Ingegneria biomedica
La locuzione ingegneria biomedica (detta anche bioingegneria e ingegneria medica) indica quel settore interdisciplinare di applicazione dell’ingegneria, delle scienze, della tecnologia e dell’informatica ai problemi medici e biologici. In tal senso, essa è strettamente collegata al settore dell’ingegneria biologica, che include le applicazioni dei principî e delle tecniche dell’ingegneria all’intero spettro dei sistemi viventi (dai microbi e le piante fino agli ecosistemi), e interagisce fortemente con numerosi e differenti settori delle scienze biologiche quali la fisiologia, la farmacologia, le neuroscienze, la genetica, la biologia molecolare e così via.
Le prime applicazioni nell’ambito dell’ingegneria biomedica possono essere fatte risalire alla fine del XIX sec., con gli iniziali sviluppi dell’elettrofisiologia e con la scoperta delle radiazioni ionizzanti; tuttavia, la nascita ufficiale dell’ingegneria biomedica viene generalmente collocata alla fine della Seconda guerra mondiale grazie ai progressi conseguiti nel campo della tecnologia militare: è infatti in questo periodo che la strumentazione utilizzata, progettata da ingegneri, acquisisce la specificità di strumentazione biomedica per diagnosi e terapia, e l’indagine sui processi biologici viene effettuata con l’aiuto della tecnologia.
Tradizionalmente, i principali settori di interesse dell’ingegneria biomedica hanno riguardato: (a) le applicazioni alla diagnostica medica, con lo sviluppo della strumentazione biomedica (dai più semplici dispositivi per la misurazione di singole variabili diagnostiche fino a complesse apparecchiature di rilevazione ed elaborazione di segnali e immagini biomediche); (b) le applicazioni alla terapia medica, quali lo sviluppo di strumenti e sistemi di ausilio alla terapia, il progetto e la realizzazione di organi artificiali, lo studio della cinetica e del metabolismo di sostanze e farmaci; (c) la biomeccanica volta all’analisi del movimento umano in condizioni fisiologiche e patologiche e che si colloca alla base del progetto di protesi di arti e (d) i biomateriali, con riferimento alla ricerca di materiali compatibili con i tessuti biologici e lo sviluppo di nuovi materiali e tessuti. Una particolare menzione merita inoltre, nell’ambito dell’ingegneria biomedica, la modellistica biomedica che ha rivestito nel corso degli anni un importante ruolo sia nella ricerca di base in fisiologia e patologia sia nelle applicazioni diagnostiche e terapeutiche (farmacologia, epidemiologia, neuroscienze, organi artificiali ecc.).
Negli ultimi anni, in aggiunta a tali aree, di tradizionale interesse dell’ingegneria biomedica hanno avuto, particola-re espansione il settore delle applicazioni dell’informatica e della robotica in ambito sanitario e ospedaliero, e i settori della telemedicina e dell’ingegneria dei tessuti. Di particolare rilevanza per i possibili sviluppi applicativi risultano anche i recentissimi interessi dell’ingegneria biomedica nell’area della genomica e proteomica computazionale e delle micro- e nanotecnologie.
Lo sviluppo della strumentazione e delle apparecchiature nelle strutture sanitarie ha inoltre portato alla nascita di un settore autonomo dell’ingegneria biomedica come l’ingegneria clinica. Infatti, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso si è manifestata la necessità di un’utilizzazione razionale delle apparecchiature biomediche che coinvolge problemi di acquisizione delle apparecchiature stesse, manutenzione e gestione all’interno dell’ospedale, di economia e, soprattutto, di sicurezza. Il numero crescente e la complessità delle apparecchiature utilizzate in ambito clinico e diagnostico rendono infatti indispensabile il monitoraggio e la prevenzione dei malfunzionamenti, che potrebbero comportare gravi danni per i pazienti, nonché la razionale dislocazione e gestione delle risorse tecnologiche nell’ambito delle strutture sanitarie.
