INNOVAZIONE
Il concetto d'innovazione in economia. - Le conoscenze scientifiche e tecniche costituiscono allo stesso tempo un supporto e un vincolo per l'attività economica: esse concorrono alla determinazione dei beni da produrre e delle loro caratteristiche, nonché dei metodi produttivi da adottare. Lo sviluppo scientifico e tecnologico offre nuove opportunità alle imprese che possono sfruttarle introducendo nell'economia nuovi prodotti e nuovi processi produttivi. In questo processo d'interazione tra scienza ed economia si possono individuare, seguendo la classica distinzione proposta da J. A. Schumpeter, tre momenti: invenzione, innovazione e diffusione.
Per invenzione s'intende l'acquisizione di nuove conoscenze che potrebbero avere applicazioni economiche. A ciò contribuiscono la ricerca di base, che più di frequente viene svolta nelle università e nei laboratori pubblici esterni al mondo dell'economia, e la ricerca applicata che si svolge spesso nei centri di ricerca e sviluppo delle imprese.
Si ha l'i. quando un'impresa decide di sfruttare economicamente tale invenzione introducendo un nuovo metodo produttivo (i. di processo) o un nuovo prodotto (i. di prodotto). Questa fase, che richiede appositi studi relativi allo sviluppo del nuovo processo o prodotto per verificarne la validità tecnica ed economica, implica per l'impresa un rischio connesso all'incertezza sulla validità del prodotto e sulla sua capacità di affermarsi sul mercato. Tale rischio è proporzionalmente minore a seconda che l'i. sia radicale, incrementale o migliorativa (v. Archibugi e Santarelli 1990 per alcuni classici case-studies sull'i.).
Nella terza fase, l'i. introdotta da un'impresa si diffonde alle altre imprese attraverso vari canali: imitazione, incorporazione dell'i. in nuovi beni capitali, concessione di licenze. Il processo d'imitazione è temuto dall'impresa innovatrice perché riduce la posizione di vantaggio temporaneo da essa raggiunta con l'i. favorendo, peraltro, imprese concorrenti che non hanno sostenuto i costi di ricerca e sviluppo del nuovo prodotto (o processo), ma solo quelli d'imitazione. Una certa protezione dal rischio d'imitazione viene dalle difficoltà che le altre imprese incontrano ad accedere alle informazioni necessarie per introdurre l'i., e dal sistema dei brevetti.
La teoria economica ha affrontato il tema dell'i. da diverse angolazioni, sviluppando linee di pensiero almeno in parte alternative. Nell'impostazione neoclassica, l'insieme delle conoscenze scientifiche e tecnologiche è dato, e le imprese scelgono sulla funzione di produzione esistente la combinazione di fattori produttivi che permette di massimizzare i profitti. Un eventuale progresso della scienza viene atemporalmente incorporato nella nuova funzione di produzione. La tecnologia è quindi sostanzialmente esogena rispetto all'economia, e i suoi progressi sono immediatamente noti e disponibili per le imprese. Recenti sviluppi (per es., Dasgupta e Stiglitz 1980) hanno modificato il modello assumendo che le spese per ricerca e sviluppo si determinino in maniera endogena, senza peraltro cambiare sostanzialmente il quadro teorico.
In un primo tempo, Schumpeter condivise con l'impostazione neoclassica l'ipotesi di una netta separazione tra scienza ed economia, ma evidenziò il ruolo dell'imprenditore che ha la capacità di trasformare l'invenzione in innovazione. La categoria degli imprenditori non è considerata omogenea, ma al suo interno si distinguono gli innovatori che sanno percepire e cogliere le opportunità offerte dagli sviluppi della tecnologia, introducendole nel processo produttivo. Secondo tale autore, essi attuano una ''distruzione creativa'' che rompe gli equilibri concorrenziali preesistenti creando temporanee posizioni monopolistiche che vengono successivamente riassorbite. In seguito, Schumpeter (1942) ribalta la sua visione del rapporto economia-tecnologia: l'i. diviene endogena rispetto al sistema economico, in quanto strumento di difesa dalla concorrenza per le grandi corporations che s'impegnano nell'attività di ricerca e sviluppo proprio allo scopo di mantenere le loro posizioni oligopolistiche.
