Integrazione sociale
L'integrazione sociale è uno stato della società in cui tutte le sue parti sono saldamente collegate tra loro e formano una totalità delimitata rispetto all'esterno. Parti della società sono i singoli individui in quanto membri della comunità sociale, le famiglie, i ceti, i gruppi, le classi, gli strati, le associazioni, le unioni e i partiti nonché i sottosistemi specializzati nello svolgimento di determinate funzioni, come ad esempio i sistemi dell'economia, della politica, del diritto, della scienza, della medicina, dei mass media e della religione.
Nelle società tribali più semplici il vincolo di sangue della parentela rappresenta il principale fattore di coesione della società. Il tabù dell'incesto impone unioni matrimoniali al di fuori della cerchia familiare e contribuisce a creare sistemi di parentela più estesi. Con lo sviluppo degli scambi economici tra diverse società tribali e con l'espansione del dominio tribale oltre il territorio originario, attraverso la sottomissione di altre tribù alla sovranità di un'unica tribù dominante, nascono unità sociali più ampie. I confini e la coesione interna di tali unità non sono più determinati unicamente dal vincolo di sangue della parentela. A questo livello solo quelle società che hanno trovato nuove forme di integrazione sociale possono conservarsi più a lungo. La divisione del lavoro crea una nuova forma di integrazione economica che supera i confini del gruppo parentale. Come ha messo in rilievo Herbert Spencer (v., 1857 e 1862), l'omogeneità incoerente del clan familiare, caratterizzato da una differenziazione segmentaria, lascia il posto all'eterogeneità coerente di artigiani e commercianti specializzati. La costituzione di un potere centrale con un sistema amministrativo esteso a tutto il territorio assicura l'integrazione politica della società. Quando l'apparato amministrativo è l'organo esecutivo di disposizioni emanate dal centro si ha, secondo la definizione di Max Weber (v., 1922, pp. 133-134), un sistema di dominio patrimoniale. Quando l'apparato amministrativo ha propri diritti di signoria che esercita autonomamente in via fiduciaria si ha - sempre secondo la tipologia weberiana (ibid., pp. 134-135 e 148-155) - un dominio patrimoniale di ceto, mentre la concessione di feudi per l'esercizio autonomo del potere caratterizza il sistema di dominio feudale. Le interpretazioni religiose del mondo - che superano il culto degli antenati e la venerazione di divinità tribali, intronizzando dei e santi funzionalmente specializzati i quali trascendono la sfera tribale - favoriscono l'integrazione culturale della società. L'integrazione attraverso la parentela viene sostituita da un ordinamento sociale organico basato su una gerarchia di ceti, ognuno dei quali è chiamato a svolgere una funzione specifica nel sistema di divisione del lavoro e contribuisce così alla conservazione della società nel suo complesso. La differenziazione funzionale della divisione del lavoro coincide con la differenziazione gerarchica dei ceti. I diritti e i doveri nonché i rapporti reciproci di questi ultimi sono fissati in modo vincolante dal diritto corporativo. L'obbligo dei ceti di dare il proprio contributo alla conservazione della società globale e il loro dovere di mutua assistenza creano una integrazione solidaristica della società che trascende i confini del sistema parentale.
In questo modo la società tradizionale raggiunge una forma di integrazione sociale superiore rispetto a quella delle società tribali più semplici. I limiti della capacità di integrazione della società tradizionale tuttavia diventano evidenti man mano che progrediscono la divisione del lavoro, l'espansione politica e la riflessione culturale. L'illuminismo, la rivoluzione industriale e la rivoluzione democratica della fine del XVIII secolo e la loro diffusione nel corso del XIX secolo in Europa e in Nordamerica hanno disgregato l'ordinamento sociale tradizionale. La Riforma protestante del XVI secolo aveva sostituito alla differenziazione dei doveri religiosi sulla base del ceto un'etica universalmente vincolante, alla tutela esercitata dalla Chiesa sugli uomini e agli obblighi legati al ceto la responsabilità personale dell'individuo libero di fronte a Dio, all'accettazione passiva del mondo e dell'ordinamento sociale come prodotto della volontà divina l'attiva trasformazione del mondo e della società per la gloria di Dio.
L'illuminismo ha radicalizzato la Riforma trasformandola in una rivoluzione culturale. Esso ha messo la ragione universale al posto di Dio, ha riconosciuto a tutti gli uomini la libertà ed eguali diritti all'autorealizzazione responsabile, ha proclamato la fratellanza di tutti gli uomini e ha elevato a fine programmatico il progresso dell'umanità verso una vita migliore. In questo modo l'ordinamento cetuale venne delegittimato e si crearono nello stesso tempo i presupposti per una integrazione culturale ancora più ampia. I diritti civili costituiscono il fulcro di una comunità solidale di cittadini liberi ed eguali. Si tratta di diritti individuali che uniscono i singoli in una società civile indipendentemente dalla loro origine e dagli altri legami di appartenenza. Oltre ai diritti civili, i diritti universali dell'uomo creano un potenziale che, adeguatamente sfruttato in un discorso globale, può condurre a una integrazione culturale di tutta l'umanità. In questo processo la fede illuministica in una ragione e in una verità universali e accessibili a tutti gli uomini, nella libertà e nella responsabilità personale dell'individuo, nell'eguaglianza di diritti e nel progresso dell'umanità si diffonde sempre più in tutto il mondo. Vengono definiti in questo modo dei valori universali che consentono un accordo di tutti gli uomini sulla 'vita giusta'. Questi valori universali diventano i media dell'integrazione culturale della società moderna, la cui prospettiva ultima è l'unità culturale di un'unica società mondiale.
La rivoluzione industriale ha dissolto il vecchio ordinamento corporativo dei mestieri, affidando la creazione del benessere sociale al libero sviluppo della produzione, della distribuzione e del consumo, basato unicamente sulle leggi del mercato e della valorizzazione del capitale. In questo modo la divisione del lavoro è stata ulteriormente sviluppata ed estesa. Sia la divisione del lavoro che lo scambio delle merci superano sempre più i confini dei mercati locali, ed estendendosi via via dai mercati regionali a quelli nazionali e internazionali tendono alla costituzione di un mercato unificato globale. La costituzione di mercati su vasta scala, lo sviluppo dell'economia monetaria e l'introduzione di sistemi valutari unificati in spazi economici sempre più ampi accelerano il processo di integrazione economica della società caratterizzata dalla divisione del lavoro. Il denaro diventa un mezzo potentissimo di integrazione economica. Esso consente una valutazione comparata secondo un metro unitario di tutte le merci presenti sul mercato, separa lo scambio dal baratto e attraverso la formazione del capitale permette un accumulo e una conservazione di valori economici senza più limiti materiali. La rivoluzione industriale e lo sviluppo del capitalismo moderno hanno posto fine inoltre alla convergenza tra la divisione del lavoro nella sfera economica e la gerarchia dei ceti. La borghesia industriale disgrega l'ordinamento cetuale, sconfigge l'aristocrazia attraverso l'accumulo di ricchezza economica e non è più disposta a sottomettersi alla sua tradizionale rivendicazione del comando. La libertà di acquistare e vendere la proprietà, di esercitare un mestiere e di concludere contratti con chiunque per il reciproco tornaconto costituiscono il fulcro di un nuovo ordinamento economico, dal quale si sviluppa un sistema non più fondato sulla convergenza tra divisione del lavoro e gerarchia dei ceti, ma esclusivamente sulla libera circolazione del denaro. Secondo Niklas Luhmann (v., 1984, pp. 37-39, 256-265, 551-593 e 624-631) è qui che si compie il passaggio dalla differenziazione gerarchico-cetuale alla differenziazione funzionale della società. A rigore si tratta però di una separazione tra i due tipi di differenziazione, che segna la fine del vecchio ordinamento cetuale.
