Abstract
Esamina nozione, presupposti e ambito di tutela delle informazioni segrete, secondo la disciplina dell’art. 39 TRIPs e degli artt. 98-99 c.p.i. Illustra la giustificazione della tutela, i rapporti con la disciplina concorrenziale e le caratteristiche peculiari rispetto alla protezione brevettuale. Ricostruisce presupposti e ambiti di tutela delle informazioni segrete.
L’espressione ‘informazioni segrete’ compare nell’art. 39 dell’Accordo TRIPs (Agreement on Trade-related Aspects of Intellectual Property Rights), che ne impone agli stati membri la protezione in presenza dei presupposti e nei limiti specificati nei paragrafi 2 e 3 della medesima norma.
L’art. 39 TRIPs era stato attuato nel nostro ordinamento originariamente con l’introduzione dell’art. 6 bis l. invenzioni, che qualificava come atto di concorrenza sleale la rivelazione, acquisizione o utilizzazione di ‘informazioni aziendali’ destinate a rimanere segrete, in presenza dei presupposti corrispondenti a quelli dei par. 2 e 3 dell’art. 39 TRIPs. L’aggettivo ‘aziendale’, assente nell’art. 39 TRIPs, rispecchiava la volontà di proteggere interessi essenzialmente imprenditoriali riconducibili alla disciplina della concorrenza sleale, che lo stesso art. 39 TRIPs richiama riferendosi alla necessità di «assicurare un’efficace protezione contro la concorrenza sleale ai sensi dell’art. 10 bis della Convenzione di Parigi». L’art. 39 TRIPs sembra ribadire la natura concorrenziale della protezione, formulando il divieto di sottrazione dei segreti «in un modo contrario a leali pratiche commerciali»: così che il legislatore nazionale aveva a sua volta codificato questo divieto prevedendo una tutela del segreto contro gli atti contrari a correttezza professionale.
L’art. 6 bis l. invenzioni è venuto meno per effetto dell’approvazione del codice della proprietà industriale, che considera le «informazioni aziendali riservate» come oggetto di diritti di proprietà industriale (artt. 1 e 2, co. 4, c.p.i.) e le protegge in presenza dei presupposti dell’art. 98, che per questi aspetti ricalcano il precedente art. 6 bis l. invenzioni. Il codice intende così attribuire alla tutela del segreto un fondamento ‘proprietario’, non concorrenziale, come conferma la soppressione di qualsiasi riferimento alla violazione dei princìpi di correttezza professionale (Floridia, G., Il riassetto della proprietà industriale, Milano, 2006, 24, 384 s.). Questa impostazione del codice è stata oggetto di critiche (Vanzetti, A., La tutela “corretta” delle informazioni segrete, in Riv. dir. ind., 2011, I, 96 ss.; Ghidini, G., La tutela del segreto: critica di una “riforma”, in Dir. ind., 2008, 167 ss.; Sena, G., Efficienza e inefficienza della macchina normativa (note sui c.d. diritti non titolati), in Riv. dir. ind., 2012, I, 83 ss.; condivide invece la scelta del c.p.i. Libertini, M., Le informazioni aziendali segrete come oggetto di diritti di proprietà industriale, in Riv. It. Sc. giur., 2011, 137 ss.). Anche in conseguenza di queste critiche l’art. 99 c.p.i. è stato successivamente novellato, e nel testo attualmente vigente espressamente limita la protezione alle violazioni del segreto che avvengano «in modo abusivo», mentre esclude ogni profilo di illiceità quando le informazioni utilizzate «siano state conseguite in modo indipendente dal terzo».
