Abstract
L'informatizzazione è spesso salutata come una panacea per i mali della p.a. L'uso delle tecnologie è di ausilio all'attività dei pubblici poteri, ma più in profondità è in grado di modificarne tratti e operato. In questo contributo si evidenzierà la centralità del tema, le linee evolutive, i nodi normativi ed organizzativi da sciogliere, e si analizzeranno criticamente gli strumenti dell'informatizzazione e come essi incidano sull'attività e l'organizzazione amministrativa, in particolare sotto i profili della trasparenza, della partecipazione e della collaborazione.
A riprova della consolidata consapevolezza dell'importanza dell'informatizzazione della p. a. viene tradizionalmente citato Massimo Severo Giannini, il quale nel 1979, allora Ministro per la funzione pubblica, in un noto rapporto riportava che informatizzazione e sviluppo dell'amministrazione fossero strettamente connessi e rilevava, al di là della scarsità di competenze specializzate, la mancanza di un'analisi dell'uso efficiente degli elaboratori (Giannini, M.S., Rapporto sui principali problemi dell'Amministrazione dello Stato, in Riv. trim. dir. pubbl., 1982, 722).
Il processo di informatizzazione si è sviluppato, nel corso dei decenni successivi, sull'idea che l'introduzione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT) nell'operato della p.a. possa tradursi in un risparmio economico e in un accrescimento complessivo dell'efficienza. A riprova, si veda nel primo senso come è prescritto che la capacità di risparmio sia criterio privilegiato da tenere in conto per la decisione circa gli investimenti in informatizzazione (art. 15, co. 2-ter, d.lgs. 8.3.2005, n. 52, Codice dell'Amministrazione Digitale - CAD, introdotto dal d.lgs. 30.12.2010, n. 235); nel secondo senso come il principio dell'efficienza sia menzionato nella l. 7.8.1990, n. 241, proprio all'art. 3 bis, che si occupa dell'uso della telematica per il procedimento.
Le politiche italiane di informatizzazione non sono eccentriche: il mutamento è globale, perché indotto dall'affermarsi di tecnologie di diffusione planetaria, per loro stessa natura replicabili (si veda OECD, Internet Economy Outlook 2012, 243). L'adozione delle ICT a livello internazionale sta rivoluzionando l'amministrazione, nell'attività autoritativa, nella produzione di beni e servizi, nel rapporto con i cittadini: le ICT offrono una risposta all'istanza di maggiore efficienza, efficacia e qualità dei servizi, che, gli osservatori più acuti osservano, esse stesse creano. Tutto ciò si accompagna alla richiesta di minore burocrazia, maggiore trasparenza, partecipazione, e impone che – potenzialmente – tutte le transazioni siano svolte in digitale. Si auspica così che le ICT trasformino amministrazioni percepite come corrotte, burocratiche, inefficienti e costose in organizzazioni integrate, dinamiche, trasparenti, efficaci dal punto di vista dei costi, e che risulti accresciuta la democraticità del sistema, grazie all'esercizio di facoltà e diritti in passato inimmaginabili (si pensi alla maggiore partecipazione dei cittadini, anche residenti all'estero, al processo democratico e alla facilitazione dell'esercizio dei diritti politici e civili individuali che collettivi, indicato dall'art. 9 CAD, in questo senso si veda Rodotà, S., Iperdemocrazia, Roma-Bari, 2013 e Shareef, M.A.-Archer, N., Mission of Transformational Government as a Postmodern Organisation: A critical theory perspective, in Transformational government through egov practice: socioeconomic, cultural, and technological issues, 2012, 516).
Tappe fondamentali del processo di informatizzazione sono state il d.lgs. 3.2.1993, n. 29 (che, nell'occuparsi della riforma del pubblico impiego, ha affrontato il nodo dell'informatizzazione degli uffici pubblici, prevalentemente in chiave interna), le cd. leggi Bassanini (l. 15.3.1997, n. 59 ss., che hanno in particolare disciplinato la comunicazione tra p.a. e cittadini e interpretato l'informatizzazione come strumento di semplificazione), il CAD (che ha regolato ad ampio spettro i possibili impieghi pubblici dell'informatizzazione, raccogliendo la precedente normativa anche in materia di documentazione), le riforme che hanno collegato efficientamento dell'amministrazione e informatizzazione (le cd. Riforme Brunetta del 2009-2010), la – ancora in corso – disordinata selva di interventi degli anni 2011-2014, nella quale però si stagliano, per l'importanza del ruolo dell'informatizzazione, il d.lgs. 14.3.2013, n. 33 sulla Trasparenza e le misure per l'attuazione della cd. Agenda digitale.
A livello di relazione tra cittadini e amministrazione sono identificabili almeno tre fasi: le prime esperienze di amministrazione digitale si sono avute nel corso degli anni Novanta, in particolare con le reti civiche, pensate per mettere in rapporto i soggetti del territorio (dagli enti locali fino alle associazioni e sindacati), il cui coordinamento è stato poi affidato all'Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP) dall'art. 8 della l. 7.6.2000, n. 150; in una seconda fase il processo è proseguito, a livello nazionale, con il cd. E-government (si pensi al Piano nazionale d'azione del 2000 del governo Amato e ai diversi progetti che, a legislazione invariata, hanno fatto affidamento su dei comuni capofila per la sperimentazione di fornitura di servizi online); nell'attuale terza fase le politiche di azione vanno sotto la denominazione di Open Government, e si caratterizzano per un potenziale accesso aperto alle informazioni e una possibile maggiore interazione tra amministrazione e cittadini.
