inflazione
inflazióne s. f. ‒ Aumento progressivo del livello medio generale dei prezzi, o anche diminuzione progressiva del potere di acquisto (cioè del valore) della moneta inflazionata. Il tasso d’i. esprime la variazione percentuale positiva di un indice dei prezzi (quello più utilizzato è l’indice di prezzi al consumo). Con riferimento alle cause, si distinguono l’i. da domanda, che si verifica quando l’aumento dei prezzi è dovuto a un eccesso di domanda aggregata rispetto all’offerta o prodotto potenziale (discrepanza nota anche come output gap) e i. da costi, che si ha invece quando l’aumento dei prezzi da parte delle imprese è dovuto agli aumenti dei costi di produzione (per es. salari, energia, materie prime importate). L’interdipendenza economica tra paesi accresce i fenomeni di trasmissione dell’inflazione. Particolarmente esposti a tale effetto sono i paesi trasformatori di materie prime, come l’Italia, per i quali un aumento dei prezzi internazionali delle stesse determina un’i. da costi. L’i. può essere inoltre importata dai paesi caratterizzati da un avanzo nella bilancia dei pagamenti, che si traduce in un aumento della circolazione monetaria interna, o essere infine importata attraverso la svalutazione del cambio che rende più costoso reperire la valuta per pagare le importazioni dall’estero e quindi determina un aumento dei costi delle imprese importatrici di materie prime. Dalla fine del 20° sec., si osserva una significativa convergenza fra i tassi d’i. nelle diverse aree geografiche. Tale tendenza è riconducibile a un insieme complesso e articolato di fattori tra cui, in primo luogo, l’adozione di politiche fiscali e monetarie meno inflazionistiche che in passato. Gran parte delle banche centrali ha operato ponendo come obiettivo primario la stabilità dei prezzi, in condizioni di autonomia dai governi. A ciò ha contribuito anche la crescente integrazione dell’economia mondiale e in particolare la progressiva eliminazione di controlli e vincoli ai movimenti di capitale. Per effetto di questa liberalizzazione, i mercati finanziari internazionali sono in condizione di esercitare un’influenza crescente sulle politiche economiche nazionali. La relazione tra le decisioni di politica economica e le variazioni del tasso di cambio (apprezzamenti o deprezzamenti) è divenuta sempre più stretta e immediata, implicando di fatto un giudizio positivo o negativo sulle politiche stesse. Queste ultime risultano all’origine dei flussi di capitale in entrata o in uscita dai diversi paesi quando le misure adottate sono valutate dai mercati finanziari rafforzative o lesive della stabilità monetaria. Mentre in passato tali flussi non apparivano di dimensione tale da preoccupare le autorità, che potevano controllarli attraverso efficaci misure restrittive, in seguito, con l’affermarsi della liberalizzazione nei confronti di tutte le attività finanziarie, hanno assunto proporzioni tali da risultare difficilmente gestibili a livello di singole economie nazionali. In conseguenza della tendenza al rafforzamento e all’approfondimento dei fenomeni della (v.) dei mercati, e della maggiore velocità di spostamento dei capitali, l’adozione in un determinato Paese di provvedimenti di politica economica ritenuti dai mercati finanziari potenzialmente inflazionistici (per es. politiche monetarie o fiscali a sostegno della domanda interna), può dar luogo a massicci ordini di vendita di attività denominate nella valuta di quel Paese con effetti, veicolati dalle variazioni del tasso di cambio e del tasso di interesse, che finiscono con l’annichilire l’efficacia degli stessi provvedimenti adottati. In questo modo i mercati finanziari internazionali assumono sempre di più un ruolo di supervisori della stabilità dei prezzi, ponendo alle autorità di governo dell’economia un vincolo di non praticabilità dell’i. come strumento di impulso dell’economia che di fatto riduce il loro grado di libertà nella scelta delle politiche da adottare.