insulti
Gli insulti sono parole ed espressioni cui si ricorre entro atti linguistici destinati a colpire e offendere l’interlocutore. Nel conflitto verbale, in cui rappresentano normalmente un punto di massima tensione, dato che mirano non alla causa effettiva del dissidio ma direttamente alla persona dell’avversario, gli insulti si accompagnano in genere ad altri atti aggressivi e ostili (accuse, rimproveri, minacce, imprecazioni, ecc.), rispetto ai quali non è sempre facile stabilire dei precisi confini.
Nonostante il loro interesse sul piano socio-, etno- e pragma-linguistico gli insulti sono stati relativamente poco studiati, soprattutto in Italia. In alcuni studi si segnala la duplice componente illocutiva dell’insulto, che esprime sia emozioni negative del parlante (disgusto, sdegno, disprezzo, ecc.) sia una sua valutazione negativa del destinatario (di suoi aspetti fisici o morali, della sua provenienza, di persone o cose a lui collegate). Ma viene anche sottolineato come possa essere lo stesso insultato, con la sua percezione della gravità dell’insulto, ad attribuire al parlante intenzioni più o meno offensive.
Sul piano formale l’atto di insultare si può realizzare con enunciati di struttura e di dimensioni le più diverse. Esso prende spesso la forma di apostrofe e allora l’epiteto insultante è usato con funzione vocativa, per es.:
(1) deficiente, piantala!
In altri casi può essere inserito in una domanda retorica:
(2) ti rendi conto che sei un deficiente?
Frequentemente, si trova in frasi marcate:
(3) un deficiente, ecco cosa sei!
Per definire, almeno nella comunicazione faccia-a-faccia, la forza illocutiva e la carica aggressiva di un insulto non sono di marginale importanza indicatori paralinguistici (quali il tono e il volume della voce), cinesici (gesti, espressione del viso), prossemici (eventuale violazione dello spazio interpersonale).
Sebbene gli insulti siano parole di segno negativo (brutto, cattivo, traditore, vigliacco, ecc.), è evidente che qualunque parola o espressione può diventare insultante a seconda della dinamica conversazionale e del contesto culturale. In particolare si è visto che perché un enunciato possa funzionare come insulto deve essere percepito come ingiurioso sia da colui che insulta sia dall’insultato, che devono dunque condividere uno stesso sistema di valori. L’efficacia insultante di un’espressione è perciò necessariamente relativa a usi, credenze, tabu (➔ tabu linguistico), ideologie delle comunità, e muta in rapporto alle loro trasformazioni culturali. Nella società contemporanea, ad es., possono risultare più insultanti che nel passato espressioni che si riferiscono alla mancanza di forma fisica, all’età avanzata, all’indigenza. La natura relativa degli insulti emerge in tutta la sua evidenza da quelli basati su pregiudizi di tipo etnico (in particolare quando essi consistono nella semplice enunciazione di provenienza, come nel caso di siciliano, milanese, marocchino, albanese), o di tipo politico-ideologico (comunista, fascista).
Di fatto l’insulto è quasi sempre incentrato su un elemento culturalmente o socialmente interdetto, e il suo potere offensivo è appunto in rapporto con la violazione più o meno esplicita del tabu. La sua efficacia risulterà più immediata con l’impiego di espressioni offensive e gergali (zoccola, culattone, negro di merda, fregnone) ma nondimeno potrà suonare insultante, a seconda dei contesti e delle intenzioni, anche un termine eufemistico o comunque (escort, gay, extracomunitario; ➔ politically correct).
I più correnti insulti consistono tuttora in espressioni che fanno riferimento a fatti che nella nostra società sono colpiti da tabu, quali la sessualità e le funzioni corporali (coglione, stronzo, puttana, bastardo, cornuto) e l’intelligenza (cretino, imbecille, idiota). E del resto proprio in rapporto a queste aree semantiche il parlante trova un quasi inesauribile repertorio espressivo nei dialetti, dal quale attinge spesso anche nelle sue interazioni in italiano.
Proprio la frequenza di un insulto, o addirittura un suo uso routinario, può fargli perdere pregnanza semantica (dunque ogni collegamento con effettive caratteristiche o mende dell’insultato) e usurarlo, facendone alla fine un’arma spuntata nell’aggressione verbale. Tanto che il parlante è portato spesso a tentare di recuperarne l’efficacia con vari procedimenti di rafforzamento. Come è avvenuto, ad es., nel caso del sintagma stronzo di merda, divenuto poi a sua volta così usuale che il parlante, percependolo ormai privo di forza offensiva, può tentare di riattualizzarlo, come nella seguente versione (colta in una interazione reale) che ne moltiplica la tautologia:
(4) stronzo di merda e di cacca!
A fronte dell’abuso di un repertorio ricorrente di formule ingiuriose, come quello che fu amplificato e strumentalizzato dai media nella stagione di rissosissima comunicazione personale e politica che caratterizzò il Paese negli anni a cavallo del XX e XXI secolo, sono ormai rari i casi in cui la volgarità e la banalità lasciano il posto a più raffinati e sottili attacchi verbali degni della tradizione di quella che è stata definita la «nobile arte dell’insulto».
