inibizione
In psichiatria, sintomo o quadro clinico caratterizzato da mancanza di iniziativa, rinuncia (volontaria o involontaria) a compiere un’azione o ad affrontare una situazione, e a volte anche connotato da appiattimento dell’affettività e da trattenimento o da mancata espressione delle emozioni. In quest’ultimo caso, è utilizzata l’espressione di i. emotiva, che può essere presente in diverse sindromi psichiatriche. Anche in psicoanalisi, il termine fa riferimento ad aspetti di ritiro in sé e di astensione del soggetto da determinate situazioni o azioni.
L’i. è specificamente associata alla depressione nel quadro della cosiddetta depressione inibita, caratterizzata da profonda deflessione dell’umore, rallentamento psicomotorio, inerzia, apatia, perdita di interessi, di iniziativa e di piacere per le proprie consuete attività. Nell’accezione di grave riduzione o di arresto dell’attività motoria, l’i. è tipica della cosiddetta catatonia, che può manifestarsi nel quadro sia della schizofrenia sia dei disturbi dell’umore con sintomi psicotici. Esistono anche usi invalsi a livello del linguaggio corrente, che sono però non corretti sul piano scientifico. Esempi ne sono l’uso del termine come equivalente di evitamento – inteso sia come meccanismo di difesa sia come sottrazione volontaria e cosciente da parte del soggetto a situazioni o azioni percepite come pericolose – e come sinonimo di timidezza, insicurezza, mancanza di audacia e di iniziativa nelle interazioni sociali. Sempre in ambito psichiatrico, i farmaci designati come inibitori sono sostanze che agiscono impedendo o riducendo la degradazione di alcuni neurotrasmettitori mediante il blocco degli enzimi preposti a tale degradazione (come nel caso degli inibitori delle monoamminossidasi), o mediante l’i. della ricaptazione di un certo neurotrasmettitore all’interno dei neuroni (come nel caso degli inibitori selettivi del reuptake della serotonina).
Nell’accezione più propriamente psicoanalitica (come riportato da Sigmund Freud in Inibizione, sintomo e angoscia, 1925), con il termine i. si intende soprattutto la limitazione di alcune funzioni dell’Io, che può verificarsi in varie affezioni morbose, per lo più di tipo nevrotico. Freud cita a tal proposito l’i. della funzione sessuale, dell’alimentazione, della locomozione, della capacità lavorativa. Secondo questa teoria, vengono inibite funzioni la cui esecuzione produrrebbe angoscia: l’Io del soggetto, mediante l’i., si difende dal pericolo di provare angoscia. Esistono i. specifiche (riferibili ad alcune funzioni ben precise o isolate, come lo scrivere o il camminare), dovute a erotizzazione degli organi impegnati in tali funzioni o ad autopunizione. Nel primo caso, l’Io rinuncia alla funzione per non dover intraprendere una nuova rimozione ed evitare un conflitto con l’Es, nel secondo caso per non conseguire un successo ed evitare quindi un conflitto con il Super- Io. Esistono anche i. generali, dovute a un marcato impoverimento delle energie dell’Io. L’i. generale caratterizza gli stati depressivi, e in partic. la sua forma più grave, la melanconia (➔ lutto). In tale forma morbosa (come scrive Freud in Lutto e melanconia, nel 1915), si riscontra «un venir meno dell’interesse per il mondo esterno», accanto a «perdita della capacità di amare, inibizione di fronte a qualsiasi attività, avvilimento del sentimento di sé». La melanconia sarebbe dovuta a una perdita oggettuale non cosciente, la quale dà luogo a un lavoro interiore che conduce all’i. melanconica. In tale condizione, si assiste a un vero e proprio impoverimento e svuotamento dell’Io in quanto il processo melanconico comporta un’identificazione dell’Io con l’oggetto abbandonato: di qui il vissuto di perdita da parte dell’Io e il ritiro dagli investimenti oggettuali e libidici, osservabili nello stato di inibizione. Freud, inoltre, utilizza in alcuni dei suoi scritti l’espressione di i. nello sviluppo, specie allorché discute la disposizione alle nevrosi. Con tale espressione si intende la fissazione (ossia l’arresto) a una tappa dello sviluppo psichico, per lo più per quanto riguarda la libido. Tale fissazione/inibizione, unitamente ad altri fattori patogeni, quali per es. la regressione a una tappa precedente o la riattivazione di ricordi traumatici non elaborati, può dare luogo più tardi al manifestarsi della forma morbosa. Da ricordare infine l’i. della motilità durante il sonno, processo che permette l’allentamento della censura fra inconscio e preconscio (➔ apparato psichico). Essa consente agli impulsi inconsci, normalmente inibiti nella vita diurna in cui è vi è accesso alla motricità, di manifestarsi nel sogno.