intenzione
Nella sua accezione più generale D. usa il termine i., sia nella forma volgare che latina (intentio), nel senso di " orientamento del pensiero o della volontà verso un fine ", " desiderio o disposizione a raggiungere uno scopo ", " tensione " o " disposizione dell'animo ", " proposito ". Così in Pd XIII 105 in che lo stral di mia intenzion percuote (la stessa metafora in Ep 16); Cv III X 6 E questa cotale figura [la dissimulazione] in rettorica è molto laudabile, e anco necessaria, cioè quando le parole sono a una persona e la 'ntenzione è a un'altra; II XII 5 l'uomo va cercando argento e fuori de la 'ntenzione truova oro; Pd XI 91 regalmente sua dura intenzione / ad Innocenzio aperse; Cv II I 4 mia intenzione è qui lo modo de li poeti seguitare.
Per usi particolari (frequenti le locuzioni ‛ per i. ', secundum intentionem, de intentione) da notare il riferimento alla volontà divina, in quanto agisce tendendo alla realizzazione di fini secondo un piano preordinato: Cv III XII 8 Iddio tutte le cose vivifica in bontade, e se alcuna n'è rea, non è de la divina intenzione (cfr. Mn II II 3 quicquid in rebus inferioribus est peccatum, ex parte materiae subiacentis peccatum sit et praeter intentionem Dei naturantis et cadi); Mn I VIII 2 De intentione Dei est ut omne causatum divinam similitudinem repraesentet (v. §§ 1 secundum intentionem primi agentis, e 5 secundum divinam intentionem); I III 3 Non enim essentia ulla creata ultimus finis est in intentione creantis; Cv III XII 9 Che se Iddio fece gli angeli buoni e li rei, non fece l'uno e l'altro per intenzione, ma solamente li buoni.
Con riferimento alla natura in quanto essa tende a una finalità propria, la quale si realizza secondo la volontà divina (e a cui la retta ragione deve adeguarsi), ricorre in Mn III II 2 illud quod naturae intentioni repugnat Deus nolit. Nam si hoc verum non esset, contradictorium eius non esset falmus, quod est: Deum non nolle quod naturae intentioni repugnat; II VII 3 aliter humana ratio in sua rectitudine non sequeretur naturae intentionem: quod est inpossibile; Cv III XV 9 Avrebbelo... la Natura fatto indarno, però che non sarebbe ad alcuno fine ordinato. E però l'umano desiderio è misurato in questa vita a quella scienza che qui avere si può, e quello punto non passa se non per errore, lo quale è di fuori di naturale intenzione; in Cv III XII 8 è detto della 'ntenzione de la cagione in quanto fine proprio della causa seconda, nella realizzazione del processo naturale (v. ancora Quaestio 44, 45 e 48).
Ancora la locuzione ‛ per i. ' ricorre in Cv III XIII 4 nel seguente trattato per intenzione si ragionerà, e IV III 10 di quelle per intenzione in capitolo speziale è da trattare, e vale " di proposito ", " esplicitamente ", in quanto formano i., " scopo " o " argomento " del trattato. Da notare infine la locuzione ‛ sotto i. ', sub intentione, in Pd XX 56 e Mn III ne 8, che vale ‛ in base all'i. ' ‛ nell'ambito dell'i. ', e quindi ‛ con l'intenzione '.
Il termine ricorre ancora in Pg XXXII 138, Pd I 128, IV 57 (come variante scadente anche due versi sopra; cfr. Petrocchi, ad l.), XXVI 52, XXVII 46; Vn XXI 7, XXX 3; Cv I I 18, II VI 6, XI 3 e 6, III V 7, IX 1, X 8, XI 8, XII 8 e 9 (due volte), IV II 2, V 1, VIII 8, XI 7; Mn II V 6, VI 4, VIII 6, XI 8,III III 9,IV 11 e 16, IX 2, 3, 6 e 17; VE I I 4, XIII 1, XIX 3, II VI 1 (cfr. anche Fiore CIX 4, CXV 11, CLI 12, CLXXI 10, CXCVIII 12).
