INSTITORE (fr. gérant; sp. agente; ted. Prokurist; ingl. agent)
Nel diritto romano institor era il filiusfamilias o il servus che il paterfamilias preponeva alla gestione d'una sua azienda commerciale: figura analoga a quella dell'exercitor, cioè del filiusfamilias o servus posto a capo d'un naviglio.
L'una e l'altra, figure storicamente interessanti; perché il pretore romano, scorgendo nel fatto della praepositio la volontà del paterfamilias di obbligarsi per i negozî conchiusi dal preposto nell'ambito dell'azienda, concesse ai terzi l'azione institoria nel primo caso, exercitoria nel secondo, in solidum contro lo stesso paterfamilias, le quali, aggiungendosi all'azione contrattuale nascente dal negozio conchiuso con la persona alieni iuris, presero il nome di actiones adiecticiae qualitatis.
Tra filiusfamilias e servus da un lato e paterfamilias dall'altro non era concepibile un rapporto di mandato; perciò diversa da quella del diritto romano è la figura dell'institore moderno: una persona stabilmente preposta al commercio o a un ramo del commercio del principale in uno o più luoghi determinati, cui si conferisce un mandato con rappresentanza. Certamente il mandato institorio ha qualche particolarità sua propria, dipendente dall'intimità che vien determinandosi tra l'azienda e il mandatario e dalla stabilità che ha l'ufficio del preposto.
Non esercitando il commercio in proprio, l'institore non acquista la qualità di commerciante; risponde tuttavia della capacità giuridica del preponente, della regolare tenuta dei libri di commercio e, in caso di fallimento del preponente, delle colpe e dei delitti commessi nella gestione (articoli 373, 862, cod. di comm.). La procura può risultare da un atto depositato nella cancelleria del tribunale nella cui giurisdizione l'institore deve esercitare la sua attività, trascritto, affisso e pubblicato, a norma dell'art. 369; può, invece, non essere pubblicata. La legge con poca precisione, parla, rispettivamente, di mandato espresso e tacito. La distinzione merita particolare rilievo per ciò che, mentre la procura pubblicata può essere limitata a un minimum (al disotto del quale il carattere institorio svanirebbe) rappresentato dagli atti costitutivi (necessarî, secondo la terminologia della legge) del commercio affidato, nella procura non pubblicata, per converso, non sono ammesse limitazioni, o, meglio, le limitazioni non sono opponibili ai terzi, a meno che il preponente non provi che i terzi le conoscessero. La legge si è preoccupata, non a torto, della tutela dei terzi, facendo obbligo all'institore di far risultare che egli agisce in nome del principale (contemplatio domini); se si stipuli per iscritto, occorre che l'institore firmi per procura, indicando il nome del principale; se verbalmente, la contemplatio domini può risultare dalle circostanze stesse del negozio, dal contegno dell'institore, ecc. Se ciò non faccia, l'institore incorre in una sua personale responsabilità contrattuale, la quale, per altro, non esclude la responsabilità del principale, quando l'affare concluso dall'institore e dal terzo, appartenesse, per quanto poteva apparire (C. Vivante), all'esercizio del commercio affidato all'institore.
A evidenti ragioni, che attengono al leale esercizio del rapporto, si ispira il divieto espresso all'institore di fare, senza il consenso del preponente, operazioni o prendere interesse, per conto proprio o altrui, in altri commerci del genere di quello cui è preposto. La violazione di questo precetto dà diritto al principale di chiedere, cumulativamente, il risarcimento dei danni e di ritenere per sé i profitti eventuali dell'affare concluso dall'institore in nome proprio; inoltre potrà costituire una giusta causa per la risoluzione del rapporto. Il concetto di rappresentanza generale, che è la nota più caratteristica dell'istituto, comprende anche la capacità processuale dell'institore di stare in giudizio, come attore e come convenuto, in nome del principale.
Veri e proprî institori sono da considerarsi, secondo il più autorevole insegnamento della dottrina e della giurisprudenza, anche i rappresentanti di case estere, quando, bene inteso, il contenuto della loro rappresentanza non esca dai limiti tracciati all'istituto dal patrio diritto.
Per il diritto romano, v. E. Costa, Le azioni exercitoria e institoria nel dir. rom., Parma 1891; S. Schlossmann, Das Contrahiren mit offener Vollmacht, in Festgabe der Kieler Juristenfacultät zu R. v. Jhering, Kiel 1892; O. Lenel, Handel in fremden Namen und actiones adiecticiae qualitatis, in Jhering's Jahrbücher, 1896; S. Solazzi, in Bull. ist. dir. rom., 23 (1911), p. 153 segg.; E. Albertario, L'actio quasi institoria, Pavia 1912. Per il dir. moderno, oltre alle trattazioni generali di diritto commerciale italiane e straniere, S. Sraffa, Del mandato commerciale e della commissione, 2ª ed., Milano 1933; E. Calaci, Del mandato commerciale e della commissione, in Il codice di commercio commentato, 4ª ed., Torino 1913-19; G. Valeri, Del mandato commerciale e della commissione, in Il codice di commercio annotato, 2ª ed., Milano 1933, specialmente p. 132 segg.; id., Il contenuto essenziale della preposizione institoria, in Riv. di dir. comm., XII (1914), I, p. 142 segg.; id., Le forme della preposizione institoria, in Riv. di dir. comm., XIX (1921), I, p. 293 segg.; Q. Mirti della Valle, Rappresentante di case commerciali, in Digesto italiano, XX, p. 98 segg.; Cremieu, De la gérance d'une entreprise commerciale, in Annales de dr. comm., 1909, p. 465 segg.; H. Horrwitz, Das Recht der Handlungsgehilfen und Handlungslehrlinge, Berlino 1905.