Inibizione
Inibizione (derivato dal latino inhibere, "trattenere, frenare") ha il significato generico di trattenere, ostacolare, limitare o proibire un processo o un'azione. In particolare indica tutto ciò che può sospendere un'attività nervosa o comportamentale che potrebbe verificarsi. Con varie sfumature semantiche e teoriche, il termine stabilisce un punto di contatto tra campi disciplinari diversi (fisiologia, neurologia, psicologia, sessuologia ecc.), trascendendone i vincoli e le aree di competenza specifica; inoltre ha un peso non marginale nella storia della cultura e della società, connotandosi variamente nel corso del tempo in rapporto ai cambiamenti dell'uomo e delle sue esigenze di autocontrollo.
In fisiologia, l'inibizione indica un processo volto a reprimerne un altro o a prevenirne l'inizio mediante strumenti neurologici o biochimici. L'inibizione, assieme all'eccitazione, presiede infatti allo svolgimento delle funzioni nervose e dei loro compiti (per es. input sensoriale), o al controllo del feedback muscolare, come le contrazioni di alcuni muscoli e il rilasciamento coordinato di altri nel movimento. L'inibizione differisce dalla paralisi perché l'organo inibito, la funzione bloccata, sono in grado di riattivarsi non appena viene a cessare lo stimolo: l'inibizione è transitoria, la paralisi è invece permanente. Di quale natura siano poi i processi chimico-fisici che determinano lo stato d'inibizione non è ancora ben noto; tuttavia, poiché, secondo un'ipotesi ampiamente condivisa, l'inibizione rappresenta l'opposto dell'eccitazione, che si fonda sull'intensificazione dei processi catabolici, si presume che in essa prevalgano, al contrario, i processi anabolici.
Riferita all'apprendimento, l'inibizione viene a significare qualsiasi riduzione o blocco di una risposta per l'azione di un altro processo; in psicologia cognitiva e della memoria, la riduzione o l'arresto delle prestazioni per l'inserimento di altre informazioni che si 'interpongono'; in rapporto alla motivazionalità, l'irruzione selettiva, nel corso di una determinata azione, di un blocco delle altre componenti del repertorio globale; sul piano etologico, la mutua inibizione tra pulsioni, del tipo attrazione/controllo sessuale nel corteggiamento o lotta/fuga nelle situazioni agonistiche (Andrew 1956; van Iersel-Bol 1958). L'inibizione può determinare anche uno spostamento delle attività comportamentali verso forme socialmente più accettabili, quando vi siano tendenze in contrasto.
Si può dire allora che l'inibizione è un processo, opposto all'eccitazione, caratterizzato da un blocco, da una diminuzione o da un ritardo nella reazione agli stimoli, che si manifesta con una riduzione dell'attività nervosa, motoria e psichica, e si accompagna a un comportamento abulico, apatico, anergico e privo di iniziativa, che può giungere fino all'arresto dell'azione volontaria. Essa è una proprietà operativa del sistema nervoso centrale che, sopprimendo alcune scariche nervose, consente il flusso di altre. In linea generale, vige nell'organismo il principio che, nel sistema di conduzione delle informazioni, un nucleo di eccitazione si trova sempre nel contesto di un altro di inibizione, atto a far sì che il primo possa esprimersi senza essere ostacolato. Si parla di 'inibizione ricorrente' quando alcuni recettori di un sistema, stimolati da impulsi nervosi, inibiscono l'attivazione di altri, determinando l'adattamento del sistema alle variazioni necessarie, oppure di 'inibizione reciproca' a proposito di una forma di integrazione nervosa in cui un membro di una coppia di muscoli antagonisti viene inibito in corrispondenza delle contrazioni dell'altro per consentire un certo movimento, e, ancora, di 'inibizione protettiva', o 'di difesa', in relazione a un sistema in grado di far decrescere l'effetto di uno stimolo qualora la sua intensità oltrepassi un dato livello.