Oltre ai significati sopra ricordati, nella terminologia filosofica medievale il termine intentio, usato nelle traduzioni dall'arabo, si carica dei valori propri del termine arabo ma'na, che ha il valore di " significato " (cfr. l'opera di Alfarabi De Intellectu et intellecto, ediz. Gilson, in Les sources grécoarabes de l'augustinisme avicennisant, in " Archives d'histoire doctrinale et littéraire du moyen âge " IV [1929-30] 115-126, dove, tranne un'eccezione, il termine occorre sempre in quest'uso; da confrontare anche la traduzione di Gilson, pp. 126-141; cfr. inoltre Averroè Comm. magnum in Aristotelis de anima, rec. F.S. Crawford, Cambridge Mass. 1953, II t.c. 49 " Cum descripsit [Aristotele] hoc principium animae, et descripsit nutrimentum, reversus est ad distinguendum intentiones istorum nominum quae denominantur a nutrimento "). Ancora intentio (sempre come trad. di mina) vale " rappresentazione " sensibile, fantastica, intellettuale di una cosa (cfr. Avicenna De anima IV- V [ediz. S. Van Riet, Lovanio-Leida 1968] IV 2, che distingue così forma e intentio: " id quod apprehendit sensus, vocetur forma et quod apprehendit aestimatio, vocetur intentio ", ma V 5 " aliquam formam repraesentat sensus imaginationi et imaginatio intellectui, et intellectus excipit ex illa intentionem "; V 6 " intentiones formatae ", " intentiones universales "; Averroè op. cit. II t.c. 65 " comprehensio intentionis individui est sensuum, et comprehensio intentionis universalis est intellectus ", " visus non patitur ab intentione sensibili per accidens "; III t.c. 8 " cum intellectus fuerit in actu, erit unum entium, et poterit intelligere seipsum per intentionem quam abstrahet a se, secundum quod abstrahit intentiones rerum quae sunt extra animam ", e t.c. 18 " Abstrahere enim nihil est aliud quam facere intentiones imaginatas intellectas in actu postquam erant in potentia; intelligere autem nihil aliud est quam recipere has intentiones "). Nelle traduzioni di Averroè il termine è usato inoltre anche per designare la " forma " di un sinolo o " forma individuata " (op. cit., III t.c. 5 " prima perfectio est haec intentio, scilicet individualis in materia et numerata per numerationem individuorum ", e t.c. 9 " quia hoc individuum est aliquid, et intentio per quam hoc individuum est ens, scilicet quiditas et forma eius, est aliud; v. g. quod haec aqua est aliquid, et intentio, idest forma, per quam haec aqua est ens aliud est ab aqua "). Il termine può anche significare la " ragione " su cui si fonda una tesi o una dottrina (op. cit., III t.c. 16 " Dissolutio igitur istius quaestionis est quoniam intentio per quam intellectus materialis fit intellectus in actu est quia est intellectus in actu; intentio vero per quam res quae sunt extra animam sunt entia est quia sunt intellectae in potentia, et si essent in actu, tunc essent intelligentes ", e t.c. 18 " Et quia haec intentio cogens ad ponendum intellectum agentem alium a materiali... est similis intentioni propter quam visus indiget luce... ").
Il termine fu usato dalla scolastica aristotelica per designare, anche nella traduzione del greco εἶδος (in concorrenza con forma, species, species intentionalis), la rappresentazione dell'oggetto; rappresentazione che è presente nel soggetto e che rende così possibile l'atto del conoscere (tanto sensibile che intelligibile).
Si tratta di una nozione comune nella psicologia aristotelico-scolastica; cfr. Aristotele Anima III 8 431b 29, t.c. 38 " οὐ γὰρ ὁ λίθος ἐν τῇ ψυχῇ, ἀλλὰ τὸ εἶδος " (" lapis enim non existit in anima, sed forma ") e il commento di Temistio a questo luogo (Themistii De Anima, ediz. G. Verbeke, Lovanio-Parigi 1957, 257-258): " bene igitur dicitur omnia entia esse animam, quoniam species omnium entium accipit intellectu et sensu, et fit eadem cum ipsis; fit autem non totis rebus eadem; non enim lapis est in anima neque ignis, neque terra. Relinquitur igitur species fieri animam, et nihil prohibet rationem rationi coaptari et formam formae. Quare anima sicut manus; etenim manus est organum organorum, per quod utimur aliis organis, et anima species ". Sullo stesso luogo, Averroè scrive: " est impossibile ut ipsum ens sit intellectum aut sensatum scilicet per suam formam et suam materiam, ut antiqui opinabantur... remanet igitur ut illud quod existit in anima de entibus sit forma tantum non materia " (De Anima III 38); Alberto Magno: " Praeterea intentio rei est in anima " (Quaestiones de animalibus IV 8); Tommaso d'Aquino: " species recipitur in organo sensus aut in medio per modum intentionis et non per modum naturalis formae " (Com. de anima II lect. XIV; ediz. Pirotta, n. 418; cfr. Com. de anima III, lect. XIII n. 789); " cognoscit eam secundum intentionem rei quam in se habet " (Sum. tbeol. 122 2).