La modellistica biomedica è uno dei settori più antichi dell’ingegneria biomedica: i primi modelli relativi all’albero arterioso risalgono alla fine del XIX sec., con il cosiddetto modello windkessel, e intorno alla metà del secolo scorso sono stati molto diffusi i modelli analogici, quali quelli idraulici, ancora utilizzati per simulare parti del sistema cardiovascolare, e i modelli circuitali relativi al sistema arterioso e al neurone. Tuttavia, la diffusione dell’approccio modellistico allo studio dei sistemi biologici si è avuta solo negli ultimi decenni del secolo scorso (anni Ottanta e Novanta), favorita, da un lato, dallo sviluppo della strumentazione diagnostica e, dall’altro, da quello di mezzi di calcolo potenti e a basso costo. Di conseguenza è stato possibile simulare numericamente il comportamento di modelli matematici complessi e validarne le ipotesi e i risultati attraverso misure quantitative sempre più accurate.
Un modello matematico viene così definito in epistemiologia: dato un sistema S, costituito da elementi e relazioni fra essi, M si dice modello di S se è possibile stabilire delle corrispondenze tra gli elementi di M e gli elementi di S e tra le relazioni in M e le relazioni in S. Quando gli elementi di M sono entità matematiche (per es., variabili) e le relazioni fra queste sono relazioni funzionali, M si dice modello matematico di S.
I modelli utilizzati in biomedicina sono prevalentemente di tipo strutturale: essi cercano cioè di riprodurre il comportamento di un determinato sistema sulla base delle leggi fisiche, chimiche e biochimiche che lo regolano (per es., il moto del sangue nei vasi viene studiato in base alle leggi della fluidodinamica). L’utilizzazione di modelli puramente funzionali, che rappresentano le relazioni tra misure o dati ottenuti dal sistema in oggetto senza tenere conto dell’effettiva struttura del sistema, è molto meno diffusa. Tuttavia, modelli di questo tipo sono applicati nel caso di sistemi particolarmente complessi e per i quali si abbia una conoscenza incompleta e/o incerta sul modo di operare. Nello studio del sistema nervoso centrale, per esempio, si usano modelli funzionali per l’analisi delle relazioni causali che esistono fra differenti aree corticali (connettività cerebrale).
Sebbene il principale utilizzo dei modelli matematici si abbia tuttora nell’ambito degli studi di base di fisiologia e biologia, tuttavia essi sono efficacemente impiegati anche in settori più strettamente connessi alle applicazioni. Modelli matematici sono diffusamente applicati in allo scopo di valutare la correttezza della locomozione e nel progetto e nella valutazione di protesi di arti. Tali modelli sono usualmente utilizzati anche in epidemiologia per realizzare previsioni sulla diffusione di una patologia in una determinata popolazione, così come lo studio della distribuzione di un farmaco all’interno dell’organismo viene realizzato attraverso modelli di . Un interessante campo di applicazione della modellistica matematica si è anche avuto nell’educazione medica e fisiologica in cui il modello è stato utilizzato, unitamente a programmi di animazione, per sviluppare un software didattico di simulazione del comportamento di organi e apparati in condizioni fisiologiche e patologiche.
Storicamente, la prima utilizzazione dei mezzi informatici nei sistemi biomedici si è avuta nell’ambito diproblemi gestionali e organizzativi, relativi sia all’intero sistema sanitario nazionale sia al singolo ospedale, o ancora, a reparti specifici in ambito ospedaliero, qualitipicamente i laboratori di analisi cliniche e le unità di terapia intensiva. Nell’ambito delle applicazioni diagnostiche, particolare rilievo ha avuto l’utilizzazione di metodi automatici per l’identificazione di peculiari caratteristiche in immagini biomediche (per es., in immagini radiografiche) e, anche se con minore impatto, l’impiego delle metodiche e tecniche di intelligenza artificiale nello sviluppo di sistemi automatici di ausilio alla diagnosi. Più recenti e di particolare rilevanza, possono essere considerate le applicazioni dell’informatica alla genomica e proteomica (bioinformatica) e, sia pure non ancora in un contesto applicativo, il tentativo di integrare i dati e le informazioni generate a livello molecolare con le tipiche banche dati cliniche ed epidemiologiche caratteristiche del settore dell’informatica medica.
