Ingegneria molecolare
Dagli ultimi decenni del 20° sec. l'ingegneria si occupa in modo sempre più intenso dello sviluppo e dell'ottimizzazione di sistemi aventi dimensioni caratteristiche estremamente ridotte. Tale progresso tecnologico è stato determinato da fattori di diversa natura. In primo luogo dall'esplosione commerciale dell'industria microelettronica, il cui sviluppo costante è definito dalla legge di Moore, secondo la quale la densità di transistor che possono essere inseriti su un unico chip raddoppia ogni due anni. Il costante incremento della comprensione dei meccanismi di funzionamento delle biomolecole, in particolare delle proteine e del DNA, ha consentito di sviluppare tecniche per modificarle al fine di migliorarne le proprietà e, utilizzandole quale modello, di creare vere e proprie macchine molecolari a esse ispirate. Infine, la necessità di sviluppare materiali aventi proprietà sempre più eccezionali ha portato i ricercatori a creare strutture il cui livello di definizione si avvicina progressivamente a quello dell'atomo. In questo contesto, l'ingegneria, poi, ha cominciato a occuparsi dello sviluppo o della modificazione di macchine oppure di materiali i cui elementi funzionali hanno le dimensioni delle molecole.
Questa branca dell'ingegneria è denominata ingegneria molecolare. Secondo tale definizione, le nanotecnologie, o nanoscienze, oppure bionanotecnologie, occupandosi di oggetti che vengono definiti alla scala nanometrica, vale a dire alla scala del miliardesimo di metro, una dimensione, questa, che è caratteristica delle molecole, rientrano nell'ambito di applicazione dell'ingegneria molecolare. Si suole far risalire l'inizio dell'i. m. a una conferenza tenuta nel 1959 da R.P. Feynman, nella quale lo scienziato preconizzava l'avvento di una nuova tecnologia basata sulla manipolazione degli atomi; egli istituiva un premio, peraltro assegnato dopo pochi anni, per colui che fosse stato in grado di creare un motore elettrico funzionante con dimensioni che risultassero inferiori a un quarto di centimetro cubo (Feynman 1960).
La manipolazione di oggetti che hanno la dimensione di molecole al fine di creare un sistema complesso che sia in grado di svolgere una definita funzione è un problema complicato che può essere affrontato seguendo vie opposte. Nel primo caso si procede dall'alto verso il basso, o meglio, dal grande verso il piccolo, cercando di modificare tecnologie sviluppate per creare un oggetto a una certa scala, per ricrearlo uguale e con le stesse funzionalità, ma a una scala minore. È questo il caso sia della micro- sia della fotoelettronica, in cui le potenzialità della tecnologia planare sono costantemente ampliate al fine di produrre transistor (le unità logiche fondamentali di un micro-processore) di dimensioni sempre minori, incrementare la potenza di un laser o modificarne la lunghezza d'onda.
Un esempio del successo di questo approccio nel campo della fotoelettronica è costituito dalla realizzazione e commercializzazione di particolari dispositivi laser e diodi la cui alta efficienza è dovuta allo sfruttamento di effetti quantici. Il principio di funzionamento di questi sistemi si basa sulla limitazione del moto degli elettroni entro estensioni spaziali estremamente piccole, ottenuto creando opportune barriere di potenziale elettrico. Se il confinamento del moto elettronico avviene in una dimensione la struttura prende il nome di pozzo quantico (quantum wells), se in due di cavo quantico (quantum wire), se in tre di punto quantico (quantum dot). Tale tecnologia ha già avuto ampia applicazione industriale nella realizzazione di laser per la scrittura di CD-ROM e DVD. Il cuore di questi dispositivi è costituito da sistemi multistrato in cui sono alternati strati di due semiconduttori aventi energia di eccitazione elettronica al livello di conduzione (Egap) differente. Il segreto del funzionamento di tali strutture risiede nel controllo dello spessore di ogni strato, che deve essere dell'ordine di grandezza dei nanometri. In tali condizioni infatti la quantizzazione dell'energia associata al moto dell'elettrone in direzione perpendicolare