Innocenzo IV
Sinibaldo Fieschi nacque a Lavagna (Genova) non oltre il 1190. La famiglia paterna era una delle più potenti della costa orientale della Liguria. I Lavagna dominavano su una contea attestata fra la Liguria orientale e l'Appennino parmense e controllavano così il transito appenninico lungo l'asse del passo delle Cento Croci. Le più antiche tracce di una vera e propria ascesa della famiglia risalgono alla seconda metà del sec. XII. Nel 1161, Federico I Barbarossa investe i Lavagna dei feudi che già controllavano. Nella delegazione appare Rufino, nonno di Sinibaldo. Questo atto verrà confermato da Federico II nel 1227. Il 23 novembre 1166, i consoli di Genova concedono una rendita annua, a carico del Comune, di 40 lire, ripartita secondo i rami dei conti di Lavagna, e una "domus" a Genova, nel luogo da loro scelto, acquistata dai consoli e suddivisa tra i vari rami. Tale convenzione manteneva inoltre i conti nei castelli e nei possessi e condonava le offese arrecate al Comune di Genova. Il 13 marzo 1174 i conti di Lavagna, fra i quali il capostipite dei Fieschi, il conte Rufino, con i propri figli Ugo e Guirardo, giurarono la pace con il Comune di Genova e ottennero in cambio la restituzione del feudo. La conferma delle convenzioni del 1166 attribuiva ai conti di Lavagna un certo ruolo nel governo locale e lasciava loro la preminenza economica; per il ramo dei Fieschi iniziava però una fase importante nella storia della loro famiglia, ossia l'inserimento nella vita cittadina. Secondo la tradizione, Ugo avrebbe sposato una figlia di Amico Grillo, un nobile genovese. Ugo è il primo membro della casata per il quale è attestato l'uso del cognome Fieschi ("de Flesco"), un nominativo che sembra indicare la professione (appaltatore del fisco imperiale) e che avrebbe comunque finito per diventare un cognome. Se l'ipotesi che fa derivare il cognome dal fisco imperiale è la più plausibile, una derivazione toponimica del cognome non può però essere esclusa. L'ascesa dei Fieschi, che si imparentarono anche con l'importante famiglia genovese dei Bulgaro, fu graduale e conseguente a due fondamentali scelte strategiche: la conversione della rendita fondiaria in capitale finanziario e l'occupazione di posti di rilievo nella gerarchia ecclesiastica. Dei cinque fratelli di Ugo, due (Tedisio e Guirardo) erano laici e morirono senza eredi; Opizone, Alberto ed Ibletto intrapresero invece la carriera ecclesiastica, forse sulle orme di quel Manfredo, cugino del padre di Rufino, che venne creato cardinale nel 1163 e coprirà fino alla morte (1177) importanti incarichi sia in Curia che come legato. Gli zii ecclesiastici del futuro Innocenzo IV acquistarono posizioni di rilievo entro lo stesso ambito geografico su cui si estendeva il dominio famigliare. Opizone (o Obizzo), attestato come canonico di Parma già il 4 settembre 1178, fu vescovo di quella città dal 1195 al 1224. Le sorti della famiglia ricaddero sulle spalle del padre di Sinibaldo, Ugo "Fliscus", che riuscì ad accrescere notevolmente il proprio rilievo politico. Secondo Salimbene, Ugo ebbe almeno tre figlie e ben cinque (secondo altri sei) figli. Tedisio, che in seconde nozze sposò Simona "de Camilla", fu uno degli ambasciatori inviati alla Dieta che Federico II aveva convocato a Ravenna per il 1° novembre del 1231 e uno dei comandanti dei cavalieri genovesi nel 1234, durante la repressione della rivolta rurale nelle valli di Oneglia. Come nella generazione precedente, tre dei figli di Ugo abbracciarono lo stato ecclesiastico: cioè Rubaldo, Rufino e Sinibaldo. Quest'ultimo, il futuro papa Innocenzo IV, che è generalmente ritenuto il più giovane dei fratelli, fu comunque il più longevo. Le attestazioni che riguardano Rubaldo e Rufino giungono infatti soltanto fino al 1231. La data di morte di Ugo si colloca dopo il 1201 e prima del 2 marzo 1214, il che significa che Sinibaldo era ancor giovane quando morì il padre. Fu dunque forse a causa della sua condizione di orfano se Sinibaldo trascorse quasi tutta la giovinezza a Parma, sotto la guida dello zio, il vescovo Opizone. È invece da ritenere infondata la notizia, riportata da una cronaca trecentesca, secondo cui Sinibaldo sarebbe stato "olim", ossia in gioventù, "monaco del cenobio di Fruttuaria". Al massimo si può ritenere che Sinibaldo abbia trascorso un periodo come "puer oblatus" presso il monastero, un periodo di vita che non ha però lasciato nessuna traccia nelle fonti coeve, nemmeno nei registri di lettere del pontefice. Salimbene, di solito molto bene informato sulla vita del futuro papa ed in generale sulle vicende della famiglia Fieschi, non accenna comunque ad un eventuale passato monastico di Sinibaldo. L'attento cronista francescano ricorda invece che Sinibaldo era già canonico di Parma quando conobbe suo padre. Si deve quindi dare credito ad una cronaca domenicana quattrocentesca, secondo cui i primi anni di studio di Sinibaldo si svolsero sotto le cure dello zio Opizone vescovo di Parma dal 1195; fu lui a far compiere al nipote i primi passi "in grammaticalibus". Da Parma, il giovane Sinibaldo andò a studiare diritto a Bologna. Il periodo bolognese può essere situato entro un arco di tempo che va dall'autunno-inverno 1213 al 5 dicembre 1223, data alla quale porta il titolo di "magister". È un'ipotesi che si basa sulla sinossi delle date di docenza dei professori bolognesi che il giovane Sinibaldo avrebbe avuto come maestri, stando alle affermazioni del Diplovatazio e del Panciroli. La decisione del vescovo Opizone di attribuire a Sinibaldo un canonicato a Parma, un titolo attestato per la prima volta nel 1226, deve molto probabilmente essere messa in relazione con la conclusione degli studi a Bologna. Il 5 dicembre 1223 Sinibaldo porta non soltanto il titolo di "magister", ma anche quello di suddiacono papale, il che fa pensare che durante il periodo bolognese egli avesse avuto modo di stabilire rapporti personali con la Curia romana e con lo stesso pontefice (Gregorio IX). È impossibile però, a questo riguardo, confermare la tradizione, risalente al Ciacconio, secondo cui Sinibaldo sarebbe stato accolto fin dal 1217 nella "familia" del cardinale Ugolino d'Ostia (futuro Gregorio IX) in qualità di segretario del cardinale legato: la povertà delle fonti e l'assenza di ogni menzione in proposito nei registri del cardinale Ugolino tenderebbero ad escludere questa notizia, nata forse per il fatto che nel 1217 o nel 1218 il cardinale Ugolino aveva scelto Parma come sede delle trattative volte a riportare la pace fra Genovesi e Pisani e fra Genovesi e