INQUISIZIONE (lat. inquisitio, da inquiro "ricerco")
È opinione comune che col nome d'Inquisizione si designi un tribunale istituito dalla Chiesa romana per la repressione dell'eresia o di delitti connessi con l'eresia o dalla Chiesa a essa assimilati. Si vedrà in seguito entro quali limiti sia esatto parlare di un tribunale dell'Inquisizione, ma occorre subito avvertire che lo stesso nome spetta precisamente sia all'Inquisizione sorta nel sec. XIII (la cosiddetta Inquisizione medievale); sia all'Inquisizione creata da Sisto IV per sollecitazione dei sovrani cattolici di Spagna, Ferdinando e Isabella (la cosiddetta Inquisizione spagnola); sia, infine, all'Inquisizione romana (creata da Paolo III), le quali, per le diverse circostanze storiche che le videro sorgere e per le peculiari funzioni che esplicarono, possono essere considerate come tre istituzioni distinte, sebbene fra esse esista innegabile continuità storica di sviluppo.
Origine e genesi dell'Inquisizione medievale. - La disparità e, spesso, l'imprecisione che distinguono le opinioni emesse circa l'origine dell'Inquisizione, consigliano di determinare quali siano le caratteristiche che definiscono l'istituto inquisitoriale.
"Inquisizione" non è sinonimo di "repressione dell'eresia", repressione che è stata sempre esercitata dalla Chiesa da quando l'esistenza di un corpo di dottrine canonicamente determinate e di un forte potere centrale che, professandola, rende ufficiale e "ortodossa" questa norma di fede ha consentito di individuare nell'eretico il battezzato che si è posto in aperto contrasto, anche in un sol punto, con la dottrina della Chiesa. Dal sec. XII la repressione dell'eresia fu preoccupazione costante della Chiesa con particolare riguardo al diffondersi del movimento cataro (v. catari; albigesi) che, soprattutto nel mezzogiorno della Francia, sottraeva intere regioni al dominio spirituale di Roma. Fra le misure prese dalla Chiesa per fronteggiare il movimento cataro ve ne sono alcune (decreti del concilio di Tours del 1163; del III concilio lateranense del 1179; del concilio di Verona del 1184; del concilio di Montpellier del 1195; della dieta sinodale di Gerona del 1197; del concilio di Avignone del 1209; del concilio di Montpellier del 1215; del IV concilio lateranense del 1215; del sinodo di Puy del 1222; del concilio di Narbona del 1227; del concilio di Tolosa del 1229) che per aver ordinato, implicitamente o esplicitamente, la ricerca (inquisitio) sistematica degli eretici; per aver escogitato a questo scopo speciali commissioni di "visitatori parrocchiali" o "testimoni sinodali", o, in genere, per la loro formale condanna dell'eresia, sono state scelte spesso (l'una o l'altra, o tutte) quasi come atto di nascita dell'Inquisizione. Né potrebbe contestare questa opinione chi ammettesse che la caratteristica che definisca l'Inquisizione sia appunto la ricerca degli eretici. Ché in realtà tutti questi provvedimenti, in quanto lasciano la repressione dell'eresia a quei giudici ordinarî (i vescovi) che l'avevano sempre esercitata, non hanno portato alcuna sostanziale modificazione all'ordinamento giudiziario della Chiesa in materia di eresia: mentre è a questo che altri, con maggior logica, guardano per definire l'istituto inquisitoriale.
Una ulteriore precisazione è necessaria a intendere bene il significato di inquisitio. Nella storia della procedura penale (v. processo) il procedimento inquisitorio (caratteristico del momento istruttorio nel processo odierno; v. istruzione) segue e si contrappone al procedimento accusatorio. Per questo, un procedimento penale può iniziarsi solo e in quanto uno è accusato; il processo ha, in ogni suo momento, carattere pubblico. L'adozione in un procedimento penale dell'inchiesta privata, segreta, d'ufficio, per iniziativa del giudice (inquisitio) è sostanzialmente dovuta - nonostante i precedenti in età romana - alla Chiesa. Una delle caratteristiche dei tribunali dell'Inquisizione è appunto l'adozione, in un momento almeno del processo, della procedura inquisitoriale, ma non si deve confondere questa inquisitio con il tribunale dell'inquisitor, ché quella è procedura applicata universalmente da tutti i giudici e in tutte le cause ecclesiastiche a partire da Innocenzo III, precede il sorgere dell'Inquisizione e si sarebbe certamente diffusa e affermata anche se il tribunale dell'Inquisizione non fosse mai sorto.
Quando si parla di un tribunale speciale istituito per una determinata categoria di reati o di rei, si ha presente un'istituzione concreta, una realtà amministrativa e giurisdizionale che esiste per legge al di fuori dei giudici che sono chiamati a parteciparvi. In questo senso, almeno per tutto il Medioevo, un tribunale dell'Inquisizione non è mai esistito. I documenti non fanno mai ricordo di un'Inquisizione di Carcassonne, di Albi ecc., ma parlano esclusivamente di inquisitor in Regno Franciae, in partibus tolosanis, in Albigensio ecc., mostrando chiaramente, se altri argomenti difettassero, come è alla figura del giudice inquisitor, alle sue caratteristiche, ai suoi rapporti col vescovo, che occorre guardare se si vuole intendere la natura dell'Inquisizione.
L'inquisitor è un giudice straordinario la cui competenza non annulla, ma si affianca a quella del giudice ordinario. Mentre questo, il vescovo, deriva il suo potere giurisdizionale dalla sua stessa investitura, l'inquisitore lo deriva da una espressa delega del potere centrale, dal papa, nel quale risiede la pienezza di ogni giurisdizione. L'inquisitore è un giudice permanente; mentre il vescovo è competente a conoscere universitatem causarum, l'inquisitore ha per oggetto normale della sua competenza solo l'haeretica pravitas; mentre il vescovo non ha giurisdizione fuori dei limiti della sua diocesi, l'inquisitore ha giurisdizione universale quanto alle persone nei limiti fissati dalle lettere di delega: quasi mai questi limiti coincidono con quelli di una diocesi.