Gli attuali risultati del processo di informatizzazione appaiono modesti. Anche per questo un'ulteriore caratteristica consiste nel passaggio dal ricorso ad un approccio promozionale ad uno impositivo-sanzionatorio: nel primo senso l'art. 3 bis nella l. 241/1990, secondo il quale le amministrazioni incentivano la comunicazione telematica interna e con i cittadini, avente valenza unicamente programmatica, e il continuo riferimento nel CAD alla promozione (20 volte); nel secondo, le norme più recenti, che pongono responsabilità in carico ai dirigenti (si veda, ad es., l’art. 12, co. 1-ter) e stabiliscono sanzioni o automatismi per imporre l'informatizzazione (ad es., il d.P.C.m. 22.7.2011 che ha imposto che le p.a. non potranno più accettare o effettuare le comunicazioni in forma cartacea nei rapporti con le imprese). Delicato il profilo impositivo nei confronti dei cittadini: l'obbligo di esclusiva comunicazione tramite ICT vale infatti per imprese e professionisti, e si pensi a come anche le piccole imprese ex art. 5 bis CAD siano forzate a dotarsi di strumenti e ad affrontare costi, sotto la minaccia di rimanere fuori dal rapporto con le istituzioni e il mercato.
Il processo di informatizzazione presuppone un coerente apparato normativo ed organizzativo.
In ordine al primo profilo, il quadro costituzionale si limita a citare, alla lett. r) dell'art. 117, co. 2, Cost. (non oggetto di proposte di riforma) che il coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale è di competenza legislativa esclusiva statale.
In virtù di questa collocazione, la legislazione più rilevante in materia è statale, come il CAD, che non solo disciplina il coordinamento dei dati, ma ne detta anche le regole tecniche: non è imposta allo Stato una forma di coinvolgimento delle Regioni (C. cost., 23.7.2009, n. 232) e gli obblighi costituenti espressione del mero coordinamento «gravanti sulle Regioni non sono di per sé idonei a ledere sfere di autonomia costituzionalmente garantite» (C. cost., n. 232/2009 e 18.12.2003, n. 376).
Ad ogni modo, le difficoltà generali dell'attuale panorama delle fonti si riversano anche in questo settore: vi sono indicazioni comunitarie che con ritardo, in maniera imprecisa e spesso non adeguata vengono tradotte nell'ordinamento nazionale (si veda lo stato di attuazione dell'Agenda digitale europea https://ec.europa.eu/digital-agenda/en/scoreboard/italy); vi sono legislazioni nazionali e regionali che confliggono (si veda, in particolare, la giurisprudenza della Corte costituzionale relativamente al coordinamento informatico, dalla sentenza 16.1.2004, n. 17 alla 13.2.2014, n. 23); vi sono fonti secondarie necessarie che non vengono adottate (si veda in proposito il Monitoraggio dell'Attuazione dell'Agenda digitale italiana, a cura della Camera dei deputati, 5.3.2014, http://documenti.camera.it/leg17/dossier/Testi/TR0146.htm, e solo dopo tre anni sono state finalmente le fondamentali regole tecniche in materia di documento informatico con d.P.C.m. 13.11.2014), o che vengono adottate ma non attuate, così da diventare obsolete ancora prima di essere applicate (si veda il susseguirsi di norme sulla sottoscrizione digitale, a partire dal d.P.R. 10.11.1997, n. 513); vi è un problema di norme tecniche, che la fonte regolamentare non è nella prassi la più adatta a recepire (sul tema si veda Zei, A., Tecnica e diritto tra pubblico e privato, Milano, 2008, 3). Vi è una sovrabbondanza di norme, standard, provvedimenti del Garante Privacy o dell'Agenzia per l'Italia digitale.
In ordine al profilo organizzativo, ad oggi il governo del settore non ha trovato una chiara, e soprattutto stabile, sistemazione: ne sia prova il continuo mutamento di denominazione e funzioni dell'autorità di riferimento (dall'AIPDA, istituita nel 1993, al CNIPA del 2003, a DigitPA del 2009, all'attuale Agid, Agenzia per l'Italia digitale, istituita nel 2012), la cui collocazione istituzionale è mutata nel tempo (il CNIPA è stato collocato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri), e la cui natura giuridica è stata a lungo discussa (l'AIPDA era immaginata come un ente a metà tra l'autorità indipendente e un'agenzia, ma l'indipendenza è stata poi minata dalla collocazione del CNIPA presso la Presidenza del Consiglio, e all'attuale istituzione ora è riconosciuta esplicitamente, e dal punto di vista sistematico più correttamente, la natura di agenzia governativa, quindi sottoposta ai principi del d.lgs. 30.7.1999, n. 300).
I compiti dell'Agid attengono alla diffusione delle ICT nella p.a., il che comporta anche il coordinamento informatico, l'elaborazione di regole tecniche, la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda digitale italiana.
Se c'è un certo consenso circa il riconoscimento della natura tecnica di questo organo, risulta invece ancora non stabilmente chiarito quali autorità debbano governare il processo di informatizzazione. L'Agid è infatti sottoposta alla vigilanza del Presidente del Consiglio dei Ministri (o Ministro delegato), del Ministro dell'economia e delle finanze, del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell'istruzione. Inoltre essa deve seguire gli indirizzi fissati dalla Cabina di regia per l'agenda digitale (i cui 6 sottogruppi sono coordinati dal Ministero per lo Sviluppo economico, dal Dipartimento per l’Editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri, dal Ministero dell'Istruzione, dal Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e dal Ministro della Coesione Territoriale), la cui istituzione suggerisce come l'interesse sia trasversale e l'intreccio delle competenze molto complesso: appare imprescindibile qualche forma di semplificazione dell'organizzazione, che prevede compiti anche in capo al Presidente del Consiglio dei ministri, agli uffici dirigenziali generali delle amministrazioni ed alla Conferenza permanente per l'innovazione tecnologica (artt. 16-18).
Gli ambiti di intervento dell'informatizzazione sono molteplici, per non dire infiniti. Meglio, non c'è profilo dell'organizzazione e dell'attività dell'amministrazione che non sia stato – o possa essere – coinvolto, così che per una panoramica possibilmente generale dovremo procedere sia ad un esame degli strumenti che degli ambiti di applicazione.
