all'intensità degli stimoli da essi generati. Quando le citochine e gli altri mediatori pirogenici si legano agli specifici recettori su questi neuroni, la loro attività aumenta, regolando verso l'alto il termostato. La maggiore attività equivale alla liberazione di segnali neurormonali che sui bersagli finali si traducono in una diminuzione della dispersione del calore corporeo (per es. vasocostrizione degli strati superficiali corporei) e, soprattutto, in un aumento della produzione di calore. Questo secondo effetto può essere raggiunto attraverso numerosi stimoli neurormonali che, tuttavia, si concludono nell'attivazione delle vie biochimiche che portano all'aumento del metabolismo basale (aumento del consumo di ossigeno) e all'aumento del consumo di ATP. Il sangue modifica la sua composizione sia in cellule (leucocitosi) sia nella parte plasmatica (comparsa delle proteine di fase acuta).
La leucocitosi è uno dei segni clinici più caratteristici dell'infiammazione ed è dovuta in un primo momento al richiamo, mediato da chemiochine, dei leucociti dai compartimenti di riserva (midollo), successivamente anche alla proliferazione e maturazione, stimolate da altre citochine, di elementi staminali presenti soprattutto nel midollo. La leucocitosi dell'infiammazione acuta può essere neutrofila, se aumentano soprattutto i granulociti neutrofili; eosinofila, se aumentano soprattutto i granulociti eosinofili; oppure, infine, linfomonocitaria, nel caso di malattie virali acute. La leucocitosi dell'infiammazione cronica è soprattutto linfomonocitaria. Il richiamo prevalente di un tipo di leucocita dipende dalle citochine che vengono generate all'inizio e nel corso della risposta infiammatoria. Le proteine di fase acuta, assenti in condizioni normali, compaiono dopo l'attivazione dei loro geni da parte delle citochine (per es. IL-6) negli epatociti. La proteina C reattiva (uno dei più affidabili marcatori per la valutazione di uno stato infiammatorio sistemico), insieme con alcune frazioni del sistema del complemento, è in grado di attivare la fagocitosi da parte di macrofagi e neutrofili. Fibrinogeno e antiproteasi sono coinvolti nel processo coagulativo finalizzato alla riparazione. La funzione della proteina amiloide A è sconosciuta, ma, per la ricchezza di β-foglietti nella sua molecola, è all'origine di una β-fibrillosi sistemica, l'amiloidosi a partenza epatica. La risposta infiammatoria pienamente sviluppata influenza la fisiologia di quasi tutti gli organi e tessuti: i muscoli (astenia, dolori ecc.), il sistema cardiovascolare (aumento della frequenza, variazioni pressorie ecc.), i reni (aumento della filtrazione glomerulare) e il sistema nervoso centrale (sindrome da stress e depressione) appaiono coinvolti in maniera più o meno profonda, grazie all'azione diretta o indiretta delle citochine e di altri mediatori. L'evoluzione della risposta infiammatoria dipende soprattutto dal tipo di citochine e di mediatori che prevale nel sito infiammatorio e, quindi, dall'effetto che questi hanno sulle cellule dell'organismo. Le citochine e i mediatori agiscono sui recettori presenti diffusamente sia sulle cellule infiammatorie sia su quelle dei vari tessuti dell'organismo. Questi recettori, una volta attivati, generano segnali che hanno effetti metabolici nel citosol (per es., attivazione di enzimi, proteine citoscheletriche ecc.) e a livello nucleare con la trascrizione di nuovi geni, come molecole di adesione, nuove isoforme enzimatiche, recettori, componenti per il programma di apoptosi.
La trascrizione di nuovi geni modifica profondamente le proprietà biologiche, producendo uno stato di attivazione più adatto alle esigenze della risposta difensiva. La cascata di segnali che porta alla trascrizione inizia dai recettori di membrana, si svolge nel citosol con l'attivazione di varie famiglie di chinasi e proteine di trasduzione e arriva ad attivare pochi fattori di trascrizione i quali, da soli, coordinano l'espressione di un esteso numero di geni proinfiammatori. I meccanismi difensivi messi in atto dalla risposta infiammatoria tendono a eliminare lo stimolo dannoso e i detriti delle cellule danneggiate e a riparare il danno, ripristinando l'omeostasi funzionale e strutturale. Il primo passo è il controllo negativo della risposta che con l'annullamento dello stimolo dannoso e il diminuire dei mediatori tende a eliminare anche le cellule infiammatorie attivate. Per la maggior parte di esse si compie il programma di apoptosi attivato da stimoli citochinici. L'espressione sulla loro superficie dei recettori Fas e TNF (Tumor necrosi factor) -R1 e la disponibilità dei rispettivi ligandi Fas-L e TNF-α avvia la cascata di segnali che attiva le proteasi (caspasi) e l'endonucleasi che uccide la cellula secondo le tipiche modalità dell'apoptosi. Eliminato lo stimolo dannoso e fermata la risposta, viene riparato l'eventuale danno cellulare. Se il danno è modesto, un'opportuna proliferazione delle quote staminali dei vari tessuti danneggiati porta al completo ripristino della precedente architettura e funzione tessutale (restitutio ad integrum). Se invece si ha una perdita consistente di tessuto, allora la riparazione avviene con la formazione della cicatrice, in cui il macrofago svolge ancora un ruolo centrale (v. cicatrizzazione).