Se, e non par dubbio, la novità dell'istituzione sta nella figura di questo giudice, il problema dell'origine dell'Inquisizione si precisa nel senso di proporre all'indagine quando, per la prima volta, abbia avuto luogo da parte papale la nomina di un giudice delegato come quello descritto. La scarsezza della documentazione e l'assurdità di chiedere alla tecnica legislativa medievale un atto di nascita che probabilmente non è stato mai redatto, non consentono di affermare altro che questo: nei Capitula Anibaldi senatoris pubblicati a Roma nel febbraio 1231 (pontificante Gregorio IX) contro numerose categorie di eretici è fatto per la prima volta esplicito ricordo degli inquisitores ab Ecclesia datos, e nello spazio di pochissimi anni (1232-1235) abbiamo ricordo di deleghe inquisitoriali concesse da Gregorio IX per quasi tutte le regioni d'Europa: particolarmente numerose per la Francia. Nel 1235 Gregorio IX affida definitivamente l'Inquisizione ai domenicani e il privilegio sarà esteso da Innocenzo IV ai frati minori (1246).
Occorre avvertire che, certo, deleghe della natura e con l'estensione di quelle concesse da Gregorio IX non hanno precedenti, ma che fin dall'epoca di Alessandro III si ha ricordo di missioni pontificie per la repressione dell'eresia in Francia: ciò non toglie nulla alla novità del mezzo escogitato da Gregorio giacché queste missioni, affidate soprattutto ai cisterciensi, consistono nell'invio di legati per regolare fatti particolari e determinati o per procedere a una generica propaganda contro l'eresia. Notissima è la missione - all'epoca di Innocenzo III - del legato pontificio Pietro di Castelnau (v. albigesi) alla quale si ricollega anche l'azione di san Domenico, che per testimonianza espressa di Bernardo di Guido (v.) esercitò "inquisitionis officium contra labem haereticam auctoritate legati apostolicae sedis sibi commissum in partibus tolosanis". Se è errato fare di S. Domenico il primo inquisitore, è però certo che la delega concessa a Domenico da Pietro di Castelnau, costituisce l'immediato precedente delle deleghe inquisitoriali concesse dal successore d'Innocenzo III, Gregorio IX.
A confortare la tesi che l'Inquisizione debba essere fatta risalire a Gregorio IX, vale anche la testimonianza dei vescovi narbonesi in un memoriale indirizzato (1245) a Innocenzo IV.
Ma quali le cause che avrebbero indotto Gregorio IX a istituire questo giudice di eccezione? La questione della genesi dell'Inquisizione, delibata da tutti gli storici, è stata affrontata sistematicamente da C. Douais. Egli ha mostrato molto bene l'equivoco, spesso di natura polemica, presupposto in tutte le spiegazioni che, più o meno esplicitamente, tendono a rendere il clero responsabile dell'istituzione come quella che si sarebbe resa necessaria a difenderlo dalla minaccia dell'eresia. Il Douais ha efficacemente provato come non si possa ricercare la genesi dell'Inquisizione nell'insufficienza dei giudici e dei mezzi di repressione ordinarî; come l'Inquisizione non possa esser ricollegata alla rinascita del diritto romano o a un accordo fra S. Luigi IX e Raimondo di Tolosa; come non la si possa considerare quasi come il termine fatale di una evoluzione legislativa che ha le sue tappe nei provvedimenti dei concili di Verona, Narbona e Tolosa (v. sopra). Per il Douais la genesi dell'istituzione va ricercata nel conflitto fra Gregorio IX e Federico II: l'inquisitore delegato pontificio sarebbe stato il mezzo opposto da Gregorio IX all'azione sopraffattrice di Federico II per mantenere alla Chiesa le sue prerogative in materia di fede e la sua autonomia spirituale. La legislazione di Federico II in materia di eresia, la rivendicazione che egli fa della competenza dei poteri civili in materia, la sua costante preoccupazione di mostrare gli eretici rei di diritto comune, l'accusa elevata da Gregorio contro Federico di avere, con la scusa dell'eresia, messo a morte dei buoni cristiani rei solo di essere suoi nemici, sono altrettante circostanze che rendono fondata l'ipotesi del Douais, la quale, del resto, è l'unica che inquadri veramente l'istituzione del giudice inquisitoriale in quella che è stata una delle preoccupazioni fondamentali della Chiesa all'epoca di Gregorio IX: il conflitto con Federico II; è l'unica autorizzata da tutta la storia posteriore dell'Inquisizione che ci mostra i poteri pubblici sempre in armi per togliere dalle mani della Chiesa la direzione suprema di questo tribunale. Occorre peraltro osservare che essa è fortemente unilaterale: essa non spiega come l'Inquisizione, al suo sorgere, abbia esplicata prevalente attività in Francia dove il conflitto tra Gregorio e Federico era insussistente e l'autorità dell'imperatore nulla; essa non spiega il sopravvivere dell'istituzione; non spiega come l'azione dell'Inquisizione segua nella sua curva di intensità l'intensità del pericolo rappresentato dall'eresia; essa non pone l'Inquisizione, come dovrebbe, in relazione con le tendenze accentratrici che si manifestano nel governo della Chiesa appunto all'epoca d'Innocenzo III e di Gregorio IX; essa, infine, trascura totalmente tutto un vasto mondo d'idee e di fatti che affiorano nella vita della Chiesa al principio del sec. XIII e che non possono non esser posti, a chi li consideri attentamente, in rapporto anche col sorgere dell'Inquisizione.
Giudici e giudicabili. - Si è già illustrata la figura giuridica dell'inquisitor haereticae pravitatis. Occorre aggiungere che a seguito di numerosi conflitti giurisdizionali fra vescovi e inquisitori, i secondi pretendendo per loro la competenza esclusiva in materia di eresia, fu stabilito (concilio di Vienna del 1312) che la competenza del vescovo rimaneva inalterata e che quindi il vescovo poteva per suo conto far ricercare e arrestare gli eretici, ma che nei giudizî e nelle condanne il vescovo (o suoi delegati) e l'inquisitore dovevano procedere d'accordo.
