MANGANI, Innocenzo
Nacque a Firenze intorno al 1608; dei suoi genitori sono ignoti i nomi. Susinno, il suo maggiore biografo, informa sulla provenienza fiorentina e sulla formazione giovanile, avvenuta a Roma sotto la guida di F. Du Quesnoy, con telegrafiche e frammentarie notizie.
"Madre di pellegrini ingegni è stata sempre la città di Firenze, mentre dal suo seno in vari tempi sono usciti professori singolari in qualunque genere di virtù. Nacque in essa Innocenzio da stirpe nobile, ma più nobile per le singolari doti che l'adornarono. Portò dalla natura un istinto più che felice all'arti meccaniche, per amore delle quali peregrinò dalla patria a Roma. In quella si formò sotto la cura di Francesco du Quesnoy, detto volgarmente il Fiamengo [(]. Innocenzio sotto la guida di sì gran maestro fece progressi non ordinari, come vedrassi nelle opere sue tutte per altro mirabili" (p. 181).
È probabile che Susinno si riferisse al fatto che il M. era accanto a Du Quesnoy, come allievo, quando questi, nel 1640, era impegnato a lavorare alle statue di marmo di 22 palmi dei pilastroni della tribuna vaticana, poiché nulla è documentato in merito alla sua attività giovanile e soprattutto non esiste alcuna opera certa, del periodo romano, riconducibile al suo nome. Le ultime notizie riguardanti gli anni giovanili, lo danno in fuga da Roma alla volta di Napoli per aver ucciso, in uno scontro, il figlio naturale di un signore romano. Nella città partenopea entrò nella bottega dello scultore e architetto C. Fanzago e con lui, durante la rivoluzione detta di Masaniello, collaborò all'ideazione del monumento marmoreo noto come Epitaffio del mercato, opera rimasta incompiuta, distrutta nell'Ottocento.
Progettato il 13 luglio 1647 per commemorare l'accordo raggiunto con il viceré Rodríguez Ponce de León, duca di Arcos, il monumento doveva includere una base di marmo con scolpiti i privilegi concessi al popolo napoletano e avere, come coronamento, le statue di Filippo IV, del viceré committente e quella del cardinale A. Filomarino. Proprio tra il 1647 e il 1648 il M. fu nominato dal Popolo "ingegnere de' fornelli" (ibid.), per le sue riconosciute doti di scultore, stuccatore e cesellatore.
Terminati i tumulti, Fanzago propose al M. di recarsi in Calabria, a Serra San Bruno, per salvarlo da possibili vendette. In questa sede il M., insieme con l'architetto e scultore napoletano A. Gallo, formatosi con lui presso lo stesso Fanzago, ricevette l'incarico di curare la fusione delle statuette che decoravano la Custodia del Ss. Sacramento nella certosa di S. Stefano del Bosco. Di tale Custodia, riassemblata dopo i danni subiti a causa del terremoto del 1783, si conservano nel duomo di Vibo Valentia alcune statue e putti reggicanestro, molto simili per impostazione e modellato a quelli eseguiti dal M. a Messina, per la cappella del Ss. Sacramento.
L'attività artistica messinese è ampiamente documentata per un arco di tempo che va dal 1653, data del suo arrivo su invito del Senato della città e della Curia arcivescovile, al 1674. Presto, si fece raggiungere dalla moglie Lucrezia Calcagni, figlia di Giacomo, architetto romano con cui molto spesso il M. lavorò. Per la cappella di S. Placido nella tribuna sinistra del duomo, il M. eseguì sei putti in bronzo così ben fatti che ne ebbe un compenso di 250 scudi per ognuno. Fece, inoltre, per la stessa chiesa un tosello d'argento dorato adorno di pietre preziose e di graziosa architettura, per cui si valse dell'aiuto del suocero. Con Calcagni e con I. Buceti collaborò alla realizzazione, nel 1666, di una delle quattro fontane poste all'incrocio tra via Cardines e via Austria, (oggi via 1 settembre), così come riferisce La Farina (p. 100).
