INGENUO
. Da alcune testimonianze (Festo, p. 241; Tito Livio, IX, 8, 10) sembrerebbe risultare che nell'antico diritto romano ingenuus fosse sinonimo di patricius o gentilicius. Ad ogni modo la contrapposizione tra ingenuus per indicare colui che nasce libero e libertinus per indicare colui che è liberato dalla schiavitù, non avrebbe avuto senso nell'antico stato patrizio quando membri della civitas erano i patrizî soltanto e risalirebbe, invece, secondo E. Cuq, all'epoca della formazione dello stato patrizio-plebeo, quando, pur ammettendosi anche i plebei alle cariche pubbliche, si richiedeva peraltro che il magistrato eleggibile fosse non soltanto libero e cittadino ma anche indipendente: quest'ultima qualità non poteva vantare chi era stato liberato dalla schiavitù perché vincoli molteplici lo legavano al suo patrono. Secondo questa dottrina la contrapposizione tra ingenui e libertini rispecchierebbe originariamente le due categorie in cui i plebei si potevano distinguere a seconda che erano, o no, soggetti a un patrono.
Ingenuo, almeno dagl'inizî dello stato patrizio-plebeo, è colui che nasce libero: più precisamente, se trattasi di procreato ex iustis nuptiis, è ingenuo il figlio di padre che era libero al momento del suo concepimento; se trattasi di figlio vulgo conceptus, nel diritto romano classico era ingenuo il figlio di madre libera al momento del parto: fu probabilmente una tarda innovazione quella che stabilì doversi considerar ingenuo il nascituro, se in un qualunque momento, o del parto o del concepimento o intermedio tra il concepimento e il parto, la madre fosse stata libera (Inst., I, 4, de ingenuis, pr.).
L'ingenuitas si perdeva a causa d'una condanna a una pena capitale o in metallum, o di vendita che l'ingenuo maggiore di venti anni avesse fatto di sé stesso simulandosi schiavo per frodare il prezzo, o di prigionia di guerra. In quest'ultimo caso l'ingenuitas risorgeva, quando il prigioniero fosse ritornato in patria, in virtù del ius postliminii. I figli dei liberti, originariamente fino al terzo grado, erano considerati liberti: figli, nipoti e pronipoti del manomesso, come liberti, non erano compresi nel censo e mancavano del ius suffragii, non partecipavano alla milizia ed erano esclusi dal ius honorum. Queste incapacità peraltro attraverso il tempo si attenuarono finché si giunse a proclamare ingenuo anche il figlio di liberto.
La qualità d'ingenuo poteva essere attribuita anche mediante il cosiddetto ius aureorum anulorum già durante la repubblica, appena crebbe di numero e d'importanza la classe dei liberti, e mediante la natalium restitutio durante l'impero. La concessione del ius aureorum anulorum importava la facoltà di venire incluso nell'ordine equestre, di cui gli anelli d'oro erano un distintivo, e rendeva possibile aspirare a cariche pubbliche ma non escludeva i diritti del patrono: perciò quel ius è piuttosto considerato come imago anziché come status ingenuitatis.
La restitutio natalium, invece, cancellava ogni traccia della servitus e scioglieva il vincolo del patronato (Cod., VI, 8, de iure aur. an., 2). Nella legislazione giustinianea è manifesta la volontà dell'imperatore di eliminare quanto più possibile ogni differenza tra ingenui e liberti. Con la Novella 78 (anno 539) Giustiniano stabilì che tutti i manomessi, per il fatto stesso della manomissione, acquistassero il ius aureorum anulorum e la restitutio natalium senza bisogno di speciale domanda all'imperatore, si riservavano i diritti del patrono solamente quando questi non avesse voluto rinunciarvi. Il manomesso era in ogni caso tenuto all'obsequium.
Lo stato d'ingenuo poteva essere contestato, sia perché alcuno pretendesse di essere patrono di chi si proclamava ingenuo; sia perché un manomesso volesse far accertare il suo stato d'ingenuità per sottrarsi agli obblighi del patronato. Queste contestazioni trovavano luogo in una speciale procedura introdotta dal pretore, cioè nel praeiudicium de ingenuitate. Chiamati a risolvere queste controversie erano dei recuperatores.
Bibl.: C. Ferrini, Note al Commentario del Glück, I, p. 526; G. C. Messa, v. Ingenuitas, in Enc. giur. it.; E. Cuq, v. Ingenuitas, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiquités gr. et rom.; B. Kuebler, v. Ingenuus, in Pauly-Wissowa, Real-Encykl.; M. Voigt, Über Clientel und Libertinität, in Berichte der Sächs. Gesellschaft der Wissensch., XXX (1878); J. Lémonnier, Étude historique sur la condition privée des affranchis aux trois premiers siècles de l'Empire romain, Parigi 1887; Deloche, Le port des anneaux dans l'antiquité romaine et dans les premiers siècles du Moyen âge, in Mém. Acad. des Inscr., XXXV (1896), p. 27.