L'azione dell'Inquisizione è rivolta (almeno fino al sec. XIV) a reprimere, più che l'eresia in senso strettamente teologico, tutta una serie di atti che pur avendo un rapporto stretto, ma spesso estrinseco, con l'eresia non sono solamente e precisamente "eresia"; anche l'eretico è considerato tale più in rapporto alla sua attività esterna, pubblica, che in rapporto alla sua coscienza individuale. Lo stesso invito, rivolto dagl'inquisitori ai colpevoli, di rinunciare alla haeretica pravitas mira soprattutto a far rientrare l'eretico in armonia con la legalità, si direbbe, che con i suoi atti esterni egli ha violato. E questa legalità era l'ordine costituito che è ordine religioso sì, ma anche sociale e politico. Bernardo di Guido (v.), uno dei più famosi teorici dell'Inquisizione, asserisce essere compito dell'inquisitore la persecuzione dei "separantes se a communitate aliorum et potestatem papae et ecclesiae enervantes", comunione e potere nei quali risiede il vero fondamento della società medievale. Solo tenendo presente questo punto di vista si può spiegare come l'Inquisizione, in armonia con i tempi in cui sorse, non abbia allora suscitato, presa in sé, alcuna seria opposizione.
Raimondo di Peñafort nel suo Directorium agl'inquisitori aragonesi stabilisce (1242) otto categorie di imputabili presso l'Inquisizione: haeretici ("qui in suo errore perdurant"); suspecti (coloro che hanno udito prediche o discorsi di eretici, o hanno partecipato alle loro preghiere); celatores (coloro che videro e riconobbero eretici "et non revelaverunt eos"); occultatores ("qui fecerunt pactum de non revelando haereticos... vel alias procuraverunt quod non revelarentur"); receptatores ("qui scienter bis vel ultra receperunt haereticos"); defensores ("qui scienter defendunt haereticos... facto vel verbo"); fautores; relapsi (i recidivi).
L'asserzione che l'Inquisizione abbia considerato l'eresia più che altro dal punto di vista sociale risulta provata dalle caratteristiche stesse del movimento ereticale contro il quale essa si rivolse al suo sorgere (v. appresso e albigesi; catari) e inoltre dal fatto che essa presto estese la sua competenza anche su delitti che con l'eresia vera e propria avevano poco a che vedere, ma che erano ugualmente perniciosi per la vita della Chiesa.
Gli Ebrei (v.), in quanto non appartenenti alla Chiesa, non potevano in linea di diritto essere chiamati in causa dall'Inquisizione, che però era competente nei riguardi dei cristiani passati al giudaismo e di quegli Ebrei che, dopo essersi convertiti, ritornavano apertamente o di fatto alla loro antica religione. In questo senso si pronunciarono Clemente IV, Gregorio X, Nicola III e IV, Benedetto XII e Innocenzo VI. In pratica la giurisdizione contro gli Ebrei fu esercitata in concorrenza sia dall'Inquisizione, sia dai tribunali civili, sia dai tribunali ecclesiastici ordinarî. Di fronte alle continue proteste, Clemente VII decise che le cause contro gli Ebrei dovessero essere svolte esclusivamente di fronte alla curia vescovile e secondo le norme di diritto comune. In realtà, come vedremo, l'Inquisizione spagnola sorse con lo scopo specifico di reprimere i cosiddetti marrani (ebrei convertiti solo in apparenza) i quali fornirono il maggior numero di giudicabili anche all'Inquisizione romana, specialmente sotto il pontificato di Paolo IV.
Maghi, stregoni, indovini, sortilegi, non caddero subito sotto il potere dell'Inquisizione: in un primo momento (Alessandro IV, 1264) furono riservate all'Inquisizione le cause contro pratiche di magia quae saperent haeresim. A partire da Nicola V (1451) e Innocenzo VIII (1484) ogni pratica di magia fu di competenza dell'Inquisizione.
L'antipapa Benedetto XIII ordinò che alcuni delitti contro la morale (adulterio, incesto, concubinaggio) fossero giudicati dall'Inquisizione. Alessandro V deferì spesso a questo tribunale casi di delinquenza comune, specialmente di usura. Nicola V concede all'inquisitore della Linguadoca il diritto di punire bestemmiatori, sacrileghi, sodomiti. L' Inquisizione romana sarà severissima contro il "vizio greco".
Gli scomunicati non sono in diritto (prima del concilio di Trento) rei contro la fede, ma fin da Bonifacio VIII si hanno casi di scomunicati perseguiti dall'Inquisizione come sospetti di eresia. Uno scomunicato che entro un anno non si facesse assolvere cadeva in lieve sospetto di eresia e poteva essere citato come tale dall'Inquisizione. Se non compariva entro un anno, rientrava nella categoria degli scomunicati per eresia; passato un altro anno, poteva essere giudicato dall'Inquisizione come vehementer e anche violenter sospetto di eresia.
Procedura dell'Inquisizione medievale. - La procedura dell'Inquisizione medievale, non fissata in alcun testo ufficiale, è frutto di una elaborazione della quale si esporrà qui lo stadio finale, avvertendo che essa presenta in ogni epoca difformità spesso notevoli.
L'inquisitore, appena giunto sul luogo designato alla sua azione, doveva esibire la lettera di delega al signore del luogo, cui era fatto presente l'obbligo che egli aveva, sotto pena di scomunica, di concorrere all'azione del legato fornendo aiuti e accordando la sua protezione. L'inquisitore nominava quindi la sua corte costituita da un vicario, alcuni commissarî, alcuni boni viri (si vedrà appresso quale fosse la funzione di questi), ufficiali subalterni (in parte forniti dal signore laico), guardiani della prigione (se l'inquisitore ne aveva una propria), notai ecc. A fianco dell'inquisitore o del suo vicario sedeva il vescovo o il suo delegato. Prima di procedere venivano emanati due editti: uno di fede, che imponeva a tutti di denunciare gli eretici o i loro complici; l'altro di grazia, che stabiliva un termine (un mese) durante il quale l'eretico che si fosse presentato spontaneamente avrebbe ottenuto il perdono. Frattanto l'inquisitore faceva per suo conto procedere alla inquisitio d'ufficio.