Veneziani. Il biografo di I., Niccolò da Calvi, non dice se Sinibaldo abbia conosciuto in questa occasione il potente cardinale; ma è lecito pensare che il nipote del vescovo abbia potuto in qualche modo farsi notare dal futuro Gregorio IX, pur senza diventarne per ciò stesso un "familiaris". Tre anni dopo la prima attestazione di legami con la Curia, Sinibaldo è a Roma. Alla Curia romana ricopre l'ambita funzione di "auditor litterarum contradictarum". È un inizio di carriera curiale di grande prestigio, che conoscerà, subito dopo l'elezione di Gregorio IX 19 marzo 1227), una nuova tappa: prima del 31 maggio 1227 Sinibaldo viene infatti nominato vicecancelliere della Chiesa romana. Ma già il 18 settembre di quello stesso anno, Gregorio IX lo crea cardinale prete di S. Lorenzo in Lucina insieme ad un altro cardinale "lombardo" (Goffredo da Castiglione, poi Celestino IV). Siamo nei giorni che precedono la prima scomunica di Federico II causata dalla violazione del voto di partire per la crociata entro l'agosto appena trascorso. Sinibaldo non soltanto controfirma i privilegi papali come gli altri cardinali ma partecipa alla loro redazione e ne cura la registrazione. Nell'ottobre 1234 egli viene nominato da Gregorio IX rettore della Marca di Ancona: è ben documentata una sua missione del 17 ottobre 1235 nella zona di Collepergola; attorno alla metà del giugno 1239 Sinibaldo si trova ancora a Rimini dove da fine maggio fomenta la defezione di Ravenna, guidata "a d. Paulo Traversario et amicis eius, specialiter Bononiensibus". Sinibaldo occupa il rettorato almeno fino al 1240 quando il papa lo rivuole a Roma "per negozi ardui et urgenti". La città di Roma è assediata da Federico II e, in questo quadro drammatico, la Curia si prepara a convocare un concilio che lanci nuovamente la scomunica contro l'imperatore. Per consentire l'operazione, Genova si assume parte dell'onere del trasporto di un gruppo di prelati. Partiti dalla città ligure e sulle sue navi il 25 aprile 1241, i padri del futuro concilio vengono assaliti con successo dalla flotta imperiale e catturati al largo dell'isola del Giglio il 3 maggio. Il biografo di I. sembra confermare che Sinibaldo non fu estraneo al progetto di convocare il concilio, disegno che naufraga nell'alto Tirreno. Secondo Niccolò da Calvi, infatti, il concilio era stato convocato per prevenire le mosse di Federico II. È una lettura che serve anche a giustificare una linea di continuità tra il progetto gregoriano e la strategia innocenziana. La politica antifedericiana di I. viene qui letta come culmine di un percorso che, intrapreso dal vecchio Gregorio IX, non poteva essere messo in discussione. Fra i titoli di onore del predecessore di I., Niccolò da Calvi elenca anche la doppia scomunica di Federico per il mancato adempimento del voto di crociata. Il 25 giugno 1243 Sinibaldo fu eletto papa in seguito ad una lunga vacanza della Sede apostolica, nel corso della quale si era ammalato gravemente. Federico II, che non aveva liberato i due cardinali che aveva fatto prigionieri nel 1241 davanti all'isola del Giglio, perché potessero partecipare all'elezione del nuovo papa, saluta la notizia dell'avvenuta elezione con "gaudio magno". In un primo tempo, Federico II accettò le proposte di pace del nuovo eletto, che esigevano la liberazione dei prigionieri dell'isola del Giglio e la libertà di accesso alla città di Roma per il papa, ma improvvisamente, e per ragioni difficili da capire, l'imperatore ritirò i suoi ambasciatori. Il papa entrò a Roma il 20 ottobre 1243. Il 28 maggio dell'anno successivo I. procedette alla nomina di dieci nuovi cardinali. L'imperatore e il papa avrebbero dovuto incontrarsi a Narni il 7 giugno 1244, ma questa volta fu il pontefice a decidere di fuggire da Roma. Una nave genovese lo condusse nella sua città natale, dove cadde malato (luglio-ottobre). In autunno varcò le Alpi in direzione di Lione, città imperiale in prossimità del Regno di Francia, lontana dai conflitti italiani, che offriva perciò facili possibilità di accesso. Tre settimane dopo il suo arrivo a Lione, il 27 dicembre 1244, I. convoca un concilio per la festa di s. Giovanni dell'anno successivo. Una convocazione fu indirizzata ugualmente all'imperatore. Per la prima volta, i maestri generali degli Ordini mendicanti erano invitati ad un concilio generale. Gli affari di Roma e del Patrimonio erano affidati a quattro cardinali (Rinaldo di Ienne, futuro Alessandro IV, Stefano Conti, Riccardo Annibaldi e Raniero Capocci), tutti di origine romana o almeno laziale. Ritenendo forse che il Palazzo del Laterano non fosse più una residenza sicura e difendibile in caso di aggressioni militari da parte di Federico II, che stava assediando Roma, il cardinale Stefano Conti, nipote di papa Innocenzo III, fece fortificare sul Celio, a non grande distanza dal Laterano, una parte dell'antico convento dei SS. Quattro Coronati, che i documenti di quegli anni definiscono appunto come "palatium". All'interno del complesso, ormai una vera e propria fortezza, fu eretto un oratorio (sorta di cappella privata della residenza del vicario papale), consacrato il 22 marzo 1247 e fatto affrescare dal cardinale con una serie di scene tratte dalla Vita di papa Silvestro I e dalla Donazione di Costantino. In perfetta sintonia con la destinazione ufficiale dell'edificio, il ciclo rispecchia la posizione ideologica di I. e della Curia romana in tema di rapporti tra papato e Impero. Due sono le scene che riguardano la Donazione di Costantino. La prima si svolge davanti ad un'architettura di città o di palazzo, che simbolizza certamente la città di Roma. Costantino esce da una porta; egli non porta la corona, che viene invece tenuta da un accolito che si trova sulla porta della città. L'imperatore conduce un cavallo con la sinistra e porge la tiara al papa che è seduto sul trono. Un altro accolito dell'imperatore porge inoltre al papa un "baldacchino" rotondo, ossia l'"ombrellino" a strisce rosso-gialle. Costantino, che riveste abiti imperiali, piega il ginocchio davanti al papa. Il trono del papa è messo in particolare evidenza, e va indubbiamente interpretato quale segno di predominio del papa sull'Impero e di subordinazione dell'imperatore al papa. La seconda scena è organicamente legata alla prima: l'imperatore, rivestito degli abiti imperiali e con la corona, conduce il cavallo del papa di cui tiene le briglie. È la più antica rappresentazione sicura di questo gesto simbolico di sottomissione dell'imperatore al papa, all'interno di un ciclo di affreschi eseguito a Roma per