Le teorie schumpeteriane hanno aperto la strada a numerosi campi di ricerca sull'i. tra i quali vanno ricordati il rapporto tra i. e struttura di mercato e quello dell'i. come variabile cruciale del comportamento strategico (e non staticamente ottimizzante) delle imprese. Negli ultimi due decenni si sono sviluppati nuovi filoni di ricerca sull'i. che si pongono in posizione critica rispetto alla teoria neoclassica, riprendendo invece numerosi elementi dell'analisi schumpeteriana. Essi non costituiscono un corpo teorico del tutto omogeneo, ma si distinguono varie posizioni come quelle che fanno riferimento a Nelson e Winter (1982), a Freeman (1982) e ad Amendola e Gaffard (1988). Queste teorie abbandonano le ipotesi dell'impresa che ottimizza razionalmente e dell'informazione liberamente disponibile riguardo alla tecnologia, per descrivere invece l'i. come un processo che si svolge in condizioni d'incertezza, con soggetti economici che evolvono dinamicamente mediante meccanismi di apprendimento, ricerca e selezione. Per es., secondo l'impostazione cosiddetta ''evolutiva'', l'impresa opera all'interno di un ''paradigma tecnologico'', cioè di un insieme di principi scientifici, tecnologici, conoscitivi e di ricerca che sono dati in un certo periodo. In tale ambito, l'impresa segue una ''traiettoria tecnologica'', vale a dire un cammino in cui le variabili tecniche e quelle economiche interagiscono in un processo sequenziale di apprendimento e di elaborazione del patrimonio tecnologico. L'i. risulta perciò come un fenomeno selettivo, cumulativo e con una forte dimensione temporale e locale rispetto a ciascuna impresa. L'affermarsi di un nuovo paradigma tecnologico muta il quadro di riferimento scientifico dell'impresa in seguito all'apparizione di i. radicali (Dosi 1988).
Restano, infine, da considerare i molteplici effetti che l'i. ha sul sistema economico, nonché le relative problematiche di politica economica. L'i. può, infatti, esercitare un'azione pervasiva sia a livello microeconomico (mutamento della struttura industriale, sviluppo di nuovi mercati, aumento della produttività) sia dal punto di vista aggregato (disoccupazione tecnologica, ciclo economico, aumento di competitività sul piano internazionale). Divengono, quindi, rilevanti le politiche pubbliche che si possono adottare per favorire il processo innovativo. Esse vengono attuate utilizzando una serie di strumenti che agiscono sulle diverse fasi dell'i.: il sostegno dell'attività di ricerca, lo stimolo alla diffusione di nuove tecnologie, il finanziamento degli investimenti necessari per l'i. e le politiche di domanda pubblica.
Bibl.: J. A. Schumpeter, Capitalism, socialism, and democracy, New York 1942 (trad. it., Milano 1977); P. D. Dasgupta, J. E. Stiglitz, Industrial structure and the nature of innovative activity, in Economic Journal, giugno 1980, pp. 266-93; C. Freeman, The economics of industrial innovation, Londra 19822; M. I. Kamien, N. L. Schwartz, Market structure and innovation, Cambridge (Mass.) 1982; R. Nelson, S. Winter, An evolutionary theory of economic change, ivi 1982; N. Rosenberg, Inside the black box: technology and economics, Cambridge 1982; National Science Foundation, The process of technological innovation: reviewing the literature, Washington 1983; P. Stoneman, The economic analysis of technological change, Oxford 1983; Innovation diffusion, a cura di L. Bianchi, M. Rispoli, in Ricerche Economiche, numero speciale, 1986; M. Amendola, J. L. Gaffard, The innovative choice: an economic analysis of the dynamics of technology, Oxford 1988; G. Dosi, Sources, procedures and microeconomic effects of innovation, in Journal of Economic Literature, settembre 1988, pp. 1120-71; ISTAT, Indagine statistica sull'innovazione tecnologica nell'industria italiana, Notiziario, dicembre 1988; Innovazione e progresso tecnico, a cura di M. Amendola, Bologna 1990; Cambiamento tecnologico e sviluppo industriale, a cura di D. Archibugi, E. Santarelli, Milano 1990; J. L. Gaffard, Innovations et changements structurels: revue critique de l'analyse économique moderne de l'innovation et des changements structurels, in Revue d'Economie Politique, maggio-giugno 1990, pp. 325-82.