Tutti coloro che la voce pubblica, l'inchiesta segreta d'ufficio, una denuncia, la deposizione di testimoni e prevenuti in un processo già iniziato, designavano come eretici erano citati a comparire davanti all'inquisitore. In generale il prevenuto non era arrestato, salvo i casi più gravi, ed era interrogato a piede libero. Il convenuto era invitato preventivamente a giurare sui vangeli "quod super facto haeresis, tam de se quam de omnibus aliis, puram, plenam et meram diceret veritatem". In linea di massima, un convenuto che si fosse rifiutato di giurare, avesse giurato il falso (ciò sia detto anche dei testimoni), sottoscriveva senz'altro la sua condanna.
Interrogato, il convenuto poteva confessare subito e in tal caso la causa era già istruita. Ma più spesso negava: ora poiché nessuno poteva essere condannato "sine lucidis et apertis probationibus vel confessione propria" il procedimento subiva sorti diverse a seconda che il medesimo fosse stato iniziato sulla base di denuncia o accusa (bastava la deposizione di due testimoni attendibili a far condannare un imputato) o a seguito dei risultati dell'inchiesta segreta condotta dall'inquisitore. Poiché la confessione dell'imputato era in tal caso necessaria, l'inquisitore spiegava tutta la sua abilità per ottenerla: in ciò, anzi, si misurava la bontà delle sue doti.
L'inquisitore Davide di Augusta (vedi bibl.) indica i seguenti mezzi come adatti a far confessare un imputato: 1. il terrore della morte (si faceva intendere all'accusato che, se non avesse confessato, sarebbe stato bruciato vivo); 2. la prigione più o meno rigorosa; 3. la minaccia che dei testimoni deporranno contro di lui; 4. la visita in prigione di due uomini fideles et providi (si ricorreva spesso a compagni di setta del convenuto già convertiti) che dovevano indurre il convenuto a delle confidenze registrate da testimoni assistenti di nascosto alle conversazioni; 5. la tortura. La tortura fu usata in alcuni processi dell'Inquisizione già nella prima metà del sec. XIII e fu definitivamente autorizzata da Innocenzo IV (bolla Ad extirpanda del 15 maggio 1252); l'uso ne fu confermato da Alessandro IV (1259) e Clemente IV (1265). Doveva essere praticata "citra membri diminutionem et mortis periculum" (raccomandazione, questa, che rimase in più di un caso lettera morta) e impiegata solo come mezzo estremo contro coloro già vehementer indiziati; doveva essere autorizzata dal vescovo; era vietato di reiterarla, ma questo divieto fu spesso eluso. Le confessioni ottenute con la tortura dovevano essere riconfermate. Se l'imputato, torturato, non confessava, era in generale assolto, almeno dalle accuse più gravi.
Il procedimento, si è detto, poteva essere iniziato anche in seguito a denunce o deposizioni di testimoni
Erano ammessi a testimoniare anche altri eretici (Alessandro IV, bolla Consuluit del 23 gennaio 1261); l'età valida era di 14 anni per gli uomini, 12 per le donne (concilio di Tolosa del 1229). Anche i parenti di primo grado erano tenuti alla denuncia fra loro. L'accusato era informato delle deposizioni a lui contrarie, ma non era mai confrontato con i testimoni, né gli venivano comunicati i nomi di questi (solo con Bonifacio VIII la regola contraria fu ammessa in via eccezionale); doveva però comunicare il nome dei suoi nemici: la testimonianza eventualmente prestata da questi era ritenuta invalida.
Comunicategli le testimonianze l'imputato doveva difendersi ma senza l'assistenza d'un avvocato (ammessa solo nel sec. XIV inoltrato e pressoché senza efficacia pratica). L'accusato poteva far andare in lungo il procedimento producendo testimoni a discarico, rifiutando i giudici, appellandosi alla Santa Sede.
Istruita così la causa, l'imputato poteva, in attesa della sentenza, essere lasciato in libertà dietro giuramento di rimanere a disposizione dell'inquisitore, cauzione o garanzia di persone che rispondevano per lui. Prima di formulare la sentenza l'inquisitore era tenuto a consultare una specie di giuria composta d'un certo numero (spesso assai elevato) di probi viri che, avendo assistito all'interrogatorio o dopo aver preso cognizione degli atti processuali, si pronunciavano sulla questione di fatto e di diritto, nonché sulla pena da applicare. In pratica, senza esservi (sembra) astretti di diritto, l'inquisitore e il vescovo, nell'emettere la sentenza, si conformavano al giudizio dei probi viri.
Secondo l'Inquisitore aragonese Nicola Aimerico (sec. XIV), autorevole teorico dell'Inquisizione, la sentenza poteva riflettere tredici situazioni diverse: 1. il prevenuto è innocente e non è infame, cioè non è ritenuto eretico dalla voce pubblica (assoluzione piena); 2. è innocente, ma ha contro di sé l'infamia (è richiesta la produzione di testimoni a discarico e la purgazione canonica); 3. non ha confessato, ma gravano su lui indizî accusatorî (è sottomesso alla tortura con sentenza interlocutoria); 4. non ha confessato, i testimonî non hanno provato nulla contro di lui, ma è leggermente sospetto (deve abiurare, in privato o pubblicamente; è sottoposto a penitenze canoniche, può essere condannato alla prigione ad tempus); 5. non è confesso, ma vehementer suspectus (deve abiurare, è condannato in genere alla prigione ad tempus, una volta libero deve osservare determinate norme di condotta); 6. è violenter suspectus (è scomunicato, la scomunica gli può essere tolta solo con l'abiura, è condannato a una serie di gravi penitenze canoniche, può essere condannato alla prigione perpetua); 7. è riconosciuto sospetto d'eresia e ha contro di sé l'infamia (accumula le pene dei numeri due e quattro); 8. ha confessato d'aver commesso delitto d'eresia, ma non è recidivo (relapsus) ed è disposto ad abiurare (l'abiura deve essere pubblica, le penitenze canoniche più umilianti; è condannato alla prigione perpetua); 9. ha confessato, ha affermato di pentirsi, ma in seguito è ricaduto nell'eresia (per quanto disposto a nuova abiura, sarà consegnato al braccio secolare, ma non gli saranno negati i sacramenti; la consegna al braccio secolare era accompagnata dalla preghiera che la curia secolare formuli la sua sentenza citra sanguinis effusionem et mortis periculum: in realtà non si ha un solo esempio d'eretico consegnato al braccio secolare che abbia scampato la morte; in generale erano bruciati vivi solo gli eretici impenitenti, il pentimento poteva avvenire anche ai piedi del rogo, i pentiti erano uccisi per impiccagione o taglio della testa e arsi morti); 10. l'accusato è confesso, non recidivo, ma impenitente (era posto nella prigione di rigore e durante un anno si faceva appello a ogni mezzo per indurlo a pentirsi: se si pentiva, era condannato alla prigione perpetua, altrimenti era consegnato al braccio secolare); 11. l'eretico è impenitente e recidivo (è consegnato al braccio secolare, ma è esortato sino alla fine a ben morire); 12. l'eretico è convinto, ma non confesso, anzi fa professioni di fede cattolica (è posto nella prigione di rigore e si cerca di farlo confessare: se confessa, è trattato come eretico penitente; se seguita a negare, o se, avendo confessato, si rifiuta d'abiurare, o vuole abiurare solo in parte, è consegnato al braccio secolare; se chiede di abiurare davanti al rogo, è condannato al carcere perpetuo); 13. è il caso del contumace, la cui situazione non era di molto aggravata. - Questi punti non riflettono tutti i casi possibili (per es., v'erano i processi fatti contro morti), e sono espressione non d'un codice ufficiale, ma solo dell'esperienza personale d'un inquisitore: lo studio dei processi noti mostra per altro come, di regola, non ci si discostasse troppo dallo schema d'Aimerico. In linea di massima il rifiuto dell'abiura significava la condanna.
