Infortunio
Genericamente, il termine infortunio sta a indicare un evento accidentale con effetto lesivo e talora letale. Le cause di infortunio possono dipendere da: energie lesive di ordine fisico (meccaniche, dinamiche, termiche, bariche, radianti, elettriche ecc.); energie lesive di ordine chimico (caustici, tossici esogeni ecc.); energie lesive di ordine biochimico (tossici endogeni, sostanze anafilattizzanti); virus e traumi psichici. Su un piano medico-legale, oltre a questi fattori devono essere tenuti in conto tanto l'eventuale intervento di altri di ordine concausale, preesistenti oppure sopravvenuti, quanto la determinazione delle conseguenze dell'infortunio stesso, ai fini della valutazione del danno derivatone come invalidità temporanea o permanente.
La nozione di infortunio ha avuto una lenta e progressiva evoluzione nel corso dei secoli, passando dal significato di sventura, calamità, situazione o evento doloroso, avversità, destino contrario, a quello di disgrazia, sinistro, incidente ecc. Genericamente, l'infortunio può essere inteso come un evento funesto o spiacevole che occorre indipendentemente dalla volontà e per di più d'improvviso, tanto da essere inaspettato; in particolare, se riferito alla persona umana, come un incidente imputabile a una causa improvvisa e imprevista, che provoca effetti lesivi o letali o, più sinteticamente, come un evento accidentale (in altre parole imprevisto e involontario oltre che improvviso o repentino), cui è imputabile un danno all'organismo umano. A seconda dell'ambito in cui si verifica l'evento accidentale, si parlerà di infortunio stradale, ferroviario, aereo, domestico, sportivo, lavorativo; a seconda dell'energia lesiva, di infortunio elettrico, meccanico, chimico, barico ecc. Le analisi statistiche, evidenziando l'andamento temporale e ambientale degli infortuni per ogni singola tipologia, consentono di calcolare per ciascuna l'entità del rischio e di identificare i fattori che in concorso tra loro producono gli infortuni stessi. In tal senso si dice che gli infortuni sono prevedibili. Questi studi, dunque, forniscono le basi obiettive, necessarie per procedere a un'efficace opera di prevenzione, tentando di eliminare, o almeno di ridurre, l'efficienza causale dei fattori medesimi.
Sussiste, pertanto, una chiara 'prevedibilità in astratto', che tuttavia viene a mancare quando ci si riferisce al singolo caso, e una 'imprevedibilità in concreto' - vale a dire se, quando e come accadrà l'evento - che qualifica l'infortunio, unitamente agli altri suoi attributi, come accidentale. Esso, infatti, per definirsi tale, deve essere, come già ricordato sopra, imprevisto. L'imprevedibilità in concreto è, poi, strettamente connessa agli altri attributi dell'infortunio, cioè alla repentinità e all'involontarietà. Infatti, se non fosse un evento improvviso e rapido o non fosse involontario, la predizione del suo verificarsi escluderebbe l'imprevedibilità; per di più, la volontarietà trasformerebbe l'infortunio da un evento accidentale in un fatto costituente reato quando fosse lesivo di altre persone o di proprietà altrui. Anche al di fuori della volontarietà dell'evento, anzi quando questo avviene contro la volontà dell'agente ma è conseguenza di una sua condotta incongrua (per negligenza, imperizia, imprudenza o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline), come per es. avviene spesso negli incidenti stradali nel caso in cui ne derivi un danno psicofisico ad altri, il fatto si qualifica come delitto colposo di lesione personale o di omicidio.
Quando l'infortunio si verifica sul lavoro e la persona lesa è un assicurato contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, la cui assicurazione è gestita dall'INAIL (Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), subentra la nozione di infortunio indennizzabile, che è alquanto diversa da quella precedente.
In Italia, la legislazione a tutela dei lavoratori vittime di infortuni sul lavoro fu istituita, per la prima volta, in favore dei lavoratori dell'industria con la l. 17 marzo 1898, nr. 80, dopo che una lunga elaborazione dottrinale e parlamentare aveva enucleato il concetto di rischio professionale. Pur essendo stata progressivamente modificata (1904, 1935, 1965), la legislazione ha mantenuto inalterata la formula con la quale il legislatore volle indicare l'evento assicurato. L'art. 2 del t.u. 1124/65 attualmente vigente, analogamente a quanto statuito con la legge del 1898, stabilisce infatti che: "L'assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuto per causa violenta in occasione di lavoro da cui sia derivata la morte o un'inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un'inabilità temporanea assoluta che comporti l'astensione dal lavoro per più di tre giorni". Questo articolo non definisce l'infortunio, come da taluno ritenuto, ma delimita, nell'ambito delle diverse tipologie di tali eventi, quelli oggetto della tutela assicurativa obbligatoria.
