INNOCENZO III
Pontefice dal 1198 al 1216, al secolo Lotario dei Conti.I. nacque nel 1160-1161 a Gavignano presso Segni, nel Lazio meridionale, da una famiglia della piccola nobiltà locale, che aveva rinsaldato i legami con Roma tramite il matrimonio del padre Trasmondo con Clarice degli Scotti. Il futuro I. ricevette la sua prima educazione religiosa, letteraria e musicale nell'antico monastero romano di S. Andrea al Celio, sotto la guida dell'abate Pietro Ismaele. Grazie all'appoggio della potente famiglia materna divenne canonico del Capitolo di S. Pietro in Vaticano e la sua ricca prebenda gli consentì di effettuare due lunghi soggiorni di studio a Parigi e a Bologna. In Francia seguì i corsi di teologia alla scuola di Pierre de Corbeil e di qui si spostò anche in Inghilterra per fare un pellegrinaggio a Canterbury sulla tomba di s. Tommaso Beckett. Più tardi a Bologna frequentò le lezioni di diritto civile e canonico tenute da Uguccione da Pisa. Fece ritorno a Roma verso il 1185, sotto papa Lucio III; due anni dopo fu promosso suddiacono per volere di Gregorio VIII, mentre Clemente III, nell'autunno del 1190, lo creò cardinale diacono del titolo dei Ss. Sergio e Bacco. Alla scomparsa di Celestino III, l'8 gennaio 1198, I. venne eletto papa all'unanimità eadem die, all'età di trentotto anni. Dopo un pontificato di non lunga durata, che ebbe il suo coronamento politico-religioso nel quarto concilio lateranense del 1215, morì a Perugia il 16 luglio 1216.Fin dall'inizio del suo regno I. perseguì un intenso programma di riforma della Chiesa, difendendo la libertà delle elezioni ecclesiastiche da ogni ingerenza laica, frenando le esorbitanze del potere vescovile e approvando nuove forme di vita religiosa. Nei travagliati rapporti con l'impero germanico - in cui ebbe come interlocutori Filippo di Svevia, Ottone di Brunswick e Federico II - egli fu un energico sostenitore della teoria del dominio universale del papato e del ruolo del pontefice come vicarius Christi, secondo una visione di carattere spiccatamente teocratico che portava alle estreme conseguenze i principi espressi nel Dictatus papae di Gregorio VII. Strettamente connessa a questa peculiare concezione del potere fu anche l'idea di crociata, che fu intesa da I. in una doppia accezione: sia come guerra contro gli infedeli per la riconquista dei luoghi santi sia come lotta interna contro le eresie, in particolare quella degli albigesi.Grande predicatore, celebrato tra i suoi contemporanei, papa I. fu autore di ca. ottanta sermoni; già da cardinale aveva esordito nel campo della trattatistica teologico-ascetica con una dozzina di opuscoli, tra i quali occorre menzionare il De contemptu mundi sive De miseria humanae conditionis, il De missarum mysteriis e il De quadripartita specie nuptiarum. A questi scritti va infine aggiunto, per la sua eccezionale importanza sul piano storico, il vastissimo epistolario.Protagonista assoluto di uno dei momenti di più alto prestigio del papato medievale, I. svolse un'ampia attività di promozione artistica, sia attraverso la sua diretta committenza sia attraverso il sostegno finanziario offerto a istituzioni e ordini religiosi a Roma e nei territori pontifici. Le attestazioni più numerose del suo mecenatismo sono variamente fornite dalle opere superstiti e dalle relative iscrizioni, dai documenti della cancelleria pontificia e, con particolare dovizia, dai Gesta Innocentii, un'anonima compilazione biografica redatta a Roma verso il 1208, che si arresta al decimo anno del pontificato di I. (PL, CCXIV, coll. XVII-CCXXVIII).Proprio dai Gesta si apprende che, già all'epoca del suo cardinalato e precisamente