Certamente il livello europeo consente di vedere con maggiore facilità quale sia la strada che in particolare il nostro ordinamento sta imboccando. In questo senso l'Agenda digitale per l'Europa, presentata dalla Commissione tra le sette iniziative della strategia Europa 2020, e in vigore dal 2010, contiene 101 azioni, periodicamente aggiornate, e raggruppate intorno a sette aree, e gli obiettivi indicati chiamano in causa il legislatore e la p.a.: si richiede infatti di istituire un mercato digitale unico, di favorire l'interoperabilità (ossia lo scambio e l'interazione dei dati) e l'uso di standard, di migliorare la fiducia in internet e la sicurezza online, di aumentare la velocità di accesso alla rete, di potenziare gli investimenti per la ricerca e lo sviluppo, di migliorare l'alfabetizzazione e l'inclusione digitale, di applicare le ICT (COM/2010/0245 f/2).
All'Italia, come gli altri stati, il compito di elaborare una propria agenda, in cui siano individuate le priorità e gli interventi. Per le quali ovviamente servono risorse finanziarie, umane, tecnologiche: non è infatti sufficiente l'acquisto di strumenti tecnologici per realizzare una accettabile informatizzazione, dal momento che è centrale l'uso e la creazione di applicazioni e, più in generale, il maggiore sfruttamento possibile delle opportunità che la tecnologia offre.
Inoltre si pone il problema del digital divide, in quanto si dovrà consentire a tutti (anziani, disabili, indigenti, incolti, nonché amministrazioni di enti locali situati in zone remote o di dimensioni e capacità limitate, si veda art. 1, d.l. 18.10.2012, n. 179) l'accesso ai servizi digitali che – si prefigura – sostituiranno o potenzieranno gli attuali; sarà necessaria un'alfabetizzazione, che dovrà coinvolgere anche gli stessi funzionari; così come sarà centrale per un efficace dialogo tra amministrazione e cittadini rendere piena ed effettiva la comunicazione tra amministrazioni, resa difficile dall'attuale architettura istituzionale, policentrica e non interconnessa.
L'art. 3 del CAD enfaticamente afferma il diritto di cittadini e imprese a richiedere ed ottenere l'uso delle tecnologie nelle comunicazioni con la p.a., tutelabile innanzi al giudice amministrativo. Ma l'effettività di tale affermazione richiede l'adozione e il funzionamento di una serie di strumenti, senza i quali l'articolo risulta inattuabile.
Tra gli strumenti necessari, che via via si sono affermati e trovano oggi un recepimento nel CAD, vi è anzitutto il documento informatico (rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti). È tale sia il documento redatto in modalità informatica (art. 40), che il documento cartaceo dematerializzato, ossia tradotto in formato informatico (art. 42 ss. CAD). Esso, se rispettoso delle norme del CAD e delle regole tecniche, è valido e rilevante agli effetti di legge, e l'idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta e valore probatorio sono liberamente valutabili dal giudice (20 CAD).
Un profilo centrale è costituito dall'identificabilità del documento con l'autore. In questo caso la sovrapposizione di diritto nazionale ed europeo ha complicato il sistema, così che sono oggi disciplinate 4 tipologie di firme (21 CAD): elettronica “semplice”, elettronica avanzata (il firmatario ha l'esclusivo controllo sui mezzi di produzione della firma e sui dati), elettronica qualificata (basata su un certificato qualificato e realizzata mediante un dispositivo sicuro), digitale (basata su un certificato qualificato e su un sistema di chiavi crittografiche, che consente di verificare la provenienza e l'integrità di un documento). La prima (cd. debole), pensata per le transazioni commerciali, non ha un valore giuridico predefinito, ed è per ciò liberamente valutabile dal giudice. Le altre (cd. forti) equivalgono alla forma scritta, e in particolare le ultime due si presumono riconducibili al titolare salvo prova contraria (il parametro tecnologico della firma elettronica avanzata non è determinato sulla base di standard internazionali, il che giustifica la non pari rilevanza rispetto alle ultime due). Costituisce un problema l'equivalenza tra firma qualificata e digitale, storicamente privilegiata nel nostro ordinamento, in quanto meno sicura della seconda, ma più diffusa.
L'informatizzazione impone inoltre una attenta gestione informatica dei documenti, che ha prodotto una trasformazione di alcuni strumenti operativi: si pensi al protocollo informatico, la cui disciplina prevede che aree organizzative omogenee abbiano un unico protocollo per la classificazione, archiviazione e comunicazione dei documenti tra uffici; la conservazione dei documenti, per la quale si prevede in particolare un responsabile (art. 44 CAD), persona fisica, appartenente all'ente, che opera in coordinamento con il Responsabile della sicurezza, il Responsabile del trattamento dei dati e il Responsabile del protocollo informatico e degli archivi, obbligato a definire ed attuare le politiche di conservazione, le quali possono anche prevedere una conservazione affidata a terzi accreditati.
Se la redazione e firma del documento appartengono al profilo statico dell'informatizzazione, più rilevante è l'aspetto dinamico, che consente a cittadino e amministrazioni (anche tra di loro) di comunicare.
Il problema iniziale attiene alla istituzionalizzazione di un canale comunicativo tra cittadino-impresa e l'amministrazione. Si tratta di un punto debole del sistema, caratterizzato sinora da interazioni estemporanee, non sicure, frammentate (in quanto il dialogo era valido solo per il singolo procedimento o servizio, e solo nei confronti di una amministrazione).
Da un lato si progetta oggi l'implementazione generalizzata dell'identità digitale: ad ogni cittadino è data la possibilità di indicare una casella PEC quale domicilio digitale, così che tutte le amministrazioni, i gestori e gli esercenti di pubblici servizi comunicheranno esclusivamente tramite PEC con i cittadini. L'indirizzo verrà riportato nell'Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR, istituita dal d.P.C.m. 14.2.2013, n. 109), la quale conterrà i dati anagrafici dei residenti e consentirà, tra l'altro, l’invio delle informazioni dai comuni alle p.a. centrali e una semplificazione delle procedure inter-comunali. Diversamente, per le imprese, come anticipato, è già obbligatoria l'indicazione di un domicilio digitale, e tutte le comunicazioni devono avvenire tramite ICT (art. 5 bis).