I sistemi di gestione sanitaria vengono utilizzati, ai vari livelli, per immettere, memorizzare, elaborare e restituire informazioni in modo automatico. Tali sistemi consistono sostanzialmente in una o più basi di dati tipicamente interagenti fra loro, nel software relativo alla creazione, all’aggiornamento e all’eventuale cancellazione di file e nell’hardware necessario.
Una tipica base di dati in un contesto ospedaliero può, allo stato attuale, supportare sia i processi relativi all’amministrazione interna sia quelli relativi alla gestione dei pazienti in ingresso e in uscita. Relativamente a questi ultimi, il sistema generalmente include documenti medici riguardanti la storia del paziente, i risultati di esami in forma multimediale (testi, immagini, dati, suoni e video) e informazioni finanziarie e demografiche. Tutte queste informazioni devono poter essere facilmente immesse, richiamate ed eventualmente cancellate dall’utilizzatore. Il sistema deve quindi essere in grado di rilevare, segnalare e/o correggere errori logici ed errori o ripetizioni nell’immissione dei dati stessi, identificare correttamente le successive modifiche e dedurre automaticamente ulteriori informazioni cliniche ricavabili da quelle disponibili.
A livello dell’automazione di singole unità operative all’interno dell’ospedale, i reparti che per primi hanno utilizzato strumenti e metodologie informatiche e che, di conseguenza, risultano essere quelli in cui si verifica il più elevato livello di automazione sono i laboratori di analisi cliniche e i reparti di terapia intensiva.
Nel caso del laboratorio di analisi cliniche, un elaboratore locale, oltre a effettuare le procedure di controllo di qualità, relative alla strumentazione presente, può provvedere alla generazione automatica e all’aggiornamento di una base di dati contenente le descrizioni dei vari test, i valori e gli intervalli di normalità, le unità di misura, gli aggiustamenti in funzione dell’età, del sesso ecc. nonché provvedere a elaborazioni statistiche su base giornaliera, mensile o annuale, per sezione del laboratorio e tipo di paziente. L’elaboratore locale può essere interfacciato con un elaboratore centralizzato in modo da ricevere le richieste degli esami clinici da parte degli altri reparti, elaborare la relativa lista di attesa, gestire le urgenze e provvedere all’invio dei risultati degli esami stessi una volta effettuati.
I sistemi di monitoraggio ospedaliero consistono, a loro volta, di un insieme di strumenti di misura (quali ECG e frequenza cardiaca, forma d’onda pressoria e pressione sistolica, diastolica e media, temperatura corporea, presenza di aritmie per pazienti cardiopatici ecc.). L’insieme di tali misure è gestita da un’unità posta accanto al letto del paziente. Ogni unità è connessa a un controllore centrale che ne supervisiona un certo numero contemporaneamente; tale controllore interroga l’unità posta al letto del paziente a opportuni intervalli di tempo e trasmette le informazioni a un centro di sorveglianza. Particolari caratteristiche delle variabili rilevate (per es., la presenza di aritmie nel segnale ECG) possono essere ricavate centralmente attraverso algoritmi di riconoscimento di caratteristiche e classificazione. Il sistema è inoltre generalmente dotato di un certo numero di dispositivi di allarme e di sistemi di restituzione di tipo video e grafico.
Le più tradizionali applicazioni di metodi automatici alla diagnostica hanno riguardato la localizzazione e l’identificazione automatica di caratteristiche anomale in immagini, in modo da evidenziare e discriminare tra differenti patologie. I passi principali implicati in tale processo consistono generalmente nella digitalizzazione dell’immagine (se non già disponibile in questa forma), e nella preelaborazione dei dati consistente in processi di normalizzazione e filtraggio. A questi passi preliminari fa seguito l’estrazione delle caratteristiche, ossia la misurazione di proprietà locali dell’immagine, la segmentazione, che riguarda la suddivisione dell’immagine in sottoregioni significative di proprietà omogenee, e infine la classificazione, vale a dire l’assegnazione dell’immagine alla più probabile interpretazione. Questa sequenza può ovviamente essere modificata omettendo o ripetendo alcuni dei passi. Una semplice caratteristica come, per esempio, il valore medio locale di grigio può dare luogo a una prima segmentazione dell’immagine in due regioni: lo sfondo e il soggetto. Un insieme più definito di caratteristiche può successivamente essere applicato per suddividere ulteriormente le due regioni e così via.