illustrare la Donazione di Costantino. Un accolito imperiale precede l'imperatore portando la spada. Un chierico papale entra in una grande porta, cavalcando un cavallo di colore scuro e portando una croce processionale. Il papa cavalca un cavallo bianco e ha la tiara sul capo; un accolito porta il baldacchino sopra la sua testa; seguono tre altri chierici con mitra, che cavalcano cavalli di colore scuro. Tre mesi prima dell'apertura del concilio (13 aprile 1245), il papa rinnovò la scomunica contro Federico II e suo figlio, il re Enzo. Un ultimo tentativo (maggio 1245) del patriarca di Antiochia Alberto, amico dell'imperatore e che godeva di un prestigio indiscusso in seno alla Curia romana, per riavvicinare il papa e l'imperatore fallì di fronte alle esitazioni di Innocenzo IV. Per la prima volta dopo i grandi concili del Laterano, la scena conciliare era occupata da problemi essenzialmente politici e non disciplinari e pastorali, come la riforma della Chiesa e la lotta contro l'eresia. Federico II decise di presentarsi di persona a Lione. Ma, su istigazione dei parenti di papa Fieschi, Parma si rivoltò il 16 maggio 1247, obbligando l'imperatore a interrompere il suo viaggio verso la città conciliare. Il 18 marzo 1248, la città di Vittoria, costruita dall'imperatore per assediare Parma, fu presa d'assalto. La sconfitta costituì una svolta decisiva nel regno di Federico II. La mediazione del re di Francia fallì ancora una volta ed il papa rinnovò la scomunica. Il 1° novembre 1248, Guglielmo d'Olanda fu proclamato re ad Aquisgrana. Se il IV concilio Lateranense si impose per il suo poderoso programma legislativo, il I concilio di Lione va ricordato soprattutto per i problemi politici che fu chiamato ad affrontare. Scomunicando Federico II, Gregorio IX aveva lasciato intravvedere l'idea che soltanto un concilio avrebbe potuto tentare di risolvere il conflitto con l'imperatore. Convocato due anni più tardi, il concilio non poté aver luogo, sia per le rappresaglie dell'imperatore, sia per la morte del papa. Oltre al conflitto con l'imperatore, problemi politici più generali richiamavano l'attenzione: nell'estate del 1244, Gerusalemme era stata occupata; nell'autunno, l'esercito cristiano era stato battuto a Gaza; le rivelazioni dell'arcivescovo dei Ruteni, Pietro, a proposito dell'invasione mongola della sua patria, avevano ricordato l'attualità della questione dei Tartari. Il concilio di Lione tenne una sessione preliminare il 26 giugno 1245 nel refettorio della collegiata di S. Giusto. Il pontefice pronunciò un discorso sui "dolori del papa": la corruzione morale, l'insolenza dei Saraceni, lo scisma con la Chiesa greca, i problemi dell'Impero latino d'Oriente, la minaccia dei Tartari e, naturalmente, la persecuzione della Chiesa da parte dell'imperatore. Contro Federico II il papa rinnovò le accuse tradizionali di violazione del giuramento, di sospetto di eresia e di sacrilegio. Contrariamente alla testimonianza di Matteo Paris, il I concilio di Lione non si pronunciò sulla deposizione dell'imperatore. La ragione va forse ricercata nel fatto che, secondo I., la sua bolla del 13 aprile 1245 non aveva bisogno di una conferma conciliare. Il papa, da solo, era legittimato a deporre l'imperatore, che I. considerava come una creatura del papa. I. ne dette spiegazione nel suo Apparatus: "Bisogna ricordare per quale diritto il papa depone l'imperatore: il Cristo, figlio di Dio, mentre era ancora in vita, e da ogni eternità, era il signore per natura; così, egli avrebbe potuto, per diritto naturale, lanciare una sentenza di deposizione e di condanna contro gli imperatori ed ogni altro sovrano, poiché si trattava di persone che egli aveva creato ed arricchito di doni della natura e della grazia. Per la stessa ragione, il suo vicario lo può ugualmente". Il concilio contribuì soltanto parzialmente a risolvere i grandi problemi di cui soffrivano le Chiese d'Occidente, a causa della centralizzazione romana che aveva conosciuto un'importante evoluzione proprio sotto I.: l'imposizione fiscale istituita dal papato, le ricadute locali della politica beneficiale della Curia romana, la progressiva limitazione della libertà di scelta dei Capitoli cattedrali nelle elezioni vescovili, la politicizzazione della Chiesa romana ed altro ancora. Indubbiamente, il primo concilio di Lione segnò la "fine di un'epoca dominata dal papa e dall'imperatore". L'unità della cristianità si realizzava, a prima vista, sotto l'autorità del papa, "verus imperator", ma di fatto la via era libera per l'esplosione di nuove energie, che condurranno a entità nazionali con potere legislativo. Per la Chiesa romana, la vittoria sancita dal I concilio di Lione implicava un rischio di progressiva politicizzazione della sua iniziativa, soprattutto nel Regno di Sicilia. Tra la prima e la seconda sessione (5 luglio), al fine di provare la legittimità della sua azione, I. fece copiare tutti i privilegi e tutti gli atti favorevoli alla Chiesa romana, promulgati nel corso dei secoli precedenti da imperatori e re. Novantuno documenti furono così copiati (si tratta dei cosiddetti "transumpta" di Lione), dal privilegio di Ottone I a quelli di Federico II (ben trentacinque). Questa raccolta, munita dei sigilli di quaranta prelati, fu presentata alla terza sessione del concilio (17 luglio), non mancando di suscitare reazioni. I vescovi inglesi protestarono contro l'inserimento nei "transumpta" dell'attestazione di Giovanni Senzaterra che poneva il suo Regno sotto la sovranità apostolica. Il rappresentante dell'imperatore, Taddeo di Suessa, grande giudice alla corte imperiale, affermò che la convocazione del 27 dicembre 1244 non era valida, protestò contro l'autenticità di certi privilegi, e annunciò la sua decisione di fare appello contro la condanna nell'ambito di un futuro concilio. Come risposta, il papa fece leggere all'assemblea la bolla di deposizione di Federico II, intonò subito dopo il Te Deum e chiuse così la terza e ultima sessione del concilio. I. decise di ritardare la pubblicazione dei canoni conciliari per apportarvi delle correzioni ed aggiunte. Ne fece del resto lui stesso un commento, nel suo Apparatus. La diffusione dei canoni conciliari approfittò dell'esistenza, ormai consolidata, delle collezioni di decretali. Ventitré decreti completarono il Liber Extra di Gregorio IX e saranno ripresi, ad eccezione del secondo, e con estratti della bolla di deposizione Ad Apostolicae dignitatis, dal Liber Sextus di Bonifacio VIII. Nel 1245, a Lione, I. istituì uno "Studium generale" che aveva il compito di seguire