Dall'altro, per l'accesso ai servizi è importante l'identificazione digitale: si sono rivelate un fallimento la Carta d'identità elettronica e la Carta nazionale dei servizi, che verranno rimpiazzate dal documento digitale unificato (art. 64); l’accesso potrà avvenire anche attraverso altri strumenti che permettano l’individuazione del richiedente il servizio, e precisamente del Sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale di cittadini e imprese (SPID), costituito da un insieme di soggetti privati e pubblici accreditati che gestiscono gli strumenti di accesso alla rete.
La costituzione di un dialogo solido richiede inoltre ulteriori condizioni, quali ad esempio l'attivazione della possibilità di pagamenti in via elettronica (art. 5), sul quale profilo si concentrano molte raccomandazioni europee e una opportuna attenzione a livello italiano.
Che ci si muova inevitabilmente in questa direzione, si spera con risultati positivi, è confermato del resto dalla cd. Agenda per la semplificazione 2015-2017 approvata il 1.12.2014 dal Consiglio dei Ministri, che indica come obiettivo prioritario proprio la cd. cittadinanza digitale.
Gli strumenti sino ad oggi centrali per permettere o favorire la comunicazione sono stati in particolare la PEC e la cooperazione applicativa. Purtroppo però si è registrato un notevole ritardo nella diffusione e applicazione degli stessi (Diario della transizione, n.7, censis.it).
Il più importante strumento, pensato anzitutto per i rapporti tra cittadino e amministrazione, è la PEC (art. 48 CAD), equivalente alla lettera raccomandata, avente funzione di attestare invio e consegna di un messaggio e di fornire ricevute opponibili a terzi (ma non in grado di dire alcunché sul valore del documento ivi contenuto, se non indirettamente). Ma già si è detto della difficoltà di farla adottare su larga scala. Senza peraltro che si sia affermato, lo strumento della PEC appare anche in declino: la trasmissione dei documenti oramai appare superato da strumenti per la condivisione e l'accessibilità dei documenti, e il diverso approccio richiede diversi e nuovi strumenti giuridici.
Nei rapporti all'interno dell'amministrazione invece ha avuto un ruolo importante la cooperazione applicativa: essa consiste nella capacità di sistemi informativi diversi di avvalersi di uno scambio automatico di dati per le proprie finalità, e presuppone l'interoperabilità, ossia che i sistemi informatici (si pensi, ad es., di Regioni e comuni) siano in grado di dialogare tra di loro. In questo caso l'attuazione si è scontrata – al di là dell'assenza di strumenti tecnici – con la difficoltà delle amministrazioni di dialogare e collaborare: lo strumento delle convenzioni tra p.a. non ha dato buona prova di sé, in quanto ha operato in ambiti ristretti e ha permesso scambi di dati solo per determinati scopi e relativamente a dati specifici. Può darsi che una svolta sia operata dal nuovo art. 58 CAD (introdotto dal d.l. 24.12.2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla l. 11.8.2014, n. 114), che ha abolito le convenzioni e ha istituito un catalogo nazionale grazie al quale le p.a. potranno accedere alle basi di dati che ogni amministrazione dovrà avere comunicato di possedere, con standard di comunicazione e regole tecnico-operative comuni.
Una sezione del CAD è inoltre dedicata anche al Sistema Pubblico di Connettività (SPC), l'infrastruttura che collega le amministrazioni – anche con i privati – e permette la condivisione dei dati e delle informazioni (artt. 73 e 76 CAD): la rete è fondamentale per la condivisione delle informazioni e la piena operatività di questi strumenti lascia prefigurare – per chi ritiene di vedere attraverso i cambiamenti tecnologici il futuro dell'amministrazione – un superamento dei rapporti gerarchici e centralistici verso una logica di rapporti a rete, caratterizzata da tendenziale paritarietà, federazione ed integrazione pubblico-privato, logica che però è più annunciata che realizzata.
Il legislatore comunque sta tentando di imporre l'uso della telematica: da un lato non vuole più lasciare all'amministrazione il potere di chiedere la consegna di documenti cartacei (ex art. 45 CAD, i documenti trasmessi da chiunque ad una p.a. con qualsiasi mezzo telematico o informatico, idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale); dall'altro rende obbligatorio l’utilizzo della posta elettronica o della cooperazione applicativa per tutte le comunicazioni di documenti tra p.a. (47 CAD).
I dati e i documenti vengono raccolti, elaborati, distribuiti tramite applicazioni.
Ci si limita a segnalare due fenomeni, indotti dalla necessità di risparmiare risorse economiche e di sfruttare le soluzioni tecnologiche più innovative: in primo luogo, se in passato la scelta circa gli applicativi da usare era rimessa all'amministrazione, così che erano posti sullo stesso piano l'acquisto di licenze, il riuso di software, o i software open source (direttiva MIT del 19.12.2003), adesso l'ordinamento esprime una preferenza verso questi ultimi, caratterizzati dall'essere liberamente utilizzabili e modificabili. L'attuale 68 CAD prevede infatti che l'acquisto di licenze d'uso debba essere motivato, rispetto all'uso di software liberi, o a codice sorgente aperto o già disponibili; inoltre i prodotti open source che non comportino un onere di spesa devono essere scelti in via prioritaria (art. 13 bis, co. 2, d.l. 21.6.2013, n. 69, convertito con l. 9.8.2013, n. 98) per l'acquisto di beni e servizi ICT.