al piano del singolo strato determina un aumento del numero di elettroni che hanno un'energia efficace per l'emissione della ra-diazione laser, permettendo in tale modo l'in-cremento della intensità energetica del laser. La struttura multistrato di un laser a quantum wells è riportata in fig. 1. Un problema che l'industria microelettronica si sta preparando ad affrontare è dato dal fatto che la costante diminuzione delle dimensioni caratteristiche degli elementi che costituiscono il chip sta raggiungendo il limite dopo il quale il materiale su cui si lavora non si comporta più come un sistema continuo, ma piuttosto come una collezione di atomi distinti. Dal momento che le proprietà di un atomo come oggetto singolo e non come aggregato vengono definite dalle leggi della quantomeccanica, e non da quelle della meccanica classica, ci si aspetta che a breve la miniaturizzazione dei microcircuiti dovrà affrontare, se non proprio una battuta di arresto, una revisione della metodologia di lavoro finora utilizzata. Ovviamente, anche se da un lato il lavorare con oggetti che hanno proprietà quantiche rende il sistema molto più complesso, da un altro punto di vista diventano accessibili tecnologie che sono basate su principi di funzionamento nuovi e potenzialmente estremamente superiori a quelle attuali, come i computer quantici, nei quali alcuni stati eccitati degli atomi che compongono il computer sono sfruttati per immagazzinare informazioni e per compiere le operazioni logiche fondamentali del processo computazionale. Nonostante le promesse di incredibili potenze di calcolo, purtroppo l'avveniristica tecnologia dei computer quantici è ancora lontana dall'essere realizzata, a causa anche dei problemi di assemblaggio delle singole e distinte unità nanometriche necessarie al suo funzionamento.
Un approccio molto più promettente e sul quale la ricerca sta investendo ingenti sforzi e finanziamenti procede in direzione opposta e si basa sulla sintesi di molecole che abbiano le proprietà desiderate, per es. che svolgano la stessa funzione di un transistor o di un motore meccanico, e sul loro successivo assemblaggio in unità macroscopiche funzionali (Drexler 1986). È interessante osservare che l'ispirazione per lo sviluppo di queste vere e proprie macchine molecolari è spesso tratta dal raffronto con la natura, e in particolare con il meccanismo di funzionamento delle cellule. Proteine, DNA, enzimi e le loro inte-razioni specifiche, sviluppate e affinate nel corso di milioni di anni di evoluzione, rappresentano eccezionali esempi dei sistemi complessi che è possibile creare seguendo le leggi della chimica. Il problema maggiore dell'ingegnerizzazione di questi sistemi consiste nel trovare meccanismi efficaci per assemblare fra di loro le diverse unità molecolari funzionali perché costituiscano un oggetto macroscopico funzionante. La soluzione di questo problema è da ricercarsi nelle tecniche di autoassemblaggio, che consistono nel creare insiemi di sistemi costituiti da diverse molecole che, poste in un ambiente adatto, si assemblino in modo automatico in sistemi ordinati a livello macroscopico. Un esempio di autoassemblaggio di nanotubi di carbonio in una foresta di alberi di lunghezza e dimensioni comparabili e fra loro paralleli è riportata in fig. 2. Una elegante soluzione alternativa al problema dell'assemblaggio molecolare si basa sullo sfruttamento delle proprietà delle molecole di formare sistemi complessi costituiti da singole uni-tà che interagiscono tra loro mediante legami a bassa energia, dovuti a forze di van der Waals o di London. La parte della chimica che si occupa della sintesi di questi complessi viene chiamata chimica supramolecolare. Per alcuni esempi dei sistemi molecolari che possono essere prodotti mediante la chimica supramolecolare v. macchine molecolari. L'i. m. è in grande espansione e i campi in cui la ricerca sta producendo risultati significativi vanno dallo sviluppo di nuovi materiali, alla medicina, alle biotecnologie, alla microelettronica. Nel seguito riportiamo alcuni esempi in cui l'applicazione di questa potente tecnologia ha dato i risultati più esaltanti.
