INQUINAMENTO
(v. inquinamento atmosferico, App. III, I, p. 884; inquinamento, App. IV, II, p. 203)
Sino a oggi gli effetti dell'i. sono stati considerati soprattutto a livello locale, in particolare nelle città o nelle zone industriali; oggi, di fronte al manifestarsi di alcuni fenomeni con effetto a livello planetario, si è messo in evidenza come l'i. non possa essere considerato solo per i suoi effetti locali ma anche per quelli globali che, per la loro stessa natura, richiedono un impegno e un accordo dei governi di tutti gli stati. Questo spiega le numerose conferenze sugli specifici problemi dell'ambiente svoltesi recentemente, con la partecipazione di tutte le nazioni del mondo.
In passato, per fare fronte ai danni locali dell'i. atmosferico, ci si limitava ad aumentare l'altezza delle ciminiere e dei camini come misura sufficiente ad allontanare dalla zona le emissioni pericolose; oggi si è dimostrato che questo sistema non rappresenta che un trasferimento dell'i. ad altre zone della superficie terrestre con gravi conseguenze, anche perché le sostanze inquinanti subiscono nell'atmosfera una serie di reazioni chimiche e fotochimiche che possono modificare la loro natura e renderle anche più pericolose e aggressive, come nel caso delle deposizioni acide.
Le fonti più importanti dell'i. dovuto all'uomo sono le attività industriali, la produzione di energia, i prodotti risultanti dalle attività umane nelle città, i trasporti, l'agricoltura e la zootecnica. In questo quadro si sono manifestate recentemente sostanziali modificazioni qualitative e quantitative. Si può dire che l'i. dell'ambiente sia il risultato dell'incapacità dell'uomo di gestire in modo adeguato lo smaltimento dei rifiuti e delle scorie che egli stesso produce attraverso le sue molteplici attività. Questa incapacità va attribuita a fattori culturali, tecnici ma soprattutto economici, caratterizzati negli ultimi cento anni da uno sviluppo eccezionale dell'attività dell'uomo nel campo industriale e dei trasporti, in parallelo con l'aumento della popolazione mondiale che ha largamente favorito la formazione di grandi aggregati urbani e di vere e proprie megalopoli in cui la concentrazione incontrollata dei rifiuti supera spesso le capacità di autopurificazione dei cicli biogeochimici naturali che regolano i processi ambientali e le possibilità delle tecnologie adottate per lo smaltimento.
L'industria, inoltre, ha prodotto negli ultimi anni un certo numero di sostanze di sintesi (pesticidi, intermedi industriali, ecc.) che sono state disperse nell'ambiente. Alcune di queste vengono biodegradate e rientrano nei comuni cicli biologici; altre invece, che per le loro caratteristiche sono difficilmente biodegradabili (le cosiddette sostanze xenobiotiche, ''estranee all'ambiente''), sono oggi diffuse e disperse su tutta la superficie terrestre. Spesso tali sostanze entrano nei cicli biologici senza subire sostanziali modificazioni chimiche, causando notevoli preoccupazioni per i loro effetti nocivi sul mondo vivente e, in particolare, sulla salute umana.
Effetti globali dell'inquinamento. − Negli ultimi vent'anni una serie di osservazioni e di constatazioni ha potuto stabilire che gli effetti dell'i. investono tutto il pianeta, con conseguenze che si cerca ancora di valutare e che potrebbero modificare profondamente le generali condizioni di vita. Gli effetti globali più preoccupanti sono l'aumento delle emissioni di anidride carbonica e di altri gas che provocano il cosiddetto ''effetto serra'', l'impoverimento dello strato di ozono stratosferico e la dispersione nella biosfera di migliaia di sostanze chimiche sia minerali che organiche.
Aumento della percentuale di anidride carbonica nell'atmosfera ed effetto serra. Conseguenze sul clima. − È noto che l'anidride carbonica, CO2, rappresenta l'ultimo stadio dell'ossidazione delle sostanze contenenti carbonio (sostanze fossili: gas naturali, petroli, carboni; materie prime naturali: legno, biomasse vegetali, ecc.). L'uomo, oltre che nel suo metabolismo, utilizza le reazioni di combustione delle sostanze contenenti carbonio per la propulsione delle automobili e degli aeromobili, e per produrre energia termica (da convertire anche in energia elettrica) da utilizzare per il riscaldamento, per la cottura dei cibi e soprattutto per la produzione industriale. Tutti questi processi implicano immissioni di anidride carbonica nell'atmosfera, alle quali si aggiungono quelle dei vulcani e quelle prodotte negli incendi delle foreste. Le quantità calcolate delle immissioni di anidride carbonica nell'atmosfera si aggirano annualmente intorno a 5 gigatonnellate.
Per secoli la composizione media dell'aria è stata costante e la percentuale di anidride carbonica si è mantenuta intorno allo 0,30% in quanto regolata da un meccanismo naturale, la sintesi clorofilliana delle piante verdi, e dagli equilibri chimico-fisici tra anidride carbonica e acque superficiali (soprattutto dei mari). La sintesi clorofilliana realizza per azione fotochimica la fissazione dell'anidride carbonica atmosferica che costituisce il termine essenziale del ciclo del carbonio. La dissoluzione dell'anidride carbonica nell'acqua dei mari rappresenta l'altro sistema per fissare l'anidride carbonica, che può trasformarsi prima in carbonati acidi e quindi in carbonati, insolubili, che precipitano sul fondo, mentre in parte viene fissata dal plancton, per mezzo della sintesi clorofilliana.
Questi meccanismi naturali oggi, di fronte a un eccesso di produzione dell'anidride carbonica legata alle crescenti attività antropiche, non risultano più sufficienti a mantenere costante la percentuale di anidride carbonica nell'aria, cosicché, attraverso una serie di osservazioni protratte negli ultimi 30 anni, si è notato un aumento continuo, come risulta dai grafici delle misure rilevate a Mauna Loa nelle Hawaii. Tale aumento porta di conseguenza, per la capacità delle molecole di anidride carbonica di assorbire la radiazione termica, a un prevedibile aumento della temperatura sulla superficie terrestre. Oltre all'anidride carbonica hanno le stesse proprietà di trattenere la radiazione termica anche altri gas la cui presenza nell'atmosfera è in continuo aumento, quali il metano (CH4) proveniente da fermentazioni naturali, e gli ossidi di azoto (NOx) che si formano soprattutto nei motori.
La sensibilizzazione del pubblico al problema ha messo in allarme anche i governi, ma dato che non tutti gli scienziati convengono su una prognosi così severa, non è stato ancora possibile delineare una strategia comune e concertata di tutte le nazioni per far fronte a livello planetario a un problema estremamente complesso e di difficile soluzione pratica. C'è da tener conto, infatti, che sul clima hanno notevole importanza anche le materie particolate in sospensione nell'atmosfera, di origine sia naturale che antropica (vulcani, polveri sollevate dai venti, particelle prodotte da attività industriali, ecc.). Queste particelle hanno sulla temperatura della terra un effetto opposto a quello dei gas di serra, in quanto riducono la quantità di radiazione solare che giunge sulla superficie terrestre. Malgrado lo studio accurato di questi dati non è stato ancora possibile, in base a modelli matematici, formulare una previsione attendibile del loro effetto sul clima.
Per contenere l'aumento di anidride carbonica nell'atmosfera e, quindi, allontanare le conseguenze di un cambiamento di clima sulla terra non è facile pianificare una soluzione, che, d'altra parte, dovrebbe venire accettata da tutti gli stati del mondo o almeno dai paesi più industrializzati, e sicuramente comporterebbe pesanti sacrifici e notevoli impegni finanziari.
