intelligenza
La facoltà della nostra mente di comprendere la realtà
Il termine deriva dal verbo latino intelligere, cioè "intendere", ma la comprensione rappresenta soltanto una parte dell'uso che facciamo dell'intelligenza. Infatti, capire il significato di ciò che percepiamo e stabilire collegamenti tra le esperienze è solo il primo passo per trovare soluzioni 'intelligenti' ai problemi della vita quotidiana. Poiché l'intelligenza consiste nella capacità di pensare, ragionare, giudicare, prevedere, essa è il risultato e l'espressione di diverse competenze della mente
Nel linguaggio comune diciamo che una persona è intelligente quando capisce con rapidità e facilità. L'espressione "l'uomo è un animale intelligente" riassume un'opinione che ha attraversato i secoli: l'intelligenza distingue l'uomo dagli animali, i quali non sarebbero capaci di pensiero. Quando si parla di intelligenza animale, infatti, ci si riferisce alla capacità degli animali di reagire agli stimoli che provengono dall'ambiente o dal loro corpo (come la fame o la sete) e alla loro memoria associativa. Secondo la teoria monofattoriale, l'intelligenza generale sarebbe il risultato finale della collaborazione tra diverse funzioni cerebrali. La teoria multifattoriale, invece, sostiene che l'intelligenza è composta da capacità diverse e indipendenti, ognuna destinata ad affrontare compiti diversi. Perciò alcuni studiosi descrivono un certo numero di 'intelligenze', cioè di abilità diversamente sviluppate in ogni individuo, ma che devono essere tutte presenti in una certa misura per poter definire quello stesso individuo una persona intelligente.
L'intelligenza verbale consiste nella capacità di comprensione dei messaggi vocali e nella facilità all'esposizione orale. L'intelligenza logico-matematica esprime l'attitudine al calcolo aritmetico o alla risoluzione di problemi matematici. L'intelligenza visivo-spaziale è l'abilità di distinguere gli oggetti presenti nel nostro campo visivo e comprendere la loro collocazione nello spazio. L'intelligenza sociale è la prontezza con cui si comprendono le regole e i segnali di un gruppo sociale per adattarvi la propria condotta in modo opportuno. Si parla, inoltre, di intelligenza linguistica e musicale per descrivere la speciale abilità dei poeti o dei compositori e di intelligenza corporeo-chinestesica per spiegare le particolari prestazioni degli atleti. Infine, alcuni studiosi denominano intelligenza emotiva la capacità di riconoscere i propri sentimenti e quelli degli altri per utilizzare positivamente le proprie emozioni.
Una distinzione entrata nel linguaggio quotidiano è quella tra intelligenza pratica (abilità nell'organizzare la vita quotidiana e risolverne i problemi utilizzando l'esperienza) e intelligenza astratta (tendenza a riflettere e a fare teorie su ogni questione della vita, senza ricorrere all'esperienza e al buon senso).
Tutti gli studiosi considerano l'intelligenza, o 'le intelligenze', come il risultato dell'interazione tra doti ereditarie e l'opportunità di apprendere. L'intelligenza, dunque, non può essere valutata senza tenere conto del contesto nel quale un individuo vive. Se un bambino non viene stimolato e istruito in modo opportuno le sue prestazioni mentali possono essere inadeguate alla sua età e farlo apparire poco intelligente, ma affidato a giuste cure il suo potenziale ereditario può tornare a esprimersi e a svilupparsi. Anche l'ambiente affettivo in cui l'essere umano cresce condiziona lo sviluppo e l'espressione dell'intelligenza: adulti incoraggianti e partecipi favoriscono l'apprendimento del bambino perché gli infondono fiducia nelle sue capacità e lo aiutano a scoprire il piacere di usare le sue doti; al contrario, quando l'ambiente familiare non è incoraggiante o è troppo esigente può accadere che l'intelligenza non sia messa a frutto, perché manca la fiducia nei propri mezzi o perché viene inibita dall'ansia per i risultati delle proprie prestazioni.