La rivoluzione democratica ha eliminato il dominio della monarchia affidando l'esercizio del potere alla libera competizione politica per il voto. L'esercizio del potere non si fonda più sulle dinastie e sulla loro legittimazione divina, bensì sulla delega limitata nel tempo della responsabilità della guida politica attraverso elezioni democratiche. I diritti di partecipazione attivi e passivi sono stati sistematicamente ampliati sino a essere riconosciuti a tutti i membri adulti della società. In questo modo la partecipazione all'esercizio del potere è stata estesa al maggior numero possibile di singoli individui e gruppi. La democrazia moderna ha raggiunto così il più grande potenziale di integrazione politica. L'inserimento di tutti i membri e i gruppi della società nel processo di formazione delle decisioni politiche dovrebbe garantire nello stesso tempo il loro autovincolamento a tali decisioni. L'effetto di divisione creato dalla decisione a maggioranza dovrebbe essere mitigato dalla limitazione temporale dell'esercizio delle cariche politiche, dalla possibilità di modificare le decisioni prese e dalla tutela della minoranza mediante diritti fondamentali inalienabili. Le rivoluzioni democratiche hanno eliminato assieme alla monarchia anche l'amministrazione politica affidata a funzionari legati al sovrano da vincoli personali; al suo posto subentra un apparato burocratico vincolato solo alla legge e alla costituzione, corrispondente al tipo ideale del dominio burocratico razionale-legale quale è stato definito da Max Weber (v., 1922). Sul piano dell'integrazione politica della società ciò ha reso possibile una partecipazione svincolata da ogni rapporto personale di tutti i singoli membri e gruppi all'esercizio ordinario del potere attraverso l'amministrazione. Si crea così un sistema politico specializzato nella funzione sociale della selezione e dell'attuazione di decisioni collettivamente vincolanti. L'integrazione di tale sistema è assicurata da un potere politico accessibile a tutti in egual misura e al quale tutti sono assoggettati in egual misura. Tale potere viene delegato e utilizzato per l'attuazione di decisioni collettivamente vincolanti in base alle regole della costituzione. Nei sistemi democratici i singoli membri e gruppi della società dovrebbero partecipare alla formazione, alla delega, alla revoca e all'esercizio del potere politico. Ciò garantisce che attraverso l'esercizio del potere vi sia un'integrazione politica della società altrettanto flessibile quanto l'integrazione economica consentita dal denaro.Il dissolvimento dell'ordinamento cetuale ha comportato una straordinaria libertà dei singoli individui e gruppi che compongono la società, entro la quale non esiste più alcuna gerarchia prefissata. Al posto dell'ordinamento fisso della società divisa in ceti, ognuno dei quali ha un posto immutabile, subentrano la società aperta e dinamica delle classi, degli strati e dei gruppi, la libera concorrenza per risorse scarse, la lotta per l'esercizio del potere e quella per la verità. Sulla scorta di una distinzione concettuale operata da David Lockwood (v., 1964) ci porremo i seguenti interrogativi: in che modo una società di questo tipo può raggiungere, oltre all'integrazione sistemica attraverso mezzi di comunicazione quali i valori, il denaro e il potere politico, un'integrazione sociale dei singoli individui e gruppi? È realmente necessaria un'integrazione sociale oltre a quella sistemica? Se la società moderna si compone di sottosistemi funzionalmente differenziati, e se è questa la sua struttura fondamentale, come è possibile l'integrazione reciproca di tali sottosistemi e in che modo essi possono formare una totalità sociale? A tali interrogativi la sociologia ha dato diverse risposte (v. Münch, 1993).
Secondo le teorie dell'integrazione economica la società moderna basata sulla divisione del lavoro è caratterizzata da una pluralità di singoli processi di scambio e dai correlati rapporti contrattuali. Nella moderna società di mercato l'integrazione dei singoli e dei gruppi nella società attraverso l'appartenenza a un ceto sociale immutabile lascia il posto al contratto liberamente stipulato tra qualsivoglia coppia di contraenti. Questo modello non vale solo per lo scambio delle merci, ma anche per il rapporto professionale tra medico e paziente e tra consulente legale e cliente, per il rapporto di potere tra elettori ed eletti e tra governanti e cittadini, per il rapporto educativo tra genitori e figli e tra insegnanti e allievi, nonché per il matrimonio tra uomo e donna. I contratti rappresentano il fattore di coesione della moderna società di mercato. In questa prospettiva il passaggio dalla società tradizionale a quella moderna appare un passaggio dallo status al contratto. Questa teoria dell'integrazione economica è stata introdotta nella sociologia da Herbert Spencer (v., 1857, 1862 e 1876-1896). Egli sviluppò le idee del liberalismo e dell'utilitarismo filosofico ed economico che nel mondo anglosassone, sull'onda dello sviluppo della libera società di mercato, erano state elaborate da John Locke, David Hume, Adam Smith, Jeremy Bentham e John Stuart Mill. Secondo Spencer l'affermarsi della società di mercato matura e dell'uomo autoresponsabile avrebbe lasciato sempre meno spazio alla 'mano ordinatrice' dello Stato. Quest'ultimo alla fine dovrebbe diventare del tutto superfluo, allorché gli uomini in un processo di selezione evoluzionistica saranno diventati sufficientemente maturi da associarsi liberamente e autoresponsabilmente attraverso una molteplicità di contratti.
Dall'utilitarismo universalistico di Bentham, Spencer mutuò l'idea secondo la quale la società ha raggiunto il suo stadio più maturo quando ogni individuo raggiunge la maggiore felicità possibile. Vilfredo Pareto (v., 1906) ha introdotto in seguito nella teoria economica il concetto che da lui prende il nome di 'ottimo paretiano'. Si tratta di una situazione della società in cui non è possibile migliorare le condizioni di vita materiali di un individuo senza peggiorare quelle degli altri. Una società di questo tipo può essere caratterizzata da una notevole diseguaglianza delle condizioni di vita materiali. Una società in cui anche gli individui che stanno peggio hanno condizioni di vita migliori di quelle che avrebbero in qualunque altra società - anche in una società in cui vi siano minori diseguaglianze - è la più vicina alla situazione di ottimo paretiano. Se, ad esempio, nella società comunista tutti gli uomini stanno peggio che nella società capitalistica, compresi i più poveri, essa sarà più lontana della società capitalistica dall'ottimo paretiano. La teoria dell'integrazione economica vede pertanto nell'accrescimento del benessere attraverso la società di mercato capitalistica l'elemento essenziale dell'integrazione delle masse nella società. Questa idea non è mai stata tradotta in pratica in maniera così coerente come negli Stati Uniti. Henry Ford, con la produzione di massa delle automobili, ha reso il consumo di massa l'elemento principale dell'integrazione economica della società moderna. L'integrazione delle masse nella società capitalistica si realizza attraverso l'incremento costante del benessere e del consumo. Negli Stati Uniti questa filosofia dell'integrazione economica ha subito un primo scacco negli anni trenta, con la grande crisi mondiale seguita al crollo della borsa del 24 ottobre 1929. Il presidente Franklin D. Roosevelt con il suo programma di riforme del New Deal affidò allo Stato il compito di alleviare attraverso misure sociali le condizioni di bisogno e di miseria di coloro che non potevano tenere il passo con la concorrenza nel sistema capitalistico, o che erano ridotti alla disoccupazione dalle crisi di quest'ultimo. Anche negli Stati Uniti quindi si riconobbe che lo Stato deve assolvere compiti perlomeno minimali di integrazione quando fallisce l'integrazione economica attraverso l'incremento capitalistico del benessere.