Dal punto di vista teorico sussistono ancora dubbi sulle reali conseguenze che, su un sistema molto complesso come quello dell'atmosfera, avrebbe un aumento del contenuto di anidride carbonica; da ciò deriva una certa riluttanza ad affrontare soluzioni impegnative. D'altra parte, se le previsioni oggi prevalenti sono esatte, sarebbe necessario fin d'ora attuare provvedimenti tendenti a ridurre le immissioni industriali di anidride carbonica. Non esiste tuttavia un sistema valido per abbattere per via chimica l'anidride carbonica: esso produrrebbe montagne di scorie e sarebbe inattuabile per l'elevatissimo costo economico. Attualmente, fonti alternative di energia di grande potenza sono costituite solo dalle centrali nucleari, che in alcuni paesi sollevano una serie di perplessità per motivi di sicurezza, acuite negli ultimi anni dall'incidente di Černobyl; ciononostante, già oggi sono in funzione in varie nazioni ben 450 centrali nucleari che consentono di produrre energia senza immettere CO2 nell'atmosfera. Il risparmio energetico e soprattutto la razionalizzazione dei processi di produzione nelle industrie potrebbero inoltre portare notevoli benefici riducendo i consumi, ma va considerato che lo sviluppo richiede sempre nuove quantità di energia. Energia eolica e solare, utilizzazione delle maree sono certamente fonti alternative valide, ma possono coprire solo molto marginalmente, insieme all'energia idroelettrica, il fabbisogno energetico crescente di un'umanità che va rapidamente avviandosi verso il suo raddoppio.
Impoverimento dello strato di ozono stratosferico. − È noto che nella stratosfera tra i 15 e i 20 km di altezza si trova uno strato di ozono, O3, che assorbe gran parte delle radiazioni ultraviolette del sole, proteggendo tutte le forme di vita sulla terra da mutazioni.
D. W. Lovelock nel 1973 ha messo in evidenza la presenza di CCl3F nella stratosfera sia dell'emisfero settentrionale che di quello australe. Nel 1974 M. Molina e F.S. Rowland hanno riferito, come poi confermato da vari altri autori, che i clorofluorocarburi (CFC) possono subire nella stratosfera una fotodissociazione che porta alla liberazione di cloro allo stato atomico. Il cloro atomico reagisce quindi con l'ozono formando ossigeno e anidride ipoclorosa, ClO; questa a sua volta reagisce con l'ossigeno atomico, comune componente dell'alta atmosfera, per dare origine a un altro atomo di cloro e a una molecola di ossigeno:
Egualmente l'anidride ipoclorosa può combinarsi con l'ossido di azoto per dare luogo a cloro atomico e biossido d'azoto:
ClO + NO → Cl + NO2
In definitiva si ha una serie di reazioni a catena che porta alla distruzione progressiva dell'ozono stratosferico. Va osservato che se i CFC sono responsabili di questa reazione, è il cloro atomico che si forma dalla loro fotolisi l'agente che innesca la reazione a catena. La concentrazione dei CFC nella stratosfera è in continuo aumento, e si calcola che in questi anni l'immissione nell'atmosfera di CFC si aggiri annualmente sulle 270.000 t.
I clorofluorocarburi (v. in questa Appendice) vengono oggi prodotti industrialmente in notevoli quantità per il loro impiego nei frigoriferi, nell'industria della produzione del freddo, nella lavorazione di polimeri espansi (polistirene) e come gas propellenti nelle bombolette a spruzzo (spray) per aerosol largamente diffuse per le più diverse applicazioni. Le previsioni calcolate in base alla produzione annua mondiale indicano che nei prossimi anni, qualora non si limiti il loro impiego, si potrebbero avere nella stratosfera concentrazioni tali da compromettere gravemente la stabilità dello strato di ozono.
Attualmente sono a disposizione metodi di misura della distribuzione verticale di ozono molto precisi con strumentazione situata a terra (spettrometro Dobson che misura la penetrazione della radiazione ultravioletta tra 300÷320 nm), oppure su un satellite orbitante che misura la radiazione ultravioletta diffusa che viene riflessa nello spazio (BUV); tale rilevazione viene realizzata con i satelliti meteorologici Nimbus. Recentemente sono stati impiegati anche strumenti montati su sonde e su aerei ad alta quota per l'esame della concentrazione dello strato di ozono in corrispondenza dell'Antartide.
Oltre alle conseguenze sulle varie forme di vita, l'impoverimento dello strato di ozono può influenzare la temperatura della stratosfera tra i 40 e 50 km, il che a sua volta potrebbe alterare il clima terrestre in modo da contrastare l'innalzamento di temperatura dovuto all'aumento di CO2 e degli altri gas responsabili dell'effetto serra. Tuttavia la presenza di numerose altre molecole nell'alta atmosfera rende difficile l'impostazione di modelli matematici e quindi impedisce di fare previsioni attendibili. Inoltre la capacità del legame C-F di assorbire anche la radiazione infrarossa fa sì che la presenza di CFC nell'atmosfera, come pure quella di molecole di acqua, contribuisca ad aumentare l'effetto serra.
I risultati emersi con le analisi dello strato di ozono sull'Antartide hanno messo in rilievo l'esistenza di zone dove l'ozono è carente. Questi risultati, confermati peraltro da misure effettuate a diverse latitudini sulla rarefazione dell'ozono nella stratosfera, hanno provocato notevole allarme nell'opinione pubblica internazionale per i gravi danni che le radiazioni ultraviolette della lunghezza d'onda tra 295 e 320 nm, ormai solo parzialmente schermate, possono causare a numerosi sistemi biologici (nell'uomo possono provocare un aumento dei tumori della pelle). Queste preoccupazioni hanno portato vari stati a indire nel 1987 una riunione a livello intergovernativo a Montreal con la conseguente decisione di ridurre del 20% (rispetto ai consumi del 1986) i CFC a partire dal luglio 1994 e del 50% a partire dal luglio 1998. Nel marzo 1989 si è tenuta a Londra una nuova conferenza alla quale hanno partecipato tutti gli stati industrializzati e in via di sviluppo; è stata confermata l'urgenza di provvedimenti per ridurre il fenomeno dell'impoverimento dello strato di ozono, cioè la necessità di una rapida diminuzione della produzione dei CFC e anche di alcuni nuovi composti, i bromofluorometani, noti anche come ''aloni'', anticipando le due scadenze del Protocollo di Montreal al 1993 e al 1995, e fissando una riduzione dell'85% nel 1997 e una totale cessazione d'impiego entro il 2000.
Contaminazione chimica dell'ambiente. − Indipendentemente dalle emissioni di anidride carbonica, di anidride solforosa, di ossidi di azoto, di materiale particolato con i conseguenti effetti d'i. sia locali che regionali e, soprattutto, globali, l'ambiente in tutto il mondo è minacciato dalla presenza di circa 60.000 prodotti chimici e da un numero imprecisato di sostanze che si formano nelle combustioni di materiali. Il pericolo presentato da queste sostanze disperse nell'ambiente risiede nella loro capacità d'interferire sui processi biologici di piante e animali, costituendo pericolo anche per l'uomo quando si verifichino processi naturali di concentrazione di sostanze tossiche, come per es. la concentrazione di mercurio nei pesci sotto forma di metilmercurio.
Gli inquinanti principali sono: pesticidi, fertilizzanti, prodotti del traffico di autoveicoli, prodotti dell'estrazione e delle raffinerie del petrolio, rifiuti tossici industriali. Si calcola, inoltre, che la quantità di materiale particellato emesso ogni anno per attività antropiche ammonti a circa 400 milioni di t, mentre le emissioni naturali, soprattutto vulcaniche, raggiungono i 3000 milioni. Il trasporto del petrolio e le raffinerie sono causa di un i. nei mari, come pure l'estrazione del petrolio dai fondi marini (piattaforme). L'asbesto, largamente utilizzato, per es. nei freni degli autoveicoli, e di cui ora si è compresa la pericolosità in relazione alla sua azione cancerogena, costituisce ancor oggi un pericoloso contaminante dell'aria. Tra i fertilizzanti, l'uso dei fosfati comporta la presenza di cadmio e di uranio, che possono contaminare la catena alimentare.