Per avere un'idea della natura delle pene e della misura con la quale erano applicate, basti osservare che dal 1308 al 1323 l'inquisitore Bernardo di Guido pronunciò 930 sentenze con i seguenti esiti: 139 assoluzioni; 132 imposizioni di croci (l'eretico doveva cucirsi delle croci colorate sul vestito); 9 pellegrinaggi in Terrasanta; 143 servizî militari in Terrasanta; 307 imprigionamenti; 17 imprigionamenti si viverent (processi contro defunti); 42 consegne al braccio secolare; 3 consegne si viverent; 69 esumazioni di cadaveri; 40 sentenze di contumacia; 2 degradazioni; 2 esposti sulla scala; 1 esilio; 22 distruzioni di case; 1 Talmud bruciato: tutte queste pene potevano essere attenuate e qualche volta anche rimesse: è frequente il caso di veri e proprî congedi concessi a condannati alla prigione anche perpetua. Molto spesso alle penitenze elencate si aggiungevano pene pecuniarie sino alla confisca totale dei beni: ciò fu causa di gravi abusi. La sentenza era di regola pronunciata pubblicamente e solennemente durante una cerimonia detta sermo generalis, ma più nota col nome di autodafé, che ricevette all'epoca dell'Inquisizione spagnola (v. autodafé).
Azione dell'Inquisizione medievale. - L' Inquisizione medievale svolge la sua attività durante un periodo non facilmente determinabile, giacché quando verso la fine del sec. XV fu organizzata l'Inquisizione spagnola, la vecchia Inquisizione papale sorta nel Medioevo sussisteva ancora pur avendo cessato di svolgere un'azione di notevole rilievo. A eccezione dell'Inghilterra, dove nonostante la severa legislazione contro gli eretici l'Inquisizione propriamente detta fu introdotta solo a proposito del processo dei Templari e farà altra comparsa durante il regno di Maria la cattolica, già nel sec. XIII l'Inquisizione fu stabilita in pressoché tutti i paesi d'Europa: in Spagna, dove fu introdotta in Aragona (1232) ed estese presto la sua azione alla Navarra e alla Castiglia; in Germania, dove fu organizzata dal domenicano Corrado di Marburgo; in Boemia, dove fu introdotta da Alessandro IV (1257), ma dove aveva già cessato di funzionare verso la metà del secolo seguente. Negli stati balcanici due tentativi di Bonifacio VIII (1298) e di Giovanni XXII (1323) rimasero pressoché senza successo. In Francia, fin dal 1235, nella persona di Roberto il Bulgaro (un domenicano convertito dal catarismo), fu nominato un inquisitore generale per universum regnum Franciae con giurisdizione anche sulle Fiandre e sui Paesi Bassi. In Italia, già nel see. XIII, l'Inquisizione finisce per subire le conseguenze della intricata situazione politica: ora sono comuni e signorie gelosi della loro autonomia che ne ostacolano con ogni mezzo l'azione, ora diventa essa stessa strumento di lotta sposando la sua causa a quella d'altri comuni e d'altre signorie. A Piacenza, Bologna, Milano, Parma sorgono società politico-religiose per fiancheggiare l'opera dell'Inquisizione; a Venezia, la Repubblica, dopo essersi rifiutata d'introdurre il nuovo tribunale, ne istituisce uno (1249) che deriva i suoi poteri esclusivamente da lei e solo nel 1298 consente l'introduzione del giudice delegato pontificio, ma accompagnata da tali garanzie (exequatur del doge; presenza a fianco dell'inquisitore di tre assessori laici, cittadini di Venezia, senza la sanzione dei quali ogni atto dell'inquisitore era invalido) che assicureranno sempre all'Inquisizione veneziana una fisionomia inconfondibile. A Verona, in seguito a una spedizione militare concertata da Andalò degli Andalò e dall'inquisitore veronese Tinnidio, Alberto della Scala e fra' Filippo Bonaccorsi s'impadroniscono di Sermione, roccaforte catara: duecento eretici di quella città furono arsi nell'arena di Verona il 13 febbraio 1278.
Con l'esaurirsi del movimento cataro (inizî del sec. XIV), l'Inquisizione non rimase inattiva: il movimento valdese (v. valdesi), durante i secoli XIII-XVI chiama all'opera tutta una serie d'inquisitori domenicani e francescani specialmente nella Francia meridionale, in Piemonte, in Lombardia, in Corsica, in Sardegna, in Calabria: fra tutti si segnalò per energia durante un quarto di secolo (fino al 1393) l'inquisitore Francesco Borrel. Accanto ai catari e ai valdesi, i francescani dissidenti (v. frati minori) e i movimenti concomitanti (v. beghine; dolcino; fraticelli; lollardi; spirituali; ecc.) offrirono, a partire da Giovanni XXII (che nel febbraio 1317 estese ai dissidenti francescani la giurisdizione dell'Inquisizione), largo campo all'attività del tribunale. E l'essersi Ludovico il Bavaro schierato dalla parte dei dissidenti non fece che rendere più aspra la persecuzione, specie in Germania dove si segnalò l'inquisitore generale (1348) Giovanni Schandelang, domenicano.
