INTELLETTUALISMO
. L'uso del termine intellettualismo, in senso critico, è recente e certamente posteriore all'inversione dell'uso dei termini intelletto e ragione. Nel Rinascimento infatti si diceva ragione la facoltà distinguente gli opposti e intelletto la facoltà unificatrice degli opposti. Dopo Kant all'inverso. Si sono dunque considerate dottrine intellettualiste quelle fondate sopra la distinzione degli opposti e, in genere, l'esclusione d'uno dei due termini dell'opposizione.
In questo senso l'intellettualismo è molto antico, e ne è permeata tutta la filosofia, dagli Eleati, che escludevano la concepibilità del molteplice e del movimento, perché contraddittorî, a Herbart, che considerava ufficio proprio della filosofia l'eliminazione delle contraddizioni. Un altro senso sembra acquistare il termine dalla contrapposizione d'intelletto e sensibilità: sarebbe intellettualismo la riduzione di tutti i fenomeni sensibili e affettivi a fenomeni intellettuali, idee, concetti, essendo quelli nel loro fondo fenomeni intellettuali confusi o risultato di fenomeni intellettuali. In questo senso sono intellettualisti Descartes, Spinoza e soprattutto Leibniz, Wolf, Herbart, fors'anche Hegel. Anteriormente i fenomeni sensibili, piuttosto che ridotti, venivano subordinati ai fenomeni intellettivi. Un terzo senso nasce dalla contrapposizione a volontarismo: mentre questo considera il reale come illogico e dà il primato alla volontà (in senso schopenhaueriano) l'intellettualismo considera la volontà subordinata totalmente all'intelletto (conoscenza). Ma esaminando bene il problema si vede che il volontarismo ha la stessa radice dell'intellettualismo, cioè in una considerazione dell'intelletto come facoltà recettiva che postula accanto a sé l'esistenza d'una volontà che contenga l'ineliminabile carattere costruttivo della ragione; e che la necessità di ridurre la sensibilità (sia come senso, sia come sentimento) all'intelletto nasce da quella stessa esigenza di eliminare la contraddizione nei processi del reale dalla quale nasce la distinzione d'intelletto e ragione. Il problema resta dunque uno solo: sapere se il reale si debba concepire come un movimento dialettico nel quale la ragione realizza sé stessa attraverso la contraddizione (Hegel e tutto il dialettismo da Cusano all'idealismo attuale) e la contraddizione sia perciò un carattere sempre risolventesi, ma mai eliminabile del reale; oppure se il reale si debba concepire eliminando uno dei termini della contraddizione, cioè non assegnandogli funzione alcuna nella costituzione del mondo, come fa ogni dottrina intellettualistica.