infissi
Gli infissi sono un particolare tipo di ➔ affissi, cioè di elementi morfologici che non possono essere utilizzati da soli nel discorso, ma soltanto in combinazione con radici o temi lessicali, per formare una parola morfologicamente complessa (➔ morfologia; ➔ formazione delle parole). A differenza degli affissi più tipici e diffusi (➔ prefissi e ➔ suffissi), i quali si aggiungono rispettivamente alla sinistra e alla destra della base lessicale, gli infissi si inseriscono invece all’interno della base. Possono interrompere la radice, come nel caso dell’infisso -m- usato in alcuni verbi del greco antico e del latino per formare il tema del presente (gr. lambànō «prendo», dalla radice lab-; lat. rumpo, rupi, cfr. it. rompo, ruppi); oppure interporsi fra il morfema lessicale e un prefisso o un suffisso, come l’infisso -isc- delle persone singolari e nella terza plurale dell’indicativo, congiuntivo e imperativo presente di alcuni verbi in -ire dell’italiano (io capisco / noi capiamo, che io colpisca / che voi colpiate; ➔ flessione; ➔ paradigmi; ➔ coniugazione verbale).
Alcuni preferiscono distinguere gli elementi posti fra radice e affissi esterni con il nome di interfissi, riservando il nome di infisso agli affissi che interrompono la radice. Dal momento che l’italiano impiega solamente infissi posti fra il morfema lessicale e il suffisso, un altro nome talvolta impiegato è quello di antisuffissi, proposto da Prati (1942); circa gli infissi dell’italiano, si vedano Dressler & Merlini Barbaresi 1989 e Merlini Barbaresi 2004.
Gli unici infissi produttivamente impiegati in italiano sono -ar- / -er-, -ic(c)-, -ol-, usati sempre in combinazione con suffissi alterativi, con funzioni di tipo connotativo (cfr. saltello / salterello, topino / topolino, librino / libriccino; ➔ diminutivo). Gli infissi -ar- / -er-, -ic(c)-, -ol- si inseriscono nel complesso sistema dei suffissi alterativi (➔ alterazione). È importante notare che, mentre la combinazione cumulativa di due suffissi diminutivi può indicare le dimensioni del referente – ad es., un libr-ett-ino è un oggetto più piccolo di un libretto –, nelle parole in cui è usato un infisso non si ha alterazione delle dimensioni del referente del nome – ad es., un libr-icc-ino non è più piccolo di un librino.
Pur se privi di un significato definibile in modo referenziale, gli infissi possono contribuire al valore connotativo della parola e al suo impiego pragmatico. Parole come pianticina o cagnolone esprimono una maggiore partecipazione affettiva rispetto ai semplici alterati piantina o cagnone; lo stesso si può dire per vecchi-er-ello e corp-ic-ino rispetto a vecchietto e corpino, in cui le forme con infissi rivelano un atteggiamento di leggerezza, attenuazione, affettuosità o scherzosità da parte del parlante.
Più frequente è l’infisso -ol-, usato quasi esclusivamente in nomi e aggettivi terminanti con il suffisso diminutivo -ino (magrolino, mazzolino, pesciolino, risolino, sassolino, testolina, verdolino); raramente si premette all’accrescitivo -one, per lo più in contesti che evidenziano il contrasto con la corrispettiva forma diminutiva (per es., aveva un sassolone, non un sassolino nella scarpa). Parole con -ol-, come occhiolino e pesciolino, non vanno confuse con quelle formate con il suffisso diminutivo sdrucciolo -olo, il quale, oltre che in parole come ricciolino e viottolino, può essere usato anche in fine di parola (per es., ricciolo, viottolo), oltre che in forme lessicalizzate come gomitolo e trogolo.
Anche l’infisso -ic(c)- precede di preferenza il suffisso diminutivo -ino (libricino, anche nella variante libriccino, lumicino, ossicino, posticino), ma si combina anche con il suffisso -ello (cordicella, fraticello, pannicello, ponticello, reticella, solicello).
Hanno comportamento identico -ar- ed -er-, tanto da poter essere considerati varianti allomorfiche (➔ allomorfi). Si usano di preferenza in nomi e aggettivi suffissati con -ello (bancarella, bancherello, bustarella, fatterello, furtarello, pastarella, pazzerello, pianerottolo), anche a partire da temi verbali (acchiapparello, nasconderello, picchierello, ridarella, tremarella); si combinano meno frequentemente con -ino (omarino, paparino; spolverino), e sono usati con altri suffissi in pochissime formazioni (raperonzolo, panzerotto).
Gli infissi possono essere impiegati anche per differenziare casi di possibile omofonia: ad es., risolino si riferisce solo all’atto di ridere e non al cereale (per cui si usa eventualmente risino), per il diminutivo di frate si usa la forma fraticello e non il lessicalizzato fratello, botticella si riferisce alla botte («recipiente per i liquidi»), mentre bottarella a botta («colpo»); del pari casa → casupola, ma non è possibile * casupola editrice.
L’apporto connotativo è di solito neutralizzato laddove gli infissi siano l’unica possibilità per formare il diminutivo (cuoricino) e soprattutto in aggettivi di relazione (carnicino, latticino, marzolino) e in nomi lessicalizzati (ballerino, moncherino, moscerino; pennarello, ricciarello; ➔ lessicalizzazione).
Carstairs-McCarthy, Andrew (20062), Affixation, in Encyclopedia of language and linguistics, editor-in-chief K. Brown, Boston - Oxford, Elsevier, 14 voll., vol. 1°, pp. 83-89.
Dressler, Wolfgang U. & Merlini Barbaresi, Lavinia (1989), Interfissi e non interfissi antesuffissali nell’italiano, spagnolo e inglese, in L’italiano tra le lingue romanze. Atti del XX congresso internazionale della Società di Linguistica Italiana (Bologna, 25-27 settembre 1986), a cura di F. Foresti, E. Rizzi & P. Benedini, Roma, Bulzoni, pp. 243-252.
Merlini Barbaresi, Lavinia (2004), Interfissi, in La formazione delle parole in italiano, a cura di M. Grossmann & F. Rainer, Tübingen, Niemeyer, pp. 276-279.
Prati, Angelico (1942), Antisuffissi, «L’Italia dialettale» 18, pp. 75-266.