L’importanza della contrapposizione fra la concezione ‘concorrenziale’ e rispettivamente ‘proprietaria’ della tutela delle informazioni segrete non deve tuttavia essere sopravvalutata. I sostenitori di entrambe le concezioni giungono in ultima analisi a conclusioni largamente uniformi sul piano della determinazione dell’ambito della protezione. Il dibattito è comunque sintomatico di una certa ambivalenza della tutela. Da un lato anche i sostenitori della concezione proprietaria ammettono che il diritto sulle informazioni segrete, diversamente dal diritto sulle invenzioni brevettate, non può arrivare ad impedire lo sfruttamento delle medesime informazioni conseguite indipendentemente dai terzi (Floridia, G., Il riassetto della proprietà industriale, cit., 385) come ora pleonasticamente ribadisce l’art. 99 c.p.i. Così pure appare incontestata l’idea che la tutela sulle informazioni segrete non può impedire ai terzi di ricavare e sfruttare queste informazioni attraverso lo studio dei prodotti del concorrente, in particolare attraverso operazioni di reverse engineering (Frignani, A., Segreti d’impresa, in Dig. comm., XIII, Torino, 1996, 337; Guglielmetti, Giov., La tutela del segreto, in Galli, c., a cura di, Le nuove frontiere del diritto dei brevetti, Torino, 2003, 120; Bertani, M., Proprietà intellettuale e nuove tecniche di appropriazione delle informazioni, in Studi in onore di Gerhard Schricker, Milano, 2005, 39; Libertini, M., Le informazioni aziendali segrete, cit., 165 ss.). Vero è tuttavia che probabilmente la funzione economica della protezione delle informazioni segrete di tipo tecnico non è distante da quella propria dei brevetti; e che questa analogia può in parte giustificare la comune ‘etichettatura’ proprietaria delle due tutele. Entrambe le forme di protezione vogliono in particolare porre le imprese di fronte all’alternativa di investire per sviluppare autonomamente nuove tecnologie (eventualmente anche attraverso lo studio dei prodotti concorrenti e operazioni di reverse engineering) o altrimenti contrarne lo sfruttamento con le imprese detentrici, offrendo loro adeguati canoni di licenza (Denozza, F., Licenze di brevetto e circolazione delle tecniche, Milano, 1979, 125 s.). La tutela delle invenzioni brevettate e rispettivamente del segreto perseguono così il comune obiettivo di selezionare l’accesso delle imprese sul mercato dell’innovazione, emarginando i soggetti che non sono in grado di sopportare né i costi di sviluppo di nuove tecniche, né quelli di acquisto di licenze.
La giustificazione della protezione delle informazioni segrete è relativamente agevole nei confronti degli atti di vero e proprio spionaggio industriale. È infatti ragionevole credere che l’ordinamento non voglia incentivare gli investimenti in spionaggio, né misurare l’efficienza delle imprese in base alla loro capacità di predisporre adeguate contromisure (cfr. Friedman, D.D. – Landes, W.M. – Posner, R.A., Some economics of trade secret law, in 5 J. Ec. Persp., 1991, 66 ss.).
Il fondamento della tutela appare tuttavia assai più problematico a fronte dell’eventualità, statisticamente assai più frequente, in cui il segreto è sfruttato grazie a conoscenze acquisite dagli ex dipendenti del titolare dell’informazione (assunti da un nuovo datore di lavoro o divenuti a loro volta imprenditori) che nello svolgimento della loro attività erano venuti legittimamente a conoscenza di tecniche riservate, o addirittura avevano contribuito a realizzarle. In questi casi in effetti si pone un conflitto fra l’interesse del dipendente a valorizzare i risultati della propria esperienza lavorativa, e rispettivamente l’interesse del datore di lavoro a continuare l’uso in esclusiva delle tecniche segrete.
La scelta favorevole alla tutela del segreto può sembrare in contraddizione con l’opposta esigenza di pubblica divulgazione delle tecnologie, che sta alla base della necessità di deposito, descrizione e messa a disposizione del pubblico prevista dalla disciplina della tutela brevettuale. In questa prospettiva in passato parte della giurisprudenza aveva anzi ritenuto che la tutela del segreto è concepibile nei limiti previsti dalla normativa penale e da quella relativa agli obblighi di fedeltà del lavoratore; con l’ulteriore corollario che, non potendosi concepire obblighi di fedeltà successivi alla cessazione del rapporto di lavoro, almeno in mancanza di specifiche pattuizioni di non concorrenza, il lavoratore sarebbe comunque libero di utilizzare tutte le conoscenze legittimamente acquisite, ancorché destinate al segreto (cfr. Trib. Milano, 17.10.1977, in Giur. ann. dir. ind., 1977, 792 ss.).