Nonostante la fiducia non più illimitata nella integrazione meramente economica della società capitalistica, nelle scienze sociali - soprattutto nell'area culturale anglo-americana - sono ancora presenti quegli approcci teorici che vedono nello scambio di mercato, nel libero contratto e nell'incremento del benessere capitalistico l'elemento essenziale dell'integrazione delle società moderne. Secondo l'approccio coerentemente economico di Friedrich A. von Hayek (v., 1969) il mercato sviluppa autonomamente, in un processo evoluzionistico di ricerca, un ordinamento spontaneo della proprietà con relative regole giuridiche in grado di provvedere a un'adeguata integrazione della società di mercato. Robert Axelrod (v., 1984) ha dimostrato sulla base di competizioni simulate al computer che i giocatori col tempo imparano ad agire in modo affidabile e regolare e ad attenersi agli accordi conclusi, poiché in questo modo alla distanza realizzano le vincite maggiori. Essi agiscono in base al principio del 'rendere pan per focaccia'. Da questi assunti teorici e da questi risultati empirici vengono dedotti nella prassi politica argomenti in favore della deregulation, ossia della rinuncia da parte dello Stato a regolamentare i processi di mercato. Tali argomenti partono dal presupposto che il mercato dispone di proprie capacità di integrazione, quando non venga disturbato da interventi esterni e abbia tempo sufficiente per trovare con un processo evoluzionistico la regolamentazione migliore. In base alla teoria dei diritti di proprietà di economisti quali Ronald Coase (v., 1960) o Harold Demsetz (v., 1967), è sufficiente che i diritti di proprietà siano chiaramente definiti perché il processo del mercato produca da sé l'ottimo paretiano e quindi l'integrazione economica della società. Lo Stato deve assolvere solo il compito minimale di tutelare i diritti di proprietà scaturiti dal processo evoluzionistico di ricerca dell'ottimo oppure, in determinati casi, deve aiutare un poco questo processo attraverso l'introduzione di diritti di proprietà per risorse scarse (ad esempio le risorse ambientali divenute scarse). Con questa concessione, tuttavia, gli economisti si allontanano già da una teoria della integrazione puramente economica della società per avvicinarsi a una teoria dell'integrazione politica in cui lo Stato svolge una funzione essenziale ai fini dell'integrazione. Il precursore delle teorie dell'integrazione politico-economica può essere considerato Thomas Hobbes, secondo il quale i singoli individui egoisti dello stato di natura riconoscono che potranno tutelarsi stabilmente dall'inganno e dalla violenza degli altri soltanto stipulando un contratto vantaggioso per tutti con cui delegano tutto il potere a un'autorità politica, alla quale spetterà allora il compito di regolare attraverso leggi il libero scambio tra gli individui. Dopo aver concluso questo contratto gli uomini sono assoggettati senza alcun diritto di opposizione all'autorità costituita, finché questa è in grado di tutelare l'ordine.I limiti della teoria dell'integrazione economica diventano evidenti se si intende l'integrazione come qualcosa di più di una casuale e mutevole complementarità di interessi. Non sorprende pertanto che anche oggi, dopo una nuova ondata di sviluppo delle teorie economiche, si cerchino delle vie d'uscita dal vicolo cieco del paradigma economico. Una soluzione che ha destato molto interesse è quella proposta da Jon Elster (v., 1989), il quale ha introdotto la categoria dell'azione 'regolata normativamente'. Elster ha riconosciuto che l'agire regolato normativamente non può essere ridotto all'agire strategico, in quanto possiede un carattere peculiare che non può essere né colto né spiegato dalle teorie puramente economiche. Elster ripropone in questo modo una via d'uscita dal vicolo cieco del paradigma economico già indicata più di cinquant'anni fa da Talcott Parsons (v., 1937).
Nell'ambito della teoria economica Arthur Pigou con il suo studio The economics of welfare (1920) ha scosso la fede liberale nella capacità di integrazione del mercato e ha messo in rilievo il ruolo dello Stato. Secondo la sua analisi il mercato produce tutta una serie di epifenomeni negativi e di distorsioni dell'ottimo paretiano che lo Stato deve correggere attraverso misure sociali. Assai prima di Pigou i socialisti francesi del primo Ottocento - ad esempio Proudhon e Fourier - e in seguito Karl Marx (v., 1852, 1867-1894 e 1844; v. Marx ed Engels, 1845-1846 e 1848) avevano posto al centro delle loro teorie la forza disgregatrice della società propria del mercato, della divisione del lavoro e del capitalismo, che creano un antagonismo sempre più aspro tra la classe capitalista e la classe lavoratrice. Tale antagonismo costringe la prima classe a far tutelare l'ordinamento capitalistico da uno Stato forte, rendendo nel contempo la classe lavoratrice sempre più propensa a eliminare il dominio di classe attraverso un'azione rivoluzionaria per instaurare la società senza classi del comunismo. In una società senza classi lo Stato come strumento di integrazione forzata diventa superfluo, perché l'integrazione sociale viene assicurata da una nuova forma di comunità di eguali che regolano collettivamente tutte le questioni. Il fatto che l'idea marxiana della società comunista non fosse altro che una rievocazione abbellita delle società più semplici, applicata senza alcuna rielaborazione alla situazione di società più ampie, altamente sviluppate sul piano tecnologico ed economico, ha contribuito al fallimento dell'esperimento nei paesi del socialismo reale. Questi hanno potuto compensare la povertà economica dovuta a una produttività insufficiente solo con una forma estrema di integrazione politica forzata. Nei paesi del socialismo reale si è verificato ciò che Marx aveva previsto per il capitalismo. Data la povertà economica, il dominio di classe dell'apparato burocratico comunista dovette essere conservato con tutti i mezzi. Esso ha spinto così all'estremo l'antagonismo di classe ed è stato scalzato nel 1989 con un'azione rivoluzionaria. Nel frattempo le società capitalistiche sono riuscite a raggiungere un livello di benessere che ha reso superfluo il dominio di classe attraverso un'integrazione forzata da parte dello Stato. Le società capitalistiche hanno superato l'antagonismo di classe sia mediante l'integrazione economica determinata dal benessere e dal consumo di massa, sia mediante l'integrazione politica attraverso il Welfare State, utilizzando cioè entrambi gli strumenti, seppure in diversa misura.