In secondo luogo, un'importanza sempre crescente è assunta dalle soluzioni di cloud computing (lett. nuvola informatica): i dati vengono archiviati o elaborati da applicazioni e terminali virtuali, che non sono fisicamente presso l'amministrazione, ma su server che possono fisicamente anche trovarsi dall'altra parte del pianeta; il ricorso a questa soluzione, anzitutto economicamente vantaggiosa, sradica alcune abitudini consolidate, ma richiede l'adozione di molteplici precauzioni, per far sì che anzitutto siano garantite la riservatezza dei dati e la continuità del servizio (Raccomandazioni e proposte sull'utilizzo del cloud computing nella pubblica amministrazione, DigitPA 8.6.2012).
Al di là di come si realizza l'informatizzazione, contano gli scenari che essa apre: non a caso non vi è riforma che non preveda il mezzo informatico non come ausilio, ma come possibile chiave di volta del sistema (dalla riforma del pubblico impiego alla riforma sulla corruzione): ad es. l'art. 15 CAD fa transitare per l'informatizzazione la riorganizzazione strutturale e gestionale, nonché la razionalizzazione e semplificazione dell'amministrazione.
Si è prima accennato a come il paradigma attuale dell'informatizzazione sia compendiato dall'espressione open government: con essa si intende che l'informatizzazione consente nuove forme di trasparenza, partecipazione, collaborazione, che tenteremo di esaminare negli attuali e possibili futuri sviluppi.
Anzitutto l'informatizzazione consente la raccolta e la gestione di una quantità di dati ed informazioni impensabile. Nel corso degli ultimi anni i dati si sono emancipati dal documento, e sono essi di per sé aggregabili, confrontabili, elaborabili.
Tale opportunità opera in molteplici direzioni: da un lato, all'amministrazione viene chiesto di porre a disposizione della collettività l'enorme patrimonio conoscitivo in suo possesso, anche perché si coglie come esso, formalmente assegnato all'amministrazione-soggetto, sia un bene della collettività. Dall'altro, i cittadini e le imprese possono sfruttare i dati per molteplici scopi: come informazioni di servizio, per un controllo sull'operato dell'amministrazione, in particolare di vertice, e sull'impiego delle risorse pubbliche (si v. la recente apertura di Siope, il sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici, che traccia tutti gli incassi e pagamenti delle tesorerie delle p.a.), per la fruizione ai fini più disparati, solidaristici o di lucro.
Si fa della accessibilità-pubblicazione dei dati online, più a monte, del principio della trasparenza, il perno per una democratizzazione del rapporto tra cittadino e amministrazione e per il miglioramento di quest'ultima, in particolare sotto i profili dell'efficienza e dell'imparzialità: si pensi alle riforme sulla corruzione o sul pubblico impiego, o semplicemente al fatto che le informazioni devono essere poste in una sezione dal titolo “amministrazione trasparente” (art. 9). La trasparenza si immagina possa accrescere la fiducia dei cittadini nell'amministrazione, permettere il loro coinvolgimento nel cambiamento organizzativo, responsabilizzare l'amministrazione.
I critici di questa eccessiva enfasi notano invece come la trasparenza sia ontologicamente opposta all'efficienza, costosa, talvolta rischiosa (porta a creare sfiducia sull'imparzialità), e, se intesa troppo rigidamente, conduca il decisore pubblico a decisioni più conformistiche o vicine all'elettore che non invece appropriate rispetto al caso concreto.
All'interno di questa macro-cornice della trasparenza si pongono peraltro fenomeni diversi.
In primo luogo, semplicemente l'accesso ai documenti previsto dall'art. 22 ss. della l. n. 241/1990 può avvenire in via informatica. Va a tal proposito ricordato che, rispetto allo statunitense FOIA (Freedom of Information Act, del 1966), l'accesso non è esperibile da chiunque, richiede una motivazione, riguarda i documenti e non le informazioni, ed è espressamente escluso che vi si possa ricorrere per un controllo sulla correttezza dell'azione amministrativa in sé, al di fuori di uno specifico interesse, il quale anzi è da precisare.
Sotto altro aspetto, è possibile la pubblicazione online sui siti web delle amministrazioni dei dati relativi all'organizzazione e all'attività. In questo senso hanno operato le più recenti riforme, a partire dal d.lgs. 27.10.2009, n. 150, fino al recente decreto trasparenza, d.lgs. n. 33/2013.
La pubblicazione dei dati, diventato un tema centrale (sono previsti piani triennali delle amministrazioni), costituisce una nuova dimensione del fenomeno dell'attività di informazione e di comunicazione delle p.a. (art. 2, l. n. 150/2000), che ha assegnato un ruolo centrale all'URP (art. 8, l. n. 150/2000 e art. 11, d.lgs. 30.3.2001, n. 165), pur se in assenza di un'attenzione alla qualità delle informazioni (oggi richiesta invece dall'art. 6, d.lgs. n. 33/2013).
La pubblicazione sui siti web ha anche acquisito l'effetto di pubblicità: ex art. 32, l. 18.6.2009, n. 69, gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti con effetto di pubblicità legale vengono assolti con la pubblicazione sui siti informatici e gli atti e provvedimenti concernenti procedure ad evidenza pubblica o i bilanci vanno pubblicati anche sui siti informatici.
Con le norme più recenti, però, si è assistito ad un vero e proprio cambio di passo.
Il d.lgs. n. 33/2013 prevede infatti che debbano essere pubblicati online decine di tipologie di dati: atti a carattere normativo e amministrativo generale (art. 12), dati relativi all'organizzazione (compresi numeri di telefono e caselle di posta, si veda TAR Basilicata, Potenza, I, 23.9.2011, n. 478), agli organi di indirizzo politico (compresi curricula, compensi e altre cariche, e i dati relativi al coniuge), ai titolari di incarichi dirigenziali e di collaborazione o consulenza (a pena di inefficacia dell'atto e dei compensi e salva la responsabilità del dirigente che abbia disposto il compenso), la dotazione organica, il costo, i dati di assenza del personale, gli incarichi conferiti, i bandi di concorso, la valutazione della performance, i dati sulla contrattazione collettiva, sugli enti pubblici vigilati e privati controllati e sulle partecipazioni in società, i provvedimenti (di autorizzazione o concessione, di scelta del contraente, concorsi, prove selettive e progressioni di carriera, gli accordi), i dati aggregati, i controlli sulle imprese, sovvenzioni e sussidi (a condizione di efficacia), i rendiconti dei gruppi consiliari regionali e provinciali, l'uso delle risorse pubbliche, bilanci, il monitoraggio degli obiettivi, i beni immobili e la gestione del patrimonio, i controlli, prestazioni e servizi (standard, costi, tempi), i tempi di pagamento dell'amministrazione.