Ai processi di dispersione di queste sostanze nell'ambiente spesso conseguono quelli di concentrazione biologica attraverso la catena alimentare, come nel caso di alcuni idrocarburi clorurati e del mercurio. Pertanto, data la potenziale pericolosità (per l'uomo, per la flora, per la fauna e per gli ecosistemi in genere) di molte sostanze, s'impone in tutto il mondo un sistema di sorveglianza basato sull'analisi continua e sistematica di campioni. Per studiare il pericolo che queste sostanze rappresentano per l'ambiente è sorta un'apposita disciplina denominata ''ecotossicologia'' (v. in questa Appendice) che valuta il loro impatto sugli ecosistemi.
La diffusione di queste sostanze nell'ambiente può avvenire per effetto degli spostamenti del mezzo in cui esse sono presenti. Così nel caso dell'atmosfera si può, in base a dati meteorologici e modelli matematici, prevedere in quali aree avverrà principalmente questa diffusione. Lo stesso può realizzarsi nel caso degli oceani se si tiene conto dei movimenti delle correnti. Va inoltre tenuto presente che, a seconda della loro solubilità, le sostanze possono subire un diverso destino nell'atmosfera e nell'acqua, e che le sostanze chimiche possono a loro volta passare dalle acque nell'atmosfera in base alla loro tensione di vapore e quindi ricadere per deposizione sui mari o sulla terra. Nel suolo i prodotti chimici possono seguire diverse fasi di adsorbimento e distribuzione, e ritrovarsi anche nelle falde freatiche e nelle sorgenti (e quindi nelle acque per uso potabile, con pericolo e danno per le popolazioni).
A parte la meccanica del trasporto, fra i principali processi che possono subire le sostanze chimiche vanno considerati, nel quadro di una valutazione dell'impatto globale, le biotrasformazioni indotte da sistemi viventi (dai microrganismi alle piante superiori), i fenomeni che avvengono nei vari stadi della catena alimentare e le bioaccumulazioni dovute, oltre che alla catena alimentare, alle proprietà chimicofisiche delle singole sostanze (lipofile o idrofile). Quest'ultimo aspetto è particolarmente delicato nel caso dei radionuclidi nei mari e impone un continuo controllo di alcune componenti del plancton.
Effetti regionali dell'inquinamento. − Un esempio di ciò che s'intende per i. regionale è quello del trasporto di contaminanti da parte di fiumi a lungo percorso, come nel caso del Reno e del Danubio. L'esempio del Reno è meglio conosciuto. Esso, attraversando la Svizzera e la Germania, e sboccando in Olanda, raccoglie non solo i rifiuti biologici di un vastissimo bacino ma altresì scarichi industriali che vanno dai metalli (arsenico, mercurio, cadmio, piombo, rame e zinco) a sostanze organiche di ogni genere (oli minerali, sottoprodotti dell'industria chimica organica, ecc.); tutto ciò pone ovviamente gravi problemi all'Olanda. Ma tra i fenomeni che interessano gruppi di paesi, quello dell'acidità atmosferica e delle conseguenti deposizioni acide è di gran lunga il più rilevante.
Acidità atmosferica. − L'aumento dell'acidità atmosferica è in relazione diretta con l'attività antropica e soprattutto con lo sviluppo dell'industria, dei trasporti, della produzione di energia e delle stesse attività degli insediamenti umani. L'i. atmosferico dovuto alle emissioni da fonti industriali e di energia fino a pochi anni fa veniva risolto costruendo ciminiere molto alte, facilitando così la diluizione e la dispersione dei fumi. In tal modo però l'i. locale veniva trasferito nell'atmosfera dove i vari inquinanti subivano una serie di trasformazioni e quindi erano trasportati dalle correnti e dai venti a grandi distanze dove potevano depositarsi sotto forma sia di piogge, grandine o neve che di gas o di aereosol. Gli inquinanti da fonte industriale che hanno influenza sull'acidità atmosferica sono l'anidride solforosa, SO2, gli ossidi di azoto, NOX, l'acido cloridrico, HCl; ma anche il materiale particolato (particelle carboniose e metalli in traccia in sospensione, ecc.) deve essere preso in considerazione. Un altro contaminante che contribuisce all'acidità atmosferica è lo ione ammonio NH4+ formato dall'ammoniaca emessa dai terreni agrari e da rifiuti organici in decomposizione. Tutte queste sostanze nell'atmosfera, sotto l'influenza di radiazioni solari e in presenza di materiale particolato che favorisce cataliticamente le reazioni, possono formare prodotti a elevata acidità e aggressività.
Il principale inquinante proveniente da tutte le combustioni, in quanto nei combustibili fossili sono sempre presenti in diversa percentuale composti solforati, è l'anidride solforosa (SO2) che nell'atmosfera, sotto l'influenza della luce solare, ha la capacità, attraverso una serie di reazioni, di formare ione solfato.
Egualmente nella troposfera avviene l'ossidazione dell'ossido di azoto (NO) a biossido d'azoto (NO2), in presenza di radicali perossido. Gli acidi forti che così si formano possono reagire nella troposfera con ammoniaca per dare origine a sali di ammonio.
A questo punto queste specie chimiche risultanti dalle reazioni nella troposfera possono ricadere sulla superficie terrestre sotto forma di deposizioni umide o di deposizioni secche.
Deposizioni umide si hanno quando le sostanze chimiche si trasferiscono sulla superficie terrestre con la pioggia, la neve o la grandine, mentre deposizioni secche si hanno quando i gas vengono assorbiti direttamente dalla vegetazione del suolo o dalle acque superficiali.
Le deposizioni acide avvengono generalmente in luoghi molto lontani da quelli delle emissioni: per es. quelle delle industrie britanniche, per effetto dei venti, ricadono soprattutto nella Scandinavia, quelle del Belgio e della zona della Ruhr vengono egualmente trasportate verso nord e ricadono nel nord Europa ma anche sulla stessa Germania. Le emissioni dei bacini minerari e dei centri industriali della Slesia e di Cracovia ricadono nell'Europa centrale. Nel continente nordamericano le emissioni delle zone più industrializzate della Pennsylvania ricadono sulla costa orientale degli Stati Uniti e del Canada.
Effetti delle deposizioni acide. − Le ricadute acide possono danneggiare la vegetazione, turbare l'equilibrio delle acque superficiali (soprattutto dei laghi) e causare gravi inconvenienti alle costruzioni, ai manufatti (ponti e strade) e al patrimonio artistico (monumenti). I laghi costituiscono un'importante riserva di acqua dolce per l'uomo e un ecosistema in cui numerose specie animali e vegetali si sviluppano in un equilibrio dinamico. Va subito premesso che i laghi più soggetti ad alterazioni da deposizioni acide sono quelli situati in zone prive di rocce calcaree − che hanno la proprietà di neutralizzare l'eccesso di acidità −, e cioè soprattutto i laghi della Scandinavia.
Il danno di queste deposizioni sulla vita acquatica è sia diretto che indiretto. La diminuzione del pH dell'acqua, con il connesso aumento di acidità, può indurre variazione nei rapporti tra i vari componenti degli ecosistemi. La capacità di degradazione delle materie organiche viene diminuita e si hanno variazioni anche nella composizione delle specie invertebrate presenti nelle acque lacustri e che, nella catena alimentare, rientrano nell'alimentazione dei pesci. Ricordiamo infatti che al di sotto di pH di 4,5 non vi è possibilità di vita per crostacei, lumache o molluschi. Naturalmente questo si ripercuote sugli animali che vivono dei prodotti del lago. Il danno indiretto delle deposizioni acide è rappresentato dalla mobilizzazione dal terreno di ioni alluminio, tossici per la vita animale e causa frequente della morte dei pesci e di altre specie animali.
