CARACCIOLO, Innico
Nacque a Napoli nel 1607 da Francesco, duca di Airola e da Isabella Guevara dei duchi di Bovino. Fece i suoi primi studi con i gesuiti e con i domenicani; studiò poi privatamente e si laureò in diritto canonico e civile. Sul finire del 1633 si stabilì a Roma ed iniziò la carriera prelatizia con la nomina a protonotario apostolico; due anni più tardi divenne referendario nei tribunali della Segnatura e in seguito chierico della Camera apostolica, sempre durante il pontificato di Urbano VIII. Con il successore, Innocenzo X, divenne giudice della Congregazione della Reverenda Fabbrica di S. Pietro, ponente in quella del Buon Governo, prefetto della Annona. Alessandro VII lo nominò uditore della Camera, incarico questo che preludeva frequentemente al cappello cardinalizio venendo, in ordine di importanza, subito dopo le grandi nunziature. Nell'ultimo concistoro del suo pontificato, Alessandro VII rese pubblica la elevazione al cardinalato del C., in pectore dal 15 febbr. 1666; nella stessa occasione lo nominò alla sede arcivescovile di Napoli: era il 7 marzo 1667.
I trenta e più anni trascorsi a Roma appaiono senza storia nella prospettiva del successivo lavoro svolto in diocesi. Il C. fu occupato nei diversi uffici della Curia ed ebbe rare occasioni per svolgere ruoli che lo imponessero all'attenzione del pubblico e perciò dei biografi e degli eruditi della Roma seicentesca. Per alcuni anni fu prefetto della Annona e fu ricordato perché, nonostante l'imperversare di una carestia e di una epidemia di peste, aveva saputo mantenere i prezzi dei generi di più largo consumo particolarmente bassi: fatto questo certamente che non era dipeso se non in minima parte da una sua decisione indipendente dalle pressioni della Curia e dalla situazione del mercato. In occasione della venuta a Roma della regina Cristina di Svezia fece parte della delegazione di ecclesiastici che la ricevette alle porte della città. In realtà, per quanto fossero episodi marginali, erano gli unici che potessero dare lustro ad una carriera che il cardinalato aveva esaltato. Se la vita di Curia vi apriva la strada, ciò più frequentemente accadeva per gli esponenti delle famiglie della prima nobiltà romana. Inoltre il C. si trovò a Roma mentre si alternavano tre pontefici, con tutte le variazioni che ciò comportava nella struttura della famiglia pontificia. Ebbe la fortuna di stringere amicizia con Fabio Chigi, probabilmente durante gli ultimi del pontificato di Innocenzo X. E quando l'amico ne divenne il successore, ebbe il riconoscimento che desiderava.
Succeduto ad Ascanio Filomarino nella guida della Chiesa napoletana, il C. fu coinvolto nei problemi della città e assunse posizioni non sempre gradite ai suoi superiori, che significavano però l'avvio a soluzione di problemi antichi e gravi: ne è un esempio la restrizione dell'area nella quale si esercitava il diritto d'asilo. In diverse occasioni si trovò a contendere con il nunzio e i suoi privilegi, con il cappellano maggiore ed i suoi abusi, come pure con tutti coloro che avevano interesse a conservare una situazione nella quale vi era una diffusa presenza di strutture deformate a seconda del bisogno di quella gente che dalla Chiesa trovava modo di trarre di che vivere e di che difendersi non solo dalle prepotenze dei più forti e talvolta giungeva ad ottenere l'impunità per le proprie.