I dati da ostendere si riferiscono anche a procedimenti e servizi (art. 34): norme, responsabili dell'istruttoria, del procedimento, gli atti necessari, termine, possibilità di autodichiarazione o silenzio assenso, gli strumenti di tutela, il link al servizio online, le modalità per l'effettuazione dei pagamenti, il soggetto a cui è attribuito il potere sostitutivo, i risultati delle indagini circa la soddisfazione, e non si possono imporre moduli e formulari che non siano stati pubblicati.
Discipline a parte riguardano settori particolari: i contratti pubblici, la pianificazione, realizzazione e valutazione delle opere pubbliche, l'attività di pianificazione e governo del territorio, le informazioni ambientali, il servizio sanitario nazionale, gli interventi straordinari e di emergenza che comportano deroghe alla legislazione vigente.
Enfaticamente in queste disposizioni ci si riferisce all'accessibilità totale. In realtà, al di fuori dei casi in cui sia obbligatorio, l'amministrazione decide se pubblicare i dati. Inoltre anche l'ostensione non è incondizionata, dal momento che deve avvenire anzitutto nel rispetto dei principi della cd. privacy, secondo i quali anzitutto i dati personali sono pubblicabili solo se strettamente necessario (si veda le Linee guida,provv. 15.5.2014, n. 243 del Garante, che circoscrivono l'applicazione dell'art. 5, d.lgs. n. 33/2013), i dati sensibili e giudiziari devono essere pubblicati solo se indispensabili, i dati relativi alla salute non possono essere pubblicati. I dati online inoltre devono essere esatti, aggiornati, contestualizzati, e il citato principio di necessità impone non solo la riduzione al minimo di dati personali e identificativi, ma anche la non sottoposizione a trattamento, se le finalità possono essere perseguite anche con l'utilizzo di dati anonimi; così come va esclusa la pubblicazione dei dati relativi alle erogazioni pubbliche destinate a categorie di beneficiari, in virtù delle loro condizioni economiche, familiari, sanitarie. Non da ultimo vanno adottati accorgimenti per evitare la indicizzazione su motori di ricerca generalisti e per una durata definita.
Diverso trattamento invece, improntato a maggiore trasparenza, è riservato agli organi di indirizzo politico, ai vertici di diretta collaborazione, ai dirigenti, rispetto ai quali si avverte maggiore l'istanza di controllo e responsabilizzazione.
Tuttavia, se viene posta molta enfasi sull'obbligo di pubblicazione, proprio l'uso dell'informatica rende più facile che l'adempimento delle prescrizioni sia puramente formale (Carloni, E., L'amministrazione aperta: regole strumenti limiti dell'open government, Rimini, 2014, 24): infatti, rispetto al supporto cartaceo, è possibile senza maggiori costi la pubblicazione di quantità enormi di informazioni, e troppe informazioni, o informazioni che prese da sole siano incomprensibili, o artatamente selezionate od orientate in una specifica destinazione, hanno l'effetto di occultare più che rivelare (Carloni, E., L'amministrazione, cit., 29). La disciplina cerca come può di ovviare, da un lato stabilendo come e dove debbano essere presentati i dati (Linee guida per i siti web delle PA su funzionepubblica.gov.it), dall'altro chiedendo, ad es., rispetto a progetti complessi, anche una sintesi dei contenuti resi disponibili, sia nel codice appalti (art. 66, co. 5, d.lgs. 12.4.2006, n. 163) che nel cod. ambiente (in materia di VIA art. 13 ss., d.lgs. 3.4.2006, n. 152). In questo senso il reperimento delle informazioni è reso più agevole dalla standardizzazione delle modalità di pubblicazione, indicata dalle Linee guida, e promossa da un meccanismo di monitoraggio e valutazione dei siti (magellanopa.it/bussola), che classifica gli stessi, anche nell'ottica di una competizione.
Il vero nodo sarà costituito dall'effettività. In una direzione si prevedono molteplici sanzioni in caso di omissione della pubblicazione: a parte la responsabilità, anche la pubblicazione del provvedimento sanzionatorio, il mancato trasferimento di risorse, e la già citata inefficacia del provvedimento amministrativo non pubblicato. In altra direzione, è disciplinata anche una tutela amministrativa, che chiunque può richiedere gratuitamente, senza necessità di alcuna motivazione, al responsabile della trasparenza dell’amministrazione, per ottenere l’accesso ai dati nei casi di omissione della loro pubblicazione, quando sia obbligatoria per legge (cd. accesso civico, art. 5): entro 30 gg. le informazioni vanno pubblicate e comunicate all'istante, salvo l'intervento di un potere sostitutivo.
Tramite queste riforme appare così – almeno sulla carta – superato il principio del divieto di controllo generalizzato sull'operato della p.a., che permane solo per l'accesso ex l. n. 241/1990 (si veda circolare Presidenza del Consiglio dei Ministri, n. 2 del 19.7.2013, sulla cd. attuazione della trasparenza).
In terzo luogo, la messa a disposizione, specie se gratuita, delle informazioni di cui l'amministrazione è in possesso per l'esercizio delle proprie funzioni in un formato aperto (e quindi riutilizzabile) rappresenta una forma di valorizzazione del patrimonio pubblico, nel caso di specie informativo. Questa operazione può servire a cittadini e imprese a creare strumenti e servizi innovativi.