Fra la seconda metà del sec. XIV e la prima metà del XV l'attività dell'Inquisizione va gradatamente diminuendo d'intensità, senza cessare per questo. Si sono frattanto venuti a maturare due fatti decisivi nella sua storia, come quelli che costituiscono i precedenti logici al sorgere dell'Inquisizione spagnola: la tendenza a estendere la competenza del tribunale a tutta una serie di delitti che hanno in comune con l'eresia propriamente detta solo la loro pericolosità ai fini della vita della Chiesa (v. sopra); l'esser riuscita la monarchia francese (e l'atteggiamento di Filippo il Bello durante il processo dei Templari lo lasciava chiaramente intendere) a sottrarre di fatto ai tribunali dell'Inquisizione la competenza in materia d'eresia, per affidarla quasi esclusivamente ad altri organi direttamente dipendenti dallo stato: fin dal 1331 fu sancito "quod curia inquisitionis erat curia regalis, non ecclesiastica", e presto anche questa trasformata Inquisizione fu praticamente sopraffatta dalla giurisdizione del Parlamento, che avoca a sé il diritto d'appello alle decisioni dell'Inquisizione, e dalla facoltà teologica dell'università di Parigi che, durante il Grande scisma d'Occidente, avoca a sé l'esame delle dottrine e la conoscenza dei delitti d'eresia. Solo nell'ultimo anno di regno di Enrico II (1557) si ha un tentativo, contrastato e pressoché sterile, di riorganizzare l'Inquisizione in Francia; ma già due anni dopo, con Francesco II, il parlamento riafferma i suoi diritti. Nel sec. XVIII sussistevano ancora in Francia, a Tolosa e a Carcassonne, due tribunali permanenti dell'Inquisizione, ma furono soppressi nel 1722.
L'Inquisizione spagnola. - Le vicende politiche della penisola iberica (v. spagna: Storia) avevano consentito un largo e florido sviluppo alle comunità ebraiche spagnole (v. ebrei, XIII, p. 348). La persecuzione antigiudaica, che dalla conquista araba in poi aveva fatte solo sporadiche apparizioni, fu invece una delle caratteristiche del regno di Enrico III di Castiglia e di León (1390-1406), che segna l'inizio della catastrofe dell'ebraismo spagnolo. Fanno allora la prima comparsa i Marrani ("porci"), cioè quegli Ebrei che per sfuggire alla morte passarono al cristianesimo, ma segretamente continuarono a considerarsi Ebrei e a professare l'ebraismo. La monarchia spagnola sorta con l'unione, per la prima volta attuata, delle corone di Aragona e di Castiglia per il matrimonio di Ferdinando il Cattolico con Isabella, si pose subito il problema dei Marrani, che si erano venuti diffondendo al punto "che trattavasi dell'esistenza o non esistenza della Spagna cristiana" (Pastor). Una Bolla di Sisto IV (i novembre 1478) autorizzava Ferdinando e Isabella a nominare due o tre inquisitori di loro fiducia. Le trattative che precedettero la concessione di questa bolla, i termini della medesima e, più, le vicende che la seguirono, mostrano come i sovrani cattolici non intendessero rinunciare all'effettiva direzione della lotta contro i Marrani: essi dovettero intendere che attraverso l'opera dell'Inquisizione "si sarebbe dato al paese una salda unità morale e politica e quel tribunale sarebbe divenuto uno dei più saldi e potenti mezzi d'un governo assoluto e accentratore".
L'azione dei primi inquisitori (Miguel Morillo, Juán de San Martín, Juán Ruiz de Mendoza) a Siviglia (1480-1481) fu talmente rigorosa ed esercitata al di fuori d'ogni garanzia canonica, che la Santa Sede dovette intervenire. Ma la corona spagnola aveva oramai in mano un'arma troppo potente, per lasciarsela sfuggire; e Sisto IV, che pure a più riprese (nel 1482 e 1483) aveva cercato di limitare i poteri degl'inquisitori spagnoli, fu alla fine indotto ad autorizzare i sovrani di Spagna a nominare un prelato spagnolo col titolo d'inquisitore generale (agosto 1483). Nell'ottobre dello stesso anno anche l'Aragona, la Valenza e la Catalogna, fino allora sottratte alla giurisdizione degl'inquisitori spagnoli, furono sottomesse al nuovo regime. Con questi provvedimenti e con le Istruzioni emanate dal primo inquisitore generale, l'Inquisizione spagnola può considerarsi definitivamente stabilita.
Il tribunale definito oramai correntemente come El Santo Officio (l'espressione officium inquisitionis haereticae pravitatis era già da tempo comune presso i canonisti) è presieduto da un grande inquisitore (o inquisitore generale) di nomina regia, ma che riceve la sua giurisdizione ecclesiastica in virtù d'un breve apostolico che gli conferisce anche facoltà di delegare e di giudicare in appello le sentenze emesse dai suoi delegati. Il grande inquisitore è assistito, specialmente in quanto giudice d'appello, da un Consejo de la suprema y generál Inquisición costituito di cinque membri (due segretarî, due relatori e un avvocato fiscale) e di parecchi consultori e qualificatori. Tutti questi funzionarî sono nominati d'accordo fra il re e il grande inquisitore, il quale trasferisce a essi la sua autorità apostolica. Questo consiglio, con le modificazioni apportate in seguito specie da Filippo II alla sua composizione, finì con essere quasi completamente in balia del potere civile e per sovrapporsi allo stesso inquisitore generale. A partire da Clemente VII anche i preti, i vescovi e i cardinali potevano essere sottomessi al tribunale. La procedura dell'Inquisizione spagnola non era in sostanza diversa da quella dell'Inquisizione medievale.