Un aspetto particolare delle deposizioni acide è rappresentato dagli effetti sulla vegetazione e soprattutto sulle foreste. Gravissimi effetti sulle foreste si sono manifestati in Europa (Germania, Svezia, Europa centrale): la distruzione di un gran numero di conifere in alcune zone viene attribuita alle deposizioni acide che agiscono negativamente sulle piante sia a livello foliare che a livello del suolo, danneggiando le radici. Anche se le deposizioni acide sono state riconosciute come la causa prima del declino delle foreste in Europa e nell'America Settentrionale, il loro meccanismo di azione è ancora oscuro. Oltre al danno alla pianta prodotto dalla deposizione acida, si deve considerare l'effetto che un'aumentata acidità ha sul terreno, con le possibili modificazioni dell'humus e la liberazione di ioni (come lo ione alluminio) tossici per la vegetazione. Non si esclude nemmeno che le deposizioni acide colpiscano piante già debilitate da infestazioni di parassiti o da malattie. In Europa i danni alle foreste erano valutati nel 1979 intorno al 3%; oggi superano in alcuni stati il 50% per talune specie di alberi. Si comprende come tutto ciò sia causa di gravi preoccupazioni e di tentativi di ridurre le deposizioni acide, cosa non facile in quanto esse provengono spesso da stati limitrofi, il che renderebbe necessario un accordo a livello internazionale.
Inquinamenti locali. − L'aumento delle attività industriali e dei trasporti e la concentrazione delle popolazioni in aree urbane sempre più vaste verificatisi in questi ultimi tempi hanno in gran parte vanificato i tentativi a livello sia tecnico sia normativo di ridurre l'i. in aree ad alta densità abitativa; ancora oggi infatti non si scorgono tangibili segni di miglioramento nella qualità dell'ambiente, specie laddove si verificano condizioni meteorologiche avverse.
Il costo di un razionale smaltimento degli inquinanti, d'altra parte, si va facendo oltremodo elevato, per cui è indispensabile affrontare il problema con nuovi criteri, passando da una politica d'intervento per riparare i danni a quella di prevenirli impostando nuove soluzioni. Questo sarà possibile apportando mutamenti nei cicli produttivi industriali e nella produzione di energia; adottando norme più severe per la motorizzazione (si veda l'esempio dato da Los Angeles con l'adozione di marmitte catalitiche per ridurre l'emissione di ossidi di azoto) e disciplinando più razionalmente lo smaltimento dei rifiuti.
Negli ultimi anni i rifiuti di talune lavorazioni industriali hanno costituito un grave problema; numerose aziende, in mancanza di adeguate soluzioni, hanno scelto di esportare le scorie pericolose o tossiche in paesi dove la legislazione ambientale era carente. La soluzione d'incenerire rifiuti in alto mare su navi appositamente attrezzate, e quella di gettare i rifiuti in mare, in zone lontane dalle coste e in corrispondenza di grandi fosse oceaniche, è stata proibita per i pericoli che si potevano causare nell'ambiente marino e nell'atmosfera. Tutto ciò ha posto problemi di difficile soluzione.
All'i. dovuto ai processi produttivi e alle normali attività antropiche si aggiungono spesso quelli legati a incidenti non facilmente prevedibili ma di grande pericolo per l'uomo e per l'ambiente. Si ricordano in proposito gli incidenti di Seveso (emissioni di sostanze tossiche per errata manovra), di Černobyl (contaminazione radioattiva), di Bhopal (fuga di un gas tossico come il cianato di metile), di Basilea (scarico di sostanze tossiche nel fiume Reno), oltre ai frequenti naufragi di navi che trasportano petrolio o prodotti chimici pericolosi.
Per far fronte a situazioni che spesso tendono a degenerare nell'emergenza, le industrie sono ormai orientate a ridurre mediante nuovi cicli di produzione le emissioni dannose per l'ambiente, dal momento che la teoria della diluizione si è dimostrata non valida, in quanto rappresenta solo un trasferimento dell'i. da un luogo a un altro.
Per quanto riguarda l'i. urbano, legato alla contaminazione biologica e di materiali organici, è necessario procedere al trattamento primario (meccanico) e secondario (biologico con uso di fanghi attivi) delle acque urbane prima di riversarle nei fiumi e nei mari, e considerare seriamente l'opportunità di applicare anche il trattamento terziario (per la rimozione dei fosfati e dei nitrati) nel caso queste acque vengano versate in recipienti idrici come i laghi che, per il lento ricambio, sono soggetti a processi irreversibili di eutrofizzazione.
Non tutti i tentativi fatti in questi ultimi anni sono stati negativi, se coordinati e sostenuti anche in sede internazionale: per es., l'azione per evitare l'i. del Mediterraneo ha dato risultati positivi. Invece in alcuni mari chiusi (Adriatico e Baltico) l'eccesso di contaminanti, ma soprattutto di fosfati e nitrati, facilita fenomeni ricorrenti di eutrofizzazione con danni gravi a tutto l'ecosistema marino e all'aspetto delle acque, con pregiudizio per il turismo, la balneazione e la pesca.
Inquinamento di ambienti confinati. − Oltre all'i. dell'atmosfera, delle acque superficiali e del suolo, oggi si deve prendere in considerazione per i suoi effetti sulla salute l'i. che si manifesta in ambienti confinati, cioè gli ambienti di lavoro, fabbriche, miniere, industrie in genere, e ambienti non industriali quali abitazioni, scuole, luoghi di ricreazione (teatri, cinema, palestre, bar, camper, ecc.).
Degli ambienti confinati industriali e minerari si occupa in particolare la medicina del lavoro, individuando i contaminanti caratteristici di ogni tipo di ambiente e di lavorazione, per poi accertare la correlazione esistente tra le patologie dei lavoratori e la presenza di queste sostanze, e stabilire di conseguenza i metodi per eliminarle.
Nelle miniere gli inquinanti più noti e pericolosi sono le polveri in sospensione, sia di carbone che di minerali (soprattutto la silice, SiO2), capaci d'indurre malattie dell'apparato respiratorio come la silicosi, una grave fibrosi polmonare. Nelle miniere da cui si estraggono minerali radioattivi, alla silice si aggiungono come contaminanti isotopi radioattivi naturali.
Nelle fabbriche di prodotti chimici si possono avere inquinanti in tracce molto pericolose, come il cloruro di vinile (monomero intermedio per la preparazione del PVC) e il benzene (prodotto chiave dell'industria chimica); le lavorazioni degli pneumatici possono diffondere nell'ambiente polveri di carbone e sospensioni di asbesto e di altre sostanze chimiche usate nella vulcanizzazione. Numerose lavorazioni con solventi possono egualmente inquinare l'atmosfera di molte industrie.
Un aspetto studiato solo di recente è l'i. degli ambienti confinati delle case, degli uffici e in genere dei locali di ritrovo. I contaminanti presenti in questi locali (soprattutto in case e in uffici), anche se in minime quantità, possono assumere una grande importanza se si considerano i lunghi tempi di esposizione, specialmente nei paesi industrializzati. Nei paesi in via di sviluppo, d'altra parte, in molte abitazioni si ha un notevole i. da parte dei prodotti della combustione dei materiali più diversi (legna, ma anche residui agricoli, o sterco disseccato) usati per la cottura dei cibi e dannosi per la salute. Nei paesi industrializzati l'i. tipico degli ambienti confinati è causato dal fumo del tabacco, largamente diffuso. Inoltre si riscontra la presenza di tracce di gas (metano, butano e propano) usati in cucina. Anche l'aria espirata dalle persone che lavorano o convivono nei locali può portare a un i. biologico (batteri, virus). Gli scambi con l'aria esterna, facili nei climi temperati, diventano problematici nelle zone fredde dove la necessità di risparmio energetico ha comportato un maggiore isolamento termico delle case e, con esso, un minore ricambio d'aria e generalmente una scarsa ventilazione: si parla in questo caso di ''case sigillate'', nelle quali gli inquinanti più comunemente presenti sono sostanze chimiche come formaldeide e ipoclorito, solventi da prodotti di pulizia, ma anche materie plastiche dei mobili, collanti per maioliche, antiparassitari, detergenti, ozono, ossidi di azoto, biossidi di zolfo, mentre gli agenti biologici sono muffe, pollini, batteri e virus, e gli acari della polvere. In alcune case degli Stati Uniti è stato incidentalmente osservato un i. dovuto a radon, gas radioattivo che si forma nel decadimento spontaneo del radio. Si tratta di un gas molto tossico e pericoloso perché, se inspirato, può depositare nei polmoni i radioisotopi solidi del suo decadimento radioattivo. Questo particolare i. è da attribuire alla presenza di radon nei terreni dove è costruita la casa. Il radon può inoltre provenire dagli stessi materiali usati per la costruzione, come i mattoni.