Questa impostazione non pare tuttavia compatibile con la scelta ‘politica’ operata dall’art. 39 TRIPs ed attuata nel nostro ordinamento dagli artt. 98-99 c.p.i. Il legislatore del TRIPs ha introdotto una nozione uniforme di informazioni segrete, che deve essere interpretata in modo altrettanto uniforme, indipendentemente dalle singole norme nazionali di carattere penale, o relative all’obbligo di fedeltà del lavoratore (Auteri, P., Adeguamento della legislazione interna in materia di proprietà industriale alle prescrizioni obbligatorie dell’accordo relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale concernenti il commercio – Uruguay Round, in Nuove leggi civ. comm., 1998, 125 ss.; Frignani, A., Segreti d’impresa, cit., 342; Libertini, M., Le informazioni aziendali segrete, cit., 150 ss.; Massa Felsani, F., Contributo all’analisi del know-how, Milano, 1997, 170 ss.). In presenza dei presupposti dell’art. 39 TRIPs, l’interesse alla tutela del segreto prevale su quello dei dipendenti ad utilizzare (in proprio o presso un nuovo imprenditore) le conoscenze acquisite. Mentre già si è visto (v. supra, § 1) che questa prevalenza è ‘politicamente’ giustificabile in funzione del perseguimento di un obiettivo coerente a quello del sistema brevettuale: e precisamente dell’obiettivo di emarginare le imprese incapaci di operare scelte autonome di investimento sul mercato dell’innovazione.
La tutela si estende perciò a tutte le informazioni conseguite per effetto degli investimenti dell’impresa: e dunque non solo alle informazioni trasmesse dall’imprenditore al dipendente, ma anche a quelle conseguite attraverso l’opera dello stesso dipendente, e trasferite all’imprenditore in esecuzione degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro. L’interesse del lavoratore ad utilizzare in proprio o presso altri imprenditori le nozioni acquisite durante il precedente rapporto può in via generale prevalere quando queste nozioni ineriscono alle capacità professionali proprie del dipendente, non sono suscettibili di essere trasmesse a terzi autonomamente, e perciò possono circolare soltanto attraverso il trasferimento del lavoratore da una ad altra organizzazione aziendale.
La nozione di informazioni segrete contenuta nell’art. 39 TRIPs e negli artt. 98-99 c.p.i. assume dunque un significato proprio, che riduce ad una questione puramente terminologica l’interrogativo in merito alla coincidenza di questa nozione con quella di know-how. La nozione di know-how non trova infatti una definizione tecnico giuridica di carattere generale. Una definizione di know-how compare all’art. 1.1.i del regolamento UE n. 316/2014 della Commissione, che esenta dai divieti di intese restrittive della concorrenza categorie di accordi di trasferimento di tecnologia. Secondo questa definizione il know-how è costituito da «un patrimonio di conoscenze pratiche derivanti da esperienze e prove» e che risulti «segreto, vale a dire non generalmente noto, né facilmente accessibile», «sostanziale, vale a dire significativo e utile per la produzione», «individuato, vale a dire descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da consentire di verificare se risponde ai requisiti di segretezza e sostanzialità». Si tratta di nozione largamente corrispondente a quella accolta nell’accordo TRIPs, anche se più restrittiva, in quanto limitata alle nozioni di carattere tecnico, con esclusione dei segreti commerciali. La definizione del regolamento è strumentale all’applicazione di regole di concorrenza uniformi valide per gli accordi di licenza di brevetto, di software e rispettivamente di know-how. Al di fuori dell’ipotesi dell’applicazione del regolamento sui trasferimenti di tecnologia, è dubbio se abbia utilità ricostruire una nozione di know-how autonoma e distinta da quella di informazioni segrete dell’art. 39 TRIPs (cfr. Frignani, A., Segreti d’impresa, cit., 338; Massa Felsani, F., Contributo all’analisi del know-how, cit., 5 ss.; Franchini Stufler, B., Studi sull’evoluzione economica e giuridica del know-how e della sua tutela, in Riv. dir. ind., 2005, II, 363 ss.; Libertini, M., Le informazioni aziendali segrete, cit., 158 ss.). La presente voce si limita comunque a prendere in considerazione la nozione di segreto così come codificata dall’accordo TRIPs e dalla corrispondente disciplina di attuazione italiana.