Nell'ambito della teoria del riflesso condizionato, I. Pavlov (1927), postulando l'esistenza nel sistema nervoso di due processi complementari, ossia l'eccitazione, nel caso della formazione dei riflessi condizionati, e l'inibizione, nel caso in cui vengono bloccate le risposte agli stimoli non rinforzati, distingue di questa più forme: l'inibizione interna, che definisce quel processo il quale determina l'eliminazione di una risposta appresa; l'inibizione esterna, che consiste nella soppressione di una risposta condizionata, a causa di uno stimolo di disturbo che interferisce con quello condizionante; l'inibizione condizionata, che determina la neutralizzazione della risposta a un nuovo stimolo a cui lo stimolo condizionato venga appaiato; l'inibizione ritardata, caratterizzata da uno stimolo condizionato che manifesta la sua efficacia solo quando la sua azione è terminata; e l'inibizione differenziale, in cui si verifica la progressiva mancanza di risposta a stimoli anche significativamente simili, ma non identici a quello condizionato. Sempre in rapporto all'apprendimento, Pavlov fa poi una distinzione tra inibizione 'proattiva', quando l'apprendimento precedente interferisce sull'acquisizione di nuovo materiale, e inibizione 'retroattiva', allorché, nel richiamare quanto già appreso, si ha un'interferenza a causa del successivo apprendimento di nuovo materiale. Queste inibizioni spiegano l'oblio, nella rievocazione del materiale anteriormente memorizzato, e l'interferenza dei vecchi ricordi sui nuovi apprendimenti, con conseguente riduzione della ritenzione soprattutto in presenza di contenuti simili da acquisire. L'inibizione consente la selezione di un comportamento all'interno di un repertorio comportamentale globale. Per es., l'inibizione reciproca tra pulsioni, dando luogo ad attività coordinate ed elastiche, può far sì che una risposta sia inibita quando entra in gioco un'attività con essa competitiva: è il caso del rilassamento muscolare, che agisce come inibitore dello stato ansioso in quanto produce sul sistema nervoso autonomo effetti di direzione opposta a quelli dovuti all'ansia, come si verifica negli esercizi di training autogeno di J.H. Schultz. Una delle tecniche più note nella psicoterapia cognitivo-comportamentale è appunto la desensibilizzazione sistematica (DS), basata sul principio di inibizione reciproca, per cui la risposta d'ansia viene inibita dalla situazione antagonista di rilassamento. Al contrario, l'inibizione incompleta permette un'alternanza tra un comportamento e un altro, condotte ambivalenti e interruzione dei movimenti intenzionali. Il termine inibizione appare poi in una vastità di contesti con varie attribuzioni: centrale, quando si presume un'azione inibitoria all'interno del sistema nervoso centrale; periferica, quando lo stimolo nervoso a un muscolo per la contrazione è accompagnato dal rilassamento dell'antagonista; corticale, se il fenomeno di blocco di un'azione si verifica a livello della corteccia cerebrale.
Nella psicologia, il vocabolo è usato in diverse accezioni: interna, esterna, condizionata, ritardata, reattiva, latente ecc. Tali tipi di inibizione neuropsicologica (Hebb 1949) sono stati postulati su basi in gran parte comportamentistiche, prima della dimostrazione, da parte dei fisiologi, delle corrispondenze dirette tra i processi inibitori a livello sinaptico o gangliare e quelli a livello comportamentale. Il termine è a volte utilizzato in modo improprio e fuorviante, come sinonimo di interferenza, quando il processo inibitorio interferisce appunto con quello in esame. In ambito psichiatrico, l'inibizione si riferisce a una diminuzione dell'attività psicomotoria che può variare nella sua intensità, passando da un comportamento abulico e privo d'iniziativa a un arresto di ogni azione volontaria, con fissità della mimica e mutismo. Estrema nella catatonia e nelle depressioni maggiori, l'inibizione è presente anche in certi stati confusionali, in alcune forme di schizofrenia e nella demenza. E. Bleuler (1916) distingue un'inibizione della volontà e un'inibizione del pensiero. La prima si manifesta con un blocco totale delle facoltà decisionali, oppure con una tendenza insopprimibile e coatta a ponderare, con una 'ruminazione' continua, tutte le eventuali possibilità di scelta senza mai decidere. La seconda è spiegata come fissazione su un'unica idea, con incapacità di procedere da un pensiero all'altro o di relativizzare tale idea, solitamente a contenuto penoso, senza possibilità di distogliersene.
