Bergman, Ingmar (propr. Ernst Ingmar)
Regista cinematografico e teatrale svedese, nato a Uppsala il 14 luglio 1918. Autore fortemente radicato nella cultura teatrale e letteraria del suo Paese, tra i massimi protagonisti del cinema europeo, si è interrogato sui temi universali dell'esistenza umana, come il conflitto generazionale, il silenzio di Dio, l'incomunicabilità tra le persone, la percezione della morte e della malattia, la crisi della famiglia e delle relazioni di coppia, le pulsioni nascoste dietro la maschera della persona. Dopo un iniziale periodo di ricerca e di sperimentazione, oscillante tra le influenze del naturalismo e le sperimentazioni di ascendenza espressionistica, la sua ricerca stilistica si è mossa nel segno dell'essenzialità, affidandosi sempre più a una scrittura fortemente cinematografica e alle interpretazioni di un gruppo di fedeli attori, di cui hanno fatto parte, tra gli altri, Bibi Andersson, Liv Ullmann, Ingrid Thulin, Gunnar Björnstrand, Erland Josephson e Max von Sydow. Tra i molti riconoscimenti, ha vinto il Premio speciale della giuria al Festival di Cannes nel 1957 con Det sjunde inseglet (Il settimo sigillo), e il Leone d'oro alla Mostra del cinema di Venezia nel 1959 con Ansiktet (1958; Il volto). Nel 1983 Fanny och Alexander (1982; Fanny e Alexander) ha ottenuto ben quattro premi Oscar.
L'ambiente familiare e gli anni dell'infanzia, trascorsi tra continui spostamenti da un paese all'altro seguendo gli itinerari del padre, pastore luterano, avrebbero lasciato un segno evidente nell'opera cinematografica di B., attraversata dai temi ricorrenti del conflitto generazionale e del contrasto con figure autoritarie e opprimenti. I rapporti sempre tesi con il padre, infatti, lo spinsero a lasciare la famiglia (che, nel frattempo, si era trasferita stabilmente a Stoccolma) quando ancora muoveva i primi passi nel mondo del teatro studentesco, lavorando in un centro per la gioventù e organizzando spettacoli per bambini nel centro sociale di Stoccolma. Prima di essere assunto al Reale teatro dell'Opera di Stoccolma come assistente alla regia (e con un primo incarico di suggeritore), lavorò con attori professionisti nello studio drammatico di Brita von Horn e con la compagnia di Jonatan Esbjörnsson che, però, si sciolse dopo il primo fallimento. Nel 1942 avvenne l'ingresso nel mondo del cinema: grazie alla messa in scena di una sua commedia di derivazione strindberghiana, fu notato dal nuovo direttore della Svensk Filmindustri e assunto per leggere sceneggiature e scrivere i dialoghi dei film. Era l'inizio di una lunga carriera piena di collaborazioni con i maggiori registi svedesi dell'epoca, come Victor Sjöström, Gustaf Molander, Alf Sjöberg (per il quale B. scrisse la sceneggiatura di Hets, 1944, Spasimo, che segnò anche la sua prima esperienza sul set). Nel frattempo anche l'attività teatrale assunse un ruolo di rilievo: nel 1944 fu nominato direttore dello Stadsteater di Helsingborg e successivamente, nel 1946, primo regista del teatro di Göteborg. La grande tradizione del teatro svedese (soprattutto l'opera di J.A. Strindberg), l'influenza formale del realismo poetico francese (con particolare riferimento al cinema di Julien Duvivier e Marcel Carné) e il naturalismo cinematografico della scuola svedese confluiscono nei primi film diretti da B., che al teatro devono quasi sempre l'ispirazione del soggetto. Dalla commedia danese Modherjertet (La bestia madre) di L. Fischer, nasce l'idea di Kris (1946, Crisi), in cui si racconta di una ragazza che ritrova la vera madre e, dopo molte traversie, finisce per sposare l'uomo che da tempo l'ama. Una produzione a basso costo che fu portata a termine non senza difficoltà ma venne accolta con estrema freddezza dal pubblico. Stessa sorte toccò al secondo film, Det regnar på vår kärlek (1946; Piove sul nostro amore), storia di una coppia di giovani, delle loro difficoltà economiche e del problematico inserimento nel mondo del lavoro, in cui si riscontrano non pochi elementi che avrebbero trovato in seguito una più precisa definizione stilistica e tematica. Grazie all'appoggio del produttore indipendente Lorens Marmsted, B. riuscì a realizzare nel 1947 Skepp till Indialand (La terra del desiderio) e Musik i mörker (Musica nel buio), film diversi e di differente successo, nei quali, però, si possono già scorgere i primi segni del cambiamento che sarebbe divenuto evidente a partire da Fängelse (1949; Prigione). Cupo ed enigmatico omaggio al cinema e alla sua fascinazione (si veda la scena della scoperta di un frammento di un film di Georges Méliès), l'opera segna il superamento dei codici di un naturalismo ancora riferibile a modelli neorealistici a favore di uno sguardo trasfigurato sulla realtà con un uso espressionista della luce e dei volti, l'introduzione di una sottile ambiguità tra verità e rappresentazione e l'insinuazione di quel dubbio esistenziale che lo avrebbe