le peregrinazioni della Curia romana. Gli insegnanti e gli studenti avrebbero goduto degli stessi privilegi dei loro colleghi negli "Studia generalia". Il termine "Studium generale" era già stato usato da canonisti importanti (Goffredo da Trani, Bernardo da Botone), ma non da un'autorità come il papato; per di più mai prima di allora, lo "Studium" di Parigi era stato indicato come un modello. Scuole private di diritto, sia civile che canonico, esistevano già prima in seno alla Curia romana. Anche dopo l'istituzione dello "Studium curiae", le scuole di diritto continuarono a funzionare su basi private. Queste scuole servivano a diffondere l'"opinio curiae" in materia di legislazione canonica. Era un insegnamento destinato ai procuratori, avvocati, notai, "iurisperiti curiam sequentes", e agli stessi curiali, professionalmente interessati a seguire l'evoluzione della giurisprudenza pontificia. Soltanto il lettore di teologia, il futuro "magister sacri palatii" era un funzionario di Curia, membro della "familia" papale. In occasione della visita effettuata da I. a Cluny (1246), i cardinali portarono per la prima volta il cappello rosso che il papa aveva loro concesso un anno prima, in occasione del I concilio di Lione (1245). Secondo l'Ostiense, i cardinali, che avevano ricevuto il cappello rosso nel 1245 da I., "sono tenuti ad esporre la vita per il nome cristiano, giacché ciò denota il colore rosso", ma in quanto a innocenza di vita, essi devono essere "più bianchi della neve". Lione era diventata "meta di fedeli giunti da ogni parte del mondo"; ossia, un'altra Roma ("Roma altera"). Sono espressioni del biografo di I., Niccolò da Calvi. Ma lo stesso pontefice aveva stabilito un'identificazione esplicita tra i "limina" degli apostoli romani (Pietro e Paolo) e l'ubicazione del papa. Per "limina" degli apostoli, egli intendeva "dove è il papa" ("ubi papa est"). Nessuno prima di lui si era spinto così lontano. La frase di Niccolò da Calvi sull'"altra Roma" è testimonianza importante per comprendere come nel corso del Duecento la persona del papa sia riuscita ad attrarre spazialmente il legame con Roma. Roma non è dunque più a Roma, ma "dove è il papa". L'autore della Vita di I. è il vescovo di Assisi Niccolò da Calvi, che fu a lungo penitenziere di Sinibaldo Fieschi, quando era ancora cardinale; fu poi cappellano e confessore del Fieschi anche dopo la sua elezione a pontefice. Niccolò da Calvi inizia la sua biografia alludendo alla necessità di consegnare agli "archivi" la memoria del pontificato di Innocenzo IV. L'unico manoscritto è l'attuale ms. Lat. 5150 della Bibliothèque Nationale de France. Il codice reca annotazioni di due mani celebri, quelle del Petrarca e del Boccaccio, e contiene, oltre alla storia dei re di Sicilia di Ugo Falcando e ai Gesta di Innocenzo III, la raccolta di biografie di Bosone e gli atti del III concilio Lateranense. Subito dopo essere giunto a Lione, I. donò una rosa d'oro a Raimondo Berengario, conte di Provenza. Lo sappiamo grazie ad una bolla con cui lo stesso I. concesse indulgenze ai fedeli che avrebbero visitato la tomba di Raimondo nella chiesa di St-Sauveur a Aix-en-Provence, alla quale il conte aveva consegnato la rosa d'oro ricevuta dal papa. I. donò una rosa d'oro anche ai canonici di St-Just di Lione, come segno di gratitudine per l'ospitalità ricevuta durante il suo lungo soggiorno in quella canonica. Per quasi sei anni, la canonica si era trasformata in residenza papale. Di questa rosa d'oro, oggi perduta, si conosce la forma grazie ad un disegno del Settecento, che dimostra che il gioiello si conservava allora nella canonica: una sola rosa esce da un unico stelo. Il 13 maggio 1250, a Lione, il cardinale Giovanni Gaetano Orsini legge in Concistoro, quasi d'improvviso, un "memorandum" che il grande studioso inglese e vescovo di Lincoln Roberto Grossatesta aveva poc'anzi consegnato a tre cardinali e allo stesso papa Innocenzo IV. Il testo contiene una delle più severe denunce della politica curiale che siano state pronunciate ad un così alto livello. Ad un certo punto, l'argomentazione investe la persona del sommo pontefice: "Coloro che presiedono a questa sacra sede rivestono la persona di Cristo in modo singolarissimo tra tutti i mortali; importa quindi che in essi [nei papi] le opere di Cristo brillino nel modo più alto e che non vi sia in loro nulla che possa essere contrario alle opere di Cristo. Così, nello stesso modo in cui tutti devono obbedire a Gesù Cristo, tutti devono obbedire a coloro che presiedono a questa sacra sede, proprio in quanto rivestono Cristo e vi presiedono con verità. Se uno di loro - e ciò non sia mai - dovesse indossare il vestito di parenti o della propria carne o del mondo o di qualsiasi altra cosa che non sia Cristo [...] allora questi si separa da Cristo e dal suo corpo, che è la Chiesa [...]. Anche se non aggiungono altre malizie, i pastori che non annunciano la persona di Gesù Cristo che rivestono, sono degli Anticristi". Il papa è o Cristo o Anticristo. Come "persona Christi", il papa è tutto; rivestito "della propria carne" il papa non è più nulla. Per essere "persona Christi", il papa deve "svestirsi della propria carne". È in questa novità che risiede il grande interesse storico del "memorandum" del grande vescovo inglese. Mai prima di allora la potenziale dicotomia tra "persona Christi" e "persona di uomo" era stata sottoposta alla diretta riflessione di un pontefice romano in termini così radicali. Il viaggio di ritorno di papa Fieschi da Lione a Roma (1251) si trasformò in un trionfo, che Salimbene racconta in modo assai suggestivo: "Nello stesso anno messer papa Innocenzo IV venne da Lione, città della Francia che è in Borgogna, dove era stato molti anni, nella città di Genova, dove era nato. Arrivò là nel mese di maggio e diede moglie a un suo nipote, e prese parte alle nozze con ottanta vescovi e con i suoi cardinali. E in quell'occasione furono servite molte pietanze e portate varietà di cibi. E vini diversi, prelibati ed esilaranti. E ogni portata di vivande costava molto denaro. In nessun luogo al tempo nostro furono celebrate nozze tanto solenni, sia per i convitati che per le portate di cibo; tanto che anche la regina di Saba, se avesse visto, ne sarebbe stata meravigliata". Aperto sul mondo grazie alla sua origine sociale e geografica, I. si interessò ad accrescere le conoscenze, soprattutto per quanto riguarda i Tartari e l'Estremo Oriente, e mise per ciò in moto un'ampia azione diplomatica. A Lione, alla corte di I., l'Occidente poté avere, per la prima