Dopo Marx la teoria dell'integrazione politica della società è rimasta parte costitutiva delle scienze sociali, sebbene in una forma più generalizzata. Il precursore delle teorie dell'integrazione politica pura è stato Niccolò Machiavelli, il cui influsso è evidente soprattutto nell'opera di Vilfredo Pareto (v., 1901 e 1916). Secondo Pareto il rapporto tra élite e masse costituisce la struttura fondamentale della società, la cui integrazione si fonda essenzialmente sulla capacità di comando dell'élite. Quando questa non può più essere rinnovata attraverso il reclutamento costante di quadri dirigenti dalle masse e si esaurisce, la società si disgrega finché una nuova élite in ascesa non riesce a ristabilire la coesione sociale con la sua capacità di comando. Ralf Dahrendorf (v., 1958 e 1961) ha generalizzato la teoria marxiana del dominio di classe. Secondo Dahrendorf la coesione della società moderna non può essere ottenuta attraverso il consenso su valori comuni, data l'onnipresenza di conflitti di valore e di interessi. In queste condizioni solo la coercizione politica può garantire la coesione della società. I conflitti si incentrano pertanto sull'esercizio della coercizione politica attraverso il potere statale. Si crea così una differenziazione fondamentale della società tra dominanti e dominati; quanto più le due parti sono organizzate in modo efficiente, tanto più aspra sarà la lotta per la conservazione o il mutamento dello status quo dell'esercizio del potere. Le società democratiche-liberali consentono la composizione pacifica di questo conflitto di fondo e rendono possibile un alternarsi regolamentato dei dominanti nonché un avvicendamento delle parti. In questo modo esse riescono ad associare un grado elevato di libera espressione degli interessi e di ricomposizione dei conflitti con un grado altrettanto elevato di integrazione politica.
Nelle teorie dell'integrazione culturale sia l'integrazione economica che quella politica appaiono di portata limitata e inadatte a risolvere il problema dell'integrazione culturale. La soluzione di tale problema va ricercata secondo queste teorie nell'unità culturale della società e nel rapporto tra generale e particolare. Al posto dello scambio economico e della coercizione politica subentra l'intesa fondata su una ragione universalmente condivisa. Le origini di questo approccio vanno ricercate nel grandioso tentativo, fatto da Hegel nei Lineamenti della filosofia del diritto, di superare la divisione della società borghese, con la sua pluralità di interessi particolaristici, attraverso uno Stato che rappresenti l'universale in quanto è vincolato all'idea della eticità e indirizzi in questo senso la propria attività normativa. Nell'idea di eticità Hegel concilia la contrapposizione postulata da Kant tra la moralità valida universalmente e la legalità valida solo limitatamente. L'influsso della filosofia hegeliana si estende dal pensiero marxiano alla teoria critica di Max Horkheimer e T.W. Adorno (v., 1947) sino alla teoria dell'agire comunicativo di Jürgen Habermas (v., 1981 e 1992), che può essere considerata la teoria contemporanea dell'integrazione culturale più pienamente sviluppata. Habermas si ricollega alla distinzione operata da David Lockwood (v., 1964) tra integrazione sociale e integrazione sistemica. Egli sostiene che la società contemporanea funzionalmente differenziata è integrata in modo prevalentemente sistemico attraverso media quali il denaro, il potere politico e il diritto, ma è caratterizzata da una carenza di integrazione sociale che solo i processi dell'intesa linguistica consentirebbero di ottenere. Secondo Habermas l'integrazione sistemica attraverso il denaro, il potere e il diritto sarebbe addirittura arrivata al punto di investire le sfere della vita sociale - come la famiglia e la scuola - in cui si conservavano ancora forme residue di integrazione sociale. Si giunge così a una colonizzazione del mondo della vita da parte dei sistemi. Lo sviluppo sociale sfugge interamente al controllo della riflessione attraverso l'intesa linguistica, svolgendosi secondo le leggi di sistemi onnipervasivi che non possono più essere controllati dall'uomo. Nel senso della teoria marxiana dell'alienazione, i sistemi esercitano sugli uomini un potere che questi non sanno donde venga né dove porti. Conformemente alla teoria weberiana dei paradossi della razionalizzazione della società moderna (v. Weber, 1920), ne deriva una progressiva perdita di libertà e di significato. Gli uomini sono sempre più dominati dai sistemi e hanno sempre meno la possibilità di comprendere il senso dell'accadere globale. La società moderna secondo la teoria di Habermas può liberarsi dalle pastoie di un'integrazione sistemica che si è resa autonoma solo se darà nuovamente maggior spazio ai processi dell'intesa discorsiva riconducendo i sistemi sotto il controllo dei processi comunicativi. La soluzione del problema per Habermas sta dunque in un intreccio di integrazione sociale e integrazione sistemica (v. Peters, 1993).
Secondo la teoria radicale dell'integrazione sistemica formulata da Niklas Luhmann (v., 1981, 1984, 1986 e 1988), l'approccio di Habermas è destinato a fallire in quanto cerca nell'intesa discorsiva un centro che nella società caratterizzata da una differenziazione funzionale e non gerarchica come in passato non può più esistere. Tradotto nella prassi politica, un tentativo di questo genere può sfociare solo nella imposizione forzata della prospettiva di un determinato sottosistema su tutte le altre, nella assolutizzazione del particolare in universale e in un totalitarismo morale. Nella società funzionalmente differenziata l'universo di discorso morale si riduce al modesto rango di un sottosistema differenziato della società, e i suoi esiti sono validi solo all'interno di tale sottosistema. Per il sistema economico o per quello politico, che hanno una propria prospettiva, i giudizi morali sono eventi dell'ambiente esterno che essi possono percepire e assimilare al loro interno solo secondo il proprio codice e le proprie regole operative. I giudizi morali sono rilevanti per il sistema economico solo dal punto di vista del costo comportato dalla loro realizzazione, per quello politico solo dal punto di vista della quantità di voti che la loro realizzazione può apportare o far perdere. La società moderna ha raggiunto un livello di differenziazione funzionale tale che i suoi sottosistemi operano in modo autopoietico, e si autoriproducono quindi costantemente. Essi raggiungono la massima apertura attraverso la chiusura. In quanto chiusi dal punto di vista operativo, essi sono in grado di tollerare un elevato livello di complessità dell'ambiente assimilando ed elaborando al proprio interno una complessità altrettanto elevata senza mettere in pericolo la propria esistenza. L'integrazione della società, la quale si compone di una molteplicità di sottosistemi autopoietici, è frutto unicamente di questa concomitanza di chiusura e apertura reciproche. Ogni sottosistema può accogliere tutto ciò che viene prodotto dagli altri sottosistemi conservando nondimeno la propria identità. La società associa quindi a un'estrema differenziazione sistemica un alto grado di integrazione reciproca tra i sottosistemi.