nel primo biennio (1190-1192), I. provvide suis sumptibus al restauro della chiesa di cui era titolare, quella dei Ss. Sergio e Bacco al Foro romano (Bonfioli, 1974; Pistilli, 1991). Demolita nel sec. 16°, essa è parzialmente documentata da due disegni di Marten van Heemskerck (ca. 1536; Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Kupferstichkab.), dai quali si ricava che l'edificio, di non grandi dimensioni, aveva un'unica navata absidata, mentre alla facciata era addossato un portico architravato a colonne, aperto lateralmente come quello, di poco posteriore, della chiesa romana di S. Giorgio al Velabro. Il biografo papale riferisce che i lavori, conclusi solo dopo l'ascesa al pontificato, comportarono dapprima il risanamento architettonico con la ricostruzione della copertura e la nuova sistemazione della zona presbiteriale e, dopo il 1198, l'aggiunta del portico (Gesta Innocentii; PL, CCXIV, coll. XVII, CCVII). In questo stesso periodo la chiesa dei Ss. Sergio e Bacco ricevette anche una generosa elargizione di stoffe e di suppellettile liturgica in oro, argento e avorio. Tra i pezzi elencati nei Gesta spicca una "basilicam de factura Lemovica", in cui si può attendibilmente riconoscere una cassa-reliquiario di forma architettonica, tipica della produzione degli ateliers limosini tra 12° e 13° secolo. Quest'oggetto perduto non rappresenta solo un'importante testimonianza della precoce penetrazione a Roma del gusto dell'oreficeria nordica; la sua ordinazione e il suo arrivo si possono infatti ricondurre a una ben precisa scelta del committente, il quale, con ogni probabilità, ebbe conoscenza diretta di opere di questo genere durante il suo viaggio a Limoges del 1187, come inviato papale incaricato di risolvere la crisi dell'Ordine di Grandmont (Gauthier, 1972).Nel periodo immediatamente successivo all'elezione di I. si colloca una cospicua serie di donazioni suntuarie (tessuti, oreficerie, vetri) fatte dal pontefice a favore di chiese e monasteri del Patrimonium Petri e certamente legate alla più ampia politica delle recuperationes dei territori tolti alla Chiesa al tempo di Enrico VI. I Gesta Innocentii (PL, CCXIV, coll. XXV-XXVI, CCX) ricordano parallelamente una serie di interventi in prima persona dello stesso I., che fu protagonista di alcune consacrazioni e dedicazioni di chiese e altari tra Lazio e Umbria: a Rieti (S. Eleuterio, S. Giovanni Evangelista), a Todi (S. Fortunato) e a Spoleto (cattedrale). Allo stesso tempo venivano finanziati anche riparazioni e restauri di mura urbiche e residenze: è il caso delle fortificazioni di Radicofani e del palazzo di Montefiascone, che venne rinforzato dal punto di vista difensivo e dotato di una cappella (ivi, col. XXVIII).Anche a Roma, tutt'altro che sottomessa al suo sovrano temporale e agitata dalle lotte tra gruppi nobiliari emergenti, il papa sovvenzionò lavori architettonici di grande impegno, che videro le sorti dei Conti unite a quelle degli Annibaldi, con i quali si era imparentata una sorella di I. (Dykmans, 1975). Le due famiglie, attestatesi ai primi del Duecento tra il foro di Nerva e i mercati di Traiano, avevano fatto erigere alle estremità di quell'area, protetta dal muro del foro di Augusto, le altissime torri delle Milizie e dei Conti: la prima con funzioni eminentemente difensive, la seconda pensata invece come residenza urbana fortificata per il fratello maggiore di I., Riccardo. La torre dei Conti, certamente già finita nel 1203 - anno in cui venne assalita dalle fazioni avverse alla famiglia del papa - sopravvive oggi solo nella parte basamentale, ma le testimonianze grafiche cinque-seicentesche consentono di