Un primo elemento che connota l'infortunio sul lavoro concerne il fatto che esso è considerato egualmente indennizzabile, anche quando dipende da colpa dello stesso assicurato leso. Al riguardo, la dottrina si è espressa affermando che l'atteggiamento colposo derivante dal fattore umano non esclude il nesso di causalità con l'evento dannoso, poiché spesso l'affaticamento o l'eccessiva sicurezza o la dimestichezza con il lavoro possono portare il prestatore d'opera ad assumere atteggiamenti imprudenti o condotte distratte che mettono a repentaglio la sua stessa incolumità. Un altro carattere che si è voluto attribuire all'infortunio indennizzabile, ma che in realtà è insito nel concetto stesso di infortunio lavorativo, è rappresentato dalla sua anormalità rispetto allo svolgimento abituale del lavoro; infatti il lavoro normale non può mai dar luogo a eventi lesivi accidentali se non interviene un qualche fattore esterno allo stesso; l'attività lavorativa non può essere causa di lesività accidentale, bensì può essere la condizione che consente a quella causa lesiva di agire sull'organismo del lavoratore.
Precisato così il concetto di infortunio nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria, è opportuno sottolineare ancora un elemento, ovvero che per essere indennizzabile l'evento deve essere determinato non da una qualsiasi causa ma da una causa violenta. La violenza dell'antecedente causale non può essere dedotta dalla gravità degli effetti sull'organismo umano. Come è noto, infatti, per la presenza di antecedenti condizionanti, cause particolarmente violente possono determinare modeste lesioni e, all'inverso, cause di modesta capacità lesiva possono essere anche letali. La causa lesiva deve essere analizzata di per sé stessa, prescindendo dagli effetti che ha determinato, e la sua violenza può essere riconosciuta se ricorrono gli attributi qualitativo, quantitativo e modale.
a) Attributo qualitativo. Qualitativamente, oltre che dannosa, la causa deve essere esterna, deve agire cioè dall'esterno contro l'organismo del lavoratore. Questa esteriorità si configura anche nello 'sforzo' (inteso come atto di forza abnorme e improvviso) che può produrre lesioni a causa di una contrazione muscolare violenta, agente quindi dall'interno dell'organismo; questa, però, avviene per vincere una resistenza esterna, la quale ultima costituisce quindi la causa primaria della lesione. Lo sforzo, che comunemente richiede un impegno di tutto il complesso muscolare, può esplicarsi efficacemente anche con un impegno segmentario e, in entrambi i casi (sforzo muscolosistemico e sforzo muscolosegmentario), gli effetti lesivi possono riguardare anche organi e apparati che non siano direttamente sollecitati. È questo il caso dell'infarto del miocardio, infortunio mortale o non. L'indagine medico-legale che viene attivata in tale evenienza tende a documentare le modalità dell'atto compiuto focalizzando l'attenzione, oltre che sul dispendio energetico, sulle circostanze ambientali (temperatura) e temporali (inizio e fine turno, o metà turno), nonché sulla ricorrenza di contestuali stress emotivi.
b) Attributo quantitativo. Quantitativamente, non è necessario che la causa esterna, per essere qualificata come violenta, sia unica ed esclusiva di quell'effetto (come veniva una volta richiesto dalla normativa di natura previdenziale, relativa alla dipendenza da causa di servizio delle infermità contratte dai dipendenti dello Stato e di enti pubblici), né che sia concausa preponderante, avente quindi un'efficienza causale superiore all'insieme delle altre concause, in genere interne all'organismo: è sufficiente che abbia un'efficienza superiore a quella del 'momento sciogliente' (o liberatore o scatenante). Questo momento viene paragonato a quello in cui cade l'ultima goccia che fa traboccare un vaso pieno d'acqua e dovrebbe avere la stessa capacità lesiva di atti fisiologici quali, per es., lo starnutire, il tossire ecc. che, come è ampiamente noto, in presenza di uno stato patologico preesistente di notevole entità (concausa interna) possono essere anche letali. Tale minima concausa, nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria, è stata indicata dagli studiosi con il termine 'occasione', proprio in quanto si è voluto rendere evidente la totale mancanza in essa del carattere della violenza.