È importante notare che nell'infiammazione cronica, dove la produzione del danno è continua, anche il processo di riparazione è continuo ed è prevalente quello per cicatrizzazione. Per questo, il connettivo fibroso sostituisce progressivamente i vari parenchimi, portando alla fibrosi e alla insufficienza funzionale di organo o tessuto. La morte di un individuo a causa di un processo infiammatorio si verifica per due condizioni più frequenti: 1) le capacità difensive sono inadeguate a eliminare in tempo utile lo stimolo dannoso e a riparare il danno prodotto (per es. nella polmonite pneumococcica bilaterale o doppia la risposta si può rivelare inadeguata per cui il paziente muore per insufficienza respiratoria acuta; oppure nell'epatite acuta fulminante il virus uccide un grande numero di epatociti per cui si muore per insufficienza epatica acuta); 2) gli effettori difensivi (citochine, perforine, radicali liberi, mediatori) agiscono in maniera impropria e/o cronica sul tessuto sano circostante danneggiandolo e, inoltre, perpetuando o amplificando il meccanismo dannoso che supera le capacità omeostatiche dell'organismo, come avviene nello shock anafilattico o nello shock settico.
La permanenza dello stimolo dannoso e la prevalenza delle citochine del tipo Th1 fanno evolvere la risposta infiammatoria acuta nel senso della cronicizzazione e, quindi, verso il quadro di istoflogosi. Nel caso dei parassiti, la permanenza dello stimolo dannoso, è legata all'incapacità delle cellule infiammatorie di ucciderli e digerirli e, dunque, alla possibilità che essi hanno di sopravvivere e proliferare nel sito di infezione. Le cellule responsabili dell'infiammazione cronica sono i macrofagi (soprattutto le loro forme attivate), i linfociti Th1, i linfociti citotossici CD8 e le cellule NK. L'infiammazione si presenta in tre forme cliniche: la leucocitosi linfomonocitaria, l'infiltrato tessutale linfomonocitario e i vari tipi di granuloma. La leucocitosi linfomonocitaria si manifesta nelle fasi attive della malattia con agente patogeno presente in abbondanza nell'organismo. Rappresenta la prima reazione difensiva evocata da citochine del tipo Th1. Si verifica caratteristicamente nelle malattie virali e nelle malattie batteriche o da parassiti intracellulari in fase attiva. L'infiltrato tessutale linfomonocitario è il corrispettivo tessutale della leucocitosi linfomonocitaria e riguarda i distretti dove fisicamente si trova l'agente dannoso. La sua diffusione appare proporzionale alla diffusione dell'agente patogeno, come si riscontra nei tessuti infettati da virus.
Nel granuloma, l'infiltrato infiammatorio cronico si evolve e si organizza in una caratteristica struttura di strati cellulari concentrici. Al centro vi sono una o più cellule giganti polinucleate, contenenti l'agente patogeno. Attorno vi sono nell'ordine: macrofagi con morfologia di cellule epitelioidi e altri macrofagi tessutali tipicamente attivati; infine, vi possono essere linfociti e all'esterno uno strato di fibroblasti e tessuto cicatriziale. Nel granuloma non vi è segno di vascolarizzazione, per cui, quando esso raggiunge dimensioni tali da impedire la diffusione dei nutrienti, è possibile che le cellule centrali vadano in necrosi coagulativa (necrosi caseosa). Le citochine di tipo I, responsabili del reclutamento, vengono liberate dai linfociti Th1, dalle cellule NK, dai macrofagi, dalle cellule dendritiche e dai linfociti citotossici. Tra le citochine effettrici del danno vi sono il TNF-α e l'IL-1. Il TNF-α è il ligando per il TNF-R1 a cui è associata una cascata di segnali simile a quella del recettore Fas e che innesca il programma di apoptosi; per questo molte cellule del tessuto vanno in apoptosi, provocando un'amplificazione del primitivo danno.
La condizione di parassitismo intracellulare è determinata principalmente da meccanismi messi in atto dal parassita per sopravvivere. I virus sono parassiti intracellulari obbligati; essi si replicano, posizionando il loro genoma in zone attive dei cromosomi dell'ospite e mettono in atto una serie di trucchi per favorire la loro sopravvivenza, come la presenza di promoter e sequenze enhancer che facilitano la trascrizione dei loro geni e, soprattutto, la sintesi di proteine virali che inibiscono il programma di apoptosi. I batteri stabiliscono un rapporto di parassitismo intracellulare mediante altri processi: anzitutto, l'inefficacia su di loro dei meccanismi di uccisione, dovuti alla presenza nella loro parete di componenti resistenti ai radicali liberi (salmonelle e micobatteri), insensibili alle proteine con azione perforinica e, inoltre, la presenza di meccanismi inattivanti gli effettori (per es. catalasi).