volta, informazioni di prima mano sui Tartari, grazie ad un certo "arcivescovo Pietro", un prelato proveniente verosimilmente dalla Russia, e al cappellano del cardinale Giovanni da Toledo, Ruggero da Torrecuso, autore di una delle fonti più importanti sull'invasione dei Tartari in Ungheria, il Carmen miserabile super destructione regni Hungariae. Ruggero era stato fatto prigioniero dai Mongoli nel 1241-1242. Il papa pensò di inviare due ambasciate, e ne incaricò Lorenzo di Portogallo (che conosciamo soltanto tramite la missiva del papa) e il celebre Giovanni di Pian del Carpine. Questi fu inviato nel cuore dell'Asia. Partito da Lione il 16 aprile 1245, vi ritornò due anni dopo, nel 1247. I. affidò altre missioni agli Ordini mendicanti. Il ministro generale dei Francescani, Giovanni di Parma, fu incaricato di recarsi nel 1249 alla corte di Giovanni III Duca Vatatzès, imperatore bizantino di Nicea, per convincerlo a ritirare il suo sostegno a Federico II, di cui era genero, e per sondare la possibilità di aprire negoziati di pace e di unione. Nel quadro di un'azione diplomatica e missionaria di grande impegno, I. inviò nel Maghreb uno dei suoi principali consiglieri, il francescano spagnolo Lope Fernández de Ayn. Munito di poteri plenipotenziari, questi doveva tentare di negoziare con il califfo la concessione della libertà di culto e l'attribuzione di un certo numero di luoghi per facilitare ai cristiani, in caso di conflitto e di pericolo, il ritorno nel loro paese d'origine. Nel 1215, il IV concilio Lateranense aveva sanzionato ufficialmente la concessione di un'indulgenza plenaria ai crociati, non senza esprimere paure circa i pericoli che il ricorso eccessivo alle indulgenze avrebbe potuto provocare per le pratiche penitenziali. I. concesse invece l'indulgenza plenaria alle vedove e ai procuratori dei crociati. Nel 1249, volle che dieci giovani studenti si recassero a Parigi per apprendere l'arabo e altre lingue orientali. Dopo Gregorio IX, anche I. fu indotto ad intervenire, non di propria iniziativa, ma su domanda del cancelliere e dei dottori reggenti dell'Università di Parigi, nella questione del Talmud che era esplosa con rara violenza verso la metà degli anni Trenta, in seno allo "Studium". Secondo I., il Talmud conteneva "affabulazioni inestricabili e manifeste" relative a Maria, e espressioni blasfeme nei confronti del "vero Dio e Cristo", ed era perciò condannabile. Il papa intimò al cardinale legato Odone di Châteauroux che, dopo un esame da parte sua, il Talmud avrebbe dovuto essere tollerato nelle parti che non contenevano ingiurie alla fede cristiana. Il cardinale legato capovolse però la posizione del papa, affermando che questi libri "erano così pieni di affermazioni controverse da non poter essere tollerati senza pericolo per la fede cristiana" e decise di non restituire questi "libri intollerabili" ai rabbini ma di condannarli ufficialmente. I. non prese alcuna decisione per estendere l'inchiesta al di là di Parigi e non fece appello a nessun altro sovrano, al di fuori di s. Luigi. Verso la metà del secolo, allorché esplose il celebre conflitto tra i maestri secolari e mendicanti (1253-1259), il papa, dopo qualche esitazione, finì per prendere posizione a favore degli Ordini mendicanti. Il prestigio dei frati in seno alle scuole parigine e le loro posizioni teologiche ottenevano così un riconoscimento ufficiale del massimo livello. Nel mese di aprile 1253, i maestri secolari avevano deciso di non accettare più nessuno nella loro corporazione che non avesse dapprima prestato giuramento ai loro statuti. Questa misura mirava ad eliminare i maestri domenicani e francescani. Il 1° luglio 1253, il papa, operando un voltafaccia spettacolare, ordinò ai maestri secolari di accettare i maestri degli Ordini mendicanti. Nel 1254, però, I., desiderando "governare in modo che nessun critico curioso trovasse nulla da ridire", si dichiarò favorevole alle domande dei secolari di dare assistenza finanziaria a Guglielmo di Saint-Amour e di imporre restrizioni ai Mendicanti. I. fu uno dei più insigni papi giuristi del Medioevo centrale. Al momento della sua elezione, Sinibaldo stava componendo il suo capolavoro, il commento alle decretali di Gregorio IX, chiamato Apparatus in quinque libros decretalium, un'opera difficile, persino per i contemporanei. La sua legislazione pontificia comprende tre collezioni di decretali. Le due prime avrebbero dovuto essere aggiunte al Liber Extra, ma il papa preferì inviare allo "Studium" di Bologna un elenco definitivo e separato delle sue decretali ufficiali, che furono chiamate Novellae e conobbero una diffusione indipendente. La maggior parte fu incorporata in seguito nel Liber Sextus (1298). Con la costituzione Ad extirpandam (1252), I. considerò legittimo l'uso della tortura nei processi dell'Inquisizione contro gli eretici. Per I., la formazione canonistica è un tutt'uno con il suo governo. Sinibaldo-I. non possono essere disgiunti. Il giurista e il papa scrivono ed agiscono secondo schemi analoghi. Il papa doveva assumere un ruolo di coordinamento generale, di istanza suprema - e dunque anche giudiziaria - della società cristiana. Sinibaldo è canonista e per questo papa, giudice e legislatore supremo che ha ricevuto da Dio l'incarico di spiegare ed armonizzare il mondo, un mondo che egli identifica, sulla scia di Innocenzo III e dei papi del periodo gregoriano, con una cristianità potenzialmente illimitata. È una visione di papato che si fonda sul concetto che il mondo ha bisogno di un "regimen unius personae". Proprio per questo I. si serve di una nascente diplomazia per ottenere una convivenza pacifica, premessa di una cristianità coestesa "al cono d'ombra gettato sul mondo dalla potestà papale" (A. Melloni). L'Eger cui lenia (o Eger cui levia, secondo alcuni manoscritti) è stato per lungo tempo ritenuto un testo fondamentale sulle concezioni teocratiche di Innocenzo IV. Conservato nella raccolta di lettere papali composta a Lione da Alberto Behaim, cappellano del cardinale Raniero Capocci, appare al seguito di due lettere di protesta di Federico II contro la condanna pronunciata al concilio di Lione. L'autore vi refuta sistematicamente tutti gli argomenti avanzati dalla propaganda imperiale (Pier delle Vigne) all'indomani del I concilio di Lione e giunge persino ad affermare che "non riconosce il figlio di Dio erede dell'universo come Dio e signore colui che si pretende esente dalla sottomissione al suo vicario". Il papa, vicario di Cristo, possiede una "delegazione generale" del re dei re, dal quale ha ricevuto "la