Conclusioni. −In quasi tutti i paesi sono state stabilite legislazioni per ridurre l'impatto ambientale delle varie emissioni e dei rifiuti provenienti dall'attività dell'uomo; ma per l'i. che valica le frontiere deve svilupparsi una normativa internazionale adeguata sia per la prevenzione che per eventuali risarcimenti dei danni.
In vista di una strategia globale e di una linea comune d'azione, si è cercato, in questi ultimi anni − dalla conferenza di Stoccolma del 1972, a quelle di Montreal del 1987, di Londra del 1989 e di Rio de Janeiro del 1992 −, di pervenire, attraverso accordi internazionali, a un'armonizzazione delle diverse posizioni delle nazioni, cosa non facile per i contrastanti interessi in gioco legati allo sviluppo. Anche se i singoli stati hanno creato ministeri o altri appositi organi per la tutela dell'ambiente, e le Nazioni Unite hanno stabilito un programma d'azione (United Nations Environmental Programme, UNEP), la gestione globale dell'ambiente risulta non facile, profondamente coinvolta com'è con lo sviluppo economico e per i forti investimenti che essa richiede.
Il problema è talmente complesso che di recente sono state messe in evidenza fonti d'i. globale o regionale del tutto particolari. È il caso dello smaltimento delle pile a secco, spesso causa d'i. da mercurio e da altri metalli; dell'uso degli oli lubrificanti che porta, se non controllato, all'i. delle acque; degli accumulatori a piombo usati nei veicoli a motore, che, se non adeguatamente trattati, possono causare i. atmosferico in conseguenza di estemporanei trattamenti artigianali di recupero. Sebbene esistano severe disposizioni per lo smaltimento di questi materiali, la loro prevalente inosservanza determina un ulteriore moltiplicarsi delle fonti d'inquinamento. Vedi tav. f.t.
Bibl.: The major biogeochemical cycles and their interaction, a cura di B. Bolin, P. J. Crutzen, P. M. Vitousek, R. G. Woodmansee, E. D. Goldsberg, R. B. Cook, Parigi 1983; Indoor radon, a cura di A. V. Nero e W. M. Lowders, in Health Physics, 45 (1983), p. 277 ss.; S. E. Manaham, Environmental chemistry, Monterey (California) 1984; Chemical events in the atmosphere and their impact on environment, a cura di G. B. Marini Bettolo, in Pontificiae Academiae Scientiarum Scripta Varia, 56, 1985; F. Korte, Ecological chemistry, Monaco 1986; A. V. Nero e altri, Distribution of air-borne radon... concentration in U.S. homes, in Science, 234 (1986), p. 992; A. Postiglione, Codice dell'ambiente, Rimini 1987; A modern approach to the protection of the environment, a cura di G. B. Marini Bettolo, in Pontificiae Academiae Scientiarum Scripta Varia, 75, 1989; L. E. Manzer, The CFC-ozone issue: progress on the development of alternatives CFCs, in Science, 249 (luglio 1990), pp. 31-35; D. O. Hall, H. E. Myniek, R. H. Williams, Cooling the greenhouse with bioenergy, in Nature, 353 (settembre 1991), pp. 11-12; Ministero dell'Ambiente, Relazione sullo stato dell'ambiente, Roma 1992.
Nuove strategie per il controllo della contaminazione ambientale. - Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da una sempre più chiara presa di coscienza della rilevanza dei fenomeni di contaminazione ambientale. E questo da parte non solo degli addetti ai lavori, ma anche di gran parte dell'opinione pubblica e dei responsabili dei governi, grazie anche al contributo dei mass-media. La popolazione mondiale ha ormai superato quota 5 miliardi; secondo le stime essa è 17 volte quella di 2000 anni fa, con una velocità di crescita in continuo aumento: erano occorsi 1500 anni perché si passasse dai 300 milioni di esseri umani presenti sul pianeta ai tempi di Cristo, a 600 milioni; poi in soli 300 anni (nel 1800) si ebbe un altro raddoppio, a 1 miliardo e 200 milioni, per raddoppiare ancora (2,5 miliardi) nel 1950 e ancora (5 miliardi) solo 30 anni dopo, nel 1980. All'aumentata pressione demografica si è aggiunto il ''peso'' della crescita tecnologica ed economica che, seppure in gran parte limitata a benefici fruibili solo dagli abitanti di alcuni paesi tecnologicamente più avanzati e più ricchi, ha avuto, e continua sempre più ad avere, un impatto di dimensioni globali, per quanto riguarda sia l'impoverimento delle riserve di risorse non rinnovabili (materie prime, combustibili fossili), sia l'alterazione delle caratteristiche chimico-fisiche della biosfera nel suo complesso. La classica divisione tra i. dell'aria, dell'acqua e del suolo è andata via via dissolvendosi, per lasciare il posto a un concetto d'i. dell'ambiente, nel suo complesso: acqua, aria, suoli e sedimenti, organismi viventi. In questo modo, anziché partire dal comparto ambientale dove si rileva l'i., si parte dal processo di formazione delle sostanze che lo generano, cercando di definirne la ''vocazione'' ambientale, in termini sia di distribuzione e destino (come si muovono, come si trasformano, dove finiscono), sia di possibili effetti sui sistemi viventi (che cosa ''fanno''). Si avranno così inquinanti resistenti alla degradazione e inquinanti degradabili, sostanze che interesseranno prevalentemente l'aria, l'acqua o il suolo, sostanze che si concentreranno o meno negli organismi viventi, sostanze più o meno tossiche, naturali o esclusivamente sintetiche.
Tale approccio tende, più che alla constatazione di fatti d'i. (con danni misurabili nei confronti di sistemi viventi) o di contaminazione (senza danni misurabili), alla comprensione delle cause, in modo da individuare possibili soluzioni. L'approccio può essere impiegato sia in studi di retrospettiva, per contaminazioni o i. in atto, sia in studi predittivi.
Lo studio prende avvio dall'esame della struttura molecolare e delle principali caratteristiche fisico-chimiche delle sostanze, ovvero dalle proprietà intrinseche di queste, trascurando in prima battuta tutte le variabili estrinseche, quali la quantità e le modalità d'immissione e le caratteristiche dell'ambiente. Lo studio delle proprietà intrinseche permette di sapere se una sostanza è o no rapidamente dissociabile, se è facilmente termolabile, se è ossidabile, se è fotosensibile in determinate condizioni ambientali. Si passa quindi a esaminare se in ordinarie condizioni ambientali la sostanza sarà prevalentemente nella forma dissociata o in quella indissociata, qual è la sua solubilità in acqua e in solventi organici meno polari, la sua tensione di vapore. Se una sostanza è prevalentemente in forma indissociata, poco solubile in acqua, molto in solventi non polari e poco volatile, se immessa in un corpo idrico tenderà a ''fuggire'' dall'acqua, verso la frazione organica dei sedimenti e verso il comparto lipidico degli organismi acquatici.
