COTTA, Innocenzo (Innocente)
Figlio di Alberto detto Bertolo, nacque a Milano nel primo quarto del XV secolo.
Nel marzo del 1438 il C., che era stato emancipato dal padre il 22 giugno 1429, fu esonerato, insieme col fratello Antonio, detto Catellano, da ogni onere fiscale dal duca Filippo Maria. Quest'ultimo il 14 maggio 1440 vendeva al C. e al fratello i possedimenti di Settimo e di Villareggio, nel contado di Pavia, per 12.300 fiorini e nel novembre del medesimo anno investiva i due fratelli del feudo di Castellazzo Bormida, che però ritoglieva loro entro il 15 febbr. 1441: quel giorno infatti il duca, in ricompensa per aver rinunciato al feudo predetto, che veniva assegnato a Taliano Furlano, concedeva loro in feudo Borgo San Donnino. Il 26 giugno dello stesso anno i due fratelli ottenevano il vicariato di Melzo. Lo stesso giorno inoltre essi rivendevano al duca i possedimenti di Villareggio e di Settimo e acquistavano da lui i possedimenti di Bereguardo. Pervenuti alla Camera ducale un castello ed alcuni possedimenti nel territorio di Pavia di Galeazzo di Seratico, questi furono venduti al C. ed a Catellano il 18 luglio 1443.
Nel primo periodo della vita non risulta nel C. alcun interesse politico; ma il suo atteggiamento mutò radicalmente dopo la morte di Filippo Maria Visconti. Fu infatti il C., insieme con Antonio Trivulzio Teodoro Bossi e Giorgio di Lampugnano, che la notte fra il 13 ed il 14 ag. 1447, sostenendo che essendo morto senza eredi il Visconti il potere perveniva direttamente al Comune e al popolo, convocò i Milanesi nell'Arengo e proclamò la Repubblica Ambrosiana. Fu poi uno dei ventiquattro capitani e difensori della libertà; rimase consigliere influente quando nel 1448, dopo la congiura di Teodoro Bossi e Giorgio Lampugnani, in favore di Carlo Gonzaga, prese il potere il partito popolare; sovvenne anche economicamente la causa che serviva e acquistò terre dallo Stato per approntare denari; contrasse debiti e sostenne notevoli spese, a detta di G. Simonetta, per la difesa della Repubblica.
Avvenuta l'alleanza fra i Veneziani e la Repubblica Ambrosiana (sett. 1449), i capitani alleati decisero di costruire un ponte di barche sull'Adda a Trezzo. Il castellano della rocca sul fiume, passato dalla parte di Francesco Sforza, gli comunicò che facilmente poteva esser catturato qualche capitano alleato che entrasse nella rocca a costatare lo stato dei lavori di costruzione del ponte. Riuscirono a catturare il C., che passava da Trezzo essendo stato inviato presso Sigismondo Malatesta a comunicargli le decisioni dei Milanesi su come doveva essere disposto l'esercito. Lo Sforza volle conoscere la situazione di Milano e il C. dovette ammettere che la carestia opprimeva la città e svelò anche i piani dell'esercito veneto-milanese. Fu poi inviato a Lodi, ma quando fu lì lo Sforza ebbe idea di sfruttare il fatto che egli fosse prigioniero per avere la fortezza di San Colombano. Questa era difesa da un fratello del C., Lucio, al quale fu fatto sapere che il C. sarebbe stato ucciso davanti ai suoi occhi se non si arrendeva. La fortezza cadde così nelle mani dello Sforza.
Quando il condottiero ottenne Milano (febbr. 1450), il C. era ormai libero e si trovava a Bergamo, ingiustamente sospettato dai Veneziani di essere un emissario dello Sforza. Egli aveva così cominciato la vita dell'esule, ma, già nell'ottobre, scriveva al cognato, Pietro da Lonate, chiedendo di tornare in patria. Il duca acconsentì, ponendo come condizione però che il C. facesse il "dover suo" e pagasse cioè i debiti, che aveva contratto per sostenere la Repubblica Ambrosiana. Da Venezia il C. ancora esitava a prendere la decisione di tornare, quando l'11 dicembre venivano imprigionate nel castello di Pavia sua moglie e le sue tre figlie; pare che egli tornasse a Milano nei primi mesi del 1451.