Trasporto di medicinali (drug delivery)
La ricerca rivolta allo sviluppo di sistemi di trasporto per i farmaci si basa sull'idea di trasportare il principio attivo del medicinale che si vuole sommini-strare fino all'organo o alla stessa cellula malata, prima di rilasciarlo nell'organismo. Ciò si traduce in molteplici vantaggi, fra i quali il primo è quello di poter colpire la cellula malata in modo più diretto e specifico. Inoltre i farmaci introdotti nel corpo umano possono avere molteplici effetti, solo alcuni dei quali sono quelli desiderati di attacco all'antigene, mentre altri, non voluti, possono essere molto spiacevoli (basti pensare agli effetti collaterali della chemioterapia). La moderna tecnologia del trasporto del medicinale ha pertanto il vantaggio di limitare i danni collaterali sull'organismo, danni determinati dalla somministrazione di agenti chimici aggressivi. Un esempio significativo delle potenzialità di questo approccio nella lotta contro il cancro è stato proposto recentemente ed è rappresentato da un nuovo tipo di farmaco (Sengupta et al. 2005) le cui unità fondamentali sono particelle di circa 100 nm, con parte centrale costituita da polimero biodegrabile e involucro da una membrana lipidica. All'interno dello strato lipidico è dissolto un farmaco antiangiogenico, che è rapidamente rilasciato nel momento in cui le particelle entrano nelle cellule tumorali, e che ha lo scopo di attaccare e distruggere i vasi sanguigni che alimentano il cancro. Queste particelle sono assunte più rapidamente dalle cellule tumorali rispetto a quelle sane in quanto la loro membrana è meno selettiva e consente più facilmente di una cellula normale l'ingresso di particelle estranee. Entrata nella cellula tumorale e dissoltosi lo strato lipidico, lo strato polimerico interno entra in contatto con i composti presenti all'interno della cellula. In tali condizioni il polimero inizia a dissolversi, anche se più lentamente dello strato precedente al fine di lasciargli il tempo di agire, e rilascia un tipico composto chemioterapico, la doxorubicina, che ha lo scopo di portare a termine il compito di distruzione delle cellule tumorali iniziato dal primo agente. Il meccanismo di funzionamento di questo nuovo tipo di farmaco viene schematizzato in fig. 3.
Un motore a elica molecolare
La disponibilità di motori aventi dimensione nanometrica, e quindi di una sorgente di movimento dotata di una propria alimentazione energetica, è uno dei requisiti per la creazione di macchine molecolari. Questi possono essere prodotti o per via sintetica, seguendo vie analoghe a quelle usate per sintetizzare l'ascensore mole-colare descritto nel paragrafo precedente, o utilizzando come elementi funzionali del motore degli enzimi naturali. Una soluzione elegante di questo problema si basa sull'utilizzo della F1-ATPase, un enzima il cui compito è quello di idrolizzare l'adenosintrifosfato (ATP) in sistemi viventi. Questo enzima è composto da un asse centrale, mediante il quale è connesso, nel suo stato naturale, a una membrana lipidica, e una testa che, durante il processo di conversione dell'ATP, ruota intorno all'asse. Una rotazione completa corrisponde alla conversione di tre molecole di ATP e riporta l'enzima nella sua conformazione molecolare originale. Questa caratteristica particolare dell'enzima ATP è stata sfruttata per creare un motore a elica. Ciò è stato possibile estraendo l'enzima dalla membrana su cui è alloggiato in natura e legando chimicamente all'estremità dell'asse, così liberata, una barra di nichel lunga circa un micron. Il sistema così ottenuto si trasforma in un motore a elica nel momento in cui la testa dell'enzima viene legata a una superficie metallica. La struttura del motore assemblato è schematizzata in fig. 4. Inserendo questo dispositivo all'interno di una soluzione contenente ATP si ottiene l'idrolisi dell'ATP e contemporaneamente la rotazione della lama di nichel intorno all'asse dell'enzima. La velocità di rotazione di questo motore a elica è di circa cinque giri al secondo.
Nanocatalisi
Un catalizzatore di una reazione chimica è un composto molecolare che è in grado di incrementare la velocità globale del processo di trasformazione dei reagenti nei prodotti senza modificare la sua struttura atomica. Il suo compito è sostanzialmente quello di abbassare la barriera energetica da superare per far sì che avvenga la reazione, solitamente definita come energia di attivazione. Un esempio di catalizzatori naturali sono gli enzimi. L'attività di un catalizzatore, ossia la sua efficienza nell'aumentare la velocità del processo desiderato, dipende dalla sua composizione molecolare, vale a dire da quali sono gli atomi che lo compongono e il loro rapporto reciproco, e dalla sua morfologia superficiale, che consiste nel modo in cui gli atomi sono disposti sulla superficie del catalizzatore. Spesso i catalizzatori sono costituiti da particelle metalliche, costituite da uno o più elementi atomici, disperse su un materiale poroso che ha lo scopo di supportarle. È ben noto che la dimensione di queste particelle influenza notevolmente l'attività del catalizzatore, anche se soltanto negli ultimi anni è divenuto possibile sintetizzare catalizzatori con un controllo a livello atomico del numero e del tipo di elementi metallici che li compongono.