Essendo il flusso tra i principali comparti ambientali un fenomeno essenzialmente di ripartizione, devono essere quindi prese in considerazione le principali proprietà partitive delle sostanze, quali il coefficiente di ripartizione d'equilibrio tra aria e acqua, quello tra organismi e acqua (detto anche fattore di bioconcentrazione), e quello tra suoli (o sedimenti) e acqua. Questi permetteranno d'indicare meglio la tendenza delle sostanze a ripartirsi preferenzialmente per es. in acqua, piuttosto che in aria, o nei sedimenti più che in acqua.
Vi sono infine modelli fisico-matematici che possono, nell'ambito di un ecosistema stilizzato e semplificato, fornire indicazioni di tendenza piuttosto accurate che permettono di valutare la persistenza dei contaminanti nei principali comparti ambientali e verso quale di essi vi sarà un flusso dominante.
Tali indicazioni non sono, se non in casi particolari, trasferibili in termini quantitativi a situazioni reali, almeno con i mezzi attualmente a disposizione. Sono tuttavia estremamente utili per comprendere alcuni aspetti-chiave del comportamento ambientale dei contaminanti. Se prendiamo per es. un sistema aria-acqua-sedimenti-organismi acquatici, dove l'acqua ha un ricambio trascurabile (un lago senza immissari ed emissari) e l'aria ha un ricambio enorme (come avviene in normali condizioni ambientali), una sostanza che tende a ripartirsi in aria, anche solo a 1/100 della sua tendenza a stare in acqua, per la differenza di capacità di ricambio, in questo caso enormemente a vantaggio dell'aria, potrà uscire dal sistema per semplice passaggio dall'acqua all'aria. Viceversa,una sostanza che tende a stare in acqua, magari 500 volte di più della stessa acqua (anche l'acqua passa in aria, in fase di vapore), non potrà uscire dal sistema, se non attraverso fenomeni di degradazione.
La tendenza a raggiungere l'aria, l'acqua o il suolo è estremamente importante per definire il destino delle sostanze nell'ambiente, in quanto questi tre comparti fondamentali si differenziano l'uno dall'altro per la loro capacità di ricambio: l'aria è, di norma, il mezzo più veloce per raggiungere anche aree remote del pianeta, il che permette quindi un'enorme diluizione dei contaminanti; l'acqua (laghi, fiumi, mari) ha una capacità di ricambio variabile, a seconda dei casi, mentre i suoli sono generalmente caratterizzati da scarso ricambio. Questo limitatamente a fenomeni di contaminazione su scala locale; a livello globale, questa differenza ovviamente decade. Anche in tale caso, tuttavia, la conoscenza dei flussi tendenziali verso i comparti dotati di maggiore ricambio (ovvero movimento, anche a lunga distanza) permetterà di valutare i tempi (o almeno il loro ordine di grandezza) necessari per raggiungere una certa omogeneità su scala globale.
Da quest'analisi si ricava un primo profilo delle sostanze e un'idea generale di quello che è stato (per gli studi di retrospettiva) o che sarà (per quelli predittivi) il loro comportamento ambientale. In questa prima fase si utilizzano esclusivamente le proprietà intrinseche delle sostanze, reperibili anche sui manuali, e sistemi ambientali stilizzati, con carichi standard di contaminanti. L'obiettivo è individuare distribuzione e persistenza potenziali, e non concentrazioni nelle varie matrici ambientali (per questo il carico di ogni contaminante può essere standardizzato, per es. in 100 moli). Se lo scopo dello studio è l'analisi comparativa del comportamento potenziale di diverse sostanze, rappresentanti le diverse alternative per la soluzione di un determinato problema (per es. quale di una determinata serie di sostanze, immesse su di un suolo, ha più probabilità di raggiungere una falda freatica), le informazioni ottenibili ''a tavolino'' possono essere già sufficienti per fare una classifica, ordinata secondo il potenziale di contaminazione.
Spesso però non basta valutare chi ha più possibilità di raggiungere un determinato comparto ambientale, ma occorre anche conoscere quale livello di contaminazione deriverà da una determinata immissione, e come evolverà nel tempo. Questo perché potrebbe essere preferibile un livello di contaminazione più alto, per un tempo breve, a un livello basso per un tempo più lungo.
A questo punto occorrerà anche un altro tipo di conoscenze relative alla capacità della sostanza di alterare le caratteristiche chimico-fisiche della componente abiotica del sistema (per es. i clorometani che distruggono l'ozono stratosferico, causandone il progressivo assottigliamento e lo strappo in corrispondenza dell'Antartide), insieme alla capacità d'interagire con la componente biologica sia a livello di materiale genetico (sostanze tossiche mutagene) sia a livello biochimico e fisiologico (sostanze tossiche non mutagene).
Gli approcci attualmente in fase di rapido sviluppo tendono a migliorare la capacità predittiva per le concentrazioni attese e il loro variare nel tempo, insieme alla capacità di quantificare, per una data esposizione e per un dato tempo di esposizione, gli effetti ''tossici'' a carico del sistema abiotico e gli effetti più propriamente tossici a carico dei sistemi biologici, in modo da ottenere valutazioni integrate concentrazione-tempo-effetto che permettano di ricavare criteri per operare scelte razionali.
Bibl.: G.L. Baughman, R.R. Lassiter, Prediction of environment pollutant concentration, in Estimating the hazard of chemical substances, a cura di J. Cairns jr., K.L. Dickson, A.W. Maki, Filadelfia 1978, pp. 35-54; O. Hutzinger, M.Th. M. Tulp, V. Zitko, Chemicals with pollution potential, in Acquatic pollutants. Transformation and biological effects, a cura di O. Hutzinger, L.H. Van Lelyveld, B.C.J. Zoeteman, Oxford 1978, pp. 13-31; D. Mackay, Finding fugacity feasible, in Environmental Science and Technology, 13 (1979), pp. 1218-23; Dynamics, esposure and hazard assessment of toxic chemicals, a cura di R. Haque, Ann Arbor (Mich.) 1980; W.B. Neely, Chemicals in the environment, New York 1980; Environmental exposure from chemicals, a cura di W.B. Neely e G.E. Blau, i e ii, Boca Raton (Florida) 1985; D. Calamari, E. Bacci, Environmental distribution and fate of pesticides. A predictive approach, in Toxicology of pesticides: experimental, clinical and regulatory aspects, a cura di L.G. Costa e altri, Berlino 1987, pp. 171-84; H.A. Hatemer-Frey, C.C. Travis, Pentachlorophenol: environmental partitioning and human exposure, in Archives of Environmental Contamination and Toxicology, 18 (1989), pp. 482-89.
La legislazione italiana in materia d'inquinamento. - Al fenomeno dell'i., inizialmente sottovalutato nelle sue implicazioni e nelle sue conseguenze, il legislatore nazionale e regionale ha cercato di far fronte negli ultimi anni con una serie di interventi di natura preventiva e repressiva, che assumono peraltro connotazioni e portata diverse a seconda della causa dell'i. e dell'ambito nel quale esso si riscontra. Sotto questo profilo appare pertanto necessario distinguere, e separatamente esaminare, la disciplina legislativa dettata in tema d'i. a seconda che esso sia atmosferico, idrico, del suolo e acustico (v. anche industria: Diritto, in questa Appendice).
Inquinamento atmosferico. - L'atmosfera è il primo settore nei confronti del quale si è verificato un intervento organico dei pubblici poteri finalizzato a fronteggiare il rischio di degradazione delle normali condizioni di salubrità dell'aria. La materia è tuttora regolata, in larga misura, dalla l. 13 luglio 1966 n. 615 (cosiddetta ''legge anti smog''), la quale ha dettato una serie di prescrizioni a carattere generale per l'esercizio degli impianti termici, degli stabilimenti industriali e dei veicoli a motore diesel, affidando invece all'esecutivo il compito di intervenire con una specifica normativa di dettaglio per ciascuno degli ambiti sopra indicati.