Si parla perciò di riutilizzo, in relazione all'uso per fine diverso da quello per il quale il dato è stato prodotto (art. 2, lett. e), d.lgs. 24.1.2006, n. 36), e di open data (dati in formato aperto), se si permetta l'utilizzo di dati da parte di chiunque, anche per finalità commerciali, attraverso le ICT, gratuitamente o ai costi marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione (art. 68 CAD, l'Agid deve stabilire i casi eccezionali in cui le tariffe deroghino a questo principio).
Sono suscettibili di riutilizzo ad esempio i dati relativi alle imprese, agli immobili, dati cartografici, meteo, epidemiologici, immatricolazioni, orari per le farmacie, orari dei mezzi pubblici. Il sito italiano di riferimento per gli open data è dati.gov.it.
L'attenzione per gli open data è su scala mondiale: a livello internazionale è particolarmente rilevante la direttiva del Presidente Obama del dicembre 2009, seguita dall'istituzione del sito data.gov, e dall'executive order del 9.5.2013, con cui sono state fissate le condizioni alle quali i dati possono essere definiti aperti (in quanto cioè accessibili, rilasciati in formati non proprietari, documentati, leggibili dal computer, liberi da licenze, riutilizzabili, ricercabili in rete, completi, primari – aggregabili e integrabili, tempestivi e aggiornati), e diversi sono gli strumenti di promozione di questo fenomeno (si veda l'organizzazione Open Government Partnership, e tra i documenti si veda la Carta adottata dal G8, e l'italiano Open data action plan). Del riutilizzo l'Europa si era occupata già con la direttiva 2003/98/CE, recepita con il citato d.lgs. n. 36/2006, ora modificato dalla dir. 2013/37/UE, la quale prevede gli stessi limiti dell'accesso per il riutilizzo.
Sempre più norme interne si occupano, spesso senza coordinamento tra di loro e quindi in maniera sempre più caotica, di questi due fenomeni, a segnalarne comunque la centralità: si vedano il CAD (artt. 1, lett. n-bis), 50, 52, 68, co. 3, lett. b), il d.lgs. n. 33/2013, art. 3, 4, 6, 7, 27, 29, oltre alla l n. 36/2006.
I tre pilastri della politica sui dati, ossia apertura, riutilizzabilità e gratuità, non risultano tuttavia regolati in maniera del tutto soddisfacente: da un lato, infatti, il decreto trasparenza dispone che i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria siano tutti aperti e riutilizzabili e il CAD che i dati pubblicati siano forniti in formati di norma aperti (art. 52 CAD), liberamente riutilizzabili, salvo motivata richiesta di licenza. Dall'altro però al momento solo per i dati aperti i costi a carico dell'utilizzatore sono limitati ai costi marginali sostenuti per la produzione, riproduzione e divulgazione dei dati; la situazione dovrebbe cambiare però in futuro, con l'attuazione della direttiva del 2013. Anche quanto al riutilizzo, al di là dei documenti oggetto di pubblicazione, le p.a. hanno il potere, e non il dovere di consentire il riutilizzo (art. 1), anche se in condizioni di parità di trattamento. Altri limiti, al di là di quelli legati al Codice della privacy o alla disciplina del segreto, si riferiscono ai dati di biblioteche, università (anche qui l'attuazione della direttiva amplierà lo spettro). Inoltre l'attuale disciplina sul riutilizzo, al di là dell'annuncio contenuto nell'art. 1, non incentiva il riutilizzo, se non promuovendo il riutilizzo già ammesso, ed affida in via generica la promozione all'Agid (artt. 52 e 68 CAD).
Il secondo capitolo attiene alla partecipazione, anzitutto al procedimento: in teoria essa può avvenire integralmente in via informatica (art. 4 CAD), a partire dalle istanze e dichiarazioni (art. 65 CAD) alle comunicazioni al cittadino, fino al deposito di memorie e documenti, all'accesso ai documenti amministrativi, alla partecipazione alla conferenza di servizi, al controllo dello svolgimento del procedimento, alla comunicazione del provvedimento finale (Masucci, A., Procedimento amministrativo e nuove tecnologie: il procedimento amministrativo elettronico ad istanza di parte, Torino, 2011).
L'informatizzazione però non solo rende possibile lo svolgimento del procedimento in via informatica, ma consente di attuarne efficacemente una – altrove programmata, ma al tempo stesso anche da essa stessa suggerita – ristrutturazione: difatti esso consente di analizzare i procedimenti, effettuare valutazioni quantitative, qualitative, effettuare confronti, e così, come si dice, reingegnerizzare gli stessi. Si attua in tal modo una più efficace che in passato interdipendenza tra cd. back office (rapporti interni all'amministrazione) e front office (rapporto tra amministrazione e cittadino).
Inoltre istituti come la SCIA o il silenzio assenso, che evitano il procedimento o una sua mancata conclusione, possono trovano una efficace applicazione mediante lo strumento informatico.
L'applicazione degli strumenti di semplificazione può avvenire telematicamente, in teoria senza dovere rinunciare ad alcun passaggio obbligato: si pensi al SUAP, in cui la comunicazione è effettuata con un unico referente, sebbene sullo sfondo operino più amministrazioni.
La stessa conformazione del procedimento, si è osservato in dottrina, muta, in quanto l'informatizzazione consente un procedimento cd. a stella (Duni, G., L’e-government: dai decreti delegati del marzo 2005 ai futuri decreti entro il 9 marzo 2006, inDiritto dell’Internet, 2005, 230), in cui cioè si sostituiscono a un iter prestabilito e sequenziale continui scambi di documenti e interlocuzione.
In secondo luogo la partecipazione, grazie all'informatizzazione, può operare anche rispetto alla redazione di atti normativi o generali provenienti dall'amministrazione. Vi è in proposito discreta letteratura relativa al rule-making informatizzato nei paesi di stampo anglosassone; è tuttavia poco diffuso nel nostro paese, sebbene se ne senta la mancanza (si veda D'Alberti, M., Lezioni di diritto amministrativo, II ed., Torino, 2013, 220).