Un secondo settore di applicazione dell’informatica alla diagnostica riguarda l’implementazione di sistemi esperti (ossia capaci di funzionare come un esperto umano nella soluzione di problemi complessi non numerici in determinati settori), per applicazioni biomediche. Infatti la natura del procedimento diagnostico e della pianificazione della terapia, che prevede la combinazione di un gran numero di aspetti non tutti completamente evidenti, renderebbe l’area biomedica una scelta naturale per l’applicazione di tali sistemi. Tuttavia, questo tipo di applicazione non ha per ora avuto particolari ricadute e sviluppi nel campo della diagnostica clinica, mentre una certa diffusione di sistemi di questo tipo si è avuta nel settore dell’educazione, in cui il sistema esperto può costituire un utile strumento di esercitazione per allievi medici e chirurghi.
Nell’ultimo decennio lo sviluppo di nuove tecnologie di biologia molecolare per lo studio del e del , e quindi la possibilità di disporre di mappe complete del DNA così come di sequenze delle proteine degli organismi viventi, ha aperto all’industria della salute orizzonti prima inimmaginabili, che tuttavia necessitano della messa a punto di metodologie adeguate. Sulla base di queste nuove tecnologie appare possibile l’affermarsi di un nuovo tipo di medicina che applica le conoscenze sul genotipo, integrate con i corrispondentidati relativi al fenotipo (l’insieme dei caratteri che l’individuo manifesta, dipendente dal suo genotipo, dalleinterazioni tra geni e anche da fattori esterni), per identificare la predisposizione del singolo individuo alle malattie e sviluppare terapie adatte al genotipo del paziente. Tuttavia, per la realizzazione di questo ambizioso progetto permangono una serie di ostacoli di tipo tecnico e scientifico. In primo luogo, le tecnologie per il sequenziamento e il monitoraggio del (ossia l’espressione dei geni negli RNA messaggeri di un intero organismo o di un dato organo, tessuto o cellula in un particolare stadio dello sviluppo dell’organismo o sotto particolari condizioni ambientali) e del proteoma generano un’enorme quantità di dati che è necessario gestire utilizzando tecnologie informatiche adeguate, analizzare e interpretare in maniera corretta, dal punto di vista statistico/matematico, e coerente con il reale significato biologico dei dati stessi. L’obiettivo è quindi quello di: (a) fornire modelli statistici validi per l’interpretazione dei dati provenienti da esperimenti di biologia molecolare e biochimica al fine di identificare tendenze e leggi numeriche; (b) generare nuovi modelli e strumenti matematici per l’analisi di sequenze di DNA, RNA e proteine al fine di creare un corpus di conoscenze relative alla frequenza di sequenze rilevanti, alla loro evoluzione ed eventuale funzione; (c) organizzare le conoscenze acquisite a livello globale su genoma e proteoma in basi di dati al fine di rendere tali dati accessibili a tutti, e (d) ottimizzare gli algoritmi di ricerca dei dati stessi per migliorarne l’accessibilità. È inoltre indispensabile confrontare e integrare l’informazione ottenuta da questi dati con l’informazione biologica nota, reperibile in maniera non sempre ordinata e automatica nelle decine di banche di dati biologici presenti in rete.
Contestualmente e conseguentemente alla riorganizzazione e all’accessibilità di tali dati si vanno via via sviluppando una serie di applicazioni quali: la costruzione di modelli virtuali di molecole, cellule e organi basati per esempio sui dati del Visible Human e altri progetti correlati; l’imaging molecolare per la restituzione in vivo dei processi cellulari e genetici; lo sviluppo di infrastrutture di calcolo adeguate per la visualizzazione, memorizzazione e trasmissione di immagini tridimensionali di strutture proteiche che non possono essere adeguatamente supportate dalla tecnologia attuale e infine lo sviluppo di nuovi farmaci (farmacogenomica) che richiede strumenti e metodi computazionali avanzati.