Il primo grande inquisitore di Spagna fu il domenicano Tommaso di Torquemada (v.), confessore della regina Isabella, uomo di costumi integerrimi, ma che, guidato da uno zelo attingente il fanatismo, assolse il suo compito con tale severità, da diventare sinonimo di torturatore e quasi simbolo dell'Inquisizione, non soltanto spagnola. A lui si deve l'effettiva organizzazione del tribunale.
L'azione dell'Inquisizione spagnola si rivolse in un primo tempo quasi esclusivamente contro i Marrani, specialmente dopo che nel 1492 fu posta agli Ebrei spagnoli l'alternativa fra il battesimo e l'esilio. Proscritto l'islamismo (1502), l'Inquisizione si rivolse anche contro i cosiddetti moriscos (maomettani convertiti solo per opportunità). A partire dal sec. XVI si rivolse contro la diffusione della Riforma: protestanti (anche stranieri) e alumbrados furono perseguitati sistematicamente. È rimasto celebre il processo intentato dall'Inquisizione spagnola e conchiuso a Roma contro il card. Bartolomeo Carranza (v.). Nei secoli XVII e XVIII l'azione del Santo Ufficio divenne molto più mite.
L'Inquisizione spagnola estese la sua azione anche nei dominî spagnoli dell'America, specialmente nel Messico e nel Perù. Fallirono invece i tentativi dei sovrani spagnoli d'introdurla a Milano e a Napoli; in Sicilia fu introdotta nel 1518. Il tribunale che Carlo V istituì arbitrariamente nei Paesi Bassi (1522) per reprimere il protestantesimo è rimasto tristamente celebre per la sua crudeltà: i due agostiniani bruciati (in seguito a una sentenza di quel tribunale) sulla Grande Place di Bruxelles il 1° luglio 1523 sono considerati come i protomartiri della Riforma. Un tribunale assai simile a quello dell'Inquisizione spagnola fu fondato nel 1531 in Portogallo a richiesta del re Giovanni III per procedere contro gli Ebrei portoghesi: la Santa Sede, che aveva concesso il permesso, lo revocò di fronte ai procedimenti del re, mal celanti secondi fini, e solo dopo lunghe trattative tornò ad autorizzare definitivamente l'istituzione nel 1547. L'Inquisizione spagnola fu soppressa da Napoleone nel dicembre 1808 e la soppressione fu confermata dalle Cortes il 12 febbraio 1813. Restaurata da Ferdinando VII (luglio 1814), soppressa di nuovo dalla rivoluzione del 1820, fu di nuovo ristabilita nel 1823 e definitivamente soppressa nel 1834. L'Inquisizione portoghese fu soppressa durante il regno di Giovanni VI (1818-1826).
L'Inquisizione romana. - Detta fino al 1908 Sacra congregatio Romanae et universalis inquisitionis seu Sancti officii, fu poi più semplicemente definita (bolla Sapienti consilio del giugno 1908; Codex iuris canonici, can. 247) come Congregatio Sancti officii. Fu istituita da Paolo III (bolla Licet ab initio del 21 luglio 1542), che nominò una commissione centrale, composta di sei cardinali inquisitori, competente in materia di fede e con giurisdizione su tutto il mondo cristiano. Gl'inquisitori avevano potere di delega e decidevano in appello i ricorsi contro le sentenze dei delegati. Il papa si riservava il diritto di graziare i pentiti. La caratteristica di questa istituzione nei riguardi dell'Inquisizione medievale consiste nella centralizzazione del suo potere e nella facoltà accordatale di procedere prescindendo completamente dai tribunali vescovili. La genesi della sua istituzione va posta nel quadro generale della reazione cattolica alla Riforma (v. controriforma), ma va storicamente cercata anche nel desiderio di opporre all'Inquisizione spagnola, oramai quasi completamente caduta in balia dello stato, un antagonista ben altrimenti efficace che non i residui della vecchia Inquisizione papale. La competenza, la composizione e la procedura dell'Inquisizione romana furono oggetto di numerosi provvedimenti da parte dei successori di Paolo III. Ma il vero riorganizzatore dell'Inquisizione romana fu Sisto V, che nella bolla Immensa aeterni (22 gennaio 1588) pose la congregazione dell'Inquisizione come prima delle 15 congregazioni romane.
La pressoché assoluta mancanza di documenti, lo speciale segreto del quale fu circondata l'opera degl'inquisitori non consentono di seguire con precisione l'azione dell'Inquisizione romana. Ma tutto lascia credere che sotto il governo di Paolo III si procedesse con grande mitezza: l'Inquisizione fu allora introdotta a Napoli e a Milano. Con Giulio III fu precisato che, pur essendo un'autorità centrale per tutta la cristianità, l'Inquisizione romana doveva svolgere la sua attività specifica in territorio italiano. Giulio III fu del resto assai mite e concesse anche un'indulgenza a tutti gli eretici contumaci (esclusi i soggetti alla Inquisizione spagnola e portoghese) che si presentassero spontaneamente (1550). Paolo IV procedette contro gli eretici con rigore inusitato: i suoi provvedimenti finirono per cancellare del tutto "il carattere originario d'un tribunale incaricato di conservare la purità della fede" per attribuire a questo "una preponderanza innaturale nell'organismo ecclesiastico" (Pastor). Del resto, "poco avveduto e corrivo a credere Paolo IV non concedeva che troppo facilmente ascolto a qualunque denuncia, anche la più assurda. Né rango, né dignità, né meriti pesavano sulla bilancia. Invidiosi e calunniosi lavoravano assiduamente. Cominciò un vero governo del terrore che riempì tutti a Roma di spavento" (Pastor). I provvedimenti di Paolo IV contro gli Ebrei e il processo da lui fatto intentare contro il card. Giovanni Morone (v.) si ricordano fra gli atti più discussi del suo pontificato. Pio IV rappresenta una battuta di arresto sulla via della severità: limitò la competenza del tribunale e diede facoltà a tutti i condannati di far rivedere il loro processo; riservò al papa il diritto di emettere