DELLA VOLTA, Ingone (Ingo)
Può essere considerato il capostipite della potente famiglia genovese di origine viscontile e secondo alcuni anche l'artefice del mutamento del cognome agnatizio in Cattaneo.
Vissuto in pieno sec. XII, fu uomo autorevole nella vita pubblica in quanto capo riconosciuto di un gruppo di famiglie legate tra di loro da vincoli di sangue o da rapporti matrimoniali, quali i Burone, i "de Flexia", i "de Castro". Padrone a titolo feudale di terre in Genova e in Val Bisagno, finanziò le più ardite imprese commerciali che fecero dei Della Volta una delle cinque famiglie cittadine che detenevano nelle loro mani circa l'80% di tutto il commercio con l'Oriente e con la Siria in particolare. Teste nel I 129 in una controversia che vide tra i convenuti il vescovo di Genova, nel 1134, nel 1139 e nel 1147 fu uno dei consoli dei Placiti preposti all'amministrazione della giustizia. Venne chiamato a questa magistratura probabilmente per il prestigio e l'autorevolezza di cui godeva presso i concittadini, come sembra suggerire anche il fatto che nel 1144 riuscì a mettere d'accordo Ugo e Guglielmo Embriaco i quali, in seguito al suo intervento, promisero allora di porre fine alle reciproche ostilità e di vivere in amicizia tra loro. In qualità di console dei Placiti fu promotore con i colleghi di alcune importanti innovazioni giuridiche quali, nel febbraio 1147, il provvedimento di annullamento dei contratti di vendita e di pegno stipulati tra coniugi e parenti stretti, o l'altro con cui si vietava ai cittadini di comperare beni immobili nel territorio del distretto da persone che abitassero o avessero contratto matrimonio al di là dei confini.
Nel 1146 compare tra i cittadini che giurarono l'accordo stipulato tra Genova e il conte di Barcellona per una comune azione contro Almeria e Tortosa; e probabilmente fu anche uno di coloro che l'anno dopo finanziarono la spedizione contro i Saraceni. Benché nel 1147 fosse solo console di Giustizia, insieme con un altro collega, venne affiancato ai quattro consoli che nel maggio guidarono la flotta e l'esercito contro Almeria. Nel racconto dell'impresa lasciatoci dall'annalista Caffaro non viene fatta menzione particolare del D., ma è probabile che egli - come gli altri compagni - si sia battuto valorosamente ed abbia in seguito partecipato alle operazioni che portarono alla conquista di Tortosa, perché non viene ricordato tra i consoli che, dopo l'espugnazione di Almeria, fecero ritorno a Genova con due galee cariche di bottino. Nel gennaio del 1150 compare in qualità di teste nel documento relativo all'impegno sottoscritto dal marchese di Gavi, Alberto, di non riscuotere più i pedaggi pagati dagli uomini della diocesi di Genova. All'inizio del 1155 sottoscrisse l'accordo con cui Genova prometteva al signore di Mongiardino di intervenire in suo aiuto. Nel gennaio del 1157 fu uno dei trecento notabili genovesi che giurarono il trattato di amicizia concluso tra il Comune e Guglielmo I di Sicilia.
Sebbene preso dagli impegni di carattere pubblico, il D. non trascurò tuttavia i propri interessi privati compiendo operazioni finanziarie che gli permisero di incrementare il proprio patrimonio. Già nel gennaio del 1141 era stato fra gli acquirenti della prima "compera" del Comune: aveva infatti anticipato 100 delle 1.500 lire concesse a mutuo da un consorzio di cittadini al Comune stesso, il quale aveva in cambio ceduto per quattordici mesi l'esercizio della Zecca, con l'obbligo di coniare monete che mantenessero inalterato il titolo dell'intrinseco delle monete stesse. Nel 1152 figura nuovamente tra gli azionisti di un'altra "compera", per la quale il Comune cedette per vent'anni il monopolio dell'estrazione e della vendita del sale. Gli ingenti profitti da lui ricavati dalla partecipazione alle "compere" vennero di preferenza investiti nel commercio con l'Oriente: si spiega in tal modo il fatto che nel i 162, durante la sommossa scoppiata a Costantinopoli contro i Genovesi, un suo agente poté essere spogliato di ben 700 perperi, dei quali il D. chiese successivamente all'imperatore il risarcimento.
È del resto caratteristica dell'antica nobiltà genovese questo tipo di partecipazione alla vita economica di una città le cui fonti di ricchezza erano esclusivamente il commercio e la navigazione. 1 nobili genovesi non praticavano di persona la mercatura, ma fornivano i necessari finanziamenti all'industria navale, alle imprese ed alle diverse attività commerciali, ricavandone larghi profitti senza allontanarsi dalla loro città, in cui essi svolgevano funzioni politiche direttive e di governo.