Si moltiplicano tuttavia le perplessità suscitate da questa teoria dell'integrazione sistemica. Particolarmente problematica appare l'integrazione reciproca tra i sottosistemi. Per risolvere tale problema Luhmann stesso ricorre al concetto di abbinamento strutturale, secondo il quale i sottosistemi dovrebbero essere organizzati in modo da poter operare in un ambiente che sia loro adatto. In altre parole, viene abbandonata la tesi secondo cui i sottosistemi possono assimilare qualsivoglia livello di complessità dell'ambiente; al contrario, per stabilizzarsi essi hanno bisogno di un ambiente particolare. Il sistema economico capitalistico, ad esempio, non può esistere senza un diritto razionale, un'amministrazione affidabile e razionale, una politica economica razionale, una scienza e una tecnologia razionali nonché una condotta di vita metodica-razionale che garantiscano la stabilità di tale sistema nel suo ambiente e gli forniscano le risorse necessarie; si tratta di una tesi che peraltro era già stata espressa da Max Weber (v., 1922). Helmut Willke (v., 1992) si è spinto ancora più in là introducendo il concetto di controllo decentrato del contesto. Secondo Willke, nei sottosistemi dovrebbero essere introdotti elementi discorsivi dell'autoriflessione che consentano di considerare le conseguenze delle azioni sull'ambiente anche nella prospettiva di altri sottosistemi, e di interrompere eventualmente determinate operazioni che producono effetti negativi indesiderati nell'ambiente dei sottosistemi in questione. All'interno del sistema economico, ad esempio, dovrebbero essere considerati anche gli eventuali effetti negativi sul piano morale, politico o ecologico dell'agire economico, e di conseguenza questo dovrebbe essere regolato in modo da evitare tali effetti. Mentre in base alle teorie economiche questa 'interiorizzazione' degli effetti esterni dell'agire economico razionale può riuscire solo nella misura in cui tali effetti vengono percepiti dall'agente stesso in termini di costi, secondo la tesi del controllo decentrato del contesto la razionalità economica stessa dovrebbe essere limitata nel suo agire da altre forme di razionalità.Il concetto di abbinamento strutturale e, in misura ancora maggiore, quello di controllo decentrato del contesto segnano l'abbandono della teoria dei sottosistemi autopoietici avvicinandosi a un modello dell'integrazione già formulato da Talcott Parsons (v., 1969). In base a questo modello l'integrazione dei sottosistemi funzionalmente differenziati si realizza nella misura in cui i loro mezzi di comunicazione specifici trasportano l'input e l'output dei sottosistemi al di là dei loro confini. Secondo il modello di integrazione di Parsons, ad esempio, l'istituzione del potere nel sistema politico è mirata espressamente all'afflusso di denaro, valori e influenza. Senza entrate fiscali sufficienti, senza una legittimazione mediante valori universali e senza un'influenza sociale fondata sulla reputazione, i governanti hanno scarse possibilità di crearsi dei sostenitori e quindi dispongono di un potere politico ridotto. Le entrate fiscali, i valori e l'influenza costituiscono però dei mezzi attraverso i quali essi possono accrescere il proprio potere. Al fine di realizzare l'accumulazione di capitale l'economia ha bisogno di potere, di valori e di influenza per imporre decisioni, per legittimare le attività economiche e per ottenere la cooperazione tra una pluralità di individui. La scienza ha bisogno di potere, di denaro e di valori per realizzare il progresso della conoscenza. Le classi, gli strati e i gruppi sociali si servono del potere, del denaro e dei valori per accrescere la propria influenza e ottenere la solidarietà e la cooperazione. Ciò non significa che col denaro si possa comprare il potere o la verità; esso tuttavia è necessario per produrre decisioni politiche o verità. Le azioni destinate a svolgere una specifica funzione sistemica per essere efficaci devono mobilitare l'afflusso di risorse rispettando i criteri specifici dei vari sottosistemi per la mobilitazione di tali risorse. Le entrate fiscali dello Stato sono abbondanti solo se l'economia è fiorente, l'attività del governo può essere legittimata solo nell'ambito del discorso pubblico, il governo può acquisire influenza solo creandosi una buona reputazione, le imprese possono legittimare il proprio agire solo attraverso la partecipazione al discorso pubblico. Esse sono libere di produrre danni ecologici per conseguire profitti a breve termine, ma in questo caso devono rinunciare a far valere come legittime le proprie azioni. Quanto più il discorso pubblico agisce in questo senso e delegittima l'economia, tanto più questa perdita di legittimità si traduce in un'erosione dell'appoggio politico, in un intervento dello Stato e in un deflusso di capitali, e quindi a lungo termine in una perdita economica.
Secondo tale modello di integrazione sistemica, lo sviluppo delle società moderne deve mirare a istituzionalizzare in forme regolate l'input e l'output tra i diversi sottosistemi. I sistemi specializzati in determinate funzioni acquistano la propria unità e la propria identità attraverso codici specifici quali l'efficienza economica, l'efficienza politica, la verità scientifica e la solidarietà che supera i confini dei singoli gruppi. Il processo sistemico si compie nei ruoli sociali di imprenditori e lavoratori, produttori e consumatori, eletti ed elettori, docenti e discenti, dirigenti e membri di un'associazione. Se lo svolgimento del processo sistemico deve includere un input e un output regolati, è necessario che la comunicazione tra i rispettivi titolari di ruolo si realizzi oltre i confini dei singoli sistemi entro canali stabili e regolati e sia sufficientemente serrata. L'integrazione dei sottosistemi funzionalmente differenziati si basa sul progressivo sviluppo di questa comunicazione intersistemica. Tra l'economia, la scienza, la religione e la politica vi deve essere una comunicazione costante attraverso i rispettivi titolari di ruolo. Commissioni permanenti, centri di discussione e associazioni di composizione mista devono provvedere a tale intercomunicazione. Essa consente di mantenere un linguaggio comune che non è legato ad alcun sottosistema particolare, e contribuisce a sviluppare un senso di appartenenza e di solidarietà che trascende i confini dei singoli sistemi e gruppi favorendo una cooperazione intersistemica.
In questo modo si viene a creare una integrazione sociale che al di là di tutte le differenziazioni funzionali garantisce la coesione e l'unità dei sottosistemi (v. Münch, 1982, pp. 123-143, e 1991, pp. 303-308). Nello stesso tempo si realizza una compenetrazione reciproca dei sottosistemi grazie alla quale i rispettivi processi possono essere controllati anche attraverso elementi che vengono inseriti in essi dall'esterno. All'interno del sistema funzionale si costituiscono rappresentanti dei sistemi appartenenti al suo ambiente. Le corti costituzionali, ad esempio, sono i rappresentanti del discorso culturale all'interno del sistema politico. Esse sono inserite nel sistema della delega del potere politico in quanto i loro giudici vengono nominati o eletti da autorità politiche (governo e/o parlamento), in quanto le loro decisioni sono prese secondo la volontà della maggioranza, hanno valore vincolante e in determinati casi vengono attuate con gli strumenti del potere politico, incluso l'uso della forza. Nello stesso tempo, però, attraverso il riferimento ai principî generali e ai diritti fondamentali garantiti dalla costituzione, il fondamento discorsivo delle decisioni svolge un ruolo essenziale. Il fatto di rendere pubbliche le opinioni di dissenso fa sì che il discorso resti aperto nonostante la decisione della corte. Le opinioni di dissenso possono in seguito essere riprese e diventare il punto di partenza di una nuova decisione. Quanto più le corti costituzionali esercitano attivamente il loro ruolo di controllori del processo politico, tanto più diventa percepibile l'elemento discorsivo-culturale inserito nel sistema politico e i processi decisionali si svincolano da una pura logica di potere. In questo senso il moderno Stato costituzionale non è affatto un sistema funzionalmente differenziato che segue esclusivamente la logica politica dell'acquisizione, della conservazione e dell'esercizio del potere, ma è già il prodotto di una compenetrazione tra discorso culturale e logica del potere politico. In modo analogo la rappresentanza democratica fa sì che la politica sia regolata dalle leggi dell'acquisizione di influenza attraverso la reputazione. La partecipazione di determinate associazioni al processo di formazione delle leggi apporta nel processo politico ulteriori elementi dell'influenza esercitata sulla base della reputazione. I comitati di esperti sono i rappresentanti della ricerca della verità scientifica nel sistema politico. La politica finanziaria dello Stato rappresenta senza dubbio un elemento economico all'interno del sistema politico.La politica concreta quindi è tanto più un prodotto della compenetrazione tra la logica politica del potere e le regole del discorso morale e scientifico, dell'acquisizione e dell'esercizio dell'influenza capace di formare una comunità e della gestione economica, quanto più le regole non politiche vengono inserite nel processo politico attraverso rappresentanti. In questo caso il concreto processo decisionale politico non è ridotto nei limiti di un sistema funzionale autopoietico, ma diventa un ambito in cui la logica politica del potere si associa a una serie di elementi non politici formando una nuova unità. A questa prospettiva si arriva operando una distinzione logica tra sistemi 'empirici' e sistemi 'analitici'. Sul piano puramente analitico la politica è una questione di acquisizione, conservazione ed esercizio del potere. Sul piano empirico, tuttavia, essa è pervasa e improntata da elementi non politici, soprattutto quando questi dispongono di una rappresentanza saldamente istituzionalizzata nel processo decisionale politico. Quello che definiamo sistema funzionale politico concreto, allora, resta pur sempre distinto dagli altri sottosistemi funzionali empirici, quali l'economia e la scienza, per la sua specializzazione funzionale nella selezione, imposizione e attuazione di decisioni collettivamente vincolanti e per la sua relativa struttura di ruolo, e tuttavia non si tratta di un sistema perfettamente autopoietico, che opera in base a una mera logica di potere. Lo stesso vale anche per il moderno sistema economico capitalistico. Le banche centrali sono dotate di un potere decisionale politico, mentre nel sistema economico sono presenti influenti rappresentanti politici. L'attività pubblica delle imprese è inserita in un discorso pubblico dotato di proprie regole che decide la legittimazione o delegittimazione delle attività economiche. La ricerca in campo industriale introduce nel processo decisionale economico elementi della ricerca della verità scientifica e della soluzione tecnica dei problemi. La composizione dei conflitti tra sindacati e imprenditori introduce un elemento politico nel processo economico.
