INSULA
− Con questo nome, in senso metaforico, i Romani designavano la casa composta di più appartamenti la quale in origine, essendo separata dalle case vicine per mezzo di uno spazio libero di due piedi e mezzo (ambitus), rassomigliava a un'isola.
La parola i. ha quindi un significato spaziale in contrapposto alla Voce generica domus con cui si indica l'abitazione privata, appartenente generalmente ad una sola famiglia. Infatti anche ogni domus è in origine un'i., secondo la norma stabilita nelle Dodici Tavole, che ogni caseggiato privato fosse circondato da un ambitus per permettere ai singoli proprietarî di circolare intorno alla propria casa. Però ben presto, già forse nel corso del Il sec. a. C., l'ambitus fu occupato da tettoie o balconi o porticati, che vennero via via a formare oggetto di diritti o di oneri del proprietario (ius proiiciendi, ius oneris ferendi, ecc.). Talvolta lo spazio intorno al caseggiato veniva soppresso, nel reciproco interesse dei vicini, per costruire un muro mediano o un muro contiguo tra due case. Di fatto, negli ultimi secoli della Repubblica e durante l'Impero, la maggior parte delle case di Roma hanno muri contigui o comuni. Così è che, secondo Tacito, Nerone, per ridurre i pericoli d'incendio, dopo quello disastroso del 64, stabilì che ogni casa dovesse avere almeno dei muri proprî, cioè che il confine di due case vicine fosse formato da un doppio muro.
Nell'età repubblicana la casa di affitto era detta di preferenza taberna e la casa signorile atrium; ma già nell'età di Cicerone il nome di i. prende il sopravvento su quello di taberna e in questo senso, l'uso si estende a tutto il mondo romano, giacché troviamo in una Lex Antonia del sec. I a. C. la menzione di aedificia privata e di insulae a proposito di Termessus Maior, città della Pisidia. E poiché la casa destinata all'affitto è costruita in modo differente dalla domus, la parola i. acquista un significato anche architettonico. Sebbene, sia pure eccezionalmente, anche la domus possa essere affittata, essa non è in genere destinata all'affitto come l'i., e soprattutto non può essere affittata a più famiglie come questa.
Il tipo architettonico dell'i. è stato rivelato dalle rovine di Ostia, che ne hanno mostrato i primi esemplari, ed è stato poi riconosciuto non soltanto a Pompei, dove è meno diffuso, ma anche in Roma stessa, dove invece era diffusissimo. L'i. è usata soprattutto nelle grandi città, in cui la rende necessaria l'abbondanza della popolazione, e il suo tipo si generalizza nell'Impero in cui da un lato il progresso della tecnica costruttiva, dall'altro la varia agiatezza delle classi sociali, rendono l'i. adatta a soddisfare tutte le esigenze, in confronto alla domus, cioè alla casa tradizionale latina (villino o palazzina moderna).
Solo eccezionalmente un'i., come appare da alcuni testi antichi, può essere costruita sopra una domus, e ciò significa che il piano terra della casa, costruito secondo le regole fondamentali della domus, è adibito ad abitazione del proprietario, e al di sopra è invece costruito un altro piano, destinato all'affitto. Tanto che, a questo proposito, Seneca (De benef., vi, 15, 7) parla dell'abilità degli architetti che riescono a riparare i muri fatiscenti di una domus tenendo sospesa su travi l'insula.
Tuttavia, di solito, l'i. è un intero caseggiato, distinto dalla domus da queste caratteristiche costruttive e architettoniche: sovrapposizione di piani in modo da raggiungere l'altezza legale stabilita a 18 e poi a 16 m (4 o 5 piani); facciate principali sulla strada, fornite di botteghe, di scale, finestre, balconi, e facciate secondarie su grandi cortili scoperti o giardini; pianta degli appartamenti studiata in modo che la destinazione dei singoli ambienti è lasciata alla volontà dell'inquilino. Questi tre principî costruttivi avvicinano l'i. al tipo dell'odierna casa d'abitazione, che trova in essa precisamente la sua origine latina. Si può affermare anzi che il tipo dell'i. è stato ricco d'invenzioni e di trovate architettoniche e decorative di cui la stessa architettura moderna si giova: basta osservare alcuni esemplari di case ostiensi e l'i. recentemente scoperta in Roma alle pendici del Campidoglio.