pienezza del potere [...] di modo che nulla si sottrae ad un potere che abbraccia tutto l'universo". La sovranità del papa è totale e illimitata, tanto più che "la Sede apostolica non ha ricevuto da Costantino il principato dell'Impero", perché "(essa) lo aveva già da prima [...] per natura e allo stato potenziale", poiché Cristo ha "costituito a favore della Sede apostolica una monarchia non soltanto pontificia ma reale". Cristo affida "alla Sede apostolica le redini dell'Impero sia terrestre che celeste, il che viene indicato dalla pluralità delle chiavi. La prima gli conferisce infatti il potere di esercitare la sua giurisdizione sulla terra per le cose temporali; l'altra sul cielo per le cose spirituali". Per molto tempo, la paternità di questo pamphlet era stata attribuita ad I. soprattutto a causa di una testimonianza di Tolomeo da Lucca, secondo il quale I. avrebbe scritto un libello sulla giurisdizione dell'Impero rispondendo agli errori di Pier delle Vigne. Da parte sua, Alberto Behaim, introdusse la trascrizione di questo testo nella sua raccolta dicendo che si tratta "di un responso da parte del papa alle precedenti lettere [dell'imperatore]". L'esistenza di paralleli tra sei passi di questa lettera e un pamphlet anonimo proveniente dalla letteratura escatologica della prima metà del Duecento - lo Iuxta vaticinium Ysaiae -, generalmente attribuito al cardinale Raniero Capocci di Viterbo o ad uno dei membri del suo entourage, ha però indotto a chiedersi se l'autore non debba essere ricercato in seno al collegio dei cappellani di quel cardinale, uno dei più tenaci nella lotta contro Federico II. Confrontando la dottrina della lettera e quella del commentario canonistico di Sinibaldo Fieschi, si è pensato invece di poter trovare in ogni differenza la riprova della sua autenticità. Destinato ad affermare che l'imperatore, con i suoi errori e i suoi eccessi, si era reso "indegno dell'Impero, di ogni onore e di ogni dignità" e che il Signore lo aveva privato "della dignità dell'Impero e dei regni", la Eger cui lenia non contraddice ciò che Sinibaldo Fieschi aveva affermato nel suo Apparatus, a proposito della distinzione dei due poteri. In caso di vacanza dell'Impero, come dopo la deposizione di Federico II da parte del I concilio di Lione, il diritto di supplenza apparteneva al papa. Ma anche per quanto riguarda l'interpretazione della Donazione di Costantino e la figura di Melchisedech, non vi sono contraddizioni con le tesi espresse da I. nell'Apparatus. Se in I., il riferimento a Cristo/Melchisedech condiziona l'ecclesiologia innocenziana, in Eger anche Melchisedech è spogliato degli aspetti escatologici e ridotto ad elemento legittimante dell'Impero costantiniano. I. creò due dei suoi nipoti cardinali. Uno di essi, Ottobono Fieschi, diventò papa nel 1276 (Adriano V). Durante cinquant'anni, la famiglia genovese dei Fieschi conoscerà una presenza ininterrotta presso la Curia romana e fu dunque per l'intero Duecento la famiglia non romana meglio rappresentata in Curia. Malgrado il suo lungo soggiorno a Lione (1245-1251), I. lasciò una traccia importante nella storia edilizia vaticana. A nord della basilica vaticana, Innocenzo III aveva fatto costruire soltanto edifici amministrativi. I. accentuò ancora la volontà del papato di scegliere la collina del Vaticano come residenza pontificia, costruendo "presso S. Pietro un palazzo, una bellissima torre con camere, e vi fece comprare dei vigneti". Questo edificio era una "torre-maniero", che serviva come abitazione e fortezza. Il palazzo aveva tre piani, la torre sei. I. morì a Napoli il 7 dicembre 1254 e fu sepolto nell'antica cattedrale di questa città (distrutta nel 1294). All'inizio del XIV secolo, l'arcivescovo Umberto d'Ormont (1308-1320) fece trasferire la tomba nella nuova cattedrale. La tomba attuale è quasi interamente opera del Cinquecento, come anche il gisant. Il cronista francescano Salimbene racconta che papa Fieschi "rimase nudo sulla paglia e abbandonato da tutti, secondo la consuetudine dei Romani pontefici, quando muoiono". Il defunto sarebbe stato custodito, non da infedeli uscieri pontifici, ma da Frati Minori Teutonici, che avrebbero persino provveduto a lavare il corpo del pontefice. I due religiosi si sarebbero così rivolti al defunto: "È vero signor papa, abbiamo soggiornato in questa terra per molti mesi, desiderando parlarvi e discutere con voi dei nostri problemi. I vostri uscieri non ci hanno però permesso di entrare e di vedervi di persona. Ora essi non si curano della custodia [della vostra salma] perché non hanno più nulla da attendere da voi. Ciò nonostante, noi laveremo il vostro corpo". Il tema della "nudità" era apparso già in un sermone tenuto durante il pontificato di Alessandro IV, "nell'anniversario di Innocenzo IV": il cardinale Odone di Châteauroux, dopo avere lungamente parlato del lutto di cui Aaron fu onorato dopo la sua morte, si chiede: "cosa successe ad Aaron alla sua morte?". La risposta è la seguente: Aaron fu "spogliato [...] dei suoi vestiti" ("nudatus [...] vestimentis suis"). Così avviene per i papi ("Sic ad litteram nudantur summi pontifices"). Per il cardinale, il papa è nudo perché è spogliato dei suoi vestiti; il papa non è nudo fisicamente, ma perché non porta più (subito dopo la morte) i vestiti che manifestano la funzione che ha occupato durante il suo pontificato. La nudità del papa è legata alla natura del suo potere. Morendo, il papa perde la sua "potestas" ("Nudantur potestate sua. Nudantur omni gloria sua temporali quam habuerunt") e la nudità serve a visualizzare un concetto così fondamentale per la storia della perennità dell'istituzione del papato.
fonti e bibliografia
Edizioni dell'Apparatus in quinque libros decretalium: Strasburgo 1477, Venezia 1481, 1578.
cfr.M. Bertram, Angebliche Originale des Dekretalenapparats Innozenz' IV., in Proceedings of the Sixth International Congress of Medieval Canon Law, Città del Vaticano 1985, pp. 41-7.
I registri cancellereschi delle lettere di I. sono stati pubblicati da E. Berger, Les Registres d'Innocent IV, I-IV, Paris 1884-1921.
Cfr. ancheT.T. HaluŠsŠcynskyj-M.M. Wojnar, Acta Innocentii P.P. IV. (1243-1254), Romae 1962.
Su questi registri v. F. Bock, Studien zu den Registern Innocenz' IV., "Archivalische Zeitschrift", 52, 1956, pp. 11-48.
Per le lettere "secrete", v. G. Abate, Lettere 'secrete' d'Innocenzo IV, "Miscellanea Francescana", 55, 1955, pp. 317-73.
Alcune lettere inedite di I. sono state pubblicate da P. Sambin, Problemi politici attraverso lettere inedite di Innocenzo IV, Venezia 1955.