Il C. si impegnò subito nella riforma della organizzazione della sua diocesi e nell'indirizzare verso forme nuove l'educazione religiosa e la vita di fede delle popolazioni che gli erano state assegnate. I quattro sinodi svolti, le visite pastorali, una nuova regolamentazione della procedura per l'ordinazione sacerdotale, l'appello a nuove congregazioni religiose per l'istruzione del popolo furono le vie maestre lungo le quali si mosse la sua azione. I sinodi, nel 1669, 1672, 1676 e 1680, si caratterizzarono per una attenta preparazione, una felice scelta degli ufficiali, esaminatori e giudici che li guidarono, una individuazione precisa dei problemi della diocesi in una prospettiva di, governo pastorale indubbiamente più consona ai tempi. Ma l'adeguamento, come del resto era prevedibile in un uomo cresciuto negli uffici di Curia, era formale e tendeva a recuperare vasti ritardi di cui la Chiesa napoletana soffriva piuttosto che ad imprimerle spinte rinnovatrici. Così vanno letti i decreti numerosi e ripetuti che si riferivano alla amministrazione dei sacramenti, alle cerimonie liturgiche, all'immunità ecclesiastica, alla condotta dei chierici, alla piaga del concubinaggio, alle irregolarità riscontrate nella vita dei monasteri femminili, all'istruzione e all'ordinazione dei nuovi sacerdoti. A quest'ultimo problema anzi il C. dedicò un'attenzione costante, conseguendo risultati notevoli e che segnarono lo sviluppo della Chiesa napoletana. Nel 1680 e nel 1682 pubblicò due lettere pastorali circa la Instruttione a gli ordinandi e le Regole alla Congregazione segreta degli ordinandi che intendevano porre fine agli incredibili abusi che si erano verificati: "...tanto più dobbiamo in questa gravissima materia dell'imposizione delle mani, sempre più abbondare nelle diligenze, e nelle cautele, esservi circospetti, restringere le mani, e non permettere, che il nostro Clero, particolarmente ne' luoghi della nostra Diocesi, si moltiplichi oltre il numero, che richiede, e richiederà la mera utilità, o vero necessità delle Chiese, quanto che il Sagro Concilio Tridentino espressamente ce n'ammonisce" (Instruttione, p. 2). Accanto a ciò si preoccupò di riformare gli studi degli ordinandi, l'istruzione liturgica e la formazione ascetica, il servizio alle chiese e cappelle della città, la frequenza a corsi di esercizi spirituali: su tutto ciò dovevano esercitare azione di controllo, e riferire periodicamente in Curia, i parroci napoletani. Le parrocchie furono attentamente seguite dal C. che spesso compì di persona la visita pastorale - un'indagine accurata secondo uno schema costante e preparato in precedenza - e si preoccupò di inserire quelle strutture nel programma di governo soprattutto per quanto riguardava il controllo dei concubini e la disciplina dei chierici. Ma accanto all'azione delle parrocchie fu di estrema importanza l'aiuto che il C. ebbe dalla venuta in Napoli dei "signori della missione", come venivano chiamati i padri lazzaristi, e dall'attività sempre più impegnata degli appartenenti alla Congregazione delle apostoliche missioni che, in quel periodo, si svolse non solo in città e nell'agro campano, ma anche in diversi centri dell'Italia meridionale.