Nella normativa per i dipendenti dello Stato o di enti pubblici, invece, si riconosce la dipendenza da causa di servizio delle infermità concausate da fatti di servizio, solo se questi rappresentino una "concausa efficiente e determinante"; di conseguenza, la dipendenza è esclusa se si configurano come momento sciogliente (o liberatore o scatenante). In conclusione, può ravvisarsi un'idonea causa violenta qualora: esista un preesistente stato morboso, in grado di condizionare una minore resistenza dell'organismo di fronte all'atto di forza; ricorrano peculiari caratteristiche abnormi di svolgimento dell'abituale prestazione quali, per es., ripetitività eccessiva dell'atto, svolgimento dello stesso in precario equilibrio ergonomico, mancato sinergismo dei movimenti, fattori estrinseci che modifichino il normale lavoro, tra i quali anche quelli ambientali che danno luogo a una prolungata postura obbligata ecc. È altresì assimilato alle precedenti fattispecie il traumatismo psichico, in riferimento a tutte quelle situazioni che si possono determinare in conseguenza di fatti drammatici che agiscono sulla psiche dell'individuo: che un'intensa emozione, specie da spavento, possa acquisire significato e valore di causa o concausa, aventi il carattere della violenza, nei confronti di un evento di danno alla persona, è circostanza ampiamente ammessa nell'ambito medico-assicurativo o medico-forense.
c) Attributo modale. Modalmente, la causa deve agire rapidamente o, comunque, in maniera concentrata nel tempo; modalità quest'ultima per la quale si è posta la questione inerente ai suoi limiti temporali. Il criterio più significativo è stato da sempre individuato in un turno di lavoro ininterrotto, oppure interrotto dalle sole pause consuetudinarie, o meglio, in un turno di 'rischio lavorativo', inteso come quel periodo di tempo nel quale il lavoratore non si può sottrarre al rischio specifico di quel lavoro o a quello generico aggravato dal lavoro stesso. Rientrano in tal modo nel concetto di azione concentrata nel tempo della causa lesiva tutte quelle situazioni in cui la causa agisce, in effetti, in maniera prolungata, ben oltre il normale orario di lavoro, ma nelle quali il lavoratore non si può sottrarre alla sua azione: per es. un minatore rimasto bloccato in miniera il quale muore per impossibilità di alimentarsi per molti giorni. Si deve precisare che la rapidità d'azione, o la sua concentrazione nel tempo nei limiti cronologici sopra espressi, non comporta che l'insorgenza degli effetti morbosi sia immediata o a poca distanza di tempo dal termine dell'azione lesiva; vi sono manifestazioni patologiche causalmente ricollegabili all'azione di un fatto violento, che tuttavia si evidenziano a distanza di tempo dal trauma oppure si palesano lentamente e gradualmente.
Il terzo requisito tecnico-giuridico indispensabile per classificare un evento qualsiasi come infortunio sul lavoro indennizzabile è rappresentato dal fatto che l'evento debba avvenire in occasione di lavoro; espressione, questa, particolarmente calzante e discriminatoria, che il legislatore ha utilizzato per sottolineare come non debba esservi soltanto una mera coincidenza di tempo e di luogo con il lavoro, ma che esso deve rappresentarne il primum movens. Tale requisito è genericamente inteso come finalità di lavoro che fa da sfondo alle azioni del lavoratore e, quindi, anche come momento generante i rischi professionali (specifico del lavoro e generico aggravato dal lavoro) cui il lavoratore si espone per la sua mansione. Per finire, bisogna ancora ricomprendere nell'occasione di lavoro le attività al di fuori dell'attualità di lavoro, includenti le giustificate pause di riposo, quelle ricreative o quelle congrue con il soddisfacimento di bisogni personali. In altri termini, per poterlo considerare avvenuto in occasione di lavoro, non è sufficiente che l'infortunio sia accaduto sul lavoro ma è necessario che si sia verificato per il lavoro; tanto più non è dirimente la constatazione che l'operaio ne rimanga vittima mentre lavora, ma deve dimostrarsi che n'è rimasto vittima perché lavora. L'occasione di lavoro comprende, pertanto, tutte le situazioni nelle quali la mansione lavorativa propria dell'infortunato, come pure le concrete modalità di organizzazione di lavoro e le attività sussidiarie o ausiliarie, imponendo specifici comportamenti e adempimenti (pur se non strettamente inerenti alle mansioni affidate), siano tali da esporre il lavoratore - secondo una previsione oggettiva che ne comprende anche l'eventuale imprudenza, negligenza e imperizia (e cioè la colpa) - al possibile verificarsi di eventi dannosi, riconducibili sempre alla logica del rischio professionale. Per la normativa riguardante la dipendenza da causa di servizio delle infermità contratte dai dipendenti dello Stato o di enti pubblici, non è necessario che l'evento dannoso derivi dal concretizzarsi di un rischio specifico del lavoro o di un rischio generico aggravato dal lavoro stesso, ma è sufficiente che nella prestazione svolta dal dipendente sussista il semplice rischio generico, quello al quale soggiace ogni cittadino, purché vi sia finalità lavorativa nella prestazione stessa; in altri termini, è sufficiente un rapporto di connessione con il servizio nell'attività svolta in quel momento dal dipendente. Questo è il motivo per il quale tale normativa prevede come dipendente da causa di servizio anche l'infermità derivante da infortunio avvenuto in itinere per il concretizzarsi del comune rischio generico della strada; per la tutela antinfortunistica INAIL, invece, ciò è previsto per i soli marittimi nel percorso da casa alla nave, al momento dell'imbarco, e dalla nave all'abitazione, al momento dello sbarco; tutti gli altri casi che si verificano al di fuori dell'ambiente di lavoro e anche al di fuori dell'orario di lavoro sono considerati veri infortuni sul lavoro indennizzabili, purché l'evento dannoso derivi dal concretizzarsi di un rischio generico aggravato dal lavoro e l'attività svolta dall'assicurato abbia finalità lavorativa.