Lo sviluppo dell'intelligenza è stato studiato particolarmente dallo psicologo svizzero Jean Piaget, che la considerava un aspetto del nostro adattamento all'ambiente. Lo sviluppo della mente, secondo Piaget, si compie dalla nascita fino all'adolescenza, attraverso fasi nelle quali l'adattamento si realizza attraverso l'assimilazione e l'accomodamento.
Assimilazione significa adoperare qualcosa dell'ambiente per svolgere un'attività già conosciuta senza modificarla: per esempio, un bimbo piccolo che sa afferrare un oggetto e batterlo sul tavolo può effettuare la stessa attività con un oggetto che non conosce e sperimentare i nuovi risultati (come il diverso rumore). L'accomodamento ha luogo quando il bambino è in grado di compiere un'osservazione dell'ambiente e tenta di dominarlo. In questo caso egli modifica le proprie azioni in rapporto ai cambiamenti dell'ambiente: se l'oggetto da battere sul tavolo è grosso o poco maneggevole, per esempio, il bambino cerca di coordinare meglio i suoi movimenti per afferrarlo.
A partire dalla fase, o intelligenza, senso-motoria ‒ propria dei piccolissimi che inizialmente dispongono solo di riflessi congeniti o di semplici schemi d'azione ‒ si giunge allo sviluppo dell'intelligenza operativa fino alla sua ultima 'fase delle operazioni formali' nella quale l'adolescente acquisisce la capacità di ragionamento astratto propria dell'età adulta.
Durante tutta la vita, alcuni stati di malessere psichico (per esempio, ansia e depressione) condizionano negativamente l'uso dell'intelligenza perché riducono la capacità di concentrazione e l'interesse per il mondo esterno; nelle forme gravi di malattia mentale (psicosi) il pensiero e il ragionamento possono essere molto compromessi. Soprattutto con l'avanzare dell'età molte malattie dell'organismo possono ridurre o invalidare molte funzioni mentali, determinando un deterioramento più o meno grave dell'intelligenza.
La struttura dell'intelligenza continua a essere misteriosa e ad affascinare filosofi, psicoanalisti, matematici, neurofisiologi dei nostri tempi che, a partire dalla metà del secolo scorso, cercano di capire come si ragiona, si impara e si ricorda studiando l'intelligenza artificiale. I calcolatori e i computer sono gli strumenti sui quali si tenta di verificare le teorie sull'intelligenza. Alcuni ricercatori considerano 'intelligenti' i programmi in grado di fornire una prestazione che giudicheremmo intelligente in un essere umano. Ma è sufficiente che una macchina o un uomo sia in grado di compiere calcoli complicatissimi ‒ grazie all'applicazione automatica di regole fisse ‒ per definire intelligenti le sue operazioni? Il computer è intelligente?
I recenti studi del neuroscienziato Antonio Damasio sulla coscienza e sul processo decisionale (per esempio, come scegliere tra due o più possibilità) dimostrano l'influenza delle nostre emozioni sull'intelligenza. Per Damasio le decisioni sono condizionate dalle nostre risposte emotive che diventano per ciascuno di noi indicatori della convenienza di una certa scelta.
Nel 1905 lo psicologo francese Alfred Binet inventò il primo test per misurare l'intelligenza nei bambini. Si trattava di prove diverse che esploravano la competenza linguistica e la comprensione sensoriale. Binet considerava l'intelligenza una capacità che permetteva di riuscire in settori diversi. Lo psicologo tedesco Wilhelm Stern introdusse la valutazione del quoziente intellettivo: il rapporto tra età mentale ed età cronologica, vale a dire tra le prestazioni che un individuo è in grado di effettuare e quelle che ci si aspettano per l'età che ha. Sono sempre utili questi test? Non è difficile immaginare che se queste valutazioni divengono procedimenti per essere ammessi a una scuola, gli insegnanti possono sviluppare una prevenzione sulla base dei risultati. Lo stesso individuo che si sottopone a test del genere può essere condizionato negativamente o positivamente dai risultati che ottiene, con conseguenze psicologiche non sempre desiderabili.