ricostruirne attendibilmente la struttura originaria. Come la torre delle Milizie, essa presentava un'articolazione 'a cannocchiale', con tre blocchi parallelepipedi sovrapposti di ampiezza decrescente, quello mediano ad angoli stondati e quello terreno avvolto su ogni lato da una triplice contraffortatura ad archi (Cusanno, 1991; Pistilli, 1991). Il sistema impiegato per cinghiare il basamento non deve essere stato dissimile da quello adottato nei restauri del patriarchio Lateranense, dove furono poste "undique circa palatium ad firmatum ipsius cossas altas et amplas, quas vulgariter scontros appellant" (Gesta Innocentii; PL, CCXIV, col. CCXI).L'erezione della torre dei Conti, avvenuta - stando a numerose fonti - sumptibus ecclesiae, fu all'origine di un'altra grande impresa architettonica promossa dal pontefice come una sorta di restituzione o meglio di espiazione per il peccato commesso: l'ospedale di Santo Spirito, eretto nell'area vaticana nel sito dell'antica schola Saxonum, "in strata publica iuxta Tiberim, ante basilicam Sancti Petri" (Gesta Innocentii; PL, CCXIV, col. CC), là dove si trova oggi l'ospedale quattrocentesco voluto da Sisto IV. Fondato tra il 1198 e il 1201 e affidato agli Ospedalieri di Guy de Montpellier - ordine approvato dallo stesso I. -, esso fu una delle istituzioni predilette dal papa, che lo dotò di molte proprietà, comprese quelle già pertinenti alla vicina chiesa di S. Maria in Saxia (Howe, 1978). Per potenziarne il ruolo e assicurarne il sostentamento, nel 1208 I. istituì una processione, da tenersi la prima domenica dopo l'Epifania, in cui la reliquia del sudarium Christi, la Veronica, veniva solennemente trasportata da S. Pietro a S. Maria in Saxia, dove il papa teneva un sermone e concedeva l'indulgenza ai pellegrini e ai fedeli presenti (Maccarrone, 1983).La fondazione del nuovo ospedale e il suo inserimento nella liturgia stazionale rientrano, con ogni probabilità, in un più ampio disegno di valorizzazione della sede vaticana, dove il papa risulta aver trascorso lunghi periodi tra il 1204 e il 1208. Nell'area della basilica di S. Pietro I. promosse innanzi tutto una serie di lavori di carattere architettonico, comprendenti il restauro del palatium novum di Eugenio III, posto forse a S dell'atrio, presso l'obelisco neroniano, nonché l'erezione ex novo di una residenza sul lato nord, provvista di una serie di annessi (appartamento del cappellano, panetteria, cantine, cucine, officine, alloggi per il cancelliere, il camerarius, il medico) e difesa da torri e da mura (Gesta Innocentii; PL, CCXIV, coll. CCXI-CCXII). Del vasto complesso edilizio, cancellato dai rifacimenti rinascimentali, non resta oggi più nulla, a eccezione forse della marescalcia, un ambiente rettangolare posto al di sotto della sala regia, spartito in due navate da colonne con capitelli ionici e coperto da larghe volte a crociera (Steinke, 1984; Pistilli, 1991). Sempre al primo decennio del Duecento dovrebbero risalire gli interventi decorativi condotti nel coro della vecchia basilica costantiniana, che comportarono l'integrale rifacimento del mosaico dell'abside (Iacobini, 1989) e del sottostante arredo marmoreo, con cattedra papale e ambone (Gandolfo, 1983, pp. 111-113; Claussen, 1987, pp. 64-65). La grande composizione absidale, oggi nota da una serie di disegni cinque e seicenteschi, fu totalmente demolita nel luglio del 1592, ma ne vennero salvati tre frammenti: il busto di I. (Roma, Mus. di Roma e Gall. Com. d'Arte Moderna), quello della personificazione dell'Ecclesia Romana (Roma, Mus. Barracco) e un tondo con una fenice (Roma, Mus. di Roma e Gall. Com. d'Arte Moderna), tutti