Le misure dello Stato sociale introducono elementi di solidarietà nel ciclo economico. Anche nel sistema della scienza empiricamente dato sono rappresentati elementi non scientifici: le istituzioni di promozione della ricerca rappresentano elementi politici, economici e morali nel processo decisionale scientifico. Nello stesso tempo i rappresentanti riportano determinati risultati del processo sistemico nel proprio sistema d'origine. Le decisioni delle corti costituzionali improntano in misura notevole il discorso culturale nel suo complesso, le decisioni nell'ambito della politica finanziaria improntano l'economia, le decisioni della banca centrale la politica. Come dimostra la vicenda della teoria dei sottosistemi autopoietici di Luhmann, trascurare la differenza tra sistemi analitici e sistemi empirici comporta notevoli perdite sul piano cognitivo. Luhmann (v., 1984, 1986 e 1988) concepisce i sistemi empirici come totalmente differenziati in senso analitico, e di conseguenza deve far ricorso a costrutti concettuali ausiliari quali quello di 'abbinamento sistemico' per adattare a posteriori la teoria a una realtà diversa. Lo stesso vale, e in misura ancora maggiore, per la teoria del controllo decentrato del contesto di Willke (v., 1992). L'integrazione di sottosistemi funzionalmente differenziati sarebbe un problema irrisolvibile se la società si componesse effettivamente di sottosistemi autopoietici, perché l'autopoiesi non consente alcun controllo esterno di tali sottosistemi. Tale controllo, tuttavia, si verifica nel processo sistemico empirico attraverso la rappresentanza di elementi esterni ai sottosistemi. Risolvere il problema dell'integrazione di sottosistemi funzionalmente differenziati, per contro, è più facile per una teoria la quale riconosca che i sottosistemi empiricamente dati sono già il prodotto di un'interpenetrazione. Qualora si presenti la necessità di un'ulteriore integrazione, non occorre una trasformazione radicale della società, ma è sufficiente sviluppare e adattare a nuove problematiche la rappresentanza reciproca nei sistemi funzionali empiricamente dati nonché i contatti e la comunicazione intersistemica.
Una grave carenza della teoria dell'integrazione sistemica, ma anche della teoria economica, di quella politica e di quella comunicativa, è data dal fatto che esse trascurano completamente la solidarietà e l'appartenenza a determinati gruppi come elemento essenziale dell'integrazione sociale anche nella società moderna (v. Hondrich e Koch-Arzberger, 1992). Questo limite si manifesta attualmente nell'incapacità di tali teorie di fornire risposte adeguate alla questione etnica e al problema della nazionalità e del nazionalismo. Per affrontare in tutta la sua complessità il problema dell'integrazione delle società moderne occorre far riferimento anche a elementi di una teoria solidaristica dell'integrazione. Le origini di tale teoria risalgono alla sociologia di Émile Durkheim, il quale considerava lo sviluppo della società moderna soprattutto come un mutamento strutturale della solidarietà. La concezione di Durkheim risente dell'influsso di Rousseau, Saint-Simon e Comte. Rousseau, nel Contratto sociale, individuava le radici di tutti i mali della società nello sviluppo sfrenato dell'individualismo e del progresso scientifico. La società è destinata a disgregarsi se non ne viene garantita la coesione attraverso un nuovo patto sociale dal quale nasce una comunità di cittadini. Questi regolano tutte le proprie questioni mediante la loro volontà generale, eliminando in questo modo tutti i particolarismi di gruppo all'interno della società civile. Una nuova religione civile crea una fede comune dotata di una conseguente capacità di integrazione culturale. Saint-Simon voleva reintrodurre la forza integrativa del vecchio ordinamento corporativo nella nuova società industriale, assegnando i ruoli guida ai dirigenti dell'industria. Il pensiero di Saint-Simon venne sviluppato, nel Corso di filosofia positiva, da Comte, il quale però poneva gli scienziati al vertice della società integrata su basi gerarchiche nell'epoca della scienza positiva.
Fu questo il clima culturale in cui si formò Durkheim (v., 1893 e 1950), che riprese la teoria della progressiva divisione del lavoro formulata da Herbert Spencer (v., 1857, 1862 e 1876-1896). Egli condivideva la tesi di Spencer secondo la quale il passaggio dalla mera coesistenza di gruppi tribali di eguali alla cooperazione di categorie professionali diversificate in un'estesa rete di rapporti di scambio segna un mutamento fondamentale nei rapporti sociali. La divisione del lavoro riceve ulteriore impulso dalla crescita della popolazione, che incrementa la densità materiale e dinamica della società, cosicché un numero sempre maggiore di individui si trova a competere in uno spazio limitato per risorse scarse. In questa situazione la specializzazione del lavoro è l'unica strategia vincente per la sopravvivenza. Diversamente da Spencer, Durkheim ritiene che la progressiva divisione del lavoro sia determinata non dai vantaggi che essa comporta per l'uomo, bensì dalla costrizione esterna rappresentata dalla concorrenza. Egli individua un mutamento strutturale di fondo nel passaggio dalla solidarietà meccanica a quella organica. Durkheim arriva così a formulare una tipologia analoga a quella definita pochi anni prima da Tönnies (v., 1887) con la distinzione tra Gemeinschaft e Gesellschaft nell'opera così intitolata, che Durkheim stesso analizzò in una recensione (v. Durkheim, 1889). Tuttavia Tönnies e Durkheim usano in senso opposto i concetti di 'meccanico' e 'organico'. Per Tönnies la comunità - che corrisponde al tipo durkheimiano della solidarietà meccanica - è una totalità organica dotata di vita propria, mentre la società - che per Durkheim si avvicina al tipo della solidarietà organica - è una unione meccanica di parti che hanno una molteplicità di rapporti reciproci senza peraltro costituire una unità vera e propria. Questa diversità tra le due concezioni indica come Durkheim assai più di Tönnies attribuisse alla moderna società basata sulla divisione del lavoro una capacità di integrazione sociale.