Più rilevanti, invece, anche se con risultati da valutare con attenzione, i casi di consultazione pubblica. Se l'istituto a livello nazionale si è oramai affermato per quanto riguarda la regolazione delle autorità indipendenti, i risultati ottenuti quando se ne è fatta applicazione per le politiche di semplificazione, le riforme istituzionali, l'adozione di leggi, sono da valutare con grande attenzione.
Va infine richiamato inoltre il settore degli appalti, nei quali l'informatizzazione ha assunto un ruolo rilevante: si veda, ad es., l'art. 85 del Codice dei contratti, dedicato alle aste elettroniche.
Il terzo capitolo risulta quello dai contorni ancora meno definiti: grazie all'informatizzazione la collaborazione, decantata nel rule-making e nel procedimento, salvo poi verificarne – con risultati ambigui – la reale portata, in quanto il momento della decisione rimane comunque affidato all'autorità pubblica, può invece essere effettiva rispetto ai servizi: la possibilità di interagire con chi gestisce un servizio, di segnalare inefficienze, di fornire informazioni, possono essere utili, se non in una utopistica prospettiva di condivisione della gestione, per una migliore gestione dello stesso (ad es. strumenti di Valutazione dell’Impatto Sociale delle opere pubbliche mediante processi di ascolto dei cittadini e delle imprese).
I servizi in forma digitale sono sempre più numerosi: si pensi alla sanità (telemedicina e monitoraggio a distanza), mobilità, all'efficienza energetica, al sistema educativo, alla sicurezza, i servizi sociali e la cultura.
Il problema deriva dal grado di interazione, che va da un grado 0 (semplice rilascio di informazioni) a un grado 1 (possibilità di scaricare moduli) a un grado 2 (comunicazione bidirezionale, usato solo per prenotazioni e pagamenti) a un grado 3 (rapporti integralmente online), e che vede i servizi in Italia classificabili solo ai primi gradi.
I presupposti – e quindi i profili problematici – sono già stati indicati: l'identificazione elettronica, il pagamento elettronico.
L'adozione di strumenti quali forum, questionari on line, sondaggi per i servizi, l'uso di account sui social network (si veda il Vademecum pubblica amministrazione e social media del Ministero della pubblica amministrazione, 2011)è sempre più frequente ed ha lo scopo di accrescere la qualità del servizio (129): l'art. 63, co. 2, CAD prescrive per l'amministrazione la rilevazione immediata della soddisfazione dell'utente.
Da quanto descritto dovrebbe apparire chiaro che il problema principale del processo di informatizzazione non consiste nell'identificazione di soluzioni originali, proprio perché gli obiettivi sono in generale i medesimi in tutti gli ordinamenti, quanto nella mancata attuazione delle riforme indicate: il d.d.l. di riforma dell'amministrazione S1157 delega al Governo l'adozione di decreti, tra l'altro, per il superamento dell'uso della carta, l'applicazione del sistema di identità digitale, l'uso di software con standard aperti, il ricorso alla cooperazione applicativa, la responsabilizzazione dei dirigenti, l'adeguamento ai principi del punto unico di contatto (leggasi sportelli unici); strumenti che, a leggere le norme già in vigore, dovrebbero essere operativi da anni.
Non bisogna però neppure sottovalutare, e se ne accenna almeno in chiusura, come il processo di informatizzazione sia caratterizzato da diverse ambiguità, perché a fianco alle promesse (trasparenza, partecipazione, collaborazione, nuove espressioni di democrazia), e alle trasformazioni che possono lasciare alcuni perplessi (dominano la mancanza di interazione personale e la logica del self-service), esso è in grado di produrre controllo ed esclusione: si acuisce infatti il rischio di favorire sottoinsiemi (anche, ad es. i partecipanti) rispetto al complesso dei cittadini; studi rilevano come l'informatizzazione porti maggiore controllo, disciplina, sorveglianza, perdita d'identità per il pubblico funzionario; si osserva che chi è già in situazione di disagio con l'avvento dell'ICT vede acuita e non alleviata la propria condizione; il processo si traduce in vantaggi solo per le persone più istruite, economicamente benestanti, viventi nelle aree cittadine.
Risulta spesso, a sproposito, menzionato il principio di sussidiarietà. Prenderlo sul serio significa reclamare un forte intervento pubblico per evitare o correggere possibili storture.
L. 7.8.1990, n. 241; d.lgs. 3.2.1993, n. 29; l. 15.3.1997, n. 59; d.lgs. 30.7.1999, n. 300; l. 7.6.2000, n. 150; d.lgs. 30.3.2001, n. 165; d.lgs. 8.3.2005, n. 52; d.lgs. 24.1.2006, n. 36; l. 18.6.2009, n. 69; d.lgs. 27.10.2009, n. 150; d.lgs. 30.12.2010, n. 235; d.l. 21.6.2013, n. 69, convertito in l. 9.8.2013, n. 98; d.l. 18.10.2012, n. 179; d.lgs. 14.3.2013, n. 33; d.l. 24.12.2014, n. 90, convertito in l. 11.8.2014, n. 114
Carloni, E., L'amministrazione aperta: regole strumenti limiti dell'open government, Rimini, 2014; Costantino, F., Autonomia dell'amministrazione e innovazione digitale, Napoli, 2012; De Minico, G., Diritti regole internet, Costituzionalismo.it, 2011; Masucci, A., Procedimento amministrativo e nuove tecnologie: il procedimento amministrativo elettronico ad istanza di parte, Torino, 2011 e Il documento amministrativo informatico, Rimini, 2000; Mattarella, B. G., Informazione e comunicazione amministrativa, in Riv. trim. dir. pubbl., 2005, 1; Merloni, F.-Arena, G., a cura di, La trasparenza amministrativa, Milano, 2008; Rodotà, S., Tecnopolitica: la democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Roma-Bari, 2004; Satta, F.-Ciocca, P., La dematerializzazione dei servizi della P.A. Un'introduzione economica e gli aspetti giuridici del problema, in Dir. amm., 2008, 283.