INTELLETTO
. Termine filosofico, di tradizione assai complessa e importante. Il latino intellectus corrisponde in origine al greco νοῦς, e analogamente l'intelligentia, atto dell'intellectus alla νόησις, atto del νοῦς; ma la differenza tra i due termini ha avuto solo di rado rilievo filosofico, variando in genere il significato del secondo (allo stesso modo, poi, che quello di intelligibilis, νοητός), solo in rapporto alle variazioni del significato del primo. L'uso filosofico del termine intelletto, nella forma greca del νοῦς, è inaugurato, com'è noto, da Anassagora, che con esso identifica la divinità ordinatrice del cosmo. Né esso decade con Platone, che subordinando il mondo materiale dei sensibili (αἰσϑητά) a quello ideale dell'intelligibile (νοητά) e determinando come νόησις la più alta forma del conoscere, superiore alla διάνοια, apre la via alla concezione aristotelica della νόησις, come suprema forma di appercezione del reale, propria della stessa autocoscienza divina e fornitrice dei primi principî agli sviluppi del pensiero dianoetico. D'altra parte, nel De anima aristotelico compare la distinzione dell'"intelletto passivo" che è la facoltà umana, potenziale, dell'appercezione noetica, dall'"intelletto attivo", che, venendo dal di fuori, come immortale e universale verità, determina l'attuazione di quella potenza. Da ciò la grande controversia medievale circa la natura di questo intelletto attivo, il cui carattere, oscuramente designato da Aristotele, di trascendenza e universalità si accentua per alcuni (per es. Alessandro di Afrodisia, Averroè) in una divina superiorità e separazione, mentre altri (per es. S. Tommaso) difendono la sostanziale unitas intellectus. Al cadere del Medioevo la controversia si viene spegnendo (salvo qualche reviviscenza nel Rinascimento, ma piuttosto per la varia luce gettata da tali interpretazioni sul problema dell'immortalità dell'anima che per diretto interesse alla dottrina dell'intelletto), venendo il contrasto fra i due intelletti ridotto a distinzione d'intrinseci gradi di sviluppo dell'anima: come accade nell'occamismo, che anche per questo problema rappresenta il momento di crisi empiristica e scettica del pensiero medievale.
Nell'età moderna, d'intelletto parlano soprattutto i razionalisti, da Cartesio in poi, facendolo sede delle idee innate e delle più profonde e certe verità, e provocando così la critica empiristica del Locke, il cui nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu è d'altronde a sua volta integrato dal nisi intellectus ipse del Leibniz. Ma la vera trasformazione moderna dell'idea d'intelletto è operata dal Kant, che il carattere d'assoluta totalità e superiorità gnoseologica propria dell'antica noesi trasferisce nell'idea di ragione (Vernunft), concependo invece l'intelletto (Verstand: propriamente "intendimento", ma negli stessi scritti latini del Kant equiparato a intellectus e intelligentia) come facoltà delle categorie che il pensiero impone a priori all'esperienza. Vero è che per il Kant l'intelletto resta comunque la più alta funzione teoretica, giacché i principî della "ragione" non ammettono immediato uso conoscitivo e si attingono soltanto sul piano della ragion pratica (il mondo delle cui leggi è però anche chiamato da Kant, si noti, col nome formalmente incongruo di mondo "intelligibile", forse anche per ricordo del vecchio e sublime κόσμος νοητός di Platone e del neoplatonismo); ma ciò non toglie che esso risulti essenzialmente limitato nella sua attività, non potendo varcare il dominio dell'esperienza possibile senza cadere nelle antinomie della dialettica. Donde l'ostilità dei postkantiani, intenti a giustificare quel superamento dialettico, per la staticità e l'angustia dell'intelletto, e il loro ideale di un'"intuizione intellettuale", che abolisse le barriere distinguenti, in Kant, la conoscenza intuitiva da quella intellettuale. Nella contemporanea rinascita dell'idealismo, la revisione e semplificazione dei problemi gnoseologici che si è venuta compiendo ha portato a eliminare anche il concetto particolare d'intelletto, risolvendolo in quelli più vasti di filosofia o di universale autocoscienza.