provenienti dal fascione che delimitava in basso il catino. L'abside vera e propria era occupata da una Maiestas con il Cristo in trono affiancato dalle figure stanti dei Ss. Pietro e Paolo; al di sotto dei piedi del Cristo, al centro di un paesaggio bucolico, due cervi si accostavano al monticello del paradiso. Nel fascione inferiore, due schiere di agnelli fuoriuscivano dalle città di Gerusalemme e Betlemme e convergevano verso un secondo trono con la Croce e l'Agnello, ai lati del quale erano poste le immagini a tutta figura di I. e dell'Ecclesia, vero e proprio hapax iconografico allusivo alla plenitudo potestatis del pontefice romano. A portare a compimento questa commissione fu, con ogni probabilità, una maestranza siciliana proveniente dal disciolto cantiere di Monreale, forse la stessa che lavorò al coevo mosaico dell'abbazia di S. Nilo a Grottaferrata, che qui comunque si avvalse certamente della collaborazione di artefici romani. Il rinnovamento della veste della basilica - che, stando ai Gesta Innocentii (PL, CCXIV, col. CCV), comportò anche alcuni restauri al mosaico di facciata, del tempo di Leone Magno - coinvolse infine la veneranda Confessione contenente la tomba di s. Pietro. Qui - come attesta un'iscrizione ancora in situ - I. fece apporre dinanzi alla nicchia dei palli un grande frontale metallico in rame dorato e smalti, commissionato ad artisti limosini, forse in concomitanza con i preparativi per il quarto concilio lateranense del 1215 (Gauthier, 1968; de Blaauw, 1987, trad. it. pp. 655-656). Entro una sorta di facciata a due ordini di archetti si disponevano le statuine dei dodici apostoli ai lati del Cristo in maestà tra i simboli degli evangelisti (cinque pezzi superstiti sono conservati a Roma, BAV, Mus. Sacro). La zona centrale - diversamente dal resto - costituiva uno sportello mobile ed era forse conclusa in alto da un altro pezzo oggi erratico: una lunetta a traforo (Roma, Mus. del Palazzo di Venezia), la cui complessa decorazione ruota attorno al tema del potere episcopale, con diretto riferimento alla destinazione della nicchia dei palli (Iacobini, 1991, pp. 315-319).Nel quadro dell'ampia politica di sostegno che I. svolse a favore degli ordini monastici e delle nuove forme di vita religiosa vanno ricordati i rapporti intercorsi con Benedettini, Cistercensi, Certosini, Trinitari, Francescani, Umiliati. Di Trinitari, Francescani e Umiliati (come degli Ospedalieri di Guy de Montpellier) egli approvò peraltro anche la regola, rispettivamente nel 1198, 1201, 1209.A Roma, in particolare, I. appoggiò energicamente i Trinitari, il cui ideale missionario, la redemptio captivorum (la liberazione dei prigionieri cristiani in mano agli infedeli), collimava con la sua politica di riconquista dei luoghi santi. Al nuovo ordine fu donato nel 1207 un antico monastero benedettino sul Celio, S. Tommaso in Formis, dove il fondatore dell'Ordine, Giovanni de Matha, che vi morì nel 1213, fece costruire un ospedale. Dell'antica struttura - una lunghissima aula a due navate demolita nel 1925 - non resta oggi che la testata con il portale marmoreo, risalente probabilmente agli ultimi anni del pontificato innocenziano, eseguito da Jacopo di Lorenzo (v.) e da suo figlio Cosma. L'edicola che lo sovrasta contiene un clipeo a mosaico che traduce in grande scala il sigillo dei Trinitari, con il Cristo in trono visto nell'atto di liberare dai ceppi uno schiavo bianco e uno nero.Quanto ai rapporti con i Benedettini - di cui I. sostenne la riforma -, occorre ricordare soprattutto l'aiuto a essi accordato, fin dai primi anni del sec. 13°, per la sistemazione architettonica degli ambienti rupestri