Le lettere papali edite fino al 1875 sono repertoriate in Regesta Pontificum Romanorum, a cura di A. Potthast, I, Berolini 1875 (rist. Graz 1957), pp. 943-1285, 2110-24; per quelle conservate negli Archivi Nazionali di Parigi, v. B. Barbiche, Les actes pontificaux originaux des Archives Nationales de Paris, I, 1198-1261, Città del Vaticano 1975, pp. 169-289.
L. Schmitz-Rheydt, Ein Bullenstempel des Papstes Innocenz IV., "Mitteilungen des Österreichischen Instituts für Geschichtsforschung", 17, 1896, pp. 64-70.
H.-E. Hilpert, Kaiser- und Papstbriefe in den Chronica maiora des Mattheus Paris, Stuttgart 1981.
K.-E. Lupprian, Die Beziehungen der Päpste zu islamischen und mongolischen Herrschern im 13. Jahrhundert anhand ihres Briefwechsels, Città del Vaticano 1981.
La storia della famiglia Fieschi, nel primo periodo della sua storia (secc. XII-XIII), ha conosciuto un importante recente risveglio storiografico:
M. Firpo, La ricchezza ed il potere: le origini patrimoniali dell'ascesa della famiglia Fieschi nella Liguria Orientale tra XII e XIII secolo, in I Fieschi tra Papato ed Impero. Atti del Convegno, Lavagna, 18 dicembre 1994, a cura di D. Calcagno, Lavagna 1997, pp. 323-62.
A.G. Remedi, Il cardinale Manfredi da Lavagna e l'origine del cognome Fieschi da alcuni documenti dugenteschi inerenti i rapporti fra i conti di Lavagna, Milano e l'Impero, ibid., pp. 285-322.
D. Calcagno, Il patriarca di Antiochia Opizzo Fieschi, diplomatico di spicco per la Santa Sede fra Polonia, Oriente Latino ed Italia del XIII secolo, ibid., pp. 125-268.
R. Pavoni, L'ascesa dei Fieschi tra Genova e Federico II, ibid., pp. 3-44.
Le costituzioni del concilio di Lione sono edite da S. Kuttner, Die Konstitutionen des ersten allgemeinen Konzils von Lyon, Roma 1940, pp. 70-131; v. anche la raccolta dei decreti conciliari promossa da G. Alberigo et al., Conciliorum Oecumenicorum Decreta, Bologna 1973³, pp. 273-301.
Sul I concilio di Lione, in generale, v. H. Wolter-H. Holstein, Lyon I et Lyon II, Paris 1966.
Sui transunti di Lione, da consultare sempre G. Battelli, I Transunti di Lione del 1245, "Mitteilungen des Österreichischen Instituts für Geschichtsforschung", 62, 1954, pp. 336-64.
Il testo del "memorandum" del Grossatesta è edito in S.H. Thompson, The Writings of Robert Grosseteste, Cambridge 1940, pp. 141-47.
Sul contesto generale, v. M. Powicke, Robert Grosseteste, Bishop of Lincoln, "Bulletin of the John Rylands Society", 35, 1952-53, pp. 428-50.
R.W. Southern, Robert Grosseteste. The Growth of an English Mind in Medieval Europe, Oxford 1986, passim.
A. Paravicini Bagliani, Il corpo del papa, Torino 1994, passim.
La Vita di I. di Niccolò da Calvi è stata pubblicata da F. Pagnotti, Niccolò da Calvi e la sua vita d'Innocenzo IV con una breve introduzione sulla istoriografia pontificia dei secoli XIII e XIV, "Archivio della Società Romana di Storia Patria", 21, 1898, pp. 76-120 (ora rist.: A. Melloni, Innocenzo IV, pp. 259-93).
Sull'inserimento di questa Vita nel contesto delle biografie papali duecentesche, v. A. Paravicini Bagliani, La storiografia pontificia del secolo XIII. Prospettive di ricerca, "Römische Historische Mitteilungen", 18, 1976, pp. 45-54.
Id., Le biografie papali duecentesche e il senso della storia, in Il senso della storia nella cultura medievale italiana (1100-1350), in Atti del XIV Convegno Internazionale di studio, tenuto a Pistoia, 14-17 maggio 1993, Pistoia 1995, pp. 155-73.
Manca una monografia ampia e accurata su I., e quella di G. von Puttkamer, Papst Innocenz IV., Münster i. W. 1930, non può soddisfare le esigenze attuali. Tra gli articoli nei grandi dizionari storici, va ricordato soprattutto quello in Dictionnaire de théologie catholique, VII, Paris 1923, s.v., coll. 1981-95.
Migliore ricostruzione biografica per il periodo anteriore all'elezione a pontefice:
V. Piergiovanni, Sinibaldo dei Fieschi decretalista. Ricerche sulla vita, in Collectanea Stephan Kuttner, a cura di I. Forchielli-A.M. Stikler, Bologna 1967, pp. 126-54.
Sul cardinalato e la "familia" cardinalizia, v. A. Paravicini Bagliani, Cardinali di Curia e 'familiae' cardinalizie dal 1227 al 1254, I-II, Padova 1972.
Sulla funzione di "auditor litterarum contradictarum", v. P. Herde, Audientia litterarum contradictarum. Untersuchungen über die päpstlichen Justizbriefe und die päpstliche Delegationsgerichtsbarkeit vom 13. bis zum Beginn des 16. Jahrhunderts, I, Tübingen 1970, p. 75.
su Sinibaldo vicecancelliere, v. Id., Beiträge zum päpstlichen Kanzlei- und Urkundenwesen im 13. Jahrhundert, Kallmünz Opf. 1967, passim.
Sull'elezione di I., nel contesto generale delle elezioni papali del Duecento, v. in partic. Id., Election and Abdication of the Pope: Practice and Doctrine in the Thirteenth Century, in Proceedings of the Sixth International Congress of Medieval Canon Law, Città del Vaticano 1985, pp. 411-36 e B. Schimmelpfennig, Papst- und Bischofswahlen seit dem 12. Jahrhundert, in Wahlen und Wählen im Mittelalter, Sigmaringen 1990, pp. 173-95.
La visione di papato di I. ha richiamato da tempo l'attenzione degli storici:
M. Pacaut, L'autorité pontificale selon Innocent IV, "Le Moyen Âge", 66, 1960, pp. 85-119.
J.A. Cantini, De autonomia judicis saecularis et de Romani pontificis plenitudine potestatis in temporalibus secundum Innocentem IV, "Salesianum", 23, 1961, pp. 407-80.
J.A. Watt, The Theory of Papal Monarchy in the Thirteenth Century. The Contribution of the Canonists, London 1965.
L. Buisson, Potestas und Caritas. Die päpstliche Gewalt im Spätmittelalter, Köln-Graz 1982².
Importante, A. Melloni, Innocenzo IV. La concezione e l'esperienza della cristianità come "regimen unius personae", Genova 1990.