Innovazione finanziaria. - L'i. finanziaria di un paese esprime il naturale processo di adeguamento della struttura finanziaria alle mutevoli esigenze degli operatori economici. Essa si manifesta attraverso la creazione di nuovi strumenti, mercati e intermediari, al fine di realizzare efficienti canali di trasmissione del risparmio al finanziamento degli investimenti. Varie sono le determinanti dell'accelerazione che si è registrata negli ultimi anni nel processo d'i. in campo finanziario, ma tre sembrano essere le principali: a) l'accresciuta incertezza sull'andamento delle variabili finanziarie; b) le modifiche intervenute nella regolamentazione dei mercati finanziari; c) l'applicazione in ambito finanziario delle tecnologie informatiche e telematiche.
L'aumento dell'incertezza sull'andamento delle variabili finanziarie e, più in generale, economiche è esso stesso determinato da forze sia reali (si pensi agli shock e al controshock petrolifero degli anni Settanta e Ottanta e ai loro effetti in termini di variazioni dell'inflazione e del livello e della variabilità dei tassi nominali) sia finanziarie (l'abbandono del sistema di Bretton Woods, per es., ha dato l'avvio, se si esclude l'area del Sistema monetario europeo, a un periodo di forte instabilità dei tassi di cambio).
L'accresciuta volatilità dei due fondamentali prezzi in campo finanziario − il tasso d'interesse e il tasso di cambio − ha esposto gli operatori, e in particolare le istituzioni finanziarie, a rischi d'intensità che non hanno avuto precedenti in questi ultimi anni. Ciò ha stimolato la ricerca di forme di copertura di questi rischi; gran parte delle i. finanziarie traggono origine proprio dall'esigenza di amministrare, nel modo più efficiente possibile, questi rischi, e di consentirne il trasferimento tra gli operatori.
La diffusione di i. finanziarie quali i financial futures, le opzioni, gli swaps (cioè tre tipi di contratti) ha permesso in effetti la creazione di mercati per ciascun tipo di rischio nei quali gli operatori possono modificare la propria esposizione ai singoli rischi acquistandoli o vendendoli ai rispettivi prezzi di mercato. La possibilità di trasferire i rischi tra gli operatori consente una loro distribuzione più bilanciata e meglio rispondente alle preferenze dei singoli operatori.
Tutti e tre i tipi di contratti sopracitati sono infatti tipici strumenti di gestione del rischio di tasso e di cambio. Con i financial futures, per es., le parti pongono in essere la transazione di una determinata quantità di uno specifico strumento finanziario che verrà consegnato a data e prezzo determinati; le opzioni, invece, consentono di scomporre il rischio relativo a una specifica attività finanziaria e di predeterminare la perdita massima cui l'investitore è soggetto (a quest'ultimo, inoltre, è lasciata la facoltà di accettare o non accettare entro un termine prestabilito l'operazione); i contratti swap indicano una combinazione di operazioni a pronti e a termine che è molto simile al riporto e con la quale le controparti s'impegnano a scambiarsi nel tempo flussi di pagamento secondo regole predeterminate.
Le modifiche intervenute in anni recenti alla regolamentazione dei mercati finanziari, e il conseguente aumento della concorrenza, costituiscono una seconda importante determinante dell'i. finanziaria. Le modifiche di regolamentazione sono intervenute a vari livelli.
In primo luogo, l'abbandono da parte di molti paesi dei controlli sui movimenti di capitali con l'estero ha fornito lo stimolo all'internazionalizza zione dei mercati e alla più rapida diffusione delle i. in origine sviluppatesi in un particolare mercato. In secondo luogo, si è assistito all'attenuarsi dei vincoli istituzionali che segmentavano l'attività delle diverse tipologie di intermediari: si pensi per es. alla distinzione, sempre meno netta, tra l'attività condotta dalle banche commerciali e quella svolta dalle banche d'investimento negli Stati Uniti. In terzo luogo, si è assistito all'entrata nel settore dell'intermediazione finanziaria di operatori tradizionalmente esterni al settore finanziario che, sfruttando posizioni di vantaggio determinate dalla non applicazione nei loro confronti della regolamentazione gravante sugli intermediari finanziari tradizionali, si sono dimostrati competitivi rispetto a questi ultimi, per es. nella raccolta dei depositi presso la piccola clientela e nelle restanti attività che solitamente caratterizzano l'operatività delle banche commerciali (ciò che viene chiamato retail banking).