In questo senso ricorre in Pg XVIII 23 Vostra apprensiva da esser verace / tragge intenzione, e dentro a voi la spiega: dove l'apprensiva, cioè la capacità di conoscere, trae l'intenzione dall'oggetto (esser verace) e la svolge (la spiega), cioè l'elabora nel processo conoscitivo.
Un problema è posto dal v. 24 sì che l'animo ad essa volger face, in quanto sembra che l'apprensiva faccia volger l'animo all'i. mentre invece è propriamente all'oggetto che l'animo si volge attraverso l'i.; a questo passo nota il Nardi: " Veramente l'animo si volge non ad essa intenzione, ma all'esser verace, conosciuto per mezzo dell'intenzione... e quindi logicamente dovrebbe leggersi ‛ ad esso ' (esser verace) e nel verso successivo dovrebbe leggersi ugualmente ‛ inver di lui ' a meno che Dante, contro il parere di Aristotele e di s. Tommaso, non consideri la ‛ intenzione '‛ id quod ' piuttosto che ‛ id quo intelligitur ', che mi pare un po' ardito " (La filosofia di D., p. 1199 n. 3). Due codici hanno effettivamente esso (cfr. Petrocchi, ad l.) contro la maggioranza dei codici, ma è lezione da non accogliere; il significato del passo resta egualmente chiaro in un contesto aristotelico: l'apprensiva richiama l'animo all'i. non in quanto essa sia termine dell'atto conoscitivo, ma in quanto attraverso di essa il soggetto che conosce coglie l'oggetto.
Lo stesso significato ha in Cv III VI 5 tutte le Intelligenze conoscono la forma umana in quanto ella è per intenzione regolata ne la divina mente, in quanto l'idea o forma di ogni essere creato è presente nel creatore come ‛ regola ' o ‛ modello ' ideale. Sempre al significato di " idea ", " concetto ", " rappresentazione ", il Nardi riconduce Mn I II 1 typo ut dicam et secundum intentionem, che propone di tradurre " così all'ingrosso e secondo il concetto comune ", ma diversamente il Vinay (Monarchia, Firenze 1950, 8-9 e n. 1): " nella sua essenza e nelle sue pratiche finalità ", che avverte in intentio il valore prevalente di " fine " o " scopo ".
Per cogliere tuttavia il senso della frase di D., è necessario tener presente che typus vi occorre con valore di " in generale ": cfr., oltre a quanto dice il Vinay ad l., Themistii De Anima, cit., 102 " Forte autem et de omni anima typo quidem determinatum est, examinate autem non ", 114 " Typo igitur dictum est de anima et ut possibile est dicere universaliter de eo quod non est universale ", ecc.; il termine qui rende il greco τύπος; l'espressione dantesca quindi andrebbe resa: " per dirla in generale e secondo il suo concetto ".
Da notare l'uso particolare di Cv I X 14 ne la 'ntenzione mostrare lo difetto e la malizia de lo accusatore: il termine vale " accusa ". L'uso è ampiamente documentato nei testi giuridici e cronachistici medievali: oltre a quanto è contenuto in Mediae latinitatis lexicon minus (ediz. J.F. Niermeyer, fasc. 6, Leida 1958, sub v. intentio), cfr. B. Latini La rettorica, ediz. F. Maggini, Firenze 1968, 34, 19, p. 86 (con riferimento a Rhet. ad Herenn. I XVII 27): " Onde contastamento è appellato el primo detto del difensore e intentione è appellata il primo detto dello accusatore ".
Bibl.-B. Nardi, La conoscenza umana, in D. e la cultura medioevale, Bari 1949², 166-216, in particolare pp. 170-171; ID., La filosofia di D., in Grande Antologia Filosofica, IV, Milano 1954, 1199 n. 3; ID., Note alla Monarchia, in " Studi d. " XXVI (1942) 110-111 (rist. in Nel mondo di D., Roma 1944, 95-96). Per tutto il problema dell'intentio nella gnoseologia aristotelico-scolastica cfr. B. Nardi, Soggetto e oggetto del conoscere nella filosofia antica e medievale, Roma 1952² (in particolare pp. 17, 25).