ingigliarsi
Compare una sola volta, in Pd XVIII 113 L'altra beatitudo, che contenta / pareva prima d'ingigliarsi a l'emme, con poco moto seguitò la 'mprenta. Sul significato del termine gl'interpreti sono alquanto discordi, anzitutto perché varia è l'identificazione di l'altra beatitudo e, in secondo luogo, perché diverse sono le ricostruzioni che della metamorfosi della lettera M in aquila, nel cielo di Giove, sono state date (v. anche EMME).
Quanto al primo punto, la logica contestuale ci porta senz'altro a sottoscrivere la tesi di chi (Lana, Ottimo, Benvenuto, ecc.) identifica l'altra beatitudo con i beati che si sono disposti in forma di M, e non con quelli che sono discesi dove / era il colmo de l'emme (vv. 97-98), come intendono Buti, Landino, Daniello, Venturi, Lombardi, ecc.; il quindi del v. 103 (resurger parver quindi più di mille / luci), cioè " dal colmo dell'emme ", non sembra lasciar dubbi a questo riguardo. Premesso ciò, si deve senz'altro escludere l'interpretazione di ingigliarsi a l'emme come " essere corona formata a modo di gigli in su l'‛ emme ' " (Buti), ovvero " formare, con essa M, un giglio " (Chimenz). Degli altri interpreti, il Parodi (Il giglio d'oro nel c. XVIII del Paradiso, in " Arte e scienza " I [1903] 5-14; e " Bull. " XV [1908] 278) e con lui il Vandelli, ipotizzando tre momenti nella metamorfosi (M - giglio - aquila), parafrasano i. come " starsene nel giglio - giglio araldico - formatosi dalla emme gotica, la quale in realtà gli somiglia già un po' per sé stessa, e meglio ancora ne ricordava la forma a D., dopo che sulla lettera erano scese altre luci " (Vandelli); diversamente, Benvenuto, Torraca, Sapegno scorgono solo due momenti nella metamorfosi (M in forma di giglio - aquila) e danno perciò questa interpretazione di i.: " formandi de se literam M, quae habet figuram lilii " (Benvenuto), " raffigurare, simili a un giglio, la lettera emme... M maiuscola del gotico epigrafico, costituita da un'asta verticale, dalla cui cima partono ai due lati due curve semicircolari rientranti, secondo uno schema che ha qualche somiglianza con quello del giglio araldico " (Sapegno); infine, il Porena propone l'interpretazione di i. come " adornare ", spingendosi fino all'emendamento del testo (‛ i. l'emme ' e non ‛ i. a l'emme '). Ora, la parafrasi del Parodi e del Vandelli, con la relativa ricostruzione della metamorfosi in tre momenti, è chiaramente subordinata all'interpretazione simbolica che per primo il Parodi diede di essa metamorfosi: con l'immagine del giglio, formatasi dalla M, intesa generalmente come iniziale di ‛ Monarchia ', D. avrebbe voluto alludere alla casa reale di Francia, e quindi, con la trasformazione del giglio in aquila, avrebbe inteso significare che la monarchia francese non doveva opporsi all'Impero, né cercare di apparirne come l'equivalente (il che poteva, certo, sembrare agevole nel 1300, essendo vacante il trono imperiale); e questo renderebbe anche ragione del tono irato e sarcastico che, ai vv. 130-136, il poeta assume nei confronti del papa di Avignone. Contro questa attribuzione simbolica si sono schierati altri interpreti, quali il Porena e il Sapegno. Anzi il Porena, come si è visto, esclude l'immagine stessa del giglio, sostenendo che " per vedere in una emme gotica con una protuberanza in cima la figura d'un giglio, bisogna sognare a occhi aperti: e dico cosa d'un giglio vero e proprio, come d'un giglio araldico qual è quello di Firenze o quello della casa di Francia ". Alla quale osservazione deve però contrapporsi il fatto che commentatori trecenteschi (Lana, Ottimo, Benvenuto) non trovavano alcuna difficoltà a scorgervelo. Concludendo: i. non può valere " adornare " (con l'esclusione, quindi, dell'immagine del giglio) soprattutto per il contesto in cui esso è inserito. Anche senza postulare precise allusioni di natura politica, nel verbo sarà da scorgere non una semplice metafora floreale, ma piuttosto una metafora ‛ visiva ', realizzata, cioè, in immagine grafica e pittorica, sul tipo della candida rosa dell'Empireo; e non sarà pertanto da considerare ricevibile l'ipotesi del Pézard, che congettura la correzione insiglarsi, " prendre forme de sigle ", la quale d'altronde presuppone la presenza nel volgare del tempo di D. della parola ‛ sigla ' che non risulta documentata; né, data la scarsissima diffusione della corrispondente parola tardo-latina, pare sostenibile l'ipotesi di un violento latinismo dantesco. Per tutta la questione cfr. G.R. Sarolli, " Ingigliarsi all'emme " (Par. XVIII 13): archetipo di poliunivoca concordanza, in Atti del Congresso internaz. di Studi danteschi, II, Firenze 1966, 237-254.