I batteri di questo tipo, rimanendo vitali, possono replicarsi nel fagosoma che spesso essi adattano alle loro esigenze (per es. alcalinizzazione del fagolisosoma). Altri batteri (shigelle e listerie), invece, oltre a replicarsi, sono in grado di rompere la membrana del fagolisosoma, invadere il citosol e qui continuare a replicarsi e a muoversi, utilizzando anche le proteine contrattili (actina e miosina) dell'ospite. Il risultato finale di questa condizione è la fuoriuscita dalla cellula, l'invasione delle cellule contigue e, quindi, la propagazione dell'infezione. Altri parassiti, come plasmodio, schistosoma, tripanosoma, leishmania, sono in grado di entrare in varie cellule (eritrociti, macrofagi ecc.), grazie alla presenza di recettori che li aiutano. Tuttavia, essi vengono rilevati immediatamente, appena i loro antigeni sono esposti sulla superficie della cellula infettata. Vengono riconosciuti in maniera aspecifica dalle cellule NK e delle cellule dendritiche e in maniera più precisa dai cloni linfocitari specifici per mezzo del recettore TCRαβ e TCRγδ. Anche i macrofagi possono riconoscere le particelle successivamente liberate e opsonizzate.
È interessante notare che i linfociti il cui recettore per l'antigene presenta le catene γδ appaiono più efficienti nella produzione di citochine effettrici e, inoltre, si ritrovano in numero maggiore nei granulomi e negli infiltrati cronici. La risposta mediata da linfociti e macrofagi e i danni prodotti dalle citochine e dagli effettori liberati da queste cellule sono frequenti in patologia umana, soprattutto se si considera il deterioramento funzionale di organi e tessuti dovuto alla sostituzione fibrotica. Questa si verifica più spesso per la formazioni di granulomi da corpi estranei o da materiali indigeribili, in infezioni da virus, batteri e altri parassiti con persistenza dell'agente nell'organismo, in seguito a processi che innescano risposta autoimmune e, infine, nel corso di intossicazione cronica da agenti chimici. L'alterato riconoscimento dei propri antigeni (autoimmunità), soprattutto di quelli legati a tessuti, viene considerato come il maggiore meccanismo di deterioramento dei vari organi e tessuti nell'età matura e avanzata.
La farmacologia antinfiammatoria ha avuto per decenni i suoi cardini in tre famiglie di molecole: i corticosteroidei, i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) e gli antistaminici. Il meccanismo di azione dei corticosteroidei appare in via teorica molto più efficace: il loro recettore è un fattore di trascrizione che attiva l'espressione della lipocortina 1 o annessina I, un peptide di membrana in grado di mediare numerosi effetti antinfiammatori. Purtroppo i corticosteroidei hanno numerosi altri effetti indesiderati per cui anche il loro uso si è rivelato problematico. La famiglia degli antinfiammatori non steroidei comprende numerosi inibitori della sintesi dei prostanoidi e, in particolare, inibitori della ciclossigenasi (COX), l'enzima chiave della sintesi delle prostaglandine; tra questi inibitori vanno ricordati l'aspirina e l'indometacina. Tuttavia, anche in questo caso, l'uso prolungato dà luogo a fenomeni di tossicità a livello gastrico e renale che ne limitano l'efficacia. Il meccanismo d'azione degli antistaminici tende a bloccare le fasi precoci della risposta dovute all'istamina, sia per blocco dei recettori H1 sia per competizione. Poiché il ruolo dell'istamina è circoscritto a certi aspetti di risposta immediata, l'uso di antistaminici si è rivelato limitato e, quando somministrati tardivamente, di scarsa efficacia, potendo la risposta comunque progredire e amplificarsi per la liberazione di altri mediatori. Le scoperte relative alle molecole specificamente coinvolte nella progressione della risposta e della produzione del danno hanno permesso nuove strategie e sviluppi della terapia antinfiammatoria:
1) inibitori della COX-II e della NOS-II: è avanzata la ricerca di molecole in grado di inibire selettivamente solo gli enzimi coinvolti nella risposta infiammatoria e non quelli costitutivi, necessari alla normale fisiologia cellulare;
2) inibitori dei plasmalogeni e del PAF, particolarmente necessari per l'asma e le allergie in cui il PAF ha una parte importante nella genesi della sintomatologia;
3) modulazione degli effetti antinfiammatori della lipocortina 1: questo peptide è disponibile in forma ricombinante e potrebbe rivelarsi utile a ottenere il potente effetto antinfiammatorio dei corticosteroidi senza i loro effetti indesiderati;
4) inibizione degli effetti da citochine: questa strategia, in via teorica specifica ed efficace, può essere attuata per diverse vie (anticorpi anticitochine neutralizzanti, competitori per il recettore delle citochine e recettori solubili ricombinanti, anche questi per la neutralizzazione delle citochine circolanti).
Infine, altre speranze di approccio terapeutico sono sorte dalla più approfondita conoscenza del controllo della risposta omeostatica, ma la loro fattibilità è ancora da verificare.
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