La tutela delle informazioni aziendali ricomprende tendenzialmente qualsiasi tipologia di segreto, in presenza dei requisiti delle lett. a), b) e c) dell’art. 98 c.p.i. Può trattarsi di informazioni di carattere tecnico (come formule o procedimenti industriali, cfr. App. Milano, 29.11.2002, in Giur. ann. dir. ind., 2003, 622 ss.; App. Milano, 13.6.2007, in Giur. ann. dir. ind., 2007, 836 ss.) o commerciale (come tecniche di marketing, liste e classificazioni della clientela, politiche di prezzi e sconti, cfr. Cass. 20.3.1991, n. 3011). Le informazioni di carattere tecnico possono eventualmente anche essere brevettabili, nel qual caso la scelta di mantenere l’invenzione inaccessibile al pubblico non sembra pregiudicare la protezione del segreto (Libertini, M., Le informazioni aziendali segrete, cit., 147; Mansani, L., La nozione di segreto di cui all’art. 6 bis l.i., in Dir. ind., 2002, 216, v. però per un diverso orientamento Bertani, M., Proprietà intellettuale e nuove tecniche di appropriazione delle informazioni, in Studi in onore di Gerhard Schricker, Milano, 2005, 35 s.). In questi casi il titolare corre evidentemente il rischio che terzi conseguano autonomamente e utilizzino legittimamente le medesime soluzioni, o addirittura le brevettino validamente, qualora siano rimaste inaccessibili al pubblico. Il conseguimento del brevetto da parte del terzo lascia tuttavia impregiudicato il diritto del legittimo utilizzatore anteriore a continuare lo sfruttamento dell’invenzione nei limiti del preuso (art. 68, co. 3, c.p.i.). La protezione in regime di segreto può d’altro canto riguardare tecniche non brevettabili per mancanza dei relativi requisiti, o perché astrattamente considerate insuscettibili di brevettazione, come ad esempio programmi per elaboratore, per i quali la tutela può rivelarsi utile a rafforzare l’esclusiva d’autore (cfr. Guglielmetti, Giov., La tutela del segreto, cit., 112 ss.; Libertini, M., Le informazioni aziendali segrete, cit., 154). La tutela è riconosciuta in capo a chi detiene il «legittimo controllo» delle informazioni. L’espressione ‘legittimo controllo’ sembra fare riferimento al potere di mantenere il segreto delle informazioni (Auteri, P., Adeguamento della legislazione interna in materia di proprietà industriale, cit., 127): potere che in linea di principio spetta a chi le abbia elaborate, o a chi vanti una pretesa a che gli vengano riservatamente comunicate, ad esempio dai propri dipendenti o collaboratori (lavoratori autonomi o imprese ed enti coinvolti in programmi di ricerca comuni).
Un primo requisito di tutela delle informazioni segrete è costituito dalla non notorietà o non agevole accessibilità nel loro insieme o configurazione. Il riferimento alla non agevole accessibilità chiarisce che la tutela non presuppone una novità assoluta delle informazioni. È fra l’altro ragionevolmente possibile che analoghe informazioni segrete possano essere detenute da diverse imprese, ciascuna delle quali può dunque beneficiare della tutela quando le informazioni non sono comunque accessibili alla totalità dei concorrenti. Il riferimento all’accessibilità non agevole vale inoltre a riconoscere protezione ad informazioni che i concorrenti possono ricavare dallo stato della tecnica o attraverso operazioni di reverse engineering, purché queste operazioni implichino costi significativi (Mansani, L., La nozione di segreto, cit., 217 s.). Il riferimento alla non accessibilità nella precisa configurazione o combinazione vale infine a riconoscere tutela all’insieme organizzato di informazioni, quand’anche ciascuna di queste possa essere isolatamente appresa a costi contenuti. Il segreto può dunque offrire una protezione complementare a quella di diritto d’autore o connesso sulle banche dati. Sono ad esempio tutelabili gli elenchi della clientela (Cass. 20.3.1991, n. 3011), quand’anche i concorrenti possano agevolmente conoscere i dati di uno o più clienti (Trib. Genova, 19.6.1993, in Giur. ann. dir. ind., 1994, 368 ss.); e così pure i risultati ordinati in una serie di sperimentazioni, quand’anche ciascun dato possa essere rapidamente replicato dal concorrente in modo autonomo.
Un secondo requisito di protezione è la presenza di un valore economico del segreto. Anche questo requisito può sembrare pleonastico, in quanto l’astratta possibilità di uso esclusivo di determinate informazioni dovrebbe sempre e comunque determinare un vantaggio competitivo economicamente rilevante. È tuttavia possibile che il mercato offra soluzioni alternative disponibili alla generalità dei concorrenti e ad un tempo economicamente equivalenti (o addirittura superiori) a quelle segrete. In questi casi la protezione del segreto si giustificherebbe non in funzione di un interesse economico sostanziale all’utilizzazione esclusiva delle informazioni, quanto piuttosto in funzione dell’interesse a scoraggiare l’uscita dei dipendenti e la valorizzazione della loro professionalità presso nuovi imprenditori. Quest’ultimo interesse appare, tuttavia, estraneo alla funzione giuridicamente protetta del segreto.