Per il fatto che, architettonicamente e socialmente, l'i. è distinta dalla domus, la voce i. acquista anche un significato amministrativo. Infatti, in un documento dell'epoca di Costantino (Notitia o Curiosum urbis Romae) in cui si enumerano per ogni regione e nel totale oltre ai monumenti e agli edifici anche le case di Roma, queste sono distinte così: Insulae per totam urbem xlvi dcii, domus mccccx.
Tali cifre, che offrono un importante elemento statistico non solo per le abitazioni, ma anche per il calcolo della popolazione di Roma, provenendo certo da un censimento ufficiale, debbono essere considerate prossime al vero. Quanto al significato della parola in questo documento statistico e ammmistrativo, si sono fatte varie ipotesi: case intere, piani di case, tabernae, singoli vani, appartamenti. Nessuna di queste, a dire il vero, soddisfa pienamente, soprattutto per quanto riguarda il calcolo della popolazione di Roma nel tardo Impero, che risulta troppo esiguo, calcolando a vani o tabernae, e troppo grande, calcolando a case; potrebbe andare bene per appartamenti, arrivando così alla cifra di poco più di un milione ma, dato l'aspetto delle case antiche, la divisione per appartamento non sembra molto logica. Si è pensato, invece, con più ragione, ad una ripartizione catastale, facendo corrispondere la i. con la nostra parcella, cioè con una entità giuridica e topografica ben definita.
Le insulae si distinguevano spesso col nome del proprietario. L'epigrafe ci ricorda tra le altre un'i. Arriana Polliana di Gneo Alleio Nigidio Maio a Pompei; a Roma le insulae: Bolaniana presso l'Isola Tiberina; Calamiana ed Eucarpiana, Vitaliana sull'Esquilino; Sertoriana nella Regione VIII, a cui aggiungeremo l'i. Cuminiana sul Celio citata negli Atti di San Pancrazio.
Bibl.: A. De Marchi, Ricerche intorno alle insulae o case a pigione in Roma antica, in Mem. Istit. Lombardo di scienze e Lettere, maggio 1891; Ch. Hülsen, in Röm. Mitt., VII, 1892, p. 279 ss.; E. Cuq, Une statistique de locaux d'habitation, in Mém. Acad. des Inscriptions et Belles Lettres, XL, 1915, pp. 279-335; G. Calza, La preminenza dell'i. nell'edilizia romana, in Mon. Ant. Linc., XXIII, 1915, c. 541 ss.; Fiechter, in Pauly-Wissowa, IX, 1916, c. 1593-94; id., ibid., Suppl. IA, 1920, c. 1962 s.; G. Calza, La statistica delle abitazioni in Roma imperiale, in Rend. Acc. Linc., sc. mor., 1917, p. 60 ss.; id., Gli scavi recenti nell'abitato di Ostia, in Mon. Acc. Linc., XXVI, 1920, c. 321 ss.; id., Le origini latine dell'abitazione moderna, in Architettura e Arti Decorative, 1923; L. Friedländer, Sittengeschichte Roms10, Lipsia 1922, I, p. 11; E. De Ruggiero, in Diz., IV, Roma 1925, p. 62 ss.; G. Calza, Contributo alla Storia dell'edilizia imperiale romana, in Palladio, V, 1941, n. i ss.; id., La popolazione di Roma antica, in Bull. Com., 1941, Rassegna, p. 142 ss.; G. Lugli, Il valore topografico e giuridico dell'insula in Roma antica, in Rend. Pont. Accad. Arch., XVIII, 1941-42, p. 191 ss.; id., Nuove osservazioni sul valore topografico e catastale dell'insula in Roma antica, in Rivista del Catasto, 1946, p. 3 ss.; G. Becatti, Case ostiensi del tardo impero, in Boll. d'Arte, XXXIV, 1948, p. 102 ss., 197 ss.; R. Meiggs, Roman Ostia, Oxford 1960; La pianta marmorea di Roma antica, a cura di G. Carettoni, A. M. Colini, L. Cozza, G. Gatti, Roma 1960.
(†G. Calza-G. Lugli)