portato a indagare a fondo nell'animo umano. Il successo di Fängelse convinse la Svensk Filmindustri a dare una nuova opportunità a B. che in due anni girò ben quattro film: Törst (1949; Sete), dramma coniugale interamente ambientato nello scompartimento di un vagone letto e scandito dall'alternanza tra presente e passato; Till glädje (1950, Verso la gioia), viaggio, attraverso il ricordo, nella difficile vita di un violinista (interpretato da Victor Sjöström) che ha perduto moglie e figlia in un tragico incidente; Sånt händer inte här (1950, Questo non succederebbe qui), storia di una profuga che fugge alle spie comuniste nella Svezia della Seconda guerra mondiale; Sommarlek (1951; Un'estate d'amore), film quasi autobiografico, in cui emerge con forza la descrizione di uno stato d'animo che sa farsi emozione fisica nella messa in scena, in parallelo, di una solitudine e di un paesaggio di struggente bellezza. Diario intimo di quattro donne che attendono i rispettivi mariti, in una casa descritta con il rimpianto di un tempo lontano, è Kvinnors väntan (1952; Donne in attesa), film che si compone di tre flashback successivi in cui si svelano i segreti e i ricordi dei personaggi, fino a comporre un ampio e malinconico affresco familiare (neppure in questo caso manca il motivo, caro al regista svedese, della ribellione dei giovani che, anzi, assume contorni sempre più definiti); non dissimile, molti anni dopo, il clima di Viskningar och rop (1972; Sussurri e grida), altra rappresentazione del mondo femminile affidata alla memoria e al flashback, realizzata, però, con uno stile che nel frattempo si era liberato di tutte le influenze da cui aveva attinto in passato, derivate da una matrice letteraria e teatrale.
Gli anni Cinquanta furono per B. molto importanti, soprattutto per il grande spazio concesso alla sperimentazione del linguaggio cinematografico. Le invenzioni stilistiche, ispirate all'avanguardia degli anni Trenta, risultano aderire perfettamente ai sentimenti dei personaggi con la precisione di chi padroneggia il tempo cinematografico. Il fine ultimo sembra essere quello di fermare la durata, dilatare l'istante fino a estenderlo per tutto il film. Esemplari in questo senso sono Sommaren med Monika (1953; Monica e il desiderio), storia d'amore pervasa di pessimismo, su cui scrisse pagine di profonda ammirazione Jean-Luc Godard; il più lieve En lektion i kärlek (1954; Lezione d'amore), in cui viene ripreso e ampliato l'ultimo episodio di Kvinnors väntan; Kvinnodröm (1955; Sogni di donna), che indaga ancora una volta le dinamiche della crisi sentimentale. La ricerca formale si fa più ardita in Gycklarnas afton (1953; Una vampata d'amore), racconto di ambientazione circense su un gruppo di saltimbanchi girovaghi, pieni di debiti e fallimenti, che attraversano la Svezia con l'illusione di una prossima tournée in America. Il film, nel prologo suggestivo e feroce, sembra reinventare l'estetica del cinema muto, non solo per la presenza di due mimi che affidano alla mimica facciale l'espressione dei propri sentimenti, ma anche per un uso insolito, perché più aggressivo, dell'illuminazione, del sonoro e del primo piano. Lo scopo è quello di sottolineare la descrizione di un mondo di infinita tristezza, dove appare sempre più labile il confine tra realtà e finzione.
La dimensione allegorica, annunciata in Gycklarnas afton, prende forma e si sviluppa in molti film successivi, dalla commedia filosofica Sommarnattens leende (1955; Sorrisi di una notte d'estate) al più tardo Riten (1969; Il rito), realizzato per la televisione, ma trova la sua più famosa messa in scena in Det sjunde inseglet, nato dall'attenta osservazione degli affreschi sacri medievali. Il film anticipa la tematica religiosa (che sarebbe stata approfondita nella trilogia composta da Såsom i en spegel, 1961, Come in uno specchio; Nattvardsgästerna, 1963, Luci d'inverno; Tystnaden, 1963, Il silenzio) e lo fa attraverso i dubbi esistenziali del crociato Antonius Block. La riflessione sull'esistenza di Dio e gli interrogativi sui modi della sua manifestazione rappresentano il cuore del dubbio di B. in un'opera complessa e stratificata che deve il suo fascino visivo alle suggestioni derivate dalle sacre rappresentazioni e dalla pittura evocativa di A. Dürer. Il dramma dell'esistenza, nelle diverse valenze filosofiche, religiose e ideologiche si riscontra anche in Smultronstället (1957; Il posto delle fragole), racconto sospeso tra realtà e sogno (e arricchito dalla preziosa interpretazione di Victor Sjöström), in cui la dimensione onirica, magistralmente rappresentata in una serie di celebri sequenze, dischiude l'universo psichico del protagonista, un anziano professore di medicina che sente avvicinarsi la morte, nonché in Nära livet (1958; Alle soglie della vita), ritratto di tre donne in attesa di partorire, e in Ansiktet, storia delle imprese di un seguace del guaritore Mesmer.