Tale tecnica, nata circa trent’anni fa negli Stati Uniti, fa tradizionalmente riferimento all’utilizzazione di sistemi integrati di reti di comunicazione (telefoniche, radio o via satellite) ed elaboratori, per trasmettere ed elaborare informazioni mediche a distanza; essa ha raggiunto rapidamente una notevole efficienza e affidabilità grazie all’impulso avuto durante il periodo delle ricerche spaziali. Attualmente i servizi offerti dalla telemedicina riguardano, oltre le tradizionali applicazioni in medicina spaziale, l’assistenza a distanza, il telemonitoraggio ospedaliero, domiciliare e ambientale, le applicazioni per la terapia a distanza (per es., la teledialisi), i servizi per aree isolate a bassa densità di popolazione quali isole e/o comunità montane, i servizi mobili per aree di intervento periodico od occasionale quali stadi, aree turistiche, posti di lavoro ecc. nonché per la medicina delle emergenze e dei disastri. La telemedicina riguarda anche l’integrazione di servizi e organizzazione, come per esempio: sistema informativo sanitario, laboratori di analisi, registro tumori, servizi bibliografici e didattici. Un notevole impulso in tal senso può essere fornito dall’utilizzazione delle grandi reti te-lematiche internazionali che, annullando distanze e tempi di comunicazione, possono rendere accessibili dati disponibili presso organizzazioni pubbliche quali ministeri della sanità, OMS, ONU, università e così via.
Nella varietà delle applicazioni illustrate si può comunque assumere che ogni sistema di telemedicina è caratterizzato sostanzialmente da quattro fattori base: un sistema di trasmissione dati (telefono, fibra ottica, onde elettromagnetiche ecc.), il tipo di informazione trasmessa (voce, immagini, video, segnali e/o variabili fisiologiche ecc.), le apparecchiature e la strumentazione utilizzata nel sito remoto (televisore, personal computer, scanner, videocamera ecc.) e il tipo e l’entità dell’elaborazione dell’informazione (sicurezza, interattività, software specifico per il processamento di segnali e immagini di supporto alla diagnosi ecc.). La base fondamentale della telemedicina rimane comunque nel sistema di trasmissione dell’informazione clinica da un luogo a un altro pur rimanendo la scelta del mezzo di trasmissione un compromesso fra i costi, la disponibilità del servizio e le esigenze di larghezza di banda e di affidabilità della trasmissione.
La standardizzazione nel settore della telemedicina non è ancora totalmente realizzata, infatti le specifiche, che variano a seconda del tipo di applicazione, unitamente alle esigenze di sicurezza e riservatezza dei dati (particolarmente importanti quando si tratti di diagnosi o terapie) hanno portato all’utilizzazione di differenti tipi di periferiche e di canali di trasmissione. Il teleconsulto per esempio, richiede sistemi di teleconferenza installati nel sito locale e remoto; la teleradiologia richiede un sistema che acquisisca immagini digitali e le trasmetta in un luogo diverso in cui possano essere visualizzate: in tutti i casi il sistema deve avere un’adeguata risoluzione e restituzione dei colori o livelli di grigio per trasmettere un’immagine soddisfacente.
La telemedicina e la teleassistenza possono senz’altro migliorare il servizio sanitario attraverso l’aumento degli accessi a servizi specializzati (per es., la teleradiologia può essere utilizzata per fornire un servizio di radiologia a ospedali periferici che non possono averne uno locale), l’incremento di rapidità dei referti, l’aumento della comunicazione fra i livelli di assistenza primaria e secondaria, il miglioramento e la diffusione dell’educazione e la riduzione dei costi. Tuttavia, allo stato attuale, l’integrazione di sistemi di telemedicina nella pratica clinica e la diffusione della loro utilizzazione a differenti livelli della pratica medica è ancora al di sotto delle potenzialità di tale tecnica. Una maggiore utilizzazione di questa tecnologia potrebbe verificarsi, nei prossimi anni, come conseguenza di avanzamenti significativi in differenti settori tecnologici: la possibilità di impiegare sistemi di trasmissione wireless a banda larga, capaci di supportare differenti tipi di contenuti; la disponibilità di sensori sempre meno invasivi e di piccole dimensioni (in alcuni casi di forme inusuali e integrati negli abiti stessi); l’emergere di standard multimediali per la compressione e la manipolazione dei dati (JPEG2000, MPEG4) che, pur essendo stati sviluppati in contesti molto diversi, sono tuttavia utilizzabili anche in medicina e infine la disponibilità di un software open source che, utilizzato inizialmente per implementare un numero limitato di applicazioni, è allo stato attuale impiegato per interi settori di applicazioni integrate quali lo scambio di immagini cardiache e la codifica di patologie.