Nella psicoanalisi, viene definito con inibizione il controllo degli impulsi sia da parte dell'Io sia da parte del Super-Io, o qualsiasi limitazione a una pulsione, a un desiderio. Il termine è sostituito talora, in modo intercambiabile, con repressione (inibizione inconscia, proveniente dal Super-Io, al confine tra preconscio e inconscio), e, occasionalmente, anche con rimozione (meccanismo per cui l'atto psichico inconscio non viene ammesso neppure nel vicino sistema preconscio, ma rimandato indietro sulla 'soglia della censura'), dato che i processi istintuali possono liberarsi dalla rimozione solo se l'inibizione fallisce. Nella prospettiva psicoanalitica, il vocabolo è quindi utilizzato per indicare la repressione imposta a pensieri, sentimenti o azioni dall'intervento del Super-Io o dell'Io sulle pulsioni istintuali. Quando i freni inibitori sono particolarmente intensi, possono manifestarsi, a livello sessuale, impotenza o frigidità. Freud (1926) distingue le inibizioni motorie come le paralisi isteriche e gli atti mancati, le inibizioni sensoriali come le anestesie isteriche, le inibizioni mnestiche come le dimenticanze e i lapsus e, infine, le inibizioni della meta, riferite alle pulsioni che per ostacoli esterni o interni non riescono a raggiungere in modo diretto un soddisfacimento e si rivelano in forme approssimate e sfumate (per es. i sentimenti di tenerezza o di amicizia al posto di atti sessuali inibiti). Freud utilizza questo concetto d'inibizione rispetto alla meta, il cui mancato raggiungimento è dovuto, come accennato, a impedimenti interni o esterni, insieme alla rimozione, al rimosso e alla sublimazione, per spiegare le relazioni fra genitori e figli, l'amicizia e i legami affettivi nati, all'origine, dall'attrazione sessuale, sottolineando che questi processi devono essere però tenuti distinti tra loro. Egli afferma che le pulsioni sociali appartengono a una classe di moti pulsionali in cui non intervengono processi di sublimazione, ma a cui resistenze interne impediscono di raggiungere la meta, anche se riescono ad approdare a una certa soddisfazione, stabilendo legami solidi e relazioni valide fra le persone.
Secondo Freud, le inibizioni sono, o possono essere, l'effetto diretto di un meccanismo di difesa dell'Io. È il caso di tutte le inibizioni specializzate e circoscritte, che si spiegano in base a un'erotizzazione della funzione corrispondente. Perciò, le inibizioni nevrotiche che colpiscono una data funzione o attività, procurando una serie di sintomi o di disturbi, si determinano o perché quella funzione o attività - per un processo di regressione - riacquista, sul fondamento di un proprio originario carattere di zona erogena, la capacità di soddisfare impulsi sessuali (si erotizza), divenendo quindi una forma sostitutiva di appagamento sessuale, o perché essa, sulla base di analogie formali, diventa un'allusione simbolica, e dunque un equivalente simbolico di un certo atto oppure di una certa situazione specificamente sessuale. In realtà, come sottolinea Freud, tale distinzione è più apparente che reale. Infatti, quando una determinata attività per sé stessa estranea alla sfera della sessualità ha acquisito - utilizzando tutte le possibili analogie del simbolismo - la proprietà di alludere a un dato atto o comportamento sessuale, essa in quanto rappresenta per l'inconscio quel comportamento ne diviene un 'rappresentante' affettivo, e quindi si erotizza, per cui nell'inconscio simboli e cose simboleggiate si trovano sullo stesso piano, come equivalenti perfetti.
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