Infine il C. ebbe l'intuito di valorizzare al massimo le indubbie capacità di uomini colti e di grande virtù quali Geronimo Rocca, Andrea Massarenghi, Matteo Renzi, Francesco Verde e soprattutto Giuseppe Crispino che fu suo segretario e compartecipe delle decisioni più rilevanti che riguardarono le ordinazioni dei sacerdoti e le visite pastorali. Gli anni del suo ministero a Napoli coincisero con l'avvio del processo di rinnovamento filosofico e scientifico, favorito dai più frequenti contatti con uomini e istituzioni culturali straniere e da una più ampia e frequente circolazione di libri. I dibattiti che si accendevano nei salotti, quand'anche non riguardassero problemi teologici, sfuggivano però al controllo della cultura ufficiale, ancora saldamente nelle mani degli ecclesiastici e si muovevano con una intraprendenza e libertà tali da mettere in pericolo il permanere di quell'egemonia. Il C. nei primi anni si limitò a mettere in pratica le sollecitazioni provenienti da Roma circa il rigoroso controllo da esercitare sulle librerie e sui tipografi per il pericolo sempre presente che derivava da una più ampia diffusione di idee pericolose per la fede e per la vita della Chiesa. Dopo il 1680 si mostrò assai più preoccupato e intervenne pesantemente sia nei confronti dei nuovi filosofi che di coloro che volevano riconsiderare alcuni aspetti della vita di fede come i quietisti. Nel 1682 denunciò la diffusione delle tesi di Miguel de Molinos a Napoli, chiedendo un intervento da Roma drastico e deciso contro la "pestifera radice". E di fatto provocò l'avvio di quella serie di interventi del tribunale del S. Uffizio di Napoli che va sotto il nome di "processo ai quietisti". Nel 1684 scrisse a Roma segnalando che alcuni lettori dell'università facevano professione della nuova filosofia che si opponeva alla tradizione aristotelica e la insegnavano agli studenti. Anche in questo caso ottenne un impegno per un intervento nella questione del tribunale dell'Inquisizione presente in Napoli, ma retto da un ministro delegato che avrebbe riferito direttamente al S. Uffizio di Roma. Fu così che gli ecclesiastici napoletani si prepararono a quello scontro con la nuova cultura laica culminato nel processo agli ateisti del 1688-1697.
Il C. morì a Napoli il 30 genn. 1685.
Fonti e Bibl.: Nell'Arch. stor. diocesano di Napoli sono conservati gli undici volumi che raccolgono le visite pastorali del C. oltre a due cartoni di corrispondenza con Roma, per la maggior parte riguardante questioni di competenza con monache e con il nunzio ma che comprende anche i richiami di Roma per un maggior controllo sulla diffusione di libri pericolosi e la lettera del 23 sett. 1684 a firma di Alderano Cybo nella quale si preannuncia l'intervento di Roma contro i nuovi filosofi (cart. 2, f. 138). Nell'Arch. Segr. Vat., oltre i volumi che raccolgono la corrispondenza con la Curia romana (Lettere di cardinali, voll. 31-48, anni 1667-1684), Vi sono le tre relaziones ad limina del 1670, 1672, 1683 nella cartella della diocesi napoletana del fondo Congregazione del Concilio. Tra i mss. della Bibl. Apost. Vat. sono interessanti per la ricostruz. di alcuni dati biografici i Ruoli di famiglia dell'età di Urbano VIII, in particolare i voll. 152-158, e quelli che restano degli altri due pontefici per gli anni durante i quali il C. fu a Roma: il Chigi H.II.46 per l'anno 1654 (Innocenzo X) e i Chigi B.I.12 e 13 per gli anni 1655 e 1659 (Alessandro VII). Da consultare pure il Vat. lat. 9265 nel quale si trova, ai ff. 386v-387, una breve ma completa biografia del C. per opera di G. M. Mazzuchelli. Tra i mss. della Bibl. Vallicell. di Roma vi è la copia del suo testam. redatto il 3 maggio 1684 (tra le Scripturae spectantes ad varios S. R. E. cardinales..., I, 17, ff. 216-233). Cfr. inoltre: J. D. Putignani, Oratio in funere eminent. et reverend. domini Innici cardinalis Caraccioli, Neapoli 1685; G. V. Marchesi-Buonaccorsi, Antichità ed eccellenza del Protonotariato apost. partecipante, Faenza 1750, p. 425; G. Sparano, Mem. istoriche per illustrare gli atti della S. Napoletana Chiesa..., Napoli 1768, II, pp. 1-159; L. Parascandolo, Mem. storico-critiche-diplom. della Chiesa di Napoli, Napoli 1847, libro IV, pp. 127-133; B. Katterbach, Referendarii utriusque Signaturae, Città del Vaticano 1931, pp. 278, 195; R. De Maio, Società e vita relig. a Napoli nell'età moderna(1616-1799), Napoli 1971, pp. 3-178.