La robotica chirurgica, è un altro settore di recente sviluppo dell’ingegneria biomedica, riguarda l’applicazione delle metodiche e delle tecniche della robotica alla chirurgia, con lo sviluppo di apparati di ausilio e/o di parziale sostituzione dell’opera del chirurgo. I primi campi di applicazione della robotica in chirurgia si sono avuti nella microchirurgia, nella chirurgia cerebrale, nella radiochirurgia e nella chirurgia ortopedica, per parti di intervento a elevata precisione, e, in particolare, in associazione al bisturi laser, o per l’apposizione di chiodi, punti metallici e così via.
Il sistema utilizzato è costituito in generale dal robot propriamente detto che, in tali applicazioni, deve soddisfare specifiche particolarmente stringenti anche dal punto di vista della stessa costruzione meccanica. Il robot deve infatti presentare caratteristiche di maneggevolezza e leggerezza associate a un numero di gradi di libertà adeguato a rendere possibili movimenti di una certa complessità. Le grandezze che definiscono la posizione e l’orientamento dell’organo effettore del robot richiedono di essere definite con grande precisione; il robot deve infatti essere manovrato dal chirurgo in modo da ottenere il posizionamento più accurato possibile di tale organo effettore che può consistere in un dispositivo portautensile, specializzato a seconda dell’intervento che si deve effettuare (trapano, raggio laser ecc.). Al robot viene in genere associato un sistema di ricostruzione che consenta di mettere in relazione misure relative alla geometria della zona su cui deve essere effettuato l’intervento e immagini della zona stessa. In tal modo è possibile, tramite una rappresentazione tridimensionale della zona di operazione, simulare la posizione e la direzione di avanzamento dell’utensile così da definire esattamente la posizione in cui il robot deve portare il suo organo effettore e programmarne opportunamente i movimenti.
Di particolare interesse sono le applicazioni della robotica alla neurochirurgia che è stata la prima specialità chirurgica a usufruire della guida attraverso immagini, inizialmente con la chirurgia stereotassica in cui le misure relative alla posizione di un casco stereotassico, posto sul cranio del paziente, insieme a immagini tridimensionali quali lastre a risonanza magnetica, tomografie ecc. permettevano di posizionare esattamente la lesione e di pianificare il percorso dello strumento chirurgico all’interno del cervello. Le nuove tecniche guidate da immagini utilizzano marker meno invasivi o immagini video del paziente per realizzare la corrispondenza fra le immagini della lesione e i riferimenti anatomici del paziente posto sul tavolo operatorio. La navigazione verso la zona lesa, eseguita manualmente o tramite un robot, è guidata da sensori e controllata da un calcolatore che, sulla base della ricostruzione effettuata fornisce le istruzioni di moto. Ulteriori settori in cui è diffusa l’utilizzazione dei robot, sono la chirurgia ortopedica (dell’anca e del ginocchio), la chirurgia toracica e la chirurgia generale minimamente invasiva.
È prevedibile che un ulteriore e interessante sviluppo della robotica chirurgica possa aversi con l’evoluzione delle tecniche della realtà virtuale e della telemedicina. In tal caso il chirurgo, indossando casco, guanti o altri dispositivi per realtà virtuale può entrare nella sala operatoria posta a distanza, ricevere stimoli sensoriali e operare tramite strumenti telecomandati agendo in modo naturale, come se operasse effettivamente. Medico e robot sono in tal caso dotati di sensori ed effettori che permettono di riprodurre fedelmente a distanza e in tempo reale sia stimoli sensoriali sia azioni: il chirurgo riceve dal robot informazioni reali (suoni, stimoli propriocettivi, immagini stereoscopiche in 3D) e quindi comanda direttamente a distanza il robot.