Un terzo requisito di protezione è costituito dall’adozione da parte del legittimo detentore di «misure da ritenersi ragionevolmente adeguate» a mantenere il carattere segreto dell’informazione. La norma porta ad interrogarsi se il parametro di ragionevolezza debba prendere in considerazione le dimensioni economico finanziarie dell’impresa detentrice e l’importanza economica del segreto. Preferibile è tuttavia valorizzare l’esigenza che le informazioni siano state anzitutto individuate dall’imprenditore, ed abbiano perciò acquisito una autonoma capacità di divenire oggetto di atti di sfruttamento e trasferimento indipendente dalle capacità professionali personali dei singoli collaboratori dell’impresa. La sottoposizione a misure ragionevolmente adeguate a mantenere il segreto può a questo punto ammettersi a fronte di qualsiasi comportamento univocamente incompatibile con la volontà dell’imprenditore di rendere le informazioni accessibili al pubblico (Frignani, A., Segreti d’impresa, cit., 352; Auteri, P., Adeguamento della legislazione interna in materia di proprietà industriale, cit., 130). Questi comportamenti possono consistere ad esempio e tipicamente in una predeterminazione della cerchia dei collaboratori dell’impresa cui la comunicazione è consentita, nonché nella predisposizione di accorgimenti diretti ad evitare che la documentazione delle informazioni esca dagli stabilimenti. In assenza di questi accorgimenti, i terzi in effetti possono ragionevolmente confidare che l’imprenditore abbia consentito l’accesso al pubblico delle informazioni, magari per favorirne sviluppi ulteriori. Fatte salve queste esigenze di tutela dell’affidamento dei terzi, è discutibile che il requisito possa essere inteso fino al punto di richiedere un livello minimo di investimenti diretti a mantenere il segreto (cfr. Auteri, P., Adeguamento della legislazione interna in materia di proprietà industriale, cit., 130 s.; Guglielmetti, Giov., La tutela del segreto, cit., 129; Mansani, L., La nozione di segreto, cit., 218 s.).
Le informazioni segrete sono protette contro atti di rivelazione, acquisizione o utilizzazione da parte di terzi (art. 39.2 TRIPs e 99 c.p.i.). La norma precisa che il divieto vale salvo consenso del titolare, così confermando il principio di libera disponibilità della tutela, e fra l’altro la validità di contratti di trasferimento e licenza dei diritti di utilizzazione delle informazioni, del tutto analoghi ai contratti di trasferimento e licenza di brevetto (cfr. Frignani, A., Segreti d’impresa, cit., 346). Secondo l’art. 39 TRIPs il diritto è opponibile soltanto agli atti compiuti «in un modo contrario a leali pratiche commerciali», mentre la norma nazionale più sinteticamente afferma che la sottrazione o utilizzazione deve avvenire «in modo abusivo», e che è comunque lecita l’utilizzazione di informazioni conseguite in modo indipendente. Al riguardo è dibattuta la possibilità di estendere il diritto a chi giunga ‘fortuitamente’ a conoscenza delle informazioni segrete sottratte al legittimo detentore. Questa estensione viene da alcuni negata, anche sulla base di una nota ufficiale all’art. 39 TRIPs, secondo cui «a manner contrary to honest commercial practices shall mean at least practices such as breach of contract, breach of confidence and inducement to breach, and includes the acquisition of undisclosed information by third parties who knew, or were grossly negligent in failing to know, that such practices were involved in the acquisition» (Auteri, P., Adeguamento della legislazione interna in materia di proprietà industriale, cit., 132; Guglielmetti, Giov., La tutela del segreto, cit., 121; per uno spunto nel senso della non imputabilità dell’illecito al terzo incolpevole v. anche Trib. Milano, 31.3.2004, in Giur. ann. dir. ind., 2004, 991; diversamente orientato Bertani, M., Proprietà intellettuale e nuove tecniche di appropriazione delle informazioni, cit., 39; Libertini, M., Le informazioni aziendali segrete, cit., 166 ss.). Anche l’eventualità di una conoscenza fortuita e incolpevole delle informazioni segrete sembra tuttavia estremamente rara. È forse astrattamente immaginabile che ex dipendenti mettano a disposizione di un nuovo datore di lavoro informazioni segrete, senza che quest’ultimo ne conosca la provenienza dall’impresa del concorrente. In ipotesi del genere tuttavia probabilmente lo stato soggettivo di colpevolezza dei dipendenti o in generale dei collaboratori dell’impresa potrebbe essere imputato al concorrente.