Il suo ritorno non avvenne però con la rassegnata intenzione di servire o almeno rispettare il nuovo signore ed egli non rinunciò a tramare contro di lui. Scoppiata la guerra fra la coalizione milanese-fiorentina e quella veneto-napoletana, il C. cominciò ad avere pratiche con i prigionieri della rocchetta di Monza, che il 20 sett. 1452 riuscivano a liberarsi e ad impadronirsi della fortezza. Ma l'azione ebbe breve durata e il C. si era soltanto esposto inutilmente. Ciononostante nel maggio del 1453 per sua "mezanità" si sperava di operare una "novitate" in Lodi, che abortì anch'essa. Comunque il C. si era talmente compromesso che, in epoca imprecisata, dovette riprendere la via dell'esilio. I suoi beni venivano ridistribuiti dal duca, che nell'aprile del 1457 concedeva Cazzano e Merlino a Bartolomeo Bonaccorsi Quarteri di Lodi e nell'ottobre Trecella a Giorgio del Maino.
Il C. era diretto da Crema a Malpaga, dove avrebbe dovuto incontrarsi con Bartolomeo Colleoni, ed aveva ottenuto da poco tempo il permesso dello Sforza di tornare nel ducato, quando, il 24 aprile 1464, vicino Vidolasco (od. Casale Cremasco-Vidolasco in provincia di Cremona) venne assalito da una decina di persone ed ucciso.
Invano le autorità venete reclamarono dal duca la consegna di Francesco Conti, un uomo d'armi individuato come responsabile dell'assassinio, che due anni più tardi risulterà direttamente alle dipendenze dello Sforza. Il C. aveva sposato Elisabetta di Giacomo da Lonate, da cui aveva avuto Giovanni Francesco, Orsina, Stefanina e Caterina.
Suo fratello Lucio sposò una Elisabetta, da cui ebbe Catellano. Nel 1453 lo Sforza gli donò i redditi della Camera dei pegni di Milano e lo esonerò dalle imposte sui suoi beni nel Lodigiano; esonero che gli fu poi confermato nel 1466, nel 1477 e nel 1496. Fu podestà di Pizzighettone dal 1º ag. 1460 al 31 luglio 1462, podestà di Mortara dal 15 sett. 1462 al 30 genn. 1465, capitano di Modena dalla stessa data al 31 ottobre. Cittadino di Lodi e poi di Pavia, assistette alle nozze di Ludovico il Moro, ove fu uno dei delegati a portare il baldacchino d'oro. Testò il 26 luglio 1496 e il 15 dic. 1502 e fu seppellito a S. Caterina di Brera.
Fonti e Bibl.: I. Simonetae Rerum gest. Francisci Sfortiae... commentarii, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXI, 2, a cura di G. Soranzo, ad Ind.;G. P. Cagnola, Storia di Milano, in Archivio storico ital., III (1842), pp. 74, 105, 118 s.; I registri viscontei, a cura di C. Manaresi, Milano 1915, pp. 86 s., 89, 101, 109, 117; Cronica di anonimo veronese, a cura di C. Soranzo, Venezia 1915, p. 50; I registri dell'ufficio di provvisione…, a cura di C. Santoro, Milano 1929-1932, p. 383; Gli uffici del dominio sforzesco, a cura di C. Santoro, Milano 1947, pp. 196, 361, 449 (per Lucio); B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, Torino 1978, pp. 1199, 1270, 1310 s.; P. Ghinzoni, Giov. Ossona e Giov. Appiani, in Archivio storico lombardo, V (1878), pp. 210, 215 s., 225; Id., Assassinio di I. C., ibid., s. 2, I, (1884), pp. 305-36; A. Colombo, L'ingresso di Francesco Sforza..., ibid., s. 4, III (1905), pp. 300, 302, 339; F. Cusin, Le aspiraz. straniere sul ducato di Milano, ibid., s. 7-8, III (1936), pp. 285, 288, 355; F. Cognasso, La Repubblica diS. Ambrogio, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 397, 430; F. Calvi, Fam. notabili milanesi, II, Milano 1881, s.v. Cotta, tav. III.