Ai fini della prevenzione dell'i. atmosferico il territorio nazionale è stato suddiviso in due ''zone di controllo'' (A e B), ciascuna delle quali soggiace a una propria disciplina. In esse non risultano però inclusi tutti i comuni d'Italia, ma solo quelli per i quali è apparso più urgente intervenire in ragione di particolari caratteristiche geografiche e demografiche ovvero per l'accertata esistenza di sfavorevoli condizioni di ordine fisico, metereologico, urbanistico e industriale. La competenza all'assegnazione dei singoli comuni a ciascuna delle due zone, inizialmente riservata al ministero della Sanità (D.M. 23 novembre 1967), è stata successivamente trasferita alle regioni (d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616). L'esame e il parere sulle questioni connesse all'i. atmosferico sono affidati, a livello centrale, a un'apposita Commissione istituita presso il ministero della Sanità e, a livello regionale, ai CRIA (Comitati Regionali contro l'Inquinamento Atmosferico), operanti nelle regioni nelle quali almeno un comune è compreso in una delle due zone di controllo. Alle province è invece demandata l'istituzione di un servizio di rilevamento dell'i. atmosferico (artt. 7 l. 615 del 1966, e 104 d.P.R. 616 del 1977), il quale può avvalersi della collaborazione sia delle USL sia di istituti e laboratori autorizzati dal ministero della Sanità.
Per quanto riguarda gli impianti termici, la l. 615 del 1966 affida al suo regolamento d'esecuzione (d.P.R. 22 dicembre 1970 n. 1391) il compito di fissare i requisiti, tecnici e costruttivi, ai quali devono rispondere quelli che hanno una potenzialità superiore alle 30.000 kcal/h, nonché i locali che li ospitano (art. 8); assoggetta inoltre all'approvazione del Comando provinciale dei vigili del fuoco (ma, ora, della Provincia: art. 104 d.P.R. 616 del 1977) la loro installazione, trasformazione e ampliamento. La stessa legge distingue inoltre, fra i combustibili, quelli che sono esenti da ogni limitazione d'impiego (combustibili grassi, distillati di petrolio, coke metallurgico e da gas, antracite e prodotti antracitosi, legna e carbone di legna) e quelli il cui impiego è invece consentito solo con particolari limitazioni (oli combustibili fluidi, carbone da vapore, ligniti, torbe, ecc.) e previa autorizzazione del sindaco (artt. 12 e 13). La vigilanza sulla conduzione degli impianti termici, sui combustibili adoperati e sulle emissioni è affidata ai comuni. I timori di un eccessivo i. atmosferico hanno indotto le autorità a fissare taluni limiti di durata e di temperatura nell'uso degli impianti termici di riscaldamento.
Per quanto invece riguarda gli stabilimenti industriali, l'art. 20 l. 615 del 1966 prevede che gli stessi devono essere dotati di impianti e dispositivi in grado di contenere, quanto più è possibile e compatibilmente con il progresso tecnico, le emissioni che determinino i. atmosferico e che possano risultare pericolose per la salute pubblica. La vigilanza è svolta, in forma concorrente, dai comuni e dalle province (artt. 20 l. 615 del 1966, e 104 d.P.R. 616 del 1977). Ove venga riscontrata una violazione delle prescrizioni dettate dal regolamento approvato con d.P.R. 15 aprile 1971 n. 322, il comune notifica all'interessato un'ordinanza con la quale gli ingiunge di provvedere entro un determinato termine, trascorso inutilmente il quale gli commina un'ammenda; è invece riservato al prefetto il potere di disporre la chiusura temporanea dello stabilimento. Particolare rilievo assume al riguardo la norma (art. 21 l. 615 del 1966) che impone ai comuni e alle regioni di tener separate le zone destinate all'edilizia residenziale e quelle riservate agli insediamenti industriali.
Infine, per quanto riguarda le emissioni inquinanti provenienti da veicoli a motore, l'art. 22 l. cit. affida al futuro regolamento d'esecuzione il compito di fissare i limiti massimi di tollerabilità di emanazioni inquinanti. A tale incombenza l'esecutivo ha provveduto con il d.P.R. 22 febbraio 1971 n. 323, ma limitatamente ai motori diesel, mentre per quelli a benzina è intervenuta la l. 3 giugno 1971 n. 437, la quale peraltro, pur essendo stata emanata al dichiarato scopo di adeguare la disciplina nazionale alla normativa comunitaria, ha limitato il proprio intervento alla sola omologazione dei veicoli nuovi di fabbrica. L'art. 102 n. 7 d.P.R. 616 del 1977 ha confermato la competenza statale in materia di regolamentazione dell'i. atmosferico da fonti veicolari, mentre ha attribuito ai comuni il controllo in sede di circolazione stradale. La gravità dell'i. atmosferico in molte aree urbane ha indotto le amministrazioni cittadine a prendere provvedimenti restrittivi della circolazione automobilistica, sia limitando l'uso dei veicoli privati in determinate ore o determinati giorni sia chiudendo i centri storici al traffico veicolare privato.
Inquinamento idrico. - La tutela delle acque dal rischio dell'i. è successiva a quella dell'atmosfera; peraltro a essa il legislatore ha provveduto in maniera più organica e incisiva, a mezzo di un complesso di norme di natura programmatica ovvero immediatamente precettive (ll. 10 maggio 1976 n. 319, 24 dicembre 1979 n. 650). Appartengono al primo gruppo quelle che impongono un "piano generale di risanamento delle acque", da adottare sulla base di singoli piani regionali, come condizione per un'azione di pianificazione dell'uso e della tutela delle acque (artt. 2 e 9 l. 319 del 1976). In funzione di tale obiettivo è previsto il censimento di tutti i corpi idrici superficiali, dei quali devono essere individuate le caratteristiche e le utilizzazioni in atto, nonché fissati i criteri per un uso razionale a fini civili, irrigui e industriali. Appartengono al secondo gruppo le norme che disciplinano con effetto immediato gli scarichi liquidi, di qualsiasi tipo, nelle acque superficiali e sotterranee, interne e marine, nonché nelle fognature, nel suolo e nel sottosuolo (art. 1, lett. a, l. 319 del 1976). Alle province è affidato il compito di redigere un ''catasto'' degli scarichi, eccezion fatta per le immissioni dirette nel suolo e nel sottosuolo (art. 8 l. 319 del 1976, nel testo modificato dall'art. 8 l. 650 del 1979). Ma l'elemento che maggiormente caratterizza questo complesso normativo è l'obbligo della previa autorizzazione per ogni scarico liquido, che dev'essere rilasciata dall'organo competente tenendo conto dei limiti massimi di tollerabilità fissati nelle tabelle allegate alla cit. l. 319 del 1976 e soggetti a periodici aggiornamenti (artt. 3 e 9 l. cit.).
Le competenze in materia di tutela delle acque sono assegnate allo stato, alle regioni e agli enti locali sulla base del seguente criterio di riparto: a) allo stato, oltre alla predisposizione del piano generale di risanamento delle acque, spetta l'attività d'indirizzo e di coordinamento delle attività pubbliche e private, la determinazione delle norme tecniche generali concernenti sia l'installazione e l'esercizio degli impianti di acquedotto, fognatura e depurazione, sia la regolamentazione dello smaltimento dei liquami nel suolo e nel sottosuolo, l'indicazione dei criteri generali per un uso razionale delle acque, ecc. (art. 2 l. 319 del 1976); b) alle regioni spettano funzioni di programmazione (che si sostanziano nella redazione dei piani regionali di risanamento: artt. 4 e 8 l. 319 del 1976, e 11 l. 650 del 1979) e di controllo, cui si accompagna il potere di applicare sanzioni in caso di mancato adeguamento degli scarichi degli insediamenti produttivi ai limiti massimi di tollerabilità (artt. 18 l. 319 del 1976, e 2 l. 650 del 1979); c) alle province compete la redazione del catasto degli scarichi, pubblici e privati, nei corsi d'acqua superficiali e il controllo sul rispetto dei criteri generali fissati dallo stato per un uso razionale delle acque (art. 5 l. 319 del 1976); d) ai comuni e alle comunità montane sono infine affidati compiti di direzione e programmazione degli interventi, di controllo dei limiti di accettabilità degli scarichi e della funzionalità degli impianti, di gestione dei servizi pubblici di acquedotto, fognatura, depurazione delle acque usate, ecc. Le ll. 319 del 1976 e 650 del 1979 non si sono però limitate a definire i compiti spettanti ai pubblici poteri, ma hanno anche individuato una serie di obblighi gravanti sui privati e disciplinato le procedure per il rilascio delle autorizzazioni agli scarichi, imponendo adempimenti diversi a seconda che si tratti di insediamenti produttivi o civili e, per ciascuno di essi, di insediamenti preesistenti ovvero in corso di realizzazione.