In favore della natura non strettamente concorrenziale della tutela depone l’estensione della protezione agli atti di rivelazione delle informazioni segrete. Questi atti potrebbero, infatti, essere imputabili a soggetti non concorrenti (dipendenti, università ed enti che collaborino a progetti di ricerca, professionisti). Nessun dato normativo consente in tali casi di escludere la responsabilità da illecito dell’autore della rivelazione (per alcune perplessità sull’opportunità e utilità di questa estensione cfr. peraltro Vanzetti, A., La tutela “corretta” delle informazioni segrete, cit., 104 s.). Vero è che anche in questi casi la rivelazione avviene normalmente per incarico o comunque nell’interesse di un’impresa concorrente (ad esempio del nuovo datore di lavoro): così che la responsabilità a titolo di concorrenza sleale anche dell’autore della rivelazione potrebbe ricavarsi dai princìpi generali del concorso nell’illecito dell’art. 2598 c.c. Sono tuttavia immaginabili anche situazioni diverse: ad esempio qualora la rivelazione avvenga nei confronti del pubblico generalizzato, anziché nell’interesse di uno od altro concorrente specifico. In questi casi è da ritenere che l’informazione abbia ormai perduto il proprio carattere segreto, e possa essere liberamente utilizzata da tutti i concorrenti. Ugualmente ciò non esclude la responsabilità per danni dell’autore della rivelazione, pur non concorrente, per violazione del diritto sulle informazioni segrete.
L’art. 39.3 TRIPs obbliga gli stati membri a proteggere i dati segreti «la cui elaborazione comporti un considerevole impegno» relativi a componenti chimici di prodotti chimico farmaceutici e agricoli assoggettati a pubbliche autorizzazioni all’immissione in commercio. La norma, attuata nell’art. 98, co. 2, c.p.i., parrebbe sostanzialmente una pleonastica ripetizione dei princìpi generali di tutela del segreto. Essa comunque vale anzitutto ad esplicitare la volontà del legislatore di estendere la protezione anche nei confronti della pubblica amministrazione, per l’ipotesi in cui le informazioni segrete debbano essere comunicate in funzione dell’autorizzazione all’immissione in commercio (Auteri, P., Adeguamento della legislazione interna in materia di proprietà industriale, cit., 134 s.). Ad un tempo la norma presuppone la volontà di considerare comunque segrete e perciò tutelate le informazioni pur comunicate a pubbliche autorità (secondo alcuni tra l’altro indipendentemente dal requisito del valore economico della segretezza, cfr. Libertini, M., Le informazioni aziendali segrete, cit., 162). La presentazione agli organi della p.a. è quindi da intendere sottoposta a vincoli di riservatezza del tutto analoghi a quelli che caratterizzano la circolazione delle informazioni all’interno dell’organizzazione aziendale o nell’ambito di accordi di licenza di utilizzazione. La p.a. responsabile della divulgazione delle informazioni segrete è tenuta al risarcimento del danno anche in assenza dei presupposti di applicazione dell’art. 2598, e perciò quand’anche non abbia agito nell’interesse di concorrenti determinati.
La tutela delle informazioni segrete è prevista dall’art. 99 c.p.i. «ferma la disciplina della concorrenza sleale». La precisazione va ragionevolmente intesa da un lato nel senso che la violazione del segreto costituisce contemporaneamente un atto di concorrenza sleale, assoggettato alle relative sanzioni; d’altro lato nel senso di ammettere una protezione concorrenziale complementare anche per informazioni che non presentino i requisiti dell’art. 98 c.p.i., ma ad un tempo vengano sottratte con mezzi professionalmente scorretti (Auteri, P., Adeguamento della legislazione interna in materia di proprietà industriale, cit., 134 s.; Guglielmetti, Giov., La tutela del segreto, cit., 131; Trib. Brescia, 29.4.2004, in Giur. ann. dir. ind., 2004, 1087 ss.; App. Milano, 13.6.2007, in Giur. ann. dir. ind., 2007, 836 ss.). Così ad esempio la disciplina della concorrenza sleale ragionevolmente vieta di sottrarre mediante la collaborazione di dipendenti infedeli (o atti di spionaggio industriale) informazioni che pur non abbiano valore economico sostanziale. I princìpi generali di correttezza sembrano infatti imporre in tali casi di ricavare le informazioni attraverso l’osservazione del mercato, non attraverso la sottrazione al concorrente.