Sistemi analoghi, in uso già da alcuni anni, che permettono una rappresentazione automatica della posizione degli strumenti chirurgici sul piano operatorio, possono essere utilizzati per la pianificazione di un intervento chirurgico: in pratica, si opera virtualmente verificando traiettorie, posizioni dei vasi ecc. prima di effettuare interventi reali. Alcuni gruppi di ricerca lavorano inoltre su microrobot operatori, che possono essere ‘realvirtualmente’ controllati a distanza e raggiungere il campo d’azione attraverso i vasi sanguigni.
Biondi 1997: Biondi, Emanuele, Introduzione all’ingegneria biomedica, Bologna, Patron, 1997.
Biondi, Cobelli 1997: Biondi, Emanuele - Cobelli, Claudio, Storia della bioingegneria, Bologna, Patron, 2001.
Cristiani 1996: I sistemi informativi sanitari, a cura di Paolo Cristiani, Francesco Pinciroli, Mario Stefanelli, Bologna, Patron, 1996.
Hogness, Vanantwerp 1991: The artificial heart. Prototypes, policies and patients, edited by John R. Hogness, Malin Vanantwerp, New York, Academic Press, 1991.
Howe, Matsuoka 1999: Howe, Robert D. - Matsuoka, Yoki, Robotics for surgery, “Annual review of biomedical engineering”, 1, 1999, pp. 211-240.
Jandt 2007: Jandt, Klaus D., Evolutions, revolutions and trends in biomaterials sciences. A perspective, “Advanced engineering materials”, 9, 2007, pp. 1035-1050.
Kale, Fang 2008: Kale, Parag - Fang, James C., Devices in acute heart failure, “Critical care medicine”, 36 (suppl.), 2008, pp. S121-S128.
Koch 2006: Koch, Sabine, Home telehealth - Current state and future trends, “International journal of medical informatics”, 75, 2006, pp. 565-576.
Lamaster 1997: Lamaster, Hugh - Meylor, John - Meylor, F. Internet technologies and requirements for telemedicine, “Minimally invasive therapy and allied technology”, 5, 1997, pp. 436-443.
Maojo, Kulikowski 2003: Maojo, Victor - Kulikowski, Casimir A., Bioinformatics and medical informatics: collaborations on the road to genomic medicine?, “Journal of American Medical Informatics Association”, 10, 2003, pp. 515-522.
Park, Lakes 1992: Park, Joon B. - Lakes, Roderic S, Biomaterials. An introduction, New York, Plenum, 1992.
Pietrabissa 1996: Pietrabissa, Riccardo, Biomateriali perorgani artificiali, Bologna, Patron, 1996.
Ratner 1996: Biomaterial science: an introduction to materials in medicine, edited by Buddy D. Ratner, San Diego, Academic Press, 1996.
Siebes 2007: Siebes, Maria e altri, Engineering for the health, “IEEE, Engineering in medicine and biology magazine”, 3, 2007, pp. 53-59.
Silver 1994: Silver, Frederick H., Biomaterials, medical devices and tissue engineering: an integrated approach, London, Chapman & Hall, 1994.
Wallace 1997: Wallace, Gordon G. - Adeloju, Samuel B. - Shaw, Shannon J., Electroassembly of smart polymer structures (role of polyelectrolytes), “Proceedings of SPIE,Smart structures and materials 1997: smart materials technologies”, edited by Wilbur C. Simmons, Ilhan A. Aksay, Dryver R. Huston, 1997, pp. 160-167.
Weghorst 1996: Medicine meets virtual reality, health care in the information age, edited by Suzanne J. Weghorst, Hans B. Sieburg Karen S. Morgan, Amsterdam, IOS Press, 1996.
Wootton 1997: Wootton Richard, Telemedicine: the current state of art, “Minimally invasive therapy and allied technology” 5, 1997, pp. 393-403.