Per un quadro generale dell'ecclesiologia papale duecentesca, v. A. Paravicini Bagliani, Il trono di Pietro. L'universalità del papato da Alessandro III a Bonifacio VIII, Roma 1996.
Sull'Eger cui lenia, v.P. Herde, Ein Pamphlet der päpstlichen Kurie gegen Kaiser Friedrich II. von 1245/46 ('Eger cui lenia'), "Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters", 23, 1967, pp. 468-538.
C. Dolcini, 'Eger cui lenia' (1245-1246). Innocenzo IV, Tolomeo da Lucca, Guglielmo di Ockham, "Rivista di Storia della Chiesa in Italia", 29, 1975, pp. 127-48 (ripreso in Id., Crisi di poteri e politologia in crisi. Da Sinibaldo Fieschi a Guglielmo d'Ockham, Bologna 1988, pp. 119-46) e A. Melloni, Innocenzo IV, pp. 153-54.
Sugli affreschi dei SS. Quattro Coronati, v. F.W.N. Hugenholtz, The Anagni Frescoes - A Manifesto - A Historical Investigation, "Mededelingen het Nederlands Historisch Instituts te Rome", 41, 1979, pp. 139-72.
J. Mitchell, St. Silvester and Constantine at the SS. Quattro Coronati, in Federico II e l'arte del Duecento italiano. Atti della III settimana di studi di storia dell'arte medievale dell'Università di Roma, II, Galatina 1980, pp. 15-32.
A. Sohn, Bilder als Zeichen der Herrschaft. Die Silvesterkapelle in SS. Quattro Coronati (Rom), "Archivum Historiae Pontificiae", 35, 1997, pp. 7-47 e A. Paravicini Bagliani, Le Chiavi e la Tiara, Roma 1998 (La corte dei papi, 3).
Un'interessante miniatura (conservata in un codice di Trento) raffigurante il pontefice circondato dal suo entourage (cubiculari, templari), è stata segnalata da G. Gerola, La iconografia di Innocenzo IV e lo stemma pontificio, "Archivio della Società Romana di Storia Patria", 52, 1929, pp. 471-84 (riprodotto in I Fieschi tra Papato ed Impero, p. X).
Sul mecenatismo artistico all'epoca di I., v. A. Iacobini, La pittura e le arti suntuarie da Innocenzo III a Innocenzo IV (1198-1254), in Roma nel Duecento: l'arte nella città dei papi da Innocenzo III a Bonifacio VIII, a cura di A.M. Romanini, Torino 1991, pp. 237-319.
Le fonti relative alla costruzione del Palazzo Vaticano sono state rivisitate da A.M. Voci, Nord o Sud? Note per la storia del medioevale palatium apostolicum apud Sanctum Petrum e delle sue cappelle, Città del Vaticano 1992.
Su Sinibaldo-I. giurista, v. soprattutto P.J. Kessler, Untersuchungen über die Novellengesetzgebung Papst Innocenz' IV., pt. I, "Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte", Kanonistische Abteilung, 31, 1942, pp. 142-320; pt. II, ibid., 32, 1943, pp. 300-83; pt. III, ibid., 33, 1944, pp. 56-128.
S. Gagnèr, Studien zur Ideengeschichte der Gesetzgebung, Stockholm 1960, pp. 312-41;
Dictionnaire de droit canonique, VII, Paris 1965, s.v. Sinibalde dei Fieschi.
G. Le Bras, Innocent IV romaniste. Examen de l'Apparatus, Bologna 1967, pp. 305-26.
P. Landau, Neuere Forschungen zu Quellen und Institutionen des klassischen kanonischen Rechts bis zum Liber Sextus. Ergebnisse und Zukunftsperspektiven, in Proceedings of the Seventh International Congress of Medieval Canon Law, Città del Vaticano 1988, pp. 27-47.
Utile repertorio bibliografico sui problemi dei rapporti con l'Impero:
C.A. Willemsen, Bibliographie zur Geschichte Kaiser Friedrichs II. und der letzten Staufer, München 1986.
Per un tentativo di illustrazione generale del problema, v. J.M. Powell, Frederick II and the Church: a Revisionist View, "Church History", 48, 1963, pp. 487-97.
Su I. e i Tartari, v. M. Pelliot, Les Mongols et la Papauté, "Revue de l'Orient Chrétien", 23, 1922-23, pp. 3-30; 24, 1924, pp. 225-335; 28, 1931-32, pp. 3-84.
F. Babinger, Maestro Ruggiero delle Puglie, relatore prepoliano sui Tartari, in Nel VII centenario della nascita di Marco Polo, Venezia 1955, pp. 51-61.
J. Fried, Auf der Suche nach der Wirklichkeit. Die Mongolen und die europäische Erfahrungswissenschaft, "Historische Zeitschrift", 243, 1986, pp. 287-332.
Sulle ambasciate in Oriente ed in Estremo Oriente, inviate da I., v.J. de Plan Carpin, Histoire des Mongols, a cura di J. Becquet-L. Hambis, Paris 1965.
Id., Storia dei Mongoli, a cura di E. Menestò-M.C. Lungarotti, Spoleto 1989.
J.D. Martell, Innocent IV and the Holy Land, Durham 1968.
L. Pisanu, L'attività politica di Innocenzo IV e i Francescani (1243-1254), Roma 1969.
A. Purcell, Papal Crusading Policy 1244-1291, London 1975.
Sulle relazioni tra Roma e Bisanzio, v.A. Franchi, La svolta politico-ecclesiastica tra Roma e Bisanzio (1249-1254). La legazione di Giovanni da Parma. Il ruolo di Federico II, Roma 1981 e J. Richard, La papauté et les missions d'Orient au Moyen Âge (XIIIe-XVe siècle), ivi 1977.
Sulle elezioni vescovili di I., esaminate soprattutto sotto il profilo canonistico, v. K. Ganzer, Papsttum und Bistumbesetzungen in der Zeit von Gregor IX. bis Bonifaz VIII. Ein Beitrag zur Geschichte der päpstlichen Reservationen, Köln-Wien 1968.
Sull'organizzazione della corte papale, v. in generale A. Paravicini Bagliani, La cour des papes au XIIIe siècle, Paris 1995 e Id., La vita quotidiana alla corte dei papi del Duecento, Roma-Bari 1996.
Sull'itinerario di I., v. Id., La mobilità della Curia Romana nel Duecento: riflessi locali, in Società e istituzioni nell'Italia comunale: l'esempio di Perugia (secoli XII-XIV), Perugia 1985, pp. 234-36.
Per la dedica ad I. del De retardatione accidentium senectutis, e sui medici di I., v. Id., Medicina e scienze della natura alla corte dei papi nel Duecento, Spoleto 1991, passim.
Sul tema della nudità del papa, v. Id., Rileggendo i testi sulla nudità del papa, in Re nudi. Congiure, assassini, tracolli ed altri imprevisti nella storia del potere [...], a cura di G.M. Cantarella-F. Santi, ivi 1996, pp. 103-25.