La solidarietà 'meccanica' delle società primitive si basa sulla omogeneità, sulla vicinanza, sulla comunanza di vita e di rituali e su un diritto repressivo. La solidarietà 'organica' della società basata sulla divisione del lavoro si fonda sulla differenziazione, sulla dipendenza reciproca e su un diritto restitutivo. In contrasto con Spencer, tuttavia, Durkheim non credeva che la coesione della società fosse assicurata unicamente dalla complementarità di interessi tra i partners degli scambi e da una molteplicità di contratti. Contro l'utilitarismo di Spencer, egli sostiene che i contratti non hanno alcuna validità se i contraenti non sono uniti da profondi vincoli di solidarietà e non sono obbligati al rispetto dei contratti. La solidarietà contrattuale si basa sui fondamenti non contrattuali del contratto, ossia sui vincoli di solidarietà che trascendono la momentanea complementarità di interessi nell'atto dello scambio, e trascendono le stesse parti contraenti. Queste possono fidarsi solo in quanto membri di una comunità giuridica dotata di un diritto contrattuale comune, la cui validità è garantita da tutta la comunità e il cui rispetto in caso di violazione viene imposto da autorità giuridiche all'uopo designate. Solo così l'integrazione sociale fondata sui contratti resta indipendente da un calcolo contingente della convenienza a rispettare o meno gli accordi contrattuali.
In una moderna società basata sulla divisione del lavoro, oltre alla complementarità di interessi delle parti contraenti sono necessari rapporti di solidarietà efficaci e duraturi. Nella sezione conclusiva della Divisione del lavoro sociale Durkheim dimostra che questa rete di rapporti solidaristici non nasce solo dallo scambio di mercato. Se la divisione del lavoro non è accompagnata dallo sviluppo di nuovi rapporti di solidarietà, essa diventa coercitiva oppure anomica, ossia priva di regole. Nella prefazione alla seconda edizione dell'opera Durkheim introduce a questo riguardo una teoria dei gruppi professionali. Questi dovrebbero assolvere in forma nuova quella funzione di regolamentazione degli scambi economici svolta nel Medioevo dalle corporazioni. La famiglia è un'unità troppo limitata e particolaristica, lo Stato troppo vasto e lontano, la religione non abbastanza forte per assicurare l'integrazione dell'individuo nella società. I gruppi professionali invece sono ancora abbastanza vicini all'individuo, e a loro volta pienamente integrati nel sistema della divisione del lavoro, per poter assolvere efficacemente questa funzione di integrazione. La cooperazione dei gruppi professionali nella regolamentazione dell'economia e la loro partecipazione al processo decisionale politico dovrebbero assicurare l'integrazione della società basata sulla divisione del lavoro. In questo modo Durkheim, come già avevano fatto Saint-Simon e Comte, ripropone certe caratteristiche dell'ordinamento corporativo senza dubbio anacronistiche e inadeguate al mutamento dinamico della società moderna. Non è invece priva di fondamento l'idea che le organizzazioni professionali, le associazioni, le Chiese e le libere unioni di qualunque tipo assumano un ruolo fondamentale nella costituzione di rapporti di solidarietà nella società moderna. Esse sostituiscono le vecchie organizzazioni corporative e rispecchiano nel loro pluralismo l'accresciuta complessità delle società moderne. Queste nuove associazioni sono trasversali rispetto alle primitive solidarietà d'origine della famiglia, dei sistemi parentali e dei gruppi etnici, e, parzialmente, anche rispetto ai gruppi corporativi tradizionali. Man mano che cresce il loro peso nella società, recedono in secondo piano le forme primordiali e tradizionali di solidarietà. I gruppi professionali costituiscono l'infrastruttura associativa di una libera società civile basata su eguali diritti per tutti, indipendentemente dalle origini. Solo lo sviluppo di una vita associativa di questo tipo consente alla società moderna di superare il particolarismo delle forme di solidarietà primordiali e tradizionali, rimpiazzandole con l'universalismo dell'eguaglianza di diritti senza peraltro cadere nella disintegrazione di un individualismo concorrenziale senza regole. Max Weber (v., 1923, pp. 303-304) interpretava tale processo come il superamento della differenziazione originaria tra morale interna ed esterna dei singoli gruppi, sostituita dall'etica unitaria e universalmente valida di individui autoresponsabili. Senza un'etica di questo tipo, che investe sia la vita familiare che quella sociale, secondo Weber sarebbe impensabile l'attività economica ordinata e regolata del capitalismo moderno. È stato il protestantesimo a creare i presupposti essenziali per l'affermarsi di questa etica universale. La nascita del capitalismo moderno si può comprendere solo se si riconosce la funzione integrativa del suo ordinamento etico e giuridico.La moderna società civile si trova ad affrontare il difficile compito di superare sia il conflitto tra i gruppi originari e tradizionali sia il conflitto tra gli individui. L'unico mezzo per contrastare queste tendenze è lo sviluppo di una libera vita associativa capace di unire gli uomini al di là dei confini dei singoli gruppi. Quando le associazioni stesse diventano gruppi di interesse devono essere sostituite nuovamente da altre associazioni che trascendano interessi specifici.
La teoria della integrazione solidaristica della società delineata da Durkheim è stata sviluppata in particolar modo da Talcott Parsons (v., 1937, 1966, 1967, 1971 e 1977). Il suo studio sul sistema delle società moderne pone al centro dell'analisi il mutamento strutturale della 'comunità sociale'. Ciò che caratterizza la società moderna non è la scomparsa totale di tale comunità sociale a seguito della differenziazione di sistemi funzionali, bensì lo sviluppo concomitante di una libera società civile che costituisce il nucleo solidale di una società altamente differenziata e pluralistica. La capacità integrativa della comunità sociale costituisce per Parsons una caratteristica fondamentale delle società altamente sviluppate. In Inghilterra, Thomas H. Marshall (v., 1964) ha dato un importante contributo allo studio del processo di integrazione attraverso lo sviluppo progressivo dei diritti civili, politici e sociali.
Negli Stati Uniti, Robert N. Bellah, allievo di Talcott Parsons, in collaborazione con Richard Madsen, William M. Sullivan, Ann Swidler e Steven M. Tipton ha pubblicato importanti studi sulla disgregazione della società civile determinata da un eccessivo individualismo nonché sulle possibilità di una sua rinascita (v. Bellah e altri, 1985 e 1991), dando un contributo essenziale alla nascita del movimento intellettuale del comunitarismo, che vede nel rinnovamento della società civile il fulcro dell'integrazione della società moderna. Altri significativi contributi a questo movimento si devono a Michael Walzer (v., 1990), Charles Taylor (v., 1985) e Alasdair MacIntyre (v., 1981).