Il quarto elemento tecnico-giuridico dell'infortunio sul lavoro è rappresentato dal requisito del danno alla persona del lavoratore costituito dall'inabilità temporanea o permanente, intesa come riduzione totale o parziale dell'attitudine al lavoro, o dalla morte. Quest'ultimo evento dà luogo a un indennizzo ai superstiti, mentre l'inabilità temporanea, se assoluta e superiore ai tre giorni, comporta l'erogazione di una indennità giornaliera finché permane l'incapacità a svolgere il lavoro specifico, cioè quello al quale era addetto il lavoratore al momento dell'infortunio. Se al termine dell'inabilità temporanea vi sono postumi con il carattere della permanenza e che costituiscano quindi un'inabilità permanente, totale o parziale, cioè un'incapacità permanente al lavoro generico, e non già a quello che svolgeva anteriormente al fatto, il lavoratore ha diritto a una rendita secondo modalità tabellari predisposte.
Da quanto si è detto, risulta evidente che il danno tutelato dalla legge antinfortunistica del 1965 è quello al lavoro, cioè alla capacità lavorativa dell'assicurato, e non quello alla persona; d'altra parte, anche in ambito civile era risarcito il danno alla capacità produttiva dell'individuo. Attualmente, invece, è stata per la massima parte accolta, dalla dottrina e dalla giurisprudenza civilistiche, la teoria della scuola medico-legale romana, formulata nel 1952 da C. Gerin: ci si riferisce al cosiddetto danno biologico o, meglio, al danno alla salute dell'individuo, cioè al danno alla persona in quanto tale e non soltanto alla sua capacità di produrre reddito. La Corte costituzionale ha quindi sollecitato l'INAIL a prevedere anche per gli infortuni sul lavoro l'indennizzabilità del danno alla salute, essendo quest'ultima un bene assoluto costituzionalmente tutelato; a tale proposito, è in corso una riforma legislativa del t.u. 1124/65 sugli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Analoga modifica legislativa dovrebbe necessariamente essere apportata, in un futuro, anche alla normativa previdenziale per i dipendenti dello Stato o di enti pubblici.
Nell'ambito delle assicurazioni libere contro gli infortuni, trattandosi di un contratto privato tra compagnia di assicurazione e assicurando le relative obbligazioni dovrebbero essere concordate tra le parti; ciò, in genere, non avviene in quanto ogni compagnia propone un suo tipo di polizza, anche se molto simile a quella delle altre compagnie, e l'assicurando può richiedere l'inserimento di alcune clausole complementari che di norma non riguardano la definizione di infortunio. Questo è in genere inteso come ogni evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, per cui vengono esclusi dall'indennizzo casi derivanti da colpa dell'assicurato, specie se questa è grave, o viene ridotto l'indennizzo stesso a seconda del grado percentualizzato della colpa.
Di regola, l'indennizzo compete solo per le lesioni oggettivamente apprezzabili, che siano diretta ed esclusiva conseguenza dell'infortunio e che abbiano dato luogo a una menomazione temporanea o permanente, identificata secondo le polizze come invalidità, o incapacità al lavoro, o inabilità. Per la valutazione della menomazione permanente si deve far riferimento a tabelle percentuali di danno esplicitate nella polizza stessa.
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