del Sacro Speco di Subiaco, legati alla memoria della vita eremitica del fondatore. Il diretto coinvolgimento papale è solennemente commemorato dal coevo affresco della c.d. chiesa inferiore, che raffigura I. e l'abate Romano - entrambi con il nimbo quadrato dei viventi - dinanzi a S. Benedetto, ai lati di un grande pannello contenente il testo della bolla promulgata nel 1202 in favore dei monaci. Alterata già verso la metà del Duecento, la prima sistemazione del complesso delle due grotte - con una facciata a valle, la grande Scala Santa lungo la salita del monte e una serie di piccole cappelle - riecheggia la struttura di un edificio memoriale della Terra Santa, la chiesa gerosolimitana della Tomba della Vergine nella valle del Cedron, ricostruita dai Benedettini nella seconda metà del sec. 12° (Righetti Tosti-Croce, 1982).In un contesto di segno diverso, volto anche al consolidamento dei domini familiari in Campagna e Marittima e nella contea di Sora, vanno invece inquadrati gli aiuti finanziari offerti da I. ai Cistercensi e ai Certosini. I Gesta Innocentii (PL, CCXIV, col. CCVIII) ricordano le elargizioni a favore delle due maggiori abbazie del territorio, Fossanova e Casamari, la prima delle quali ebbe la chiesa solennemente consacrata alla presenza del papa il 19 giugno 1208 (Cadei, 1980b). Agli stessi anni rimontano i rapporti con i Certosini, cui venne concesso nel 1204 il monastero benedettino di Trisulti. Del nuovo insediamento resta ancora la domus inferior, riconoscibile nell'edificio oggi denominato S. Domenico o S. Bartolomeo, posto a ca. km. 1 dalla certosa, i cui caratteri architettonici rimandano al vicino cantiere cistercense di Casamari (v. Certosini). Sempre alla luce di una politica del territorio intrecciata agli interessi familiari va letto infine lo speciale favore accordato alla città di Ferentino, in cui I. risiedette ripetutamente tra il 1203 e il 1215, incrementando direttamente e indirettamente un'intensa attività costruttiva e di rinnovamento urbano (Battelli, 1980; Cadei 1980a).In calce ai Gesta Innocentii (PL, CCXIV, coll. CCIII-CCXXVII) il biografo papale - seguendo l'antica consuetudine del Lib. Pont. - riporta un lungo catalogo di offerte e di doni fatti dal pontefice a chiese, monasteri e istituzioni di Roma e di fuori. Vengono enumerati soprattutto tessuti preziosi, suppellettile liturgica d'oro e d'argento, legature di codici ornate di smalti, ma nessuno di questi oggetti è ricollegabile ai pochi sopraggiunti e documentatamente eseguiti per volontà di Innocenzo. È il caso della sontuosa copertura d'argento dorato che riveste l'Acheropita nella cappella del Sancta Sanctorum al Laterano, corredata da un'iscrizione con il nome del pontefice, ma priva di riferimenti cronologici. Si tratta di una grande tabula compatta, che lascia scoperto solo il volto del Cristo, provvista di alcune aperture strategiche in corrispondenza delle mani, dei piedi e del costato, utilizzate in connessione con speciali occasioni liturgiche. Nella parte centrale la decorazione è rigorosamente aniconica, mentre sui lati si sviluppano due bande verticali figurate con i simboli degli evangelisti, la Vergine e vari santi, tutti in rapporto con le reliquie conservate nella cappella. Il linguaggio arcaizzante di questo pezzo - che contrasta vistosamente con la modernità delle opere ordinate dal papa agli orafi limosini - è spiegabile solo in parte con la diversità degli artefici, che in questo caso sembrano essere autoctoni; potrebbe infatti aver influito in modo determinante anche l'intenzione di riprodurre nel nuovo rivestimento un modello più antico (forse anche altomedievale), ripreso