Le fontane, eseguite in tempi diversi con fattura tipicamente barocca, furono pesantemente danneggiate dal terremoto del 1908; e solo due vennero successivamente ricollocate nel luogo originario, mentre le rimanenti sono custodite presso il Museo regionale messinese.
Nel 1657 giunse a Messina A. Gallo, con il quale il M. tornò a collaborare, lavorando nella grande cappella del Ss. Crocifisso della chiesa dei padri teatini, che adornarono di putti e angeloni di raffinata manifattura, su disegno di F. Condrò. Ancora insieme i due realizzarono la decorazione a stucco dell'oratorio de' Mercatanti, nella chiesa di Gesù Maria delle Trombe, e nella Ss. Annuniziata de' Teatini il Sarcofago di monsignor S. Carafa, di marmo bigio, ora nel Museo regionale di Messina. Altre statue, angeli e figure allegoriche, provenienti dalla stessa chiesa e conservati nel medesimo museo, possono essere attribuiti a questi stessi autori o a loro diretti seguaci. Il 7 genn. 1653 fu commissionata al M. dalla curia di Messina la Manta d'oro (opera firmata) da porre sotto il baldacchino del duomo come rivestimento per la Madonna della Sacra Lettera.
L'opera, "di oro massiccio, opera del riferito Mangani, il di cui solo metallo pesa 20 libre. Essa è ricchissima di diamanti, rubini, zaffiri, smeraldi, perle ed altre gemme; per essa venne statuito, che tutti i dottorandi della nostra antica Università, dall'aprile 1659 dovessero pagare uno scudo per uno, e ciò durava fino al 1668" (La Farina, p. 100). Conservata ora nel Tesoro del duomo, in particolari giorni di festa la Manta del M. ritorna al proprio posto solitamente occupatao da una copia in argento dorato.
Dagli inventari di Antonio Ruffo principe di Scaletta, risulta che il M. realizzò arredi, utensili dorati e armi (perduti), su sua commissione. Dal testamento, datato 29 sett. 1674, si evince che anche Giacomo Ruffo si avvalse del suo operato per l'esecuzione di ornamenti in stucco in occasione del restauro della chiesa di S. Maria delle Preci a Francavilla. Poco prima che scoppiasse la guerra di Messina del 1674, il M. tornò alla certosa di S. Stefano del Bosco; e quando nel 1678, calmatisi i disordini, sarebbe voluto tornare a Messina, si ammalò gravemente e nella città di Palmi, mentre stava per imbarcarsi, trovò la morte. In quella città ricevette degna sepoltura nella chiesa dei frati della Madonna del Carmine.
Fonti e Bibl.: D. Argananzio, L'occaso luminoso del sole della sapienza. Oratione funerale recitata nel tempio de' reverendi padri dell'Ordine di S. Francesco di Paola nell'esequie del reverendissimo padre Francesco Rosa, Messina 1673, p. 167; F. Susinno, Le vite de' pittori messinesi (1724), a cura di V. Martinelli, Firenze 1960, pp. 181-184; G. Grosso Cacopardo, Guida per la città di Messina, Siracusa 1826, p. 44; G. La Farina, Messina ed i suoi monumenti, Messina 1840, pp. 88-100; G. Grosso Cacopardo, Guida per la città di Messina, Messina 1841, pp. 46, 81, 89; G. Arenaprimo, Per la biografia di I. M.: argentiere scultore ed architetto fiorentino, in Arch. stor. messinese, V (1904), 1-2, pp. 150-157; S. Bottari, Il duomo di Messina, Messina 1929, p. 67; M. Accascina, Profilo dell'architettura a Messina dal 1600 al 1800, Roma 1964, pp. 53, 56, 60 s., 66, 68; Id., Oreficeria di Sicilia, Palermo 1976, pp. 317-329; R. De Gennaro, Per il collezionismo del Seicento in Sicilia: l'inventario di Antonio Ruffo principe della Scaletta, Pisa 2003, pp. 200-203; A. Melani, Diz. dell'arte e delle industrie artistiche illustrato, Milano 1930, p. 488; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 11; L. Sarullo, Diz. degli artisti siciliani, I, Palermo 1993, p. 280; III, ibid. 1994, pp. 201 s.