Gli anni Sessanta rappresentarono un'ulteriore svolta. B. volle agire sulla sottrazione degli elementi della scena, ridurre sempre più il numero dei personaggi e confinare l'ambientazione in un unico set, semplice e disadorno; nello stesso tempo, però, intese accentuare il senso attribuito a ogni immagine (grazie anche all'uso espressivo del colore, inaugurato da En passion, 1969, Passione) e arricchire il dramma che si complica di metafore e simboli. La solitudine, l'incomprensione, le dissociazioni della psiche, la crisi dell'uomo in una società che vive, ormai, in un corto circuito di contraddizioni sono il motivo dominante di film come Persona (1966), Vargtimmen (1968; L'ora del lupo), Skammen (1968; La vergogna), En passion, Beröringen (1971; L'adultera), dove la rappresentazione si fa quasi astratta nel voler caricare le immagini, nell'indagine minuziosa che porta il regista a indugiare, ancora una volta, sui volti e sui particolari dell'espressione, e nell'attribuire valore metafisico al paesaggio che tutto avvolge. Esemplari sono anche, a questo proposito, oltre al già citato Viskningar och rop, Scener ur ett äktenskap (1973; Scene da un matrimonio) e Ansikte mot ansikte (1976; L'immagine allo specchio), i vertici più alti di una perfezione stilistica non estranea al clima di rinnovamento contenutistico e formale che ha investito il cinema europeo sin dalla fine degli anni Cinquanta. Il primo film, che nasce da uno sceneggiato televisivo in sei episodi (trasmesso con successo anche in Italia), è l'impietosa analisi di un divorzio, svolta completamente in interni e scandita dai frequenti primi piani, che mettono in risalto la bravura degli interpreti (Liv Ullmann e Erland Josephson); il secondo, concepito e realizzato anch'esso per la televisione, racconta invece, con sguardo altrettanto distaccato, una grave crisi esistenziale che si risolve positivamente nel riconoscimento dell'amore, che abbraccia tutto, anche la morte, come unica via di salvezza.Successivamente l'attività di B., fino ad allora frenetica (oltre che dell'amato teatro, si era occupato anche di televisione, realizzando soprattutto documentari), si fece più distesa, ma con risultati non meno importanti. B. girò in Germania occidentale tre film: Das Schlangenei (1977; L'uovo del serpente), film in cui è ritratto il terribile scenario della Repubblica di Weimar e che offre una lettura a posteriori (non senza venature autobiografiche) della nascita del nazismo; il dramma borghese Höstsonaten (1978; Sinfonia d'autunno), orchestrato intorno all'interpretazione magistrale delle due protagoniste, Liv Ullmann e Ingrid Bergman (per la prima volta diretta dal regista); il cupo quadro esistenziale di Aus dem Leben der Marionetten (1981; Un mondo di marionette). Quindi, tornato in patria, fu la volta di uno straordinario affresco, dichiaratamente autobiografico: Fanny och Alexander, che ripercorre con sguardo commosso e incantato l'avventura della sua vita e delle sue passioni, un ideale congedo dal cinema. Peraltro, B. ha poi continuato a girare film come Efter repetitionen (1984; Dopo la prova) e Larmar och gör sig till (1997; Vanità e affanni), realizzati per la televisione ed entrambi presentati al Festival di Cannes, che sono ulteriori ricapitolazioni della sua opera incentrate sul rapporto vita-rappresentazione, in una feconda dialettica fra teatro e cinema.In anni recenti B. ha scritto la sceneggiatura di film diretti da altri registi (che, tuttavia, risentono della mano ideale del maestro, oltre che dei suoi ricordi familiari): Den goda viljan (1991; Con le migliori intenzioni) di Bille August, Söndagsbarn (1991, Il figlio della domenica) diretto dal figlio Daniel Bergman, Enskilda samtal (1997; Conversazioni private) e Trolösa (2000; L'infedele), entrambi di Liv Ullmann. Nel 1987 ha pubblicato il libro autobiografico Laterna magica (trad. it. 1987).
F.D. Guyon, Ingmar Bergman, Lyon 1959.
J. Donner, Djävulens ansikte, Stockholm 1962 (trad. it. Ingmar Bergman. Il volto del diavolo, Venezia 1967).
D. Marion, Ingmar Bergman, Paris 1981.
O. Assayas, S. Björkman, Conversation avec Bergman, Paris 1990 (trad. it. Torino 1994).
S. Trasatti, Ingmar Bergman, Firenze 1991.
F. Bono, Il giovane Bergman, Roma 1992.
S. Arecco, Ingmar Bergman. Segreti e magie, Genova 2000.