per assicurare una facile riconoscibilità al celebre oggetto di culto. Sempre alla stessa fase di lavori nel Sancta Sanctorum va certamente ricondotta anche la realizzazione delle portelle bronzee dell'altare delle reliquie, che proteggono l'antico scrigno in cipresso di papa Leone III. Spartite in due specchiature rettangolari per ogni anta, esse recano in alto due tondi con le teste dei Ss. Pietro e Paolo e sono corredate in basso a sinistra dall'iscrizione commemorativa del pontefice.Al tempo e alla committenza di I. è infine riconducibile un gruppo di codici eseguiti a Roma, che riflettono - come il frontale metallico della Confessione vaticana - un orientamento del gusto spiccatamente nordico. Vanno menzionati innanzi tutto i Registri di I. (Roma, Arch. Segreto Vaticano, 4, 5, 7), veri e propri libri d'archivio usciti dalla cancelleria pontificia, di cui il più antico, il Reg. 4 - con le lettere papali degli anni 1198-1200 -, è possibile che fosse già rilegato alla fine del 1202 (Pace, 1985). Questo è il più riccamente illustrato dei tre e contiene, più che miniature, disegni eseguiti a penna in azzurro e poi ravvivati da rialzi in carminio. La decorazione comprende semplici 'fuochi d'artificio' sputati da protomi umane o zoomorfe collegate alle iniziali, motivi animali o vegetali in margine alla pagina o anche vere e proprie scene autonome, quasi sempre sganciate da riferimenti al testo e iconograficamente legate al fantasioso mondo del bestiario. Caratteri ancora più moderni, in senso gotico, rivela l'unica decorazione presente nel Reg. 5: la splendida iniziale I di c. 72, in cui compare lo stesso I., inserito in un'alta e carnosa candelabra vegetale e sostenuto da due personaggi minori in guisa di telamoni. Il pontefice, con il volto imberbe, è rappresentato a mo' di statua-colonna in atto benedicente ed è affiancato a sinistra da un certo Iohannes, in cui si può forse riconoscere il cancelliere papale degli anni 1203-1205, che fu anche cardinale diacono di S. Maria in Via Lata (Ladner, 1941-1984, II, p. 54). A questi manoscritti si può accostare ancora un lussuoso sacramentario, eseguito al tempo di I. forse a uso diretto del papa (Madrid, Bibl. Nac., 730), se - come è stato ipotizzato - poté essere utilizzato nella cappella del Sancta Sanctorum al Laterano (Pace, 1980). Corredato da ventidue iniziali decorate, esso presenta due grandi miniature tabellari, l'una con la Maiestas Domini (c. 81), l'altra con la Crocifissione (c. 82), entrambe inserite in complesse cornici a medaglioni istoriati di ascendenza franco-mosana.
Bibl.: A. Luchaire, Innocent III, 6 voll., Paris 1906-1908; G.B. Ladner, Die Papstbildnisse des Altertums und des Mittelalters (Monumenti di antichità cristiana, s. II, 4), 3 voll., Città del Vaticano 1941-1984: II, pp. 53-79; III, pp. 50-51; H. Tillmann, Papst Innozenz III. (Bonner historische Forschungen, 3), Bonn 1954; M.M. Gauthier, La clôture émaillée de la Confession de Saint Pierre au Vatican, lors du Concile de Latran IV, 1215, in Synthronon. Art et archéologie de la fin de l'Antiquité et du Moyen Age. Recueil d'études, Paris 1968, pp. 237-246; id., L'art de l'émail champlevé en Italie à l'époque primitive du Gothique, in Il Gotico a Pistoia nei suoi rapporti con l'arte gotica italiana, "Atti del 2° Convegno internazionale di studi, Pistoia 1966", Roma [1972], pp. 271-293; M. Maccarrone, Studi su Innocenzo III, Padova 1972; M. Bonfioli, La diaconia dei Ss. Sergio e Bacco nel Foro Romano. Fonti e problemi, RivAC 50, 1974, pp. 55-85; R. Brentano, Rome before Avignon. A Social History of Thirteenth Century Rome, New York 1974; M. Dykmans, D'Innocent III à Boniface