A ciascuno dei livelli descritti, il diverso assetto istituzionale che si è sviluppato ha determinato un aumento del grado di concorrenza: tra intermediari tradizionalmente operanti in diversi mercati nazionali, tra intermediari tradizionalmente operanti in diversi segmenti all'interno dello stesso mercato nazionale e, infine, anche tra intermediari finanziari e operatori tradizionalmente esterni al settore finanziario. Questo aumento della concorrenza, insieme all'attenuarsi delle barriere precedentemente esistenti tra mercati e tra intermediari, ha costituito un importante stimolo allo sviluppo e alla diffusione dei prodotti finanziari innovativi.
Infine, il terzo importante fattore di stimolo all'i. finanziaria è costituito dall'applicazione sempre più intensiva ai mercati finanziari delle tecnologie di elaborazione e di trasmissione elettronica delle informazioni. In primo luogo, le moderne tecnologie telematiche hanno consentito la disseminazione in tempo reale e a costi contenuti di enormi quantità di informazioni sull'andamento dei mercati finanziari e delle quotazioni dei singoli titoli. Ciò ha fornito lo stimolo decisivo alla cosiddetta globalizzazione dei mercati, mettendo in condizione operatori geograficamente molto lontani di disporre di insiemi di informazioni omogenei. Inoltre, la moderna tecnologia ha permesso lo sviluppo dei mercati telematici, in cui non solo le informazioni sulle quotazioni dei titoli, ma le stesse transazioni possono avvenire in via telematica trasmettendo gli ordini attraverso apposite reti di terminali. Infine, una parte delle transazioni oggi effettuate sui mercati è posta in opera da elaboratori elettronici, nel senso che gli stessi elaboratori, sulla base delle informazioni ricevute sulle quotazioni dei diversi strumenti finanziari e dei programmi loro impartiti, sono in grado d'indicare le transazioni da effettuare (il cosiddetto program trading).
Bibl.: Financial innovation, a cura di W. L. Silber, Lexington 1975; Bank of England, The nature and implications of financial innovation, in Quarterly bulletin, settembre 1983, pp. 358-62; W. L. Silber, The process of financial innovation, in American economic review, maggio 1983, pp. 89-95; F. Cotula, Innovazione finanziaria e controllo monetario, in Moneta e credito, marzo 1984, pp. 17-75; R. Ruozi, L'innovazione finanziaria: aspetti teorici, modalità di creazione e di diffusione, in Finanza, marketing e produzione, 4 (1985), pp. 25-40; J. C. Van Horne, On financial innovations and excesses, in The journal of finance, 3 (1985), pp. 621-31; I. Cooper, Innovations: new market instruments, in Oxford review of economic policy, ii, 4 (1986), pp. 1-17; M. De Cecco, L'innovazione finanziaria e teoria moderna, in Note economiche, 3-4 (1986), pp. 167-78; A. B. Frankel, L. C. Mann, A framework for analyzing the process of financial innovation, in Discussion papers, 283, Washington 1986; C. Goodhart, Financial innovation and monetary control, in Oxford review of economic policy, ii, 4 (1986), pp. 79-101; T. M. Podolski, Financial innovation and the money supply, Oxford 1986; L'innovazione finanziaria in Italia, a cura di S. Preda, Milano 1986; L'innovazione finanziaria. Aspetti teorici, origini e diffusione, a cura di A. Carretta, I. Basile, L. Munari, ivi 1987; A. Niccoli, L'innovazione finanziaria, Roma 1989; F. Cesarano, Financial innovation and demand for money: some empirical evidence, in Applied Economics, 10 (1990), pp. 1437-42; Financial innovation, a cura di H. Cavanna, Londra 1992.
Innovazione tecnologica : v. ricerca scientifica, in questa Appendice.