Che i rapporti personali, sociali e politici siano interessati da conflitti verbali e risuonino di insulti non è infatti certo cosa recente, e anche solo per l’area italiana sono innumerevoli i testi e i documenti che ne testimoniano la secolare consuetudine e anche il farsi genere testuale, ad es., nelle tenzoni ‘per le rime’ (per l’italiano antico cfr. Dardano, Giovanardi & Palermo, 1992). In particolare non è difficile rilevare come le diverse autorità civili o religiose si siano dovute fare carico, in ogni epoca in rapporto alle mentalità e ai costumi correnti, di definire il grado di offensività dei diversi insulti, producendo giurisprudenza a riguardo (cfr. Burke 1987: 118-138).
Tuttavia anche il giudice mostra spesso come di fronte a questa delicata materia sia dirimente la percezione della gravità dell’insulto da parte dell’offeso e, più in generale, il contesto. Due sentenze della Corte di Cassazione del 2009 hanno dato esempi convincenti. Nel primo caso fu riconosciuta aggravante per l’insulto stronzo, peraltro definito dall’«intrinseca valenza offensiva/spregiativa», l’essere stato rivolto a una persona anziana, «non adusa certamente a certe disinvolture di linguaggio». Nel secondo caso fu respinta la richiesta di risarcimento di un concorrente di un reality show, definito pedofilo da un altro partecipante, sulla base della considerazione che queste trasmissioni «sollecitano il contrasto verbale tra i partecipanti, che ne sono del tutto consapevoli» e che per valutare la portata offensiva di un’espressione «occorre avere riguardo al contesto nel quale essa è inserita».
In realtà la valenza relativa dell’insulto è testimoniata anche dal fatto che può capitare di insultare qualcuno senza rendersene conto e che questo avviene più facilmente quando ci si trovi, privi delle necessarie competenze nei codici di riferimento dell’‘altro da noi’, in contesti interculturali.
L’insulto può assumere anche un significato completamente diverso da quello prototipico, che segnala ostilità e presa di distanza, nelle sue manifestazioni scherzose che testimoniano al contrario solidarietà, confidenza, appartenenza a un gruppo di pari, come nel seguente esempio (reale):
(5) ciao vecchio coglione, come va?
L’impiego di simili insulti ‘amicali’, che appare molto comune negli scambi conversazionali informali, ma che in alcuni casi può avere aspetti più ritualizzati (Labov 1972) e prendere le forme di duello verbale, ha una tradizione ben documentata e si collega anche con usi propri di contesti culturali molto lontani dal nostro, ad es. nelle cosiddette parentele di scherzo (citate a questo proposito da Cardona 1976: 198-200).
L’insulto amicale è oggi componente significativa del cosiddetto flame, cioè delle espressioni aggressive e volgari nella comunicazione mediata dalle tecnologie, in particolare nelle chat lines (Pistolesi 2002) ma anche nei testi delle e-mail e negli sms. Jaccod (2005) riporta numerosi esempi di volgarità amicale in chat, come il seguente scambio di entrata di utenti in un canale (p.172):
[01:40] ‹asmroot› ciao stronzi
[01:40] ‹asmroot› (ovviamente il saluto vale solo per i miei stronzoni di fiducia)
[01:41] ‹Vekkio› ciao frocio
Lo stesso Jaccod nota come nelle chat «la pratica di rivolgersi agli altri con epiteti offensivi sia frequente in qualsiasi momento, senza che questo implichi un’intenzione oltraggiosa».
Burke, Peter (1987), The historical anthropology of early modern Italy. Essays on perception and communication, Cambridge - New York, Cambridge University Press (trad. it. Scene di vita quotidiana nell’Italia moderna, Roma - Bari, Laterza, 1988).
Cardona, Giorgio R. (1976), Introduzione all’etnolinguistica, Bologna, il Mulino (nuova ed. Torino, UTET università, 2006).
Dardano, Maurizio, Giovanardi, Claudio & Palermo, Massimo (1992), Pragmatica dell’ingiuria nell’italiano antico, in La linguistica pragmatica. Atti del XXIV congresso della Società di Linguistica Italiana (Milano, 4-6 settembre 1990), a cura di G. Gobber, Roma, Bulzoni, pp. 3-37.
Jaccod, Davide (2005), Volgarità in rete. Note sulla disfemia nell’italiano della Chat, «Rivista italiana di dialettologia» 29, pp. 169-180.
Labov, William (1972), Rules for ritual insults, in Language in the inner city. Studies in the black English vernacular, Oxford, Blackwell, pp. 297-353.
Pistolesi, Elena (2002), Flame e coinvolgimento in IRC, in Passioni, emozioni, affetti, a cura di C. Bazzanella & P. Kobau, Milano, McGraw-Hill, pp. 261-277.