VIII. Histoire des Conti et des Annibaldi, Bulletin de l'Institut historique belge de Rome 45, 1975, pp. 19-211; E.D. Howe, The Hospital of Santo Spirito and Pope Sixtus IV, New York-London 1978, pp. 3-27; G. Battelli, Le fonti per la storia di Ferentino nel medioevo, in Storia dell'arte e del territorio: Ferentino, "Atti della Settimana di studi di storia dell'arte medievale dell'Università di Roma, Roma 1977", Storia della città, 1980, 15-16, pp. 9-16; A. Cadei, Dalla chiesa abbaziale alla città, ivi, 1980a, pp. 115-122; id., Fossanova e Castel del Monte, in Federico II e l'arte del Duecento italiano, "Atti della III Settimana di studi di storia dell'arte medievale dell'Università di Roma 'La Sapienza', Roma 1978", a cura di A.M. Romanini, Galatina 1980b, I, pp. 191-215; F. Gandolfo, La cattedra papale in età federiciana, ivi, pp. 339-366; R. Krautheimer, Rome. Profile of a City, 312-1308, Princeton 1980 (trad. it. Roma. Profilo di una città, 312-1308, Roma 1981, pp. 255-258); V. Pace, Per la storia della produzione libraria e della cultura figurativa nella Roma di Innocenzo III: il Sacramentario ms. 730 della Biblioteca Nazionale di Madrid, "1° Congresso nazionale di storia dell'arte, Roma 1978" (Quaderni de 'La ricerca scientifica', 106), Roma 1980, pp. 463-474; M. Righetti Tosti-Croce, Il Sacro Speco di Subiaco e l'architettura dei crociati in Terra Santa, in Il Medio Oriente e l'Occidente nell'arte del XIII secolo, "Atti del XXIV Congresso di storia dell'arte, C.I.H.A., Bologna 1979", a cura di H. Belting, II, Bologna 1982, pp. 129-135; F. Gandolfo, Assisi e il Laterano, Archivio della Società romana di storia patria 106, 1983, pp. 63-113; M. Maccarrone, L'indulgenza del Giubileo del 1300 e la Basilica di San Pietro, in Roma anno 1300, "Atti della IV Settimana di studi di storia dell'arte medievale dell'Università di Roma 'La Sapienza', Roma 1980", a cura di A.M. Romanini, Roma 1983, pp. 731-752; K.B. Steinke, Die mittelalterlichen Vatikanpaläste und ihre Kapellen, Città del Vaticano 1984; V. Pace, Cultura dell'Europa medievale nella Roma di Innocenzo III: le illustrazioni marginali del Registro Vaticano 4, RömJKg 22, 1985, pp. 45-61; P.C. Claussen, Magistri Doctissimi Romani. Die römischen Marmorkünstler des Mittelalters (Corpus Cosmatorum I) (Forschungen zur Kunstgeschichte und christlichen Archäologie, 14), Stuttgart 1987; S. de Blaauw, Cultus et decor. Liturgie en architectur in laatantiek en middeleeuws Rome. Basilica Salvatoris, Sanctae Mariae, Sancti Petri, Delft 1987 (trad. it. Cultus et decor. Liturgia e architettura nella Roma tardoantica e medievale, Città del Vaticano 1994); A. Iacobini, Il mosaico absidale di San Pietro in Vaticano, in Fragmenta Picta. Affreschi e mosaici staccati del Medioevo romano, cat., Roma 1989, pp. 119-129; A.M. Cusanno, Le fortificazioni medioevali a Roma. La Torre dei Conti e la Torre delle Milizie, Roma 1991; P.F. Pistilli, L'architettura a Roma nella prima metà del Duecento (1198-1254), in Roma nel Duecento. L'arte nella città dei papi da Innocenzo III a Bonifacio VIII, a cura di A.M. Romanini, Torino 1991, pp. 3-71; A. Iacobini, La pittura e le arti suntuarie: da Innocenzo III a Innocenzo IV (1198-1254), ivi, pp. 237-319; E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio (Italia romanica, 13), Milano 1992; J.E. Sayers, Innocent III. Leader of Europe 1198-1216, London-New York 1994; A. Iacobini, 'Est haec sacra principis aedes': la basilica vaticana da Innocenzo III a Gregorio IX, in L'architettura della basilica di S. Pietro: storia e costruzione, "Atti del Convegno internazionale di studi, Roma 1995" (in corso di stampa).A. Iacobini