la sentenza nei procedimenti contro le più alte gerarchie ecclesiastiche e non applicò le misure sancite da Paolo IV contro gli Ebrei. Gli stati italiani, che non avevano mai creato serie difficoltà (se se ne eccettui Venezia) al funzionamento del tribunale creato da Paolo III, furono, sotto il governo di Pio IV, particolarmente ossequenti alla volontà della Santa Sede. Pio V Ghislieri, che Paolo IV aveva nominato inquisitore generale per la Chiesa di Roma, tornò a intensificare l'azione del tribunale a lui caro e prese una serie di provvedimenti che ne garantirono la più larga e sollecita azione: in sei anni (1566-1571) furono celebrati 12 autodafé; salirono il patibolo fra gli altri il Carnesecchi (v.) e Aonio Paleario (v.); fu istituito a Faenza un commissariato generale dell'Inquisizione che in poco tempo istruì circa 150 processi; a Milano lo stesso arcivescovo card. Borromeo dovette intervenire contro una bolla che permetteva il procedimento giudiziario dietro semplice denuncia segreta; sodomiti, streghe ed Ebrei furono sistematicamente perseguitati. Durante i pontificati di Gregorio XIII 1572-1585), Sisto V (1585-1591) e Clemente VIII (1592-1605), l'Inquisizione rallentò notevolmente l'intensità della sua azione: solo una cinquantina di eretici, fra i quali Giordano Bruno, furono abbandonati al braccio secolare. Con Paolo V (1605-1621), Gregorio XV (1621-1623) e Urbano VIII (1623-1644) questa tendenza alla mitezza si fa sempre più netta: l'attività del tribunale si esercita oramai più che altro contro i libri e comprende tutta una serie di pratiche (poteri dei vescovi, ordini religiosi, culto dei santi, dispense matrimoniali, colpe morali, sacrilegi, abusi nella confessione, ecc.), rivelando di essersi trasformata in un organismo d'ordinaria amministrazione per la tutela del buon ordine, della fede e dei costumi nella vita interna della Chiesa. Ciononostante l'Inquisizione seguitò a vivere e le soppressioni che la colpirono nel Sette e Ottocento significarono più che altro il rifiuto degli stati a rendere esecutive le sue sentenze: l'unificazione d'Italia le diede, in questo senso, l'ultimo colpo. Oggi essa vive ancora come una delle congregazioni ecclesiastiche (v. santo ufficio) e alcune sue sentenze hanno praticamente, in alcuni stati, esecuzione da parte dei poteri civili in forza di particolari disposizioni concordatarie (concordati: con la Baviera, art. 3; Polonia, articoli 4 e 13; Lituania, art. 5; Italia, articoli 5 e 29 i).
Bibl.: N. Aimerico, Directorium inquisitorium, con commento di F. Peña, Venezia 1907; L. de Alberti e B. W. Chapman, English Merchants and the Spanish Inquisition in the Canaries, Londra 1912; L. Amabile, Il Santo Officio della Inquisizione in Napoli, voll. 2, Città di Castello 1892; K. Benrath, Geschichte der Reformation in Venedig, Halle 1867; Bernardo di Guido, Practica inquisitionis haereticae pravitatis, ed. C. Douais, Parigi 1886; id., Doctrina de modo procedendi contra haereticos, in E. Martène, Thesaurus novus anecdotorum, V, Anversa 1717; G. Buschbell, Reformation und Inquisition in Italien, Paderborn 1910; C. Carena, Tractatus de officio sanctae Inquisitionis, Lione 1669; T. de Cauzons, Histoire de l'Inquisition en France, voll. 2, Parigi 1909-1913; Corpus documentorum Inquisitionis haereticae pravitatis Neerlandicae (1207-1525), ed. da P. Frédéricq, voll. 4, Gand 1889-1900; J. J. I. v. Döllinger, Beiträge zur Sektengeschichte des Mittelalters, voll. 2, Monaco 1890; C. Douais, Les sources de l'histoire de l'Inquisition dans le midi de la France aux XIIIe et XIVe siècles, in Rev. Quest. Hist., Parigi 1881; id., Documents pour servir à l'Histoire de l'Inquisition de Languedoc, voll. 2, Parigi 1900; id., La procédure inquisitoriale en Languedoc au XIVe siècle, Parigi 1900; id., L'inquisition. Ses origines. Sa procédure, Parigi 1906; I. Gams, Zur Geschichte der spanischen Staatsinquisition, Ratisbona 1878; F. I. García Rodrigo, Hist. verdadera de la Inquisición, voll. 3, Madrid 1876-77; J. Guiraud, L'Inquisition médiév., Parigi 1928; F. Hoffmann, Geschichte der Inquisition, volumi 2, Bonn 1878; H. C. Lea, A History of the Inquisition of the Middle Ages, voll. 3, New York 1887 (trad. franc., Parigi 1900-1902); id., History of the Inquisition in Spain, voll. 4, New York 1906-1907; id., The Inquisition in the Spanish Dependencies, New York 1908; J. A. Llorente, Historia crítica de la Inquisición de España, voll. 10, Madrid 1822; Lodovico à Parano, De origine et progressu officii Sanctae Inquisitionis, Madrid 1598; A. L. Maycock, The Inquisition from its establishment to the Great Schism, 2ª ed., Londra 1931; J. Medina, Historia... de la Inquisición de Lima 1569-1820, Santiago 1887; id., ... de Cartagena, Santiago 1899; id., ... en las provincias del Plata, Santiago 1900; id., ... en Chile, Santiago 1890; J. Melgarec Marin, Procedimientos de la Inquisición, voll. 2, Madrid 1886; A. Millares, Hist. de la Inquisición en las Islas Canarias, Las Palmas 1874; L. Tanon, L'Histoire des Tribunaux de l'Inquisition en France, Parigi 1893; A. S. Turberville, Medieval heresy and the Inquisition, Londra 1920; C. Molinier, L'Inquisition dans le midi de la France au XIIIe et XIVe siècles. Étude sur les sources de son histoire, Parigi 1880; F. Peña, Inquirendorum haereticorum lucerna, Madrid 1598; W. Preger, Der Tractat des David von Augsburg über die Waldesier, Monaco 1878; R. Sabatini, Torquemada and the Spanish Inquisition, Londra 1913; E. Schäfer, Beiträge zur Geschichte des spanischen Protestantismus und der Inquisition, 3 voll., Gütersloh 1902; E. Vacandard, L'Inquisition, Parigi 1907; J.-M. Vidal, Bullaire de l'Inquisition française au XIVe siècle et jusqu'à la fin du grand schisme, Parigi 1913.