Le informazioni segrete sono considerate dal codice come oggetto di diritti di proprietà industriale, la cui violazione comporta l’applicabilità di tutte le sanzioni previste in via generale per le restanti tipologie di diritti (artt. 124 ss. c.p.i.). Poiché la violazione dei diritti sulle informazioni segrete costituisce contemporaneamente anche un atto di concorrenza sleale, sono inoltre da ritenere applicabili le sanzioni dell’art. 2599 c.c. In proposito alcune peculiarità presenta l’applicazione delle misure inibitorie (in via cautelare e di merito). La pronuncia inibitoria della continuazione dell’uso delle informazioni segrete è da ritenere senz’altro ammissibile (cfr. ad esempio Trib. Brescia, 29.4.2004, in Giur. ann. dir. ind., 2004, 1087 ss.): essa è comunque da intendere temporalmente limitata al periodo di mantenimento del segreto (Guglielmetti, Giov., La tutela del segreto, cit., 134 s.).
La competenza segue le regole dell’art. 134 c.p.i. La competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa si estende alle azioni di concorrenza sleale fondate sulla violazione dei segreti dell’art. 98 c.p.i. o comunque interferenti con questa violazione: ad esempio quando essa venga addotta per lamentare l’illiceità di atti di storno dei dipendenti.
Art. 39 TRIPs; artt. 98-99 c.p.i.; art. 2598 c.c.
Auteri, P., Adeguamento della legislazione interna in materia di proprietà industriale alle prescrizioni obbligatorie dell’accordo relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale concernenti il commercio – Uruguay Round, in Nuove leggi civ. comm., 1998, 71 ss.; Bertani, M., Proprietà intellettuale e nuove tecniche di appropriazione delle informazioni, in Studi in onore di Gerhard Schricker, Milano, 2005, 22 ss.; Denozza, F., Licenze di brevetto e circolazione delle tecniche, Milano, 1979; Floridia, G., Il riassetto della proprietà industriale, Milano, 2006; Franchini Stufler, B., Studi sull’evoluzione economica e giuridica del know-how e della sua tutela, in Riv. dir. ind., 2005, II, 363 ss.; Friedman, D.D. – Landes, W.M. – Posner, R.A., Some economics of trade secret law, in 5 J. Ec. Persp., 1991, 61 ss.; Frignani, A., Segreti d’impresa, in Dig. comm., XIII, Torino, 1996, 334 ss.; Ghidini, G., La tutela del segreto: critica di una “riforma”, in Dir. ind., 2008, 167 ss.; Guglielmetti, Giov., La tutela del segreto, in Galli, C., a cura di, Le nuove frontiere del diritto dei brevetti, Torino, 2003, 109 ss.; Libertini, M., Le informazioni aziendali segrete, in Riv. It. sc. giur., 2011, 137 ss.; Mansani, L., La nozione di segreto di cui all’art. 6 bis l.i., in Dir. ind., 2002, 216 ss.; Martorano, F., Segreto e brevetto nello sfruttamento dell’invenzione industriale, in Riv. dir. ind., 1982, I, 223 ss.; Massa Felsani, F., Contributo all’analisi del know-how, Milano, 1997; Sena, G., Efficienza e inefficienza della macchina normativa (note sui c.d. diritti non titolati), in Riv. dir. ind., 2012, I, 83 ss.; Traverso, M. E., La tutela giurisdizionale del segreto, in Dir. ind., 2002, 387 ss.; Troller, A., Il segreto industriale nel sistema dei diritti sui beni immateriali, in Riv. dir. comm., 1957, I, 169 ss.; Vanzetti, A., La tutela “corretta” delle informazioni segrete, in Riv. dir. ind., 2011, I, 95 ss.