La scienza che si occupa della sintesi di questi materiali si chiama nanocatalisi e deve la sua nascita al verificarsi di tre condizioni. In primo luogo la possibilità di sintetizzare molecole stabili contenenti un numero limitato di atomi metallici, di stechiometria definita, e di poterle depositare su appositi substrati che abbiano pori di dimensioni nanometriche. In secondo è importante, perché un nanocatalizzatore mantenga la propria attività, che le particelle multiatomiche che lo caratterizzano non subiscano coalescenza fra loro per formare aggregati di dimensioni maggiori. A tal fine devono quindi essere ancorati sulla superficie su cui sono stati depositati attraverso opportuni legami chimici. Infine l'avvento di questi nuovi materiali è stato testimoniato dalla disponibilità di un elevato numero di tecniche sperimentali, quali la microscopia tunnel e la microscopia elettronica ad alta risoluzione, che consentono di determinare e confermare che la struttura atomica del nanocatalizzatore è proprio quella che viene cercata. Un esempio di nanocatalizzatore avente le caratteristiche sopra descritte è riportato in fig. 5. La parte attiva del nanocatilizzatore è composta da quattro atomi di rame e dodici di rutenio. Questo nucleo chimicamente attivo è adagiato in un poro avente il diametro di circa due nanometri composto di ossido di silicio. Questo catalizzatore è in grado di addizionare in un unico passo reattivo e con elevata efficienza, una molecola di idrogeno a un elevato numero di composti organici. Tale reazione è destinata ad avere sempre maggiore importanza in un mondo che potrà dipendere sempre meno dalla disponibilità di combustibili fossili come materiali di partenza per la sintesi di derivati idrocarburici.
Applicazioni e prospettive
Un settore applicativo di grande importanza dell'i. m. è quello delle biotecnologie. In tale contesto per ingegneria delle molecole si intende la modificazione della sequenza amminoacidica di una proteina (ingegneria delle proteine) o di quella nucleotidica del DNA al fine di ottimizzare alcune caratteristiche di un particolare organismo, sia questo un animale o una pianta. Rispetto ai sistemi molecolari discussi in precedenza questa tecnologia non si propone di sviluppare un nuovo dispositivo definito a livello atomico, ma piuttosto di intervenire su quelle vere e proprie macchine molecolari che sono le macromolecole biologiche al fine di modificarne il funzionamento. Queste tecniche molecolari, delle quali la più importante è la tecnologia del DNA ricombinante, che consente di modificare la sequenza nucleotidica del DNA introducendo nuovi tratti oppure rimuovendone alcuni, sono note da alcuni decenni e sono alla base della creazione di nuove specie di vegetali (piante transgeniche) e di alcune terapie mediche, fra le quali la terapia genica (Watson, Berry 2003). Le promesse delle biotecnologie, delle quali alcune sono già state mantenute, sono eccezionali. Esse vanno dalla creazione di piante più forti e resistenti alle avversità ambientali, alla comprensione dei meccanismi di funzionamento del corpo umano e di quello animale, all'individuazione di una cura per le malattie genetiche e del cancro.
L'i. m. si presenta come un settore scientifico ad alto contenuto tecnologico che ha già avuto rilevanti ricadute sul benessere della società e sulla comprensione delle leggi della natura. Le prospettive per il futuro sono molte e di altissimo livello (una possibile cura per il cancro ne è solo un esempio). I problemi da superare sono però molti e dipendono essenzialmente dalla difficoltà di lavorare con sistemi così piccoli e costituiti da così tante unità quali le molecole (basti pensare che 18 grammi di acqua contengono circa seicentomila miliardi di miliardi di molecole). Inoltre, per quanto concerne il settore delle biotecnologie, un limite addizionale è la comprensione limitata che ancora abbiamo dei meccanismi molecolari di funzionamento di alcu-ne parti del corpo umano, come per fare un esempio il cervello. Tali problemi costituiscono una sfida affascinante per lo scienziato moderno e alcuni recenti progressi, quali il sequenziamento del genoma umano, lo sviluppo di microscopie a risoluzione sempre maggiore (ormai si riescono a vedere anche i singoli atomi), e di tecniche di sintesi e autoassemblaggio sempre più avanzate, lasciano pensare che un futuro ricco di successi attenda l'ingegneria molecolare.
bibliografia
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