Lo sviluppo della moderna società civile è direttamente connesso alla nascita del moderno Stato nazionale. La capacità di integrazione dello Stato nazionale non dovrebbe essere sottovalutata, e a una considerazione imparziale risulta evidente che esso ha contribuito a integrare in un'unità nazionale regioni e gruppi etnici, religiosi, linguistici e corporativi prima divisi. Per quanto riguarda l'analisi sociologica di questo processo di integrazione si può far riferimento alle teorie del conflitto elaborate da Georg Simmel (v., 1908), Lewis A. Coser (v., 1956), Norbert Elias (v., 1939) e Reinhard Bendix (v., 1964). All'integrazione del moderno Stato nazionale hanno contribuito sia le guerre esterne con gli altri Stati sia i processi interni di omogeneizzazione, integrazione e ricomposizione dei conflitti. Dai conflitti armati sono nate nell'Europa moderna strutture di potere più ampie, che hanno costituito il nucleo politico degli Stati nazionali. La democratizzazione di queste strutture di potere ha determinato la loro omogeneizzazione interna e l'integrazione di regioni, classi e strati sociali in una nazione. Tale processo di omogeneizzazione interna è stato ulteriormente sviluppato da un diritto e da una lingua ufficiale unitaria, da un'amministrazione centralizzata, da un sistema educativo unitario che prevede l'istruzione obbligatoria e dalla progressiva divisione del lavoro. In questo modo la coesistenza di unità regionali ha lasciato il posto alla differenziazione e all'intreccio tra centro e periferia. Lo sviluppo dei sistemi di perequazione finanziaria regionale e di misure sociali ha mitigato il conflitto tra regioni, classi e strati sociali rafforzando l'unità nazionale. Non va dimenticato peraltro che la formazione di un'unità nazionale era legata alla colonizzazione di regioni, etnie, lingue e forme di vita periferiche da parte di regioni, etnie, lingue e forme di vita del centro. I movimenti separatistici nei Paesi Baschi e in Catalogna, nonché nell'Irlanda del Nord ne sono ancor oggi una testimonianza. Anche in Francia l'omogeneizzazione nazionale ha comportato il dominio del centro rappresentato da Parigi sulla periferia costituita da regioni originariamente differenziate per lingua e cultura.
Là dove la nazione scaturita dalla rivoluzione democratica ha assunto il carattere di una comunione di volontà indipendentemente dall'origine e dagli altri legami di appartenenza degli individui, come in Francia e in maniera meno clamorosa anche in Inghilterra e negli Stati Uniti, essa è diventata l'espressione della comunità civile. Quest'ultima costituisce la migliore garanzia dell'integrazione sociale in una società altamente differenziata e pluralistica anche sul piano etnico come quella moderna. La comunità civile più avanzata è quella degli Stati Uniti, dove l'appartenenza a tale comunità è del tutto indipendente dall'origine degli individui che la compongono. Anche qui però la realtà è sempre in ritardo rispetto alle idee. Ci sono voluti quasi 180 anni dalla fondazione degli Stati Uniti perché ai neri fossero riconosciuti formalmente diritti civili a pieno titolo, e un tempo ancora più lungo per il pieno riconoscimento materiale di tali diritti. Ciononostante la società statunitense, che pure ha un'altissima percentuale di immigrati e di cittadini naturalizzati, è caratterizzata da un livello di integrazione straordinariamente elevato a paragone di quello delle altre nazioni. Si tratta di una società che è riuscita a integrare un'estrema eterogeneità etnica in una comunità civile.Un tipo completamente diverso di nazione come comunione di volontà è rappresentato dalla Svizzera. Qui la comunità dei singoli cittadini si interseca con l'alleanza di gruppi linguistici regionali. Gli svizzeri sono membri della nazione sia come singoli individui che come appartenenti a uno dei gruppi linguistici regionali riconosciuti. La coesione della nazione è assicurata da un lato dalla reciproca tutela contro l'assorbimento dei gruppi regionali da parte dei grandi Stati nazionali confinanti, dall'altra dalle molteplici intersezioni dei legami di appartenenza, oltre che da un alto grado di tutela reciproca dell'autonomia e dei diritti di partecipazione alle decisioni politiche collettive, che nella maggior parte dei casi possono essere adottate solo sulla base di un ampio consenso. La Svizzera rappresenta il tipo ideale di uno Stato nazionale integrato e di una democrazia basata sul consenso (v. Francis, 1965; v. Lepsius, 1990 e 1991; v. Lehmbruch, 1967 e 1974; v. Lijphart, 1969). Il caso del Libano per contro esemplifica le conseguenze esplosive della convivenza di una pluralità di etnie e/o gruppi religiosi in uno Stato.
Gravi problemi di integrazione sorgono oggi anche a causa della crescente immigrazione che si registra in Stati nazionali un tempo omogenei. Quando l'identità nazionale di questi ultimi non si fonda su una libera comunione di volontà ma sull'appartenenza etnica e culturale, l'integrazione degli immigrati è un problema difficilmente risolvibile. Nell'Ottocento la Germania e l'Italia intrapresero la strada dell'unificazione nazionale sulla base di una comunanza di origini etniche e culturali. Sinora i due paesi hanno risolto il problema dell'immigrazione, che in Germania ha avuto un incremento particolarmente sensibile, preferendo alla strada dell'integrazione quella della separazione. I conflitti, tuttavia, hanno assunto proporzioni minacciose. In queste condizioni l'integrazione può riuscire solo se da parte degli autoctoni vi sarà una ridefinizione della comunità in termini di comunione di volontà anziché di origini etniche e culturali, e se dal canto loro gli immigrati si adegueranno alla forma di vita della società borghese-democratica.
L'integrazione sociale di gruppi etnici eterogenei si rivela particolarmente difficile nell'Europa dell'Est, dove inestricabili mescolanze di etnie diverse ostacolano la formazione di una identità nazionale unitaria e dove nemmeno lo sviluppo di una società civile individualistica è in grado di spezzare le identità etniche. Ora come prima gli uomini si identificano soprattutto con il proprio gruppo etnico e rivendicano per esso il diritto all'autodeterminazione nazionale, ma data la mescolanza etnica in molte regioni è assolutamente impossibile creare degli Stati nazionali su basi puramente etniche. Qui il bel principio dell'autodeterminazione è diventato una pericolosa polveriera. I conflitti etnici, repressi per decenni dal dominio comunista, sono riesplosi in tutta la loro violenza con la democratizzazione e la libertà di autodeterminazione. Una situazione analoga si ha in molti paesi in via di sviluppo dell'Africa e dell'Asia, che dopo la fine del dominio coloniale hanno avuto poche possibilità di intraprendere la strada dell'unità nazionale e della costituzione di una comunità civile percorsa a suo tempo dalle democrazie dei paesi sviluppati occidentali. Nei paesi del Terzo Mondo la scarsa integrazione sociale è una delle cause principali del loro sottosviluppo. Il capitalismo e la democrazia non hanno apportato il progresso sperato, ma conflitti sanguinosi tra etnie nemiche.
Nell'attuale sistema internazionale si delinea la costituzione di nuove unità sociali che superano i confini degli Stati nazionali. La Comunità Europea è diventata una più ampia unità sociale sia a seguito della costituzione del mercato comune, sia a seguito della concorrenza sempre più aspra con gli Stati Uniti e il Giappone nel centro tripolare del sistema internazionale. Resta da vedere se, seguendo l'esempio degli Stati nazionali, essa riuscirà a raggiungere in modo analogo e in eguale misura oltre all'integrazione sistemica di tipo economico anche la necessaria integrazione sociale di una comunità civile europea. Anche a questo livello di sviluppo la differenziazione funzionale e l'integrazione sistemica non rendono affatto superflua l'integrazione sociale. Le società moderne, indipendentemente dalle loro dimensioni, non sono costituite solo da sottosistemi funzionalmente differenziati, ma anche da gruppi sociali che occorre integrare in una comunità civile solidale. La teoria sistemica e la teoria comunicativa sembrano aver fatto dimenticare per qualche tempo questo fatto.
(V. anche Complessità sociale; Funzionalismo e neofunzionalismo; Sistema sociale).
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