Inquinamento del suolo. - La prima regolamentazione della materia concernente la raccolta, il trasporto e il trattamento dei rifiuti solidi era stata dettata dalla l. 20 marzo 1941 n. 366, la quale introdusse la distinzione fra ''rifiuti esterni'' (cioè "immondizie e rifiuti delle aree pubbliche o destinate ad uso pubblico") e ''rifiuti interni'' (cioè "immondizie ed ordinari rifiuti dei fabbricati"; art. 1), nonché fra rifiuti ''urbani'' e ''speciali'' (residui di lavorazioni industriali, fanghi da depurazione di acque di scarico, ecc.; art. 2).
Nel dichiarato intento di contribuire al sostegno dell'economia nazionale, messa allora a dura prova dalle esigenze belliche, e alla lotta contro gli sprechi, tale legge aveva imposto che i rifiuti solidi urbani fossero sottoposti a un trattamento idoneo ad assicurarne l'utilizzazione a fini industriali e agricoli. La gestione del servizio era stata affidata, sotto la vigilanza del ministero dell'Interno, ai comuni i quali potevano provvedervi direttamente ovvero a mezzo di un concessionario (art. 9), ma erano in ogni caso autorizzati a imporre agli utenti una tassa quale corrispettivo del servizio a essi reso (art. 26).
Il d.P.R. 616 del 1977 ha trasferito alle regioni le funzioni concernenti la disciplina degli scarichi e dello smaltimento dei rifiuti solidi, urbani e industriali (art. 101) e alle province il controllo sulle discariche e sugli impianti di trasformazione e smaltimento dei rifiuti (art. 104); ai comuni sono stati conservati i compiti di gestione dei servizi. Allo scopo di adeguare la normativa italiana alle direttive CEE in tema di rifiuti, il d.P.R. 10 settembre 1982 n. 915 ha distinto i rifiuti solidi in tre categorie (urbani, speciali e tossico-nocivi) e per ciascuna di esse ha dettato una disciplina particolare con riferimento ai singoli momenti della raccolta, del trasporto, del trattamento e dello stoccaggio definitivo. In sostanza, allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani devono provvedere i comuni (art. 8); allo smaltimento dei rifiuti speciali e tossico-nocivi devono invece provvedere a proprie spese i produttori dei rifiuti stessi, direttamente ovvero a mezzo di imprese o enti autorizzati dalla regione, ovvero ancora mediante convenzione con i gestori del servizio pubblico (art. 3, terzo comma); v. anche rifiuti: Disposizioni legislative, in questa Appendice.
Inquinamento acustico. − Manca una disciplina organica dell'i. prodotto dal rumore, anche se l'evoluzione legislativa è nel senso del passaggio da una tutela prevalentemente repressiva, che utilizzava le norme civili e penali dirette a regolare i rapporti di convivenza, a una tutela almeno tendenzialmente preventiva. Il rumore è preso in considerazione dal legislatore sia come fonte di molestia che come causa di danno alla salute pubblica.
Al primo profilo avevano già provveduto il R.D. 12 febbraio 1911 n. 297, che ha affidato ai comuni il compito di disciplinare con i regolamenti di polizia urbana l'esercizio delle professioni e dei mestieri "rumorosi o altrimenti incomodi" (art. 109), e il TUPS (Testo Unico leggi di Pubblica Sicurezza, 18 giugno 1931 n. 773), il quale ha disposto la sospensione dell'esercizio delle professioni e dei mestieri rumorosi nelle ore fissate dai regolamenti comunali e nelle ordinanze sindacali. In quanto causa di danno per la salute, il rumore forma oggetto di interventi da parte dei regolamenti d'igiene e di sanità (art. 218 T.U. 27 luglio 1934 n. 1265).
Dell'i. da rumore si occupa anche il codice della strada (d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393), il quale dispone che gli autoveicoli, i motoveicoli e i ciclomotori devono essere dotati di dispositivi idonei a ridurre il rumore emesso dal motore (art. 214) e che i segnali acustici devono essere usati con ponderazione e, nei centri abitati, solo in caso di pericolo immediato (art. 113).
Una particolare disciplina è dettata anche per i rumori conseguenti ad attività industriale, i quali possono essere fonte di danno sia all'interno che all'esterno dello stabilimento. Con riferimento alla prima ipotesi il d.P.R. 19 marzo 1956 n. 303, recante norme in materia d'igiene del lavoro, prescrive che "nelle lavorazioni che producono scuotimenti, vibrazioni e rumori dannosi ai lavoratori debbono adottarsi i provvedimenti consigliati dalla tecnica per diminuirne l'intensità" (art. 23); con riferimento alla seconda ipotesi il R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 fa obbligo al ministro della Sanità d'inserire le lavorazioni particolarmente rumorose negli elenchi delle "industrie insalubri" (art. 216) e al sindaco, nella qualità di ufficiale di governo, di prescrivere alla singola industria le norme tecniche atte a prevenire situazioni di danno e di pericolo.
Alla repressione provvede, infine, l'art. 659 cod.pen., il quale commina una pena detentiva e, in alternativa, pecuniaria a chiunque mediante schiamazzi o rumori disturbi le occupazioni o il riposo altrui; punisce inoltre con un'ammenda chi eserciti una professione o un mestiere rumoroso contravvenendo alle disposizioni di legge ovvero alle prescrizioni dell'autorità competente.
Bibl.: F. G. Scoca, Inquinamento dell'aria, dell'acqua e del suolo, in Atti del Convegno ISLE (novembre 1969), Roma 1970, pp. 69 ss.; M. S. Giannini, ''Ambiente'': saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1973, pp. 15 ss.; M. Cicala, La tutela dell'ambiente nel diritto amministrativo, penale e civile, Torino 1976; M. Nigro, I problemi del territorio e dell'ambiente, in Il Comune democratico, 1976, pp. 65 ss.; G. Amendola, Inquinamento idrico e legge penale, Milano 1980; P. Patrono, Inquinamento industriale e tutela penale dell'ambiente, Padova 1980; A. Postiglione, Diritto dell'ambiente, Napoli 1982; M. Alberighi, G. Alpa, Diritto ed ambiente, Padova 1984; P. Giampietro, Scarichi idrici e rifiuti solidi, Milano 1984; F. Salvia, L'inquinamento: profili pubblicistici, Padova 1984; L. Bertolini, La tutela giuridica dell'ambiente e del territorio, Rimini 1987; G. Amendola, La tutela penale dell'inquinamento idrico: manuale operativo, Milano 1989; A. Albamonte, Sistema penale ed ambiente: inquinamento paesistico, inquinamento culturale, inquinamento della biosfera (aria, acqua, suolo), inquinamento urbanistico, Padova 1989; Nuova legislazione ambientale, a cura di F. Roversi Monaco, ivi 1989; F. Giampietro, R. Morelli, Testo unificato della normativa sui rifiuti, Milano 1990.