La posizione del D. nella società genovese si consolidò durante il conflitto che oppose Genova all'imperatore Federico I. Consigliere nell'agosto del 1157, venne chiamato al consolato nel 1158 e nel 1162, gli anni cruciali nei rapporti tra il Comune ligure e l'Impero. Mentre Genova, forte dei suoi privilegi, sosteneva di non dovere alcun tributo al sovrano in quanto obbligata alla semplice fedeltà ed alla difesa dei mari, il Barbarossa pretese invece di assoggettarla alla stregua degli altri Comuni della penisola. Le due posizioni, che apparivano nel 1158 inconciliabili al punto da indurre i consoli a far innalzare una nuova cinta muraria a difesa della città contro l'atteso attacco delle forze imperiali, si avvicinarono nel 1162 quando, dopo una prima missione a Pavia di alcuni legati genovesi (tra i quali vi fu anche un figlio del D., Marchionne), lo stesso D. ed il collega di questo "Nuvellorius" raggiunsero l'imperatore e sottoscrissero, il 9 giugno, quell'accordo in virtù del quale, in cambio di un grazioso donativo in danaro, il Barbarossa cedette alla Repubblica il dominio sul territorio compreso tra Monaco e Lerici, riconoscendole quell'autonomia che agli altri Comuni dell'Italia settentrionale fu concessa solo con la pace di Costanza. Ancora in qualità di console, nell'ottobre del 1162 il D. approvò con i colleghi la convenzione stipulata tra un gruppo di cittadini e la società detta "compagna dei Tripolitani". Nel gennaio del 1163, sempre come console, aderì alla decisione di far costruire nuove strade e di procedere a miglioramente edilizi.
È questa l'ultima volta in cui il D. raggiunse il consolato dove, forse per l'età, venne in seguito sostituito dai figli, prima Marchionne e poi Ingone "de Flexia". Nel settembre del 1164 fu tra i testi che sottoscrissero gli accordi stipulati tra Genova e Barisone d'Arborea per l'investitura e la conquista della Sardegna. Sempre nel settembre di quell'anno venne ucciso suo figlio Marchionne allora console, in circostanze piuttosto oscure. L'assassinio determinò lo scoppio di una lunga e cruenta serie di torbidi che si trascinarono per quasi sei anni. A probabile che proprio il D. sia stato l'ispiratore delle misure di rappresaglia compiute nei confronti dei presunti responsabili della tragica morte di Marchionne, misure che dettero il via a gravi turbolenze, tanto che nel 1165, nel tentativo di porre un argine al dilagare delle vendette e dei disordini, i consoli occuparono la casa fortificata del D., che venne arrestato e trattenuto in carcere per un certo periodo di tempo. Il suo posto come capofazione fu preso dal giovane Fulcone "de Castro", il quale aveva sposato una figlia del D., Adalasia: il D., tuttavia, mantenne incontrastati il suo prestigio e la sua funzione di guida politica, come dimostra il fatto che gli uomini, assoldati da fuori per essere impiegati nella lotta contro gli avversari politici, venivano ospitati nella sua casa; e che il genero Fulcone nel 1169 acconsentì ad aderire ad un accordo con la fazione rivale degli Avvocati solo dopo aver avuto il suo assenso.
Il D. continuò pertanto a far sentire il suo peso nella vita pubblica cittadina per il tramite del genero Fulcone e del figlio Ingone, che furono in quel periodo chiamati spesso al consolato. Continuò, d'altro canto, a curare personalmente i suoi affari privati. Nel 1174 figurò nell'elenco dei Genovesi che dovevano essere risarciti per i danni subiti Più di dieci anni prima per i fatti di Costantinopoli; mentre nel 1191-92 compare in un certo numero di documenti rogati dal notaio Guglielmo Cassinese e riguardanti atti giuridici di vario tipo compiuti in quel periodo di tempo dallo stesso D.: si tratta di malleverie, di contratti relativi ad acquisti o a vendite di terreni, o inerenti a cessioni a livello di fondi.
Non si conosce, per il silenzio delle fonti note, la data ed il luogo della morte del D.: pertanto, non si può escludere che i ricordati atti notarili del 1191-92 si possano riferire al suo figlio ed omonimo Ingone, che fu attivo nel corso del sec. XIII.
Secondo taluni, nel 1162 il D. avrebbe ottenuto dal Barbarossa, a Pavia, la dignità di cattaneo della corte imperiale e da allora avrebbe fatto precedere il titolo di questa dignità al nome agnatizio di Della Volta. La giustapposizione dell'appellativo Cattaneo al cognome Della Volta sembra tuttavia essere avvenuta in epoca successiva, all'